se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
|
|
L'Unione informa |
|
|
|
13 agosto 2010 - 3 Elul 5770 |
|
|
|
| |
|
alef/tav |
|
|
|
|
|
Roberto Colombo, rabbino |
I
Maestri, per conseguire il titolo rabbinico, dovrebbero seguire tutti
un corso di oratoria. In questo modo il silenzioso pubblico, attratto
dalle belle parole e dai fini concetti, eviterebbe di fare
maldicenza almeno durante il discorso, e sarebbe già un ottimo
risultato. (Chafetz Chaiim) |
|
Creatività
e tradizione, elementi vitali nella cultura ebraica senza i quali non
ci sarebbe né storia né futuro, ci suggeriscono una chiave di lettura
utile a districarci tra le recentissime statistiche sullo stato di
salute della scuola italiana. E’ stato riconfermato che le elementari,
ora primarie, funzionano ed assicurano risultati formativi abbastanza
omogenei, forse perché – resistendo ad un’applicazione pedestre delle
molte riforme - le positive sperimentazioni degli anni passati sono
state gelosamente custodite e valorizzate ed hanno quindi garantito
continuità e stabilità all’intera struttura. Oculati cambiamenti e
nessuna rivoluzione copernicana. Fino a dieci anni fa gli esperti del
ministero dell’istruzione del Sol Levante venivano da noi in
pellegrinaggio per “trovare ispirazione” nel nostro virtuoso modello di
scuola elementare a tempo pieno, considerato un ottimo punto
d’equilibrio tra livello di competenze e livello di integrazione degli
alunni. Ancor oggi godiamo dei benefici di quel virtuoso periodo, ma
ora i giapponesi non capiscono come un Paese avanzato come il nostro
possa scegliere di tagliare i contributi all’istruzione anziché trovare
altre soluzioni. Non trovando una risposta logica continuano a
considerarci “così creativi”, ma adesso non ci copiano
più.
|
Sonia Brunetti Luzzati, pedagogista |
|
|
|
|
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Qui Gerusalemme - Il rilancio del Museo di Israele
Riapre
dopo un periodo di restauro durato tre anni, L’Israel Museum di
Gerusalemme. Fondato nel 1965 tale museo rappresenta oggi una delle
principali istituzioni culturali israeliane e uno dei musei a indirizzo
enciclopedico più grandi al mondo. Nonostante la chiusura prolungata
della maggior parte delle sale, l’istituzione è riuscita comunque a
garantire una buona fruizione delle sale espositive non coinvolte nei
lavori di rinnovo, il museo ha potuto infatti contare su un’affluenza
di 500 mila persone all’anno, giunte da ogni parte del mondo per poter
visionare da vicino oggetti entrati ormai nell’immaginario collettivo
come i rotoli del mar morto, o la riproduzione in scala del secondo
Tempio di Gerusalemme. La ristrutturazione da 100 milioni di
dollari, che ha coinvolto più di 400 addetti ai lavori provenienti da
sette paesi diversi ha contribuito a rivitalizzare l’intera area
museale che sorge a Givat Ram, in cima a una collina situata nei pressi
della Knesset, il parlamento israeliano, e della Corte Suprema.
Progettato in origine da Alfred Mansfeld, ebreo russo Askenazita che
aveva studiato a Berlino e Parigi ed era emigrato in Palestina nel
1935, il museo, con i lavori di ristrutturazione, ha raddoppiato lo
spazio espositivo, che ora sfiora 61 mila metri quadrati, ridisegnando
completamente gli interni. E’ stata invece mantenuta la struttura
progettuale esterna in stile modernista di Mansfeld: cemento armato,
sviluppo orizzontale in perfetto stile Tel-Aviv. “Non si tratta di
gettare via qualcosa – spiega James Snyder, direttore del museo dal
1997 - ma di rinnovare l’intero complesso lasciando intatta l’ossatura
originale dell’edificio, strabiliante nella sua contemporaneità”. La
portata e la bellezza delle collezioni esposte toglie il fiato: con più
di 500 mila oggetti provenienti da tutto il mondo inseriti a rotazione
nel percorso espositivo permanente. L’elemento più interessante del
restauro è l’accostamento tra l’esibizione permanente di oggetti d’arte
israeliani, con la imponente collezione di manufatti ebraici
provenienti dall’Europa, dall’Africa, dall’Oceania, e dall’Asia.
