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    12 agosto 2010 - 2 Elul  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni,

rabbino capo
di Roma
Il Re d'Israele non dovrà avere troppi cavalli e non riportare il popolo in Egitto (Devarim 17:16). Nell'antichità i cavalli, potente strumento di guerra, erano un prodotto esclusivo dell'Egitto. Chi voleva avere un esercito forte, dipendeva dall'Egitto. La Torà proibisce di stabilire questa dipendenza. Ma allora come fare ad avere un esercito?
Evidentemente la soluzione deve essere differente. Queste regole hanno più di tre millenni di età. Oggi chi è l'Egitto e chi sono i cavalli?
In questi giorni del mese di agosto e di Elul, per gli Italiani in Israele si è aggiunta un'ulteriore fonte di preoccupazione che rende le notti insonni. Se le elezioni in Italia verranno anticipate al prossimo autunno o tutt'al più alla fine dell'inverno, per chi votare? Sempre che il diritto di voto degli Italiani all'Estero non venga soppresso. Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica di Gerusalemme
sergio della pergola  
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Qui Livorno - Visti da Livorno...

pisa livorno “Dayenu/Ci sarebbe bastato”, avrebbero potuto dire, come nell’Haggadah di Pesach, i livornesi di scoglio citando la celebrata sentenza dantesca: “Ahi Pisa, vituperio de le genti...”. Ma l’accortezza che deve avere il buon navigante fece in modo che altre precauzioni, ad abundantiam, venissero prese e quindi, oltre alla celeberrima massima sui pisani che si trova ovunque nel mondo, si pensò anche opportuno dichiarare, con tanto di cartello al confine nord, la natura di Livorno quale “Comune depisanizzato”. E quando, più di due decenni fa, parve imminente un ampliamento del porto labronico che avrebbe potuto, secondo una delle ipotesi, allungarsi in territorio pisano, verso la mezzanotte del terzo giorno di discussione, nell’aula comunale che ospitava le serrate ed estenuanti riunioni, riecheggiò un’altra sentenza che pose fine al dubbio: “E poi sia mai che si veda un portuale pisano!”. Un vero e proprio minhag, quindi un rito caro alla città quanto quello liturgico alle Comunità ebraiche (Livorno in particolare), per mettere ben in chiaro l’alternatività livornese alla pisanità che per un certo periodo fu alimentato anche dal calcio. Poi, se Livorno non si è fatta mancare alti e bassi, i pisani puntarono dritti e decisi al basso e la questione scemò: la crisi è evidente se, di recente, anche la loro beneamata Torre pendente ha perso il discutibile primato battuta dal Capital Gate di Abu Dhabi. I pisani vi parleranno orgogliosi della loro università mentre i livornesi vi diranno che sono lieti di poterla frequentare, avendola a due passi, ma che sul mare proprio non ce la vedrebbero. In effetti andarono controcorrente proprio gli ebrei che fecero di Livorno un grande centro di studi anche perchè, ammettiamolo, una bella vista e aria bona non dispiacevano nemmeno agli illustri Maestri tanto che Benamozegh, così si riporta, una sola volta si recò a Pisa e, se non ricordo male, lo fece comunque per sentire un eccelso oratore non pisano. D’altra parte, e qui chiudo con i duri (per i pisani) confronti, si pensi che la festa popolare più sentita di Livorno è il Palio marinaro, appunto all’aria bona e magari poi con un bel tuffo, mentre loro si divertono (?!) con il cosiddetto Gioco del ponte nel quale, immersi nel caldo torrido del cemento cittadino, si dilettano a spingere un carrello lungo un binario appositamente montato sul Ponte di mezzo, sudando inverosimilmente... Potrebbe ora chiedersi il gentile lettore se l’alternatività, più che rivalità, tra livornesi e pisani abbia riguardato e riguardi anche le due vicinissime Comunità ebraiche. A mia sensazione direi di no, almeno sotto un aspetto peculiare ebraico. Per quanto la vicinanza a Livorno abbia ovviamente comportato dei contatti e degli influssi (nel rito e tra le persone), pare plausibile affermare che la vita si sia svolta in parallelo ma in separata vicinanza, forse dovuta al fatto che quei pochi chilometri effettivamente sembravano non dare il senso di due centri ebraici separati. Oggi più che mai sarebbe opportuno e utile rafforzare le collaborazioni tra Comunità vicine, almeno a livello regionale. Opportunità che il nuovo eventuale Statuto dovrà cercare di incentivare, più che far calare dall’alto (ricordiamo comunque che i consorzi sono già possibili). Non si tratta di archiviare una sana e ironica competizione bensì, come appare logico, di ottimizzare le risorse disponibili per migliori risultati per tutti. E poi che le cose cambino lo si vede anche da questo siparietto, opera di un ferrarese - livornese e di un romano - pisano.

