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L'Unione informa |
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12 agosto 2010 - 2 Elul |
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alef/tav |
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Riccardo
Di Segni, rabbino capo di Roma |
Il
Re d'Israele non dovrà avere troppi cavalli e non riportare il popolo
in Egitto (Devarim 17:16). Nell'antichità i cavalli, potente strumento
di guerra, erano un prodotto esclusivo dell'Egitto. Chi voleva avere un
esercito forte, dipendeva dall'Egitto. La Torà proibisce di stabilire
questa dipendenza. Ma allora come fare ad avere un esercito? Evidentemente
la soluzione deve essere differente. Queste regole hanno più di tre
millenni di età. Oggi chi è l'Egitto e chi sono i cavalli? |
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In
questi giorni del mese di agosto e di Elul, per gli Italiani in Israele
si è aggiunta un'ulteriore fonte di preoccupazione che rende le notti
insonni. Se le elezioni in Italia verranno anticipate al prossimo
autunno o tutt'al più alla fine dell'inverno, per chi votare? Sempre
che il diritto di voto degli Italiani all'Estero non venga soppresso. |
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme |
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davar |
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Qui Livorno - Visti da Livorno...
“Dayenu/Ci sarebbe bastato”, avrebbero potuto dire, come nell’Haggadah
di Pesach, i livornesi di scoglio citando la celebrata sentenza
dantesca: “Ahi Pisa, vituperio de le genti...”. Ma l’accortezza che
deve avere il buon navigante fece in modo che altre precauzioni, ad
abundantiam, venissero prese e quindi, oltre alla celeberrima massima
sui pisani che si trova ovunque nel mondo, si pensò anche opportuno
dichiarare, con tanto di cartello al confine nord, la natura di Livorno
quale “Comune depisanizzato”. E quando, più di due decenni fa, parve
imminente un ampliamento del porto labronico che avrebbe potuto,
secondo una delle ipotesi, allungarsi in territorio pisano, verso la
mezzanotte del terzo giorno di discussione, nell’aula comunale che
ospitava le serrate ed estenuanti riunioni, riecheggiò un’altra
sentenza che pose fine al dubbio: “E poi sia mai che si veda un
portuale pisano!”. Un vero e proprio minhag, quindi un rito caro alla
città quanto quello liturgico alle Comunità ebraiche (Livorno in
particolare), per mettere ben in chiaro l’alternatività livornese alla
pisanità che per un certo periodo fu alimentato anche dal calcio. Poi,
se Livorno non si è fatta mancare alti e bassi, i pisani puntarono
dritti e decisi al basso e la questione scemò: la crisi è evidente se,
di recente, anche la loro beneamata Torre pendente ha perso il
discutibile primato battuta dal Capital Gate di Abu Dhabi. I pisani vi
parleranno orgogliosi della loro università mentre i livornesi vi
diranno che sono lieti di poterla frequentare, avendola a due passi, ma
che sul mare proprio non ce la vedrebbero. In effetti andarono
controcorrente proprio gli ebrei che fecero di Livorno un grande centro
di studi anche perchè, ammettiamolo, una bella vista e aria bona non
dispiacevano nemmeno agli illustri Maestri tanto che Benamozegh, così
si riporta, una sola volta si recò a Pisa e, se non ricordo male, lo
fece comunque per sentire un eccelso oratore non pisano. D’altra parte,
e qui chiudo con i duri (per i pisani) confronti, si pensi che la festa
popolare più sentita di Livorno è il Palio marinaro, appunto all’aria
bona e magari poi con un bel tuffo, mentre loro si divertono (?!) con
il cosiddetto Gioco del ponte nel quale, immersi nel caldo torrido del
cemento cittadino, si dilettano a spingere un carrello lungo un binario
appositamente montato sul Ponte di mezzo, sudando inverosimilmente...