Nell’ala Morton Mandel, sezione museale dedicata alle varie comunità
ebraiche del mondo, sono esposti numerosi oggetti provenienti anche
dall'Italia. In particolar modo è stata ricostruita pezzo per pezzo una
delle sinagoghe di Mantova, abbattute nel 1938 quando la municipalità
decise di demolire il ghetto. Per quanto riguarda l’aspetto
economico dei restauri un sostanziale contributo è venuto da donatori
americani, come Paul e Herta Amir da Berverly Hills,che insieme alla
fondazione Gottesman di New York hanno donato 3 milioni di dollari nel
2007 per il restauro dello Shrine of the Book, avveniristica cupola del
Museo Israeliano ad opera degli architetti Kiesler and Bartok, che
contiene i rotoli del Mar Morto. Per ringraziarli del loro continuato
contributo, i coniugi Amir hanno avuto l’onore di potersi sedere
accanto al primo ministro Benjamin Netanyahu e alla moglie, Sara,
durante il gala di riapertura del museo.
Michael Calimani
Qui Livorno - Il “Platone ebraico” che spiegò la Qabbalah all’Europa
Quale
deve essere il rapporto tra “noi” e “gli altri”? E quello tra identità
ebraica e conoscenza scientifica? Queste domande hanno rappresentato
fondamentali interrogativi dell’ebraismo nel corso dei secoli, divenuti
ancora più profondi con l’emancipazione e la possibilità di vivere
“come gli altri” a tutti gli effetti. Risposte importanti arrivano
dalle opere di Elia Benamozegh, rabbino, cabalista, filosofo italiano,
vissuto a Livorno tra il 1824 e il 1900. Di famiglia originaria di Fez
in Marocco, Benamozegh si dedicò fin da giovanissimo allo studio della
Qabbalah, ma fu anche profondo conoscitore della filosofia
contemporanea, e in particolare, tenne bene a mente il razionalismo di
Hegel. Secondo il pensatore livornese, definito dal suo allievo Dante
Lattes il “Platone dell’ebraismo italiano”, religione e pensiero
moderno non si pongono in contrasto. La tradizione ebraica deve
rappresentare qualcosa che non si esaurisce nel passato, ma va a
costituire la parte vitale dell’ebraismo nella dimensione
contemporanea. Questa diventa la soluzione per la crisi religiosa e
morale che l’ebraismo attraversava in quel momento storico. Un
insegnamento di grande modernità, come sottolinea Alessandro Guetta,
professore di Storia del pensiero ebraico all’Institut National de
Langues et de Civilisations Orientales di Parigi, autore del libro
Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di Elia Benamozegh. Professor Guetta, com’è nato il suo interesse nei confronti per Benamozegh? È
stato nel corso degli anni Settanta. Studiavo con il rav Giuseppe
Laras, allora rabbino capo della Comunità ebraica di Livorno, dopo
essere tornato da un periodo in una yeshivah israeliana. Ero
profondamente immerso nel mondo degli studi ebraici e talmudici, ma
sentivo il bisogno di coniugarli con la cultura in cui ero cresciuto,
di non vivere le due dimensioni in modo separato. In Benamozegh ho
trovato le risposte che cercavo. Se dovesse riassumere in poche parole il pensiero di quest’autore? Bisogna
partire dall’idea che Benamozegh era un cabalista, aveva radici
marocchine ed era legato alle sue origini, tant’è che anche il suo
maestro proveniva da quella terra. Allo stesso tempo era profondamente
permeato della cultura italiana ed europea ottocentesca, dal
razionalismo hegeliano, dal positivismo. La sua scelta fu di tradurre
nei concetti della filosofia europea il pensiero cabalistico, sia dal