Gadi Polacco, Consigliere Ucei, Pagine Ebraiche - agosto 2010


Qui Livorno - ...Visti da Pisa

pisa livornoCome iscritto alla comunità di Pisa non posso che congratularmi per la scelta di dedicare questo Dossier a Livorno, rammentando gli stretti legami, la stima reciproca e direi perfino l’affetto che unisce le due città. Si tratta, come sapete, di due centri molto vicini tra di loro (meno di venti chilometri l’uno dall’altro) e nel contempo così diversi da essere complementari: Livorno è adagiata sul mare ed è una tipica città portuale, di nascita recente; Pisa dista dal mare dieci chilometri ma è stata repubblica marinara, in un lontano, fulgido e ben presente passato. Livorno è famosa in Toscana per lo spirito mordace dei suoi abitanti, intenti a scrivere frasi di dileggio su Pisa e i pisani in ogni angolo del pianeta in cui si trovino (una delle scritte più celebrate si trova al polo nord). Pisa è famosa nel mondo per la sua torre non perfettamente perpendicolare alla terra e anche per l’università, la Scuola Normale e la Scuola Sant’Anna. Livorno ha dato meno alla cultura e all’arte (se si eccettuano Modigliani e pochi altri), ma in compenso si è saputa ritagliare un proprio spazio nell’editoria mondiale dando vita a una rivista specializzata nell’ironizzare (passatemi l’eufemismo) su Pisa e i pisani: è Livorno cronaca, meglio conosciuta come Il Vernacoliere, che si trova ormai nelle edicole di molte città, inclusa Roma. Credo sia il caso più unico che raro di una rivista pensata e scritta in vernacolo che spezza qualsiasi confine e diventa un fenomeno di esportazione, grazie al ruolo giocato da Pisa e dai pisani. Era il lontano maggio 1986 e l’esplosione di Chernobyl terrorizzava buona parte del pianeta. Il Vernacoliere colse la palla al balzo per titolare: “Nuvola atomi[c]a: primi spaventosi effetti delle radiazioni: è nato un pisano furbo. Stupore ner mondo, sgomento ‘n Toscana”. Insomma, le due città sono un binomio indissolubile, così come le comunità ebraiche che vi risiedono: quella pisana, antica (una presenza ebraica è attestata già da Beniamino da Tudela) e complessivamente stabile come popolazione (non ha mai superato i 600 iscritti); quella livornese, nata insieme alla città sullo scorcio finale del Cinquecento che ha conosciuto periodi di grande sviluppo anche demografico e ha dato i natali a Elia Benamozegh. Due comunità dunque molto vicine, che hanno avuto la fortuna di vivere in città senza ghetto, e che potrebbero collaborare molto di più. Pensando – nel complesso lavoro di revisione dello Statuto cui mi sto dedicando in questo periodo come coordinatore della commissione allo scopo istituita dal Consiglio dell’Unione – al ruolo che potrebbero giocare i consorzi tra le comunità, ho sempre presente il possibile, auspicabile consorzio pisano-livornese. Concludo esprimendo la mia soddisfazione per questo Dossier e, visto che ho iniziato con una antica citazione del Vernacoliere chiudo con un’altra molto più recente, del novembre 2007, quando la rivista intitolava: “Lo spregio di papa Ràzzinghe: Un vescovo pisano a Livorno! La città si ribella: piuttosto si diventa mussurmani!”. Sarebbe davvero bello se un giorno anche il rabbino capo di Livorno fosse pisano...