Potrebbe ora chiedersi il gentile lettore se l’alternatività, più che
rivalità, tra livornesi e pisani abbia riguardato e riguardi anche le
due vicinissime Comunità ebraiche. A mia sensazione direi di no, almeno
sotto un aspetto peculiare ebraico. Per quanto la vicinanza a Livorno
abbia ovviamente comportato dei contatti e degli influssi (nel rito e
tra le persone), pare plausibile affermare che la vita si sia svolta in
parallelo ma in separata vicinanza, forse dovuta al fatto che quei
pochi chilometri effettivamente sembravano non dare il senso di due
centri ebraici separati. Oggi più che mai sarebbe opportuno e utile
rafforzare le collaborazioni tra Comunità vicine, almeno a livello
regionale. Opportunità che il nuovo eventuale Statuto dovrà cercare di
incentivare, più che far calare dall’alto (ricordiamo comunque che i
consorzi sono già possibili). Non si tratta di archiviare una sana e
ironica competizione bensì, come appare logico, di ottimizzare le
risorse disponibili per migliori risultati per tutti. E poi che le cose
cambino lo si vede anche da questo siparietto, opera di un ferrarese -
livornese e di un romano - pisano.
Gadi Polacco, Consigliere Ucei, Pagine Ebraiche - agosto 2010
Qui Livorno - ...Visti da Pisa
Come iscritto alla comunità di Pisa non posso che congratularmi per la scelta di
dedicare questo Dossier a Livorno, rammentando gli stretti legami, la
stima reciproca e direi perfino l’affetto che unisce le due città. Si
tratta, come sapete, di due centri molto vicini tra di loro (meno di
venti chilometri l’uno dall’altro) e nel contempo così diversi da
essere complementari: Livorno è adagiata sul mare ed è una tipica città
portuale, di nascita recente; Pisa dista dal mare dieci chilometri ma è
stata repubblica marinara, in un lontano, fulgido e ben presente
passato. Livorno è famosa in Toscana per lo spirito mordace dei suoi
abitanti, intenti a scrivere frasi di dileggio su Pisa e i pisani in
ogni angolo del pianeta in cui si trovino (una delle scritte più
celebrate si trova al polo nord). Pisa è famosa nel mondo per la sua
torre non perfettamente perpendicolare alla terra e anche per
l’università, la Scuola Normale e la Scuola Sant’Anna. Livorno ha dato
meno alla cultura e all’arte (se si eccettuano Modigliani e pochi
altri), ma in compenso si è saputa ritagliare un proprio spazio
nell’editoria mondiale dando vita a una rivista specializzata
nell’ironizzare (passatemi l’eufemismo) su Pisa e i pisani: è Livorno
cronaca, meglio conosciuta come Il Vernacoliere, che si trova ormai
nelle edicole di molte città, inclusa Roma. Credo sia il caso più unico
che raro di una rivista pensata e scritta in vernacolo che spezza
qualsiasi confine e diventa un fenomeno di esportazione, grazie al
ruolo giocato da Pisa e dai pisani. Era il lontano maggio 1986 e
l’esplosione di Chernobyl terrorizzava buona parte del pianeta. Il
Vernacoliere colse la palla al balzo per titolare: “Nuvola atomi[c]a:
primi spaventosi effetti delle radiazioni: è nato un pisano furbo.
Stupore ner mondo, sgomento ‘n Toscana”. Insomma, le due città sono un
binomio indissolubile, così come le comunità ebraiche che vi risiedono:
quella pisana, antica (una presenza ebraica è attestata già da
Beniamino da Tudela) e complessivamente stabile come popolazione (non
ha mai superato i 600 iscritti); quella livornese, nata insieme alla
città sullo scorcio finale del Cinquecento che ha conosciuto periodi di
grande sviluppo anche demografico e ha dato i natali a Elia Benamozegh.
Due comunità dunque molto vicine, che hanno avuto la fortuna di vivere
in città senza ghetto, e che potrebbero collaborare molto di più.
Pensando – nel complesso lavoro di revisione dello Statuto cui mi sto
dedicando in questo periodo come coordinatore della commissione allo
scopo istituita dal Consiglio dell’Unione – al ruolo che potrebbero
giocare i consorzi tra le comunità, ho sempre presente il possibile,
auspicabile consorzio pisano-livornese. Concludo esprimendo la mia
soddisfazione per questo Dossier e, visto che ho iniziato con una
antica citazione del Vernacoliere chiudo con un’altra molto più
recente, del novembre 2007, quando la rivista intitolava: “Lo spregio
di papa Ràzzinghe: Un vescovo pisano a Livorno! La città si ribella:
piuttosto si diventa mussurmani!”. Sarebbe davvero bello se un giorno
anche il rabbino capo di Livorno fosse pisano...