punto di vista concettuale che letterario. Per ogni parola ebraica
cercò il termine italiano o francese più adatto a esprimerla. E in
effetti, la sua stessa scelta di scrivere di mistica ebraica in
italiano e in francese è significativa. E qual è invece il legame di Benamozegh con Livorno? Quello
di un uomo che ha vissuto a Livorno tutta la vita senza mai spostarsi
più in là di Pisa. In un certo senso si può affermare che Livorno sia
nata con gli ebrei e il senso di cosmopolitismo e la vivacità
intellettuale della città sono stati fondamentali per i suoi studi. Nella
sua opera più famosa, Israele e l’umanità, pubblicata postuma nel 1914,
Benamozegh parla dell’ebraismo come di una religione allo stesso tempo
particolare e universale. Cosa voleva dire? Benamozegh
ricorda che l’ebraismo, oltre che al popolo ebraico in modo
particolare, si rivolge all’umanità intera attraverso i sette precetti
che Do comanda a Noè per tutti gli uomini. Questo diventa il simbolo
della possibilità di coltivare la diversità depurandola dall’idea di
superiorità e inferiorità, ma anzi dimostrando l’esistenza di una base
comune a tutta l’umanità. Benamozegh era un religioso, ed è nel vincolo
religioso che la individua, nel monoteismo. Lui è un autore ebreo e
rivendica la sua ebraicità, senza per questo entrare in conflitto con
la maggioranza, ma semplicemente rimanendone distinti, con la
consapevolezza di essere tutti, comunque, uomini. Quale messaggio possiamo trarre oggi dall’opera di Benamozegh? Prima
di tutto l’importanza di una conoscenza profonda, tanto della cultura
della realtà in cui viviamo, quanquanto di quella ebraica, che non può
prescindere da una conoscenza diretta dei testi in lingua originale. E
poi la centralità di un atteggiamento di curiosità verso il mondo, che
sia refrattario a ogni chiusura. Non possiamo sopravvivere da soli. La
nostra tradizione deve essere la base per capire e vivere la modernità,
perché se rimaniamo arroccati in quello che siamo rischiamo di perdere
la nostra stessa identità.
Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche agosto 2010
L'ebraismo non è più di nicchia
Numerosi sono i saggi usciti in quesf ultimo periodo e dedicati alla filosofia ebraica. L'idea messianica nell'ebraismo
di Gershom Scholem (editore Adelphi) raccoglie scritti elaborati in un
arco di tempo che va dal 1927 agli anni del dopoguerra e che sono
apparsi in Inghilterra nel 1971: pagine di straordinario interesse che
meritano di essere studiate attentamente e la cui attualità, pur a
distanza di decenni, è sempre più viva. In Testimoni del futuro
di Pierre Bouretz, edito da Città aperta di Trina (Fnna) l'analisi su
filosofia e messianesimo nel Novecento si espande da Scholem a
Benjamin, Bloch, Buber, Cohen, Jonas , Levinas, Rosenzweig, e Strauss e
lo studioso francese ci offre in oltre ottocento pagine un quadro
vivace e molto stimolante. Sullo stesso tema da segnalare, ancora, Il messia secondo gli ebrei di
Davide Castelli (Edizioni Pizeta) un testo classico edito nel 1874 e
riproposto nel 2008 e che passa in rassegna non solo le idee
messianiche nei libri del Vecchio Testamento, ma anche in testi
posteriori. Diversa, ma sempre complementare, Leggere Rosenzweig
di Salomon Malka (Queriniana) che offre le linee essenziali sul
pensiero, spesso discusso, di questo filosofo del Novecento. La casa
editrice Morcelliana ha pubblicato tre piccoli libri dai titoli, di per