Valerio Di Porto, Consigliere Ucei, Pagine Ebraiche - agosto 2010


Qui Locarno - La comicità che sconfisse le dittature

festival locarnoFurono Chaplin e Lubitsch a capire per primi l’efficacia della commedia e della satira nel denunciare le follie del nazismo. Ne Il Grande Dittatore del 1940, Charlie Chaplin interpreta un barbiere ebreo reduce di guerra ed il dittatore di Tomania Hynkel che perseguita gli ebrei per distrarre i suoi concittadini dai problemi economici che affliggono lo stato. Il film è pieno di riferimenti alla situazione politica del tempo che non potevano sfuggire al pubblico nei cinema: la svastica diventata due croci affiancate, Göring e Mussolini ritratti come i ridicoli Herring e Benzini, l’esistenza dei campi di concentramento suggerita quando il barbiere chiedendo dove sono finiti tutti gli uomini del Ghetto si sente rispondere “sono andati lì”. Il momento più importante del film è quando il barbiere prende il posto del dittatore e dal palco, rivolgendosi alla folla, annuncia con passione che il potere deve tornare alla gente e auspica l’avvento di un futuro migliore per tutti. Lubitsch concepisce un film completamente diverso. Vogliamo vivere! uscito nel 1942, fu bersagliato dalla critica e frainteso da un pubblico non abituato all’idea di una commedia con tema i nazisti e la Polonia. La trama del film è alquanto complessa. La compagnia teatrale di Joseph Tura (Jack Benny) è intenta a provare la nuova produzione intitolata Gestapo in un teatro di Varsavia. Ma i tedeschi invadono la Polonia e la produzione viene sospesa. Sobinski, il giovane amante di Maria Tura (Carol Lombard), moglie di Joseph e attrice principale della compagnia, essendo un pilota dell’aviazione polacca, riesce a rifugiarsi a Londra dove si arruola nella RAF. Desideroso di contattare l’attrice, per caso, scopre un’operazione di spionaggio nazista capeggiata dal Prof. Siletsky che ha lo scopo di smantellare la Resistenza polacca. Il pilota è allora paracadutato a Varsavia per tentare di fermare l’operazione. Qui rincontra Maria e la sua troupe di attori; con il loro talento lo aiuteranno a salvare i gruppi della Resistenza e tutti insieme fuggiranno in Inghilterra a bordo dell’aereo di Hitler. Il protagonista del film di Chaplin è un ebreo, la sua ragazza Hannah è ebrea, entrambi vivono nel Ghetto dove la parlata ha i ritmi dello Yiddish. Nel film di Lubitsch gli ebrei non sono mai nominati: ci sono solo nazisti e polacchi. Esiste però un personaggio che possiamo identificare come ebreo per il nome che porta e per alcune delle sue battute: si tratta di Greenberg (Felix Bressart), uno degli attori della compagnia di Tura. In una delle scene iniziali del film, Greenberg, criticando Joseph Tura, gli dice: “Quello che sei, io non mangerei!” e l’altro gli risponde “Darmi del prosciutto? Come ti permetti?”