Valerio Di Porto, Consigliere Ucei, Pagine Ebraiche - agosto 2010
Qui Locarno - La comicità che sconfisse le dittature
Furono
Chaplin e Lubitsch a capire per primi l’efficacia della commedia e
della satira nel denunciare le follie del nazismo. Ne Il Grande
Dittatore del 1940, Charlie Chaplin interpreta un barbiere ebreo reduce
di guerra ed il dittatore di Tomania Hynkel che perseguita gli ebrei
per distrarre i suoi concittadini dai problemi economici che affliggono
lo stato. Il film è pieno di riferimenti alla situazione politica del
tempo che non potevano sfuggire al pubblico nei cinema: la svastica
diventata due croci affiancate, Göring e Mussolini ritratti come i
ridicoli Herring e Benzini, l’esistenza dei campi di concentramento
suggerita quando il barbiere chiedendo dove sono finiti tutti gli
uomini del Ghetto si sente rispondere “sono andati lì”. Il momento più
importante del film è quando il barbiere prende il posto del dittatore
e dal palco, rivolgendosi alla folla, annuncia con passione che il
potere deve tornare alla gente e auspica l’avvento di un futuro
migliore per tutti. Lubitsch concepisce un film completamente diverso.
Vogliamo vivere! uscito nel 1942, fu bersagliato dalla critica e
frainteso da un pubblico non abituato all’idea di una commedia con tema
i nazisti e la Polonia. La trama del film è alquanto complessa. La
compagnia teatrale di Joseph Tura (Jack Benny) è intenta a provare la
nuova produzione intitolata Gestapo in un teatro di Varsavia. Ma i
tedeschi invadono la Polonia e la produzione viene sospesa. Sobinski,
il giovane amante di Maria Tura (Carol Lombard), moglie di Joseph e
attrice principale della compagnia, essendo un pilota dell’aviazione
polacca, riesce a rifugiarsi a Londra dove si arruola nella RAF.
Desideroso di contattare l’attrice, per caso, scopre un’operazione di
spionaggio nazista capeggiata dal Prof. Siletsky che ha lo scopo di
smantellare la Resistenza polacca. Il pilota è allora paracadutato a
Varsavia per tentare di fermare l’operazione. Qui rincontra Maria e la
sua troupe di attori; con il loro talento lo aiuteranno a salvare i
gruppi della Resistenza e tutti insieme fuggiranno in Inghilterra a
bordo dell’aereo di Hitler. Il protagonista del film di Chaplin è un
ebreo, la sua ragazza Hannah è ebrea, entrambi vivono nel Ghetto dove
la parlata ha i ritmi dello Yiddish. Nel film di Lubitsch gli ebrei non
sono mai nominati: ci sono solo nazisti e polacchi. Esiste però un
personaggio che possiamo identificare come ebreo per il nome che porta
e per alcune delle sue battute: si tratta di Greenberg (Felix
Bressart), uno degli attori della compagnia di Tura. In una delle scene
iniziali del film, Greenberg, criticando Joseph Tura, gli dice: “Quello
che sei, io non mangerei!” e l’altro gli risponde “Darmi del
prosciutto? Come ti permetti?”. L’ebreo Greenberg a cui toccano parti
di secondo piano, ha un sogno: recitare il monologo di Shylock dal
Mercante di Venezia di Shakespeare. Lo recita tre volte nel corso del
film, due volte mentre è insieme all’amico Brodski e un’altra alla fine
del film nel teatro pieno di nazisti. “Se ci ferite noi non
sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi
non moriamo?” La potenza di questi versi recitati nella Varsavia
occupata dai nazisti da un attore ebreo diventa ancora più grande
quando davanti ai nazisti Greenberg aggiunge: “E se ci fate un torto,
non ci vendicheremo?” Non importa se i riferimenti agli ebrei del testo
Shakespiriano sono omessi perché questi vengono fuori lo stesso con
tutta la loro intensità. Quando Greenberg è interrogato, dopo essere
stato arrestato dai nazisti nel teatro pronto a ricevere la visita di
Hitler, alla domanda: “Perché sei qui?” risponde “Io sono nato qui”. Il
diritto alla vita non potrebbe essere espresso meglio. Ma gli elementi
ebraici del film non si fermano a Greenberg e Shylock. La commedia di
Vogliamo vivere! è ebraica. La scena di Joseph Tura, travestito dal
Colonnello Ehrhardt, che mentre intrattiene l’ignaro Professor
Siletsky, ripete continuamente “E così mi chiamano Campo di
concentramento Ehrhardt?” sembra una gag dei Fratelli Marx o uno
spezzone dalla serie Tv Seinfeld. L’uso dei doppi sensi, del
travestimento, del rovesciamento delle parti, del sottinteso sono tutti
elementi della tradizione della commedia ebraica. L’ego dei personaggi
viene continuamente sbeffeggiato. Il Brodski mascherato come Hitler
dice Heil me stesso! e al grande attore Tura il vero Colonnello