sé, eloquenti: La passione credente dell'ebreo di Martin Buber, Immortalità e resurrezione di Mose Maimonide ed Educazione e giudaismo di Gershom Scholem. L'editore Marietti 1820 ne mette in campo altri tre di altrettanto valore: Commento ai Numeri di Rashi di Troyes, Israele e Palestina di Martin Buber, La preghiera di Israele di Carmine Di Sante. Tra le proposte più originali da segnalare: Torà e libertà
di Furio Biagini (edito da I libri di Icaro di Lecce), un autore di cui
si è già parlato su queste colonne a proposito di una storia del
movimento anarchico ebreo e a proposito del rapporto in Argentina tra
gli ebrei e il tango; Il cristianesimo secondo gli ebrei
a cura di Fritz A. Rothschild (Claudiana di Torino) che raccoglie
scritti di Leo Baeck, Martin Buber, Franz Rosenzweig, Abraham Geschel e
Wil Herberg che getta le possibili basi filosofiche, da parte ebraica,
del dialogo interreligioso e torna ad affrontare la prospettiva
messianica da molteplici punti di vista. Dialoghi d'amore
di Leone Ebreo (editore Laterza), un vero best seller degli inizi del
Cinquecento scritto da Leone Yeudah Abrabanel, sintesi ineguagliata di
tradizione platonica, aristotelismo arabo cultura ebraica ed esegesi
biblica. Infine: La filosofia ebraica nel Novecento
a cura di Paola Ricci Sindoni (edito da Spazio Tre di Roma) che
raccoglie piccole monografie su Gershon Scholem, Franz Rosenzweig,
Abraham eschel, Flie Wiesel, Andrè Neher, Martin Buber, Leo Strauss,
Fmmanuel Levinas, Hans Jonas. Quasi contemporaneamente sono apparsi
numerosi titoli su Talmud e Kabbalah. Il Talmud
di Jacob Neusner (edizioni San Paolo) è una sintesi brillante e chiara,
scritta da un rabbino che è ben conosciuto per la sua opera di
divulgatore. Diverso e complementare Invito al Talmud
di Marc-Alain Ouaknin, (Boringhieri Bollati editore) anch'egli rabbino
e studioso fecondo: due letture agili che si integrano piacevolmente e
che spingono a leggere Il Talmud
di Guenter Stemberger che, oltre ad una introduzione, raccoglie una
selezione di offrendo preziose chiavi di lettura testi e commenti.
Utile anche Parole semplici
di Adin Steinsaltz (edito da Utet,)autore famoso di oltre sessanta
volumi e, soprattutto, di una edizione del Talmud commentata in ebraico
moderno di cui sono già stati pubblicata 38 dei 46 previsti: Questo
volume si ispira ai suoi studi ed è di amabile lettura. Eros e Qabbalah
di Moshe Idel (Adelphi editore) è un libro intellettualmente audace che
scandaglia a fondo temi ostici legati alla sessualità e al misticismo
religioso ebraico, e lo fa con suggestiva competenza. Idel, del resto,è
uno specialista di livello internazionale ben conosciuto e apprezzato.
Queste riflessioni non sono una novità assoluta: il primo a occuparsene
fu, alcuni decenni or sono, Jiri Georg Langer, fratello di un amico di
Kafka, che aveva scritto Eros nella Cabbalà un testo che aveva
suscitato grande scandalo a Praga e che ora è stata recentemente
riproposto dalla casa editrice La parola di Roma: lo stesso editore ha
stampato sempre in queste settimane I percorsi della Cabbalà
di Moshe Idel e di Victor Malka, conversazioni sulla tradizione mistica
ebraica, un testo divulgativo, ma pregevole sotto molti aspetti. Ultimi
due titoli proposti: La sofferenza come identità di
Esther Benbassa (edito da Ombre Corte di Verona) che, come si può
intuire, affronta il tema cruciale della sofferenza in rapporto
all'identità ebraica e ne analizza le implicazioni e i paradossi.