. L’ebreo Greenberg a cui toccano parti di secondo piano, ha un sogno: recitare il monologo di Shylock dal Mercante di Venezia di Shakespeare. Lo recita tre volte nel corso del film, due volte mentre è insieme all’amico Brodski e un’altra alla fine del film nel teatro pieno di nazisti. “Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo?” La potenza di questi versi recitati nella Varsavia occupata dai nazisti da un attore ebreo diventa ancora più grande quando davanti ai nazisti Greenberg aggiunge: “E se ci fate un torto, non ci vendicheremo?” Non importa se i riferimenti agli ebrei del testo Shakespiriano sono omessi perché questi vengono fuori lo stesso con tutta la loro intensità. Quando Greenberg è interrogato, dopo essere stato arrestato dai nazisti nel teatro pronto a ricevere la visita di Hitler, alla domanda: “Perché sei qui?” risponde “Io sono nato qui”. Il diritto alla vita non potrebbe essere espresso meglio. Ma gli elementi ebraici del film non si fermano a Greenberg e Shylock. La commedia di Vogliamo vivere! è ebraica. La scena di Joseph Tura, travestito dal Colonnello Ehrhardt, che mentre intrattiene l’ignaro Professor Siletsky, ripete continuamente “E così mi chiamano Campo di concentramento Ehrhardt?” sembra una gag dei Fratelli Marx o uno spezzone dalla serie Tv Seinfeld. L’uso dei doppi sensi, del travestimento, del rovesciamento delle parti, del sottinteso sono tutti elementi della tradizione della commedia ebraica. L’ego dei personaggi viene continuamente sbeffeggiato. Il Brodski mascherato come Hitler dice Heil me stesso! e al grande attore Tura il vero Colonnello Ehrhardt dice “Quello che Tura ha fatto a Shakespeare noi facciamo alla Polonia!.” Il rovesciamento delle parti fa sì che il monologo di Shylock nella bocca del nazista Siletsky diventi “Noi siamo come tutti gli altri. Ci piace cantare, ballare. Ci piacciono le belle donne”. Il film mantiene una voluta ambiguità che può sembrare talvolta fuori luogo. I personaggi nazisti e polacchi sono messi in scena in tutta la loro umanità e fallibilità. Ma quello che vuole fare Lubitsch è provocare lo spettatore facendo accostamenti azzardati e renderlo cosciente delle sue reazioni. Lubitsch non credeva nell’attacco diretto: che si tratti di sesso, politica o del nazismo, come in questo caso, lui sceglie sempre l’arma della sottile sovversione. Vogliamo Vivere! testimonia l’importanza dell’arte come veicolo di cambiamento sociale e di giustizia. Lubitsch, come hanno poi imparato tanti grandi come Mel Brooks, c’insegna che si può affrontare la ferocia nazista con l’arma della commedia e vincere.