Ehrhardt dice “Quello che Tura ha fatto a Shakespeare noi facciamo alla
Polonia!.” Il rovesciamento delle parti fa sì che il monologo di
Shylock nella bocca del nazista Siletsky diventi “Noi siamo come tutti
gli altri. Ci piace cantare, ballare. Ci piacciono le belle donne”. Il
film mantiene una voluta ambiguità che può sembrare talvolta fuori
luogo. I personaggi nazisti e polacchi sono messi in scena in tutta la
loro umanità e fallibilità. Ma quello che vuole fare Lubitsch è
provocare lo spettatore facendo accostamenti azzardati e renderlo
cosciente delle sue reazioni. Lubitsch non credeva nell’attacco
diretto: che si tratti di sesso, politica o del nazismo, come in questo
caso, lui sceglie sempre l’arma della sottile sovversione. Vogliamo
Vivere! testimonia l’importanza dell’arte come veicolo di cambiamento
sociale e di giustizia. Lubitsch, come hanno poi imparato tanti grandi
come Mel Brooks, c’insegna che si può affrontare la ferocia nazista con
l’arma della commedia e vincere.
Rocco Giansante, Pagine Ebraiche agosto 2010
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pilpul |
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Dove è la realtà
Il Tizio passa le estati su una collina. Sulla collina c’è un borgo,
anni fa con il gruzzolo di sotto al materasso ci prese una piccola casa
con la scala esterna che scende nel vicolo. Di fronte alla casa, c’è il
mare. Il Tizio neanche va troppo al mare, si mette nella cantina della
piccola casa e ascolta la musica. E’ questa la pace, dice il Tizio a sé
stesso nella frescura del semi-interrato, mentre la Tizia, sua moglie,
gli passa un tè freddo e la musica cala sulle tempie come frescura. Poi
succede che nel vicolo la casa di fronte alla loro viene affittata, e
compaiono due come di un popolo di giganti: un attempato gigante-uomo e
una gigantessa con i capelli candidi come neve. Sono silenziosi. Il
Tizio li vede solo la sera, quando passano senza una parola e lui siede
sulla scala e guarda il vento del vicolo. Di solito non li vede, devono
alzarsi al mattino presto e poi andare al mare tutto il giorno, oppure
chissà, vanno nei boschi, o magari agli scavi archeologici. Al Tizio
non rimane che la sera per guardare i nuovi vicini che poi partiranno e
non vedrà più, perché sono gente di passaggio, sono turisti. Perciò
adesso pensa a loro, dentro di sé ne indaga l’origine. Intanto
cominciamo col dire che sono particolari. Hanno portamento: l’uomo
altissimo porta i capelli bianchi raccolti in una lunga coda, indossa
una maglietta nera. Ha il volto marcato, impassibile, ma il primo
giorno quando passa sorride. Non parla. La sua altissima compagna,
anche lei veste di nero, guarda il figlio del Tizio e il figlio del
Tizio ha i capelli lunghi, ha sedici anni e suona la chitarra
elettrica. E una sera quando i giganti tornano forse dal mare, forse da
una gita, però sembra che tornino dalla luna, sentono il figlio del
Tizio che suona la chitarra elettrica e la gigantessa sorride al
ragazzo. Il fatto è bello, chissà chi sono quelli. Mah, pensa il Tizio,
saranno due artisti; forse lui è uno scultore e lei la sua antica
modella, come in un antico film di Bergman. Poi c’è che da qualche
giorno nella piazzetta accanto al vicolo del Tizio sono ferme due moto,
vecchie Harley Davidson. Un mattino che il Tizio sta tornando dal
giornalaio, si ferma e guarda le moto. Gli piacciono quelle moto, gli
ricordano altri tempi. Sta lì e le culla con lo sguardo come da
ragazzo, osserva i serbatoi, gli ampi sellini, il manubrio alto. Si
piega a guardare meglio il serbatoio della moto più attempata, una moto
nera e opaca. Sul serbatoio, c’è una croce celtica. Il Tizio ha un
brivido nella schiena e pensa: questo è proprio un brivido nella
schiena, non ne avevo da anni. La notte si gira nel letto e si gira
ancora, non riesce a dormire. Pensa: che è quella croce celtica sulla
moto nera? E se poi quei due sono nazisti? Lei ha sorriso a mio figlio,
ma ha i denti bianchi e affilati, lui non parla, non sorride: che vorrà
dire? La porta della casa dei due giganti è di fronte alla cantina dove
il figlio suona, mangia e dorme; e così il Tizio pensa: e se nella
notte quei due escono fuori dalla loro casa con delle asce affilate e,
Dio non voglia, entrano dal figlio e si gettano su di lui come fosse un
agnello? Ma no, che stupidaggine. Tu guarda queste improvvise paure,
per una croce celtica, oggi le croci celtiche te le tirano dietro.