Infine: Storia della letteratura giudaico-ellenistica di Clara Kraus Reggiani (Mimesis) che getta un fascio di luce su una materia composita e complessa, ma non meno affascinante.
Riccardo Calimani, Europa 13 agosto 2010 |
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Rimandati a settembre
E’
iniziato Elul e manca poco più di un mese all’esame di riparazione.
Anche questa volta siamo stati rimandati a settembre (altri anni a
ottobre, ma è lo stesso). Dobbiamo darci da fare, perché l’esito non è
scontato. Dobbiamo ripassare attentamente le nostre azioni, i nostri
comportamenti dell’anno trascorso: abbiamo parlato male di qualcuno?
Siamo stati egoisti o prepotenti? Ci siamo sforzati di aiutare gli
altri o ci siamo disinteressati? Dobbiamo studiare con attenzione
perché saremo interrogati. Ma si sa che studiare non basta: occorre
anche l’esercizio, la pratica. Dobbiamo andare in giro e chiedere scusa
a tutte le persone che abbiamo offeso; e ancora non basta: dobbiamo
riprometterci di non farlo più. Come tutti i rimandati a settembre,
capita di rammaricarsi per non esserci comportati adeguatamente durante
l’anno: ci sarebbe voluto così poco! E’ forse più per questo rimpianto
che per la reale paura dell’esame (non perché siamo convinti di
meritare la promozione, ma perché confidiamo nel buon cuore
dell’esaminatore) che ci diamo da fare seriamente, e davvero ci
illudiamo che in futuro riusciremo ad essere migliori. E poi arriverà
finalmente il giorno dell’esame, il 10 di Tishrì, e ci presenteremo
tutti eleganti ad affrontarlo. Faremo la prova pratica del digiuno e
reciteremo più volte i nostri peccati dalla alef alla tav. Poi arriverà
la sera e probabilmente scopriremo che ancora una volta, anche se un
po’ immeritatamente, siamo stati promossi. La Commissione d’esame avrà
tenuto conto dei nostri sforzi e delle nostre buone intenzioni (pur
sapendo bene che non sempre le manterremo) e sarà stata indulgente.
Sapremo che il verbale è stato firmato e sigillato; forse non ce lo
meritiamo del tutto ma ce l’abbiamo fatta. E andremo a festeggiare la
promozione.
Anna Segre
|
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Della
navigazione sempre più difficile nelle acque della politica italiana
sono piene le pagine estive dei nostri quotidiani, non meno che dei
periodici. Si ha come un senso di sgradevole sazietà osservando il
ripetersi delle violente schermaglie verbali che oramai da alcune
settimane saturano le prime pagine. Non si tratta del distacco un po’
snobistico di chi guarda con perplessità l’altrui operato bensì della
crescente preoccupazione che lievita dal misurare la distanza che
sempre più intercorre tra l’affannoso ed enfatico dire di certuni e le
inderogabili esigenze che si vanno manifestando nel nostro paese,
affaticato da una situazione economica ben lontana dall’avere ritrovato
quegli equilibri che gli occorrerebbero per guardare a sé, e al proprio
immediato futuro, con la dovuta serenità. Ma tant’è e ci fermiamo a
questo riscontro solo per affermare come le notizie che ci arrivano da
Israele, dal Medio Oriente e dal piccolo ma vivace universo ebraico
siano anch’esse inevitabilmente filtrate dal senso di incertezza che a
volte si respira dinanzi a un quadro nazionale, ma anche
internazionale, piuttosto magmatico. Già si è avuto modo recentemente
di dire dell’impressione che dietro l’apparente stasi ci sia come una
sorta di sommovimento implicito. Si pensi, ad esempio, all’avvio delle
operazione per la riduzione del contingente americano in Iraq, che
stanno raccogliendo le perplessità – per meglio dire i timori – di una
parte degli iracheni medesimi. Così quanto scrivono oggi Lorenzo
Cremonesi su il Corriere della Sera, che sulla medesima testata intervista in proposito John Fisher Burns, Lorenzo Biondi per Europa, il Foglio che parla dell’«Iraq e i lupi» e Gianandrea Gaiani per il Sole 24 Ore.