Rocco Giansante, Pagine Ebraiche agosto 2010  
 
 
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  Dove è la realtà

tizio della Sera Il Tizio passa le estati su una collina. Sulla collina c’è un borgo, anni fa con il gruzzolo di sotto al materasso ci prese una piccola casa con la scala esterna che scende nel vicolo. Di fronte alla casa, c’è il mare. Il Tizio neanche va troppo al mare, si mette nella cantina della piccola casa e ascolta la musica. E’ questa la pace, dice il Tizio a sé stesso nella frescura del semi-interrato, mentre la Tizia, sua moglie, gli passa un tè freddo e la musica cala sulle tempie come frescura. Poi succede che nel vicolo la casa di fronte alla loro viene affittata, e compaiono due come di un popolo di giganti: un attempato gigante-uomo e una gigantessa con i capelli candidi come neve. Sono silenziosi. Il Tizio li vede solo la sera, quando passano senza una parola e lui siede sulla scala e guarda il vento del vicolo. Di solito non li vede, devono alzarsi al mattino presto e poi andare al mare tutto il giorno, oppure chissà, vanno nei boschi, o magari agli scavi archeologici. Al Tizio non rimane che la sera per guardare i nuovi vicini che poi partiranno e non vedrà più, perché sono gente di passaggio, sono turisti. Perciò adesso pensa a loro, dentro di sé ne indaga l’origine. Intanto cominciamo col dire che sono particolari. Hanno portamento: l’uomo altissimo porta i capelli bianchi raccolti in una lunga coda, indossa una maglietta nera. Ha il volto marcato, impassibile, ma il primo giorno quando passa sorride. Non parla. La sua altissima compagna, anche lei veste di nero, guarda il figlio del Tizio e il figlio del Tizio ha i capelli lunghi, ha sedici anni e suona la chitarra elettrica. E una sera quando i giganti tornano forse dal mare, forse da una gita, però sembra che tornino dalla luna, sentono il figlio del Tizio che suona la chitarra elettrica e la gigantessa sorride al ragazzo. Il fatto è bello, chissà chi sono quelli. Mah, pensa il Tizio, saranno due artisti; forse lui è uno scultore e lei la sua antica modella, come in un antico film di Bergman. Poi c’è che da qualche giorno nella piazzetta accanto al vicolo del Tizio sono ferme due moto, vecchie Harley Davidson. Un mattino che il Tizio sta tornando dal giornalaio, si ferma e guarda le moto. Gli piacciono quelle moto, gli ricordano altri tempi. Sta lì e le culla con lo sguardo come da ragazzo, osserva i serbatoi, gli ampi sellini, il manubrio alto. Si piega a guardare meglio il serbatoio della moto più attempata, una moto nera e opaca. Sul serbatoio, c’è una croce celtica. Il Tizio ha un brivido nella schiena e pensa: questo è proprio un brivido nella schiena, non ne avevo da anni. La notte si gira nel letto e si gira ancora, non riesce a dormire. Pensa: che è quella croce celtica sulla moto nera? E se poi quei due sono nazisti? Lei ha sorriso a mio figlio, ma ha i denti bianchi e affilati, lui non parla, non sorride: che vorrà dire? La porta della casa dei due giganti è di fronte alla cantina dove il figlio suona, mangia e dorme; e così il Tizio pensa: e se nella notte quei due escono fuori dalla loro casa con delle asce affilate e, Dio non voglia, entrano dal figlio e si gettano su di lui come fosse un agnello? Ma no, che stupidaggine. Tu guarda queste improvvise paure, per una croce celtica, oggi le croci celtiche te le tirano dietro. Tutto questo non vuol più dire niente. L’altro giorno alla reclame sulla storia della Seconda guerra mondiale c’era Hitler che sorrideva con dolcezza. Giocano coi simboli, uh che sonno, e finalmente dorme. La sera dopo il Tizio è lì che siede sulle scale, guarda il vento del vicolo. Nel vicolo arriva il gigante, il Tizio pensa: facciamo amicizia, e gli sorride. L’uomo tira a dritto come se il Tizio non ci fosse, come non si fosse accorto che il Tizio adesso lo stava salutando, come se ritenesse che il Tizio non esiste. Il Tizio ha un secondo brivido. Sono due nazisti. Sì, è andata così, hanno saputo che al borgo ci sono ebrei, e che questi ebrei stanno nella casa di fronte alla loro, e adesso lo vedi? Non ci salutano, pensa il Tizio, guarda come ci odiano. Ma no, pensa il Tizio, sto esagerando. Comunque, si domanda, dove è finita la realtà? Smette di pensare al fatto che per il gigante lui non esiste, ma gli rimane dentro una striscia di paura. La mattina dopo vede i giganti turisti uscire dalla porta di fronte. Hanno borse, tute nere, stanno partendo. Parlano sotto voce. Il Tizio tende l’orecchio, non è mica tedesco. Si direbbe una lingua scandinava. I due giganti doppiano l’angolo del vicolo, spariscono. Si sentono i motori delle moto,: un rombo, due rombi. Una moto si spenge, non ce la fa a partire. Deve essere la più vecchia, con la croce celtica. Signore fa che si metta in moto, se ne vadano e tornino alle loro terre pagane. Dietro l’angolo, finalmente un rombo. Un altro rombo pieno, la moto parte. Si sentono le moto che si allontanano. Le moto che spariscono. Più tardi, nel mattino, arrivano quelli delle pulizie e rassettano la casa di fronte. Il Tizio getta uno sguardo, la casa è vuota. Non ci sono più. Oggi il cielo è coperto, è proprio una bellissima giornata.