Tutto questo non vuol più dire niente. L’altro giorno alla reclame
sulla storia della Seconda guerra mondiale c’era Hitler che sorrideva
con dolcezza. Giocano coi simboli, uh che sonno, e finalmente dorme. La
sera dopo il Tizio è lì che siede sulle scale, guarda il vento del
vicolo. Nel vicolo arriva il gigante, il Tizio pensa: facciamo
amicizia, e gli sorride. L’uomo tira a dritto come se il Tizio non ci
fosse, come non si fosse accorto che il Tizio adesso lo stava
salutando, come se ritenesse che il Tizio non esiste. Il Tizio ha un
secondo brivido. Sono due nazisti. Sì, è andata così, hanno saputo che
al borgo ci sono ebrei, e che questi ebrei stanno nella casa di fronte
alla loro, e adesso lo vedi? Non ci salutano, pensa il Tizio, guarda
come ci odiano. Ma no, pensa il Tizio, sto esagerando. Comunque, si
domanda, dove è finita la realtà? Smette di pensare al fatto che per il
gigante lui non esiste, ma gli rimane dentro una striscia di paura. La
mattina dopo vede i giganti turisti uscire dalla porta di fronte. Hanno
borse, tute nere, stanno partendo. Parlano sotto voce. Il Tizio tende
l’orecchio, non è mica tedesco. Si direbbe una lingua scandinava. I due
giganti doppiano l’angolo del vicolo, spariscono. Si sentono i motori
delle moto,: un rombo, due rombi. Una moto si spenge, non ce la fa a
partire. Deve essere la più vecchia, con la croce celtica. Signore fa
che si metta in moto, se ne vadano e tornino alle loro terre pagane.
Dietro l’angolo, finalmente un rombo. Un altro rombo pieno, la moto
parte. Si sentono le moto che si allontanano. Le moto che spariscono.
Più tardi, nel mattino, arrivano quelli delle pulizie e rassettano la
casa di fronte. Il Tizio getta uno sguardo, la casa è vuota. Non ci
sono più. Oggi il cielo è coperto, è proprio una bellissima giornata.