La settimana che va chiudendosi è stata peraltro caratterizzata da
alcuni eventi di un qualche spessore. Il primo di essi rimanda
all’inchiesta aperta sui fatti del 31 maggio scorso, quando la nave
turca Mavi Marmara fu fermata poco prima che forzasse il blocco navale
di Gaza, non senza perdite di vite umane. Ne parlano, aggiornandoci in
merito, diversi articoli tra i quali scegliamo quelli di Antonella
Vicini su il Riformista di martedì 10 agosto e, nel medesimo giorno, de il Foglio
dove ci viene detto che «Netanyahu difende Israele (e se stesso)
dall’incursione turca». Ben più aspro è il tono dell’intervista di
Umberto De Giovannangeli a Yossi Sarid su l’Unità
di ieri. Il fondatore del Meretz e attuale editorialista di Haaretz si
lascia andare a secchi giudizi sul governo israeliano e in particolare
nel merito dell’operato del consiglio di gabinetto, l’organismo
ristretto di emergenza, costituito, a suo dire, da «sette idioti
pericolosi». Più commissioni di indagine stanno lavorando (o
lavoreranno) su questa vicenda. Poiché anche qui, come spesso capita
quando ci si trova a contatto con i fatti del Medio Oriente, si entra
nel ginepraio delle voci (e delle notizie), è bene ricapitolare la
successione degli elementi. Le commissioni operanti sono quattro. La
prima, israeliana, ha già terminato i suoi lavori essendo stata
costituita subito dopo i tragici eventi. Composta da un gruppo di
militari, otto alti ufficiali, presieduti dal generale Giora Eiland, ha
indagato su richiesta dello Stato maggiore dell’esercito e delle
autorità politiche. Ha prodotto un relazione nella quale venivano
raccolti tutti i dati relativi alla condotta dei reparti e delle unità
che hanno operato sul Mavi Marmara, dandone poi una lettura critica che
ha scagionato da responsabilità tecniche e di comportamento quanti
furono impegnati nelle operazioni, ravvisando semmai alcuni limiti
nell’attività di intelligence. La seconda commissione, dinanzi alla
quale hanno deposto nei giorni scorsi sia Benjamin Netanyahu che Ehud
Barak – di quest’ultimo si parla su il Foglio di
mercoledì 11 agosto, affermando che il ministro della Difesa «difende
il blitz navale, ma tira ariaccia dentro il governo» - è invece
composta da civili, quattro israeliani e due osservatori stranieri, il
giornalista Ken Watkin e il nobel per la pace David Trimble. Il suo
presidente, Yaakov Turkel, ex giudice della Corte suprema, ha il
mandato di raccogliere, analizzare, valutare ed esprimere un giudizio
autonomo, da offrire alle autorità ma anche al pubblico israeliano e
internazionale. La terza commissione, la cui attività è in via di
rodaggio, è quella che viene promossa dal Segretariato generale
dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, presieduta dal premier
neozelandese Geoffrey Palmer. Rispetto a quest’ultima Netanyahu ha già
dichiarato che Israele non permetterà che i suoi militari vengano
convocati ed interrogati. La quarta, infine, di cui non si hanno ancora
tracce consistenti, è quella che dovrebbe derivare (per meglio dire,
figliare) dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Qual è la
considerazione da avanzare dinanzi a questo ampio carnet di iniziative
di «indagine»? Le commissioni di inchiesta hanno una peculiare
funzione, che non è quella di emettere un verdetto bensì di raccogliere
elementi di valutazione. Un po’ come fanno gli inquirenti, ruolo
distinto dai requirenti e, soprattutto, dai giudicanti. Nella
concezione tribunalizia che è andata invece affermandosi, in questi