Il Tizio della Sera 
 
 
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La rassegna di oggi non contiene notizie fresche. Ci sono però alcuni articoli di cultura e qualche indiscrezione che vale la pena di leggere. Fra i primi, è certamente interessante il pezzo di Anna Foa sul Sole a proposito di Johannan ben Zakkai, il rabbino che fece da ponte fra l'ebraismo precedente alla distruzione del Tempio e quello sinagogale che pratichiamo noi, ottenendo durante l'assedio di Gerusalemme del 70 il permesso di stabilire una yeshivah a Javne, dove nei decenni successivi alla distruzione di Gerusalemme sarebbero state elaborate le regole di un culto senza Tempio, senza sacrifici, senza funzione sacerdotale, ma capace di veicolare per millenni l'essenza del popolo e della fede ebraica.
Pure interessante, ma da considerare in maniera assai più critica  è l'articolo di James Carroll pubblicato sullo Herald Tribune sotto il titolo romantico di "L'ebreo errante e il folle saraceno" che tratteggia i rapporti fra le grandi religioni monoteiste su scala millenaria. Carroll enfatizza (certamente troppo) un contrasto fra Ambrogio e Agostino, il primo desideroso di una soluzione finale della questione ebraica con la scelta fra la conversione e la morte e il secondo invece convinto che non bisognasse uccidere gli ebrei ma lasciarli vivere come testimoni del Cristianesimo. Peccato che la vita agostiniana fosse un'esistenza di discriminazione e persecuzione, mentre la soluzione ambrosiana si sia continuamente ripresentata nella storia – durante le Crociate, per esempio, nella cacciata dalla spagna e dal Portogallo, nelle persecuzioni tatare dei Cosacchi, fino alla Shoà, per citare solo le occasioni più grandi e terribili. L'immagine che Carroll dà dell'Islam è propagandistica fino all'inverosimile ("il successo del  loro movimento fu dovuto al suo messaggio risonante sul piano umano e spirituale, una proclamazione dell'inviolabilità della vita interiore di ogni persona umana... un nuovo tipo di dignità personale") che gli europei per colpa della loro ottusità e xenofobia avrebbero visto solo come aggressione e "irrazionalità". Peccato che le aggressioni ci fossero per davvero, una campagna di conquista imperialistica del mondo senza pari nella storia, che ancora non è finita, e che la dignità umana dei popoli conquistati e l'inviolabilità della loro coscienza non solo non fossero garantite, ma anzi represse in ogni modo feroce e sistematico. La conclusione di Carroll riguarda le trattative fra Israele e palestinesi, con l'ovvia conseguenza di uscire dagli stereotipi (quello che gli islamici siano irrazionali e violenti, certo, ma un maligno potrebbe pensare anche quello per cui gli ebrei non siano da ammazzare...).
Fra gli altri articoli, un pezzo del Corriere racconta la vicenda delle bollette non pagate del Santuario del Santo Sepolcro e di altre Chiese di Gerusalemme, con l'aria di meravigliarsi che qualcuno voglia far pagare l'acqua a chi la consuma (chissà se il Duomo di Milano e la Città del Vaticano ricevono gratis acqua e elettricità e da chi). Un articolo della redazione di Avvenire riprende l'indiscrezione di un giornale arabo di Londra per cui Barak avrebbe voluto reagire con la guerra all'incidente al confine col Libano di alcuni giorni fa e ne fu dissuaso da Sarkozy – strana teoria, che fa i conti senza Netanyahu e senza l'America. De Giovannangeli sull'Unità cucina l'ennesima intervista a un politico israeliano di sinistra trombato e riciclatosi in editorialista di "Haaretz", che naturalmente dice dei governanti israeliani che sono pazzi, ignoranti e pericolosi. Una forma di propaganda o di espressione dl proprio risentimento personale che merita ogni tanto di guardare, tanto per capire quale sia la tanto vantata superiorità intellettuale della sinistra israeliana.

Ugo Volli

 
 
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Europei basket - Brusco stop per Israele                                          
europei basketQuando si sprecano occasioni così è dura ripartire. Ma il quintetto israeliano non ha alternative: la sconfitta inattesa di mercoledì in Finlandia (84-83) costringe a una doppia vittoria con la nazionale montenegrina per continuare a sperare nella leadership del girone, unica strada certa per la qualificazione agli Europei di basket del 2011. Di fronte a un avversario mediocre, Israele si è trovata spesso in difficoltà. In particolare nella fase difensiva: i numerosi errori della retroguardia (ieri stranamente deficitaria) sono costati caro. Miglior realizzatore ospite Yotam Halperin con 18 punti, mentre Omri Casspi si è fermato a 17. Il commissario tecnico Arik Shivek volta pagina e guarda al futuro: “Non è il risultato che ci aspettavamo ma adesso dobbiamo alzare la testa senza piangere sul latte versato”. Il prossimo incontro ha il sapore della grande sfida: sabato sera alla Nokia Arena di Tel Aviv (lo stadio del Maccabi) arriva il Montenegro, attuale capolista del raggruppamento che sogna la fuga decisiva.   

CLASSIFICA GIRONE A:
Montenegro 6
Finlandia 4
Israele 4
Italia 2
Lettonia 2

a.s.
 
 
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