Il Tizio della Sera |
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rassegna stampa |
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La
rassegna di oggi non contiene notizie fresche. Ci sono però alcuni
articoli di cultura e qualche indiscrezione che vale la pena di
leggere. Fra i primi, è certamente interessante il pezzo di Anna Foa
sul Sole
a proposito di Johannan ben Zakkai, il rabbino che fece da ponte fra
l'ebraismo precedente alla distruzione del Tempio e quello sinagogale
che pratichiamo noi, ottenendo durante l'assedio di Gerusalemme del 70
il permesso di stabilire una yeshivah a Javne, dove nei decenni
successivi alla distruzione di Gerusalemme sarebbero state elaborate le
regole di un culto senza Tempio, senza sacrifici, senza funzione
sacerdotale, ma capace di veicolare per millenni l'essenza del popolo e
della fede ebraica. Pure interessante, ma da considerare in maniera assai più critica è l'articolo di James Carroll pubblicato sullo Herald Tribune
sotto il titolo romantico di "L'ebreo errante e il folle saraceno" che
tratteggia i rapporti fra le grandi religioni monoteiste su scala
millenaria. Carroll enfatizza (certamente troppo) un contrasto fra
Ambrogio e Agostino, il primo desideroso di una soluzione finale della
questione ebraica con la scelta fra la conversione e la morte e il
secondo invece convinto che non bisognasse uccidere gli ebrei ma
lasciarli vivere come testimoni del Cristianesimo. Peccato che la vita
agostiniana fosse un'esistenza di discriminazione e persecuzione,
mentre la soluzione ambrosiana si sia continuamente ripresentata nella
storia – durante le Crociate, per esempio, nella cacciata dalla spagna
e dal Portogallo, nelle persecuzioni tatare dei Cosacchi, fino alla
Shoà, per citare solo le occasioni più grandi e terribili. L'immagine
che Carroll dà dell'Islam è propagandistica fino all'inverosimile ("il
successo del loro movimento fu dovuto al suo messaggio risonante
sul piano umano e spirituale, una proclamazione dell'inviolabilità
della vita interiore di ogni persona umana... un nuovo tipo di dignità
personale") che gli europei per colpa della loro ottusità e xenofobia
avrebbero visto solo come aggressione e "irrazionalità". Peccato che le
aggressioni ci fossero per davvero, una campagna di conquista
imperialistica del mondo senza pari nella storia, che ancora non è
finita, e che la dignità umana dei popoli conquistati e l'inviolabilità
della loro coscienza non solo non fossero garantite, ma anzi represse
in ogni modo feroce e sistematico. La conclusione di Carroll riguarda
le trattative fra Israele e palestinesi, con l'ovvia conseguenza di
uscire dagli stereotipi (quello che gli islamici siano irrazionali e
violenti, certo, ma un maligno potrebbe pensare anche quello per cui
gli ebrei non siano da ammazzare...). Fra gli altri articoli, un pezzo del Corriere racconta
la vicenda delle bollette non pagate del Santuario del Santo Sepolcro e
di altre Chiese di Gerusalemme, con l'aria di meravigliarsi che
qualcuno voglia far pagare l'acqua a chi la consuma (chissà se il Duomo
di Milano e la Città del Vaticano ricevono gratis acqua e elettricità e
da chi). Un articolo della redazione di Avvenire
riprende l'indiscrezione di un giornale arabo di Londra per cui Barak
avrebbe voluto reagire con la guerra all'incidente al confine col
Libano di alcuni giorni fa e ne fu dissuaso da Sarkozy – strana teoria,
che fa i conti senza Netanyahu e senza l'America. De Giovannangeli sull'Unità
cucina l'ennesima intervista a un politico israeliano di sinistra
trombato e riciclatosi in editorialista di "Haaretz", che naturalmente
dice dei governanti israeliani che sono pazzi, ignoranti e pericolosi.
Una forma di propaganda o di espressione dl proprio risentimento
personale che merita ogni tanto di guardare, tanto per capire quale sia
la tanto vantata superiorità intellettuale della sinistra israeliana.
Ugo Volli |
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notizieflash |
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Europei
basket - Brusco stop per Israele
Quando
si sprecano occasioni così è dura ripartire. Ma il quintetto israeliano
non ha alternative: la sconfitta inattesa di mercoledì in Finlandia
(84-83) costringe a una doppia vittoria con la nazionale montenegrina
per continuare a sperare nella leadership del girone, unica strada
certa per la qualificazione agli Europei di basket del 2011. Di fronte
a un avversario mediocre, Israele si è trovata spesso in difficoltà. In
particolare nella fase difensiva: i numerosi errori della retroguardia
(ieri stranamente deficitaria) sono costati caro. Miglior realizzatore
ospite Yotam Halperin con 18 punti, mentre Omri Casspi si è fermato a
17. Il commissario tecnico Arik Shivek volta pagina e guarda al futuro:
“Non è il risultato che ci aspettavamo ma adesso dobbiamo alzare la
testa senza piangere sul latte versato”. Il prossimo incontro ha il
sapore della grande sfida: sabato sera alla Nokia Arena di Tel Aviv (lo
stadio del Maccabi) arriva il Montenegro, attuale capolista del
raggruppamento che sogna la fuga decisiva.
CLASSIFICA GIRONE A: Montenegro 6 Finlandia 4 Israele 4 Italia 2 Lettonia 2
a.s. |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
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