fatti come in tanti altri, la convocazione e l’audizione presso una
commissione equivale oramai, nel comune sentire, ad un giudizio di
colpevolezza o, comunque, di corresponsabilità. Dall’attività di questi
organismi ci si aspettano condanne e non analisi. Per
contestualizzare il tutto, però, aggiungiamo che è in dirittura
d’arrivo il lavoro di un’altra Commissione internazionale, il Tribunale
speciale per il Libano, istituito per indagare sull’assassinio, nel
febbraio del 2005, dell’allora Premier Rafiq Hariri. Poiché il
coinvolgimento del movimento Hezbollah parrebbe molto probabile, con il
rischio di una incriminazione per alcuni dei suoi maggiori dirigenti,
Hassan Nasrallah, segretario generale del partito fondamentalista ha
già dichiarato di sapere chi è il vero responsabile ossia Israele. La
notizia (che a ben guardare tale non è, poiché ripete un copione
decisamente vecchio, asfittico e consunto) è ripresa, tra gli altri, da
Javier Espinosa su El Mundo e da Ugo Trimballi sul Sole 24 Ore di martedì 10 agosto, così come da Enrico Campofreda per Terra e dall’Osservatore romano,
questi ultimi due entrambi di mercoledì 11 agosto. Nasrallah parla ai
suoi, rinverdendo la teoria del «complotto sionista», un ever green
nella politica mediorientale, che serve per serrare le file quando il
rischio è che qualche colpo derivi dall’altrui attività di ricerca. Nel
mentre, come ci informa Guido Olimpo su il Corriere della Sera
sempre di mercoledì, Hezbollah rimpingua i suoi arsenali anche per il
tramite dei buoni servigi dei servizi segreti turchi, diretti da Hakan
Fidan, un uomo che guarda con interesse ad un rapporto più stretto tra
Ankara e Teheran. Del pari a quest’ultima esternazione è degno di nota
quanto il Foglio
dell’11 agosto ci racconta informandoci che «l’Iran lancia il
negazionismo via web per irridere l’Olocausto». La squallida
iniziativa, che fa da contorno alle ultime, rivoltanti dichiarazioni di
Mahmud Ahmadinejad contro la «leggenda della Shoah», è un bell’esempio
di prodotto di regime, confezionato secondo i crismi del più vieto
antisemitismo di Stato. Due risposte a questo delirio, se le si vuole
considerare tali, sono invece quelle che ci vengono offerte da Anna Foa
sull’Avvenire di oggi, che si interroga sia sulle potenzialità sia sui
limiti della rappresentazione artistica e letteraria dello sterminio,
nonché sul buon uso della memoria, e da Riccardo Calimani che su Europa offre una rassegna dei molti volumi recentemente usciti in libreria sul rapporto tra ebraismo e filosofia.
Claudio Vercelli
|
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Turchia: inchiesta Der Spiegel, armi chimiche contro i curdi Gerusalemme, 13 ago - Un'inchiesta
pubblicata dal tedesco Der Spiegel, sull'asserito uso di armi chimiche
da parte della Turchia contro i ribelli curdi ha suscitato una grande
eco sui giornali israeliani. L'accusa - non nuova sui media
internazionali nei confronti delle forze di Ankara - risulta corredata
stavolta da foto di cadaveri di miliziani del Pkk (Partito dei
Lavoratori del Kurdistan) che sembrano presentare segni degli effetti
di agenti chimici letali. A suffragare l'autenticità delle immagini è
poi il parere di esperti interpellati dallo Spiegel. Israele è entrato
negli ultimi mesi in una fase di progressiva lacerazione dei rapporti
con il governo turco dell'islamico-conservatore, Recep Tayyip
Erdogan. |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|