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L'Unione informa
 
    13 agosto 2010 - 3 Elul 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino 
I Maestri, per conseguire il titolo rabbinico, dovrebbero seguire tutti un corso di oratoria. In questo modo il silenzioso pubblico, attratto dalle belle  parole e dai fini concetti, eviterebbe di fare maldicenza almeno durante il discorso, e sarebbe già un ottimo risultato. (Chafetz Chaiim) 
Creatività e tradizione, elementi vitali nella cultura ebraica senza i quali non ci sarebbe né storia né futuro, ci suggeriscono una chiave di lettura utile a districarci tra le recentissime statistiche sullo stato di salute della scuola italiana. E’ stato riconfermato che le elementari, ora primarie, funzionano ed assicurano risultati formativi abbastanza omogenei, forse perché – resistendo ad un’applicazione pedestre delle molte riforme - le positive sperimentazioni degli anni passati sono state gelosamente custodite e valorizzate ed hanno quindi garantito continuità e stabilità all’intera struttura. Oculati cambiamenti e nessuna rivoluzione copernicana. Fino a dieci anni fa gli esperti del ministero dell’istruzione del Sol Levante venivano da noi in pellegrinaggio per “trovare ispirazione” nel nostro virtuoso modello di scuola elementare a tempo pieno, considerato un ottimo punto d’equilibrio tra livello di competenze e livello di integrazione degli alunni. Ancor oggi godiamo dei benefici di quel virtuoso periodo, ma ora i giapponesi non capiscono come un Paese avanzato come il nostro possa scegliere di tagliare i contributi all’istruzione anziché trovare altre soluzioni. Non trovando una risposta logica continuano a considerarci “così creativi”, ma adesso non ci copiano più.    
Sonia
Brunetti Luzzati,
pedagogista
sonia brunetti  
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  museo di IsraeleQui Gerusalemme - Il rilancio
del Museo di Israele

Riapre dopo un periodo di restauro durato tre anni, L’Israel Museum di Gerusalemme. Fondato nel 1965 tale museo rappresenta oggi una delle principali istituzioni culturali israeliane e uno dei musei a indirizzo enciclopedico più grandi al mondo. Nonostante la chiusura prolungata della maggior parte delle sale, l’istituzione è riuscita comunque a garantire una buona fruizione delle sale espositive non coinvolte nei lavori di rinnovo, il museo ha potuto infatti contare su un’affluenza di 500 mila persone all’anno, giunte da ogni parte del mondo per poter visionare da vicino oggetti entrati ormai nell’immaginario collettivo come i rotoli del mar morto, o la riproduzione in scala del secondo Tempio di Gerusalemme.
La ristrutturazione da 100 milioni di dollari, che ha coinvolto più di 400 addetti ai lavori provenienti da sette paesi diversi ha contribuito a rivitalizzare l’intera area museale che sorge a Givat Ram, in cima a una collina situata nei pressi della Knesset, il parlamento israeliano, e della Corte Suprema. Progettato in origine da Alfred Mansfeld, ebreo russo Askenazita che aveva studiato a Berlino e Parigi ed era emigrato in Palestina nel 1935, il museo, con i lavori di ristrutturazione, ha raddoppiato lo spazio espositivo, che ora sfiora 61 mila metri quadrati, ridisegnando completamente gli interni. E’ stata invece mantenuta la struttura progettuale esterna in stile modernista di Mansfeld: cemento armato, sviluppo orizzontale in perfetto stile Tel-Aviv.
“Non si tratta di gettare via qualcosa – spiega James Snyder, direttore del museo dal 1997 - ma di rinnovare l’intero complesso lasciando intatta l’ossatura originale dell’edificio, strabiliante nella sua contemporaneità”.
La portata e la bellezza delle collezioni esposte toglie il fiato: con più di 500 mila oggetti provenienti da tutto il mondo inseriti a rotazione nel percorso espositivo permanente. L’elemento più interessante del restauro è l’accostamento tra l’esibizione permanente di oggetti d’arte israeliani, con la imponente collezione di manufatti ebraici provenienti dall’Europa, dall’Africa, dall’Oceania, e dall’Asia. Nell’ala Morton Mandel, sezione museale dedicata alle varie comunità ebraiche del mondo, sono esposti numerosi oggetti provenienti anche dall'Italia. In particolar modo è stata ricostruita pezzo per pezzo una delle sinagoghe di Mantova, abbattute nel 1938 quando la municipalità decise di demolire il ghetto.
Per quanto riguarda l’aspetto economico dei restauri un sostanziale contributo è venuto da donatori americani, come Paul e Herta Amir da Berverly Hills,che insieme alla fondazione Gottesman di New York hanno donato 3 milioni di dollari nel 2007 per il restauro dello Shrine of the Book, avveniristica cupola del Museo Israeliano ad opera degli architetti Kiesler and Bartok, che contiene i rotoli del Mar Morto. Per ringraziarli del loro continuato contributo, i coniugi Amir hanno avuto l’onore di potersi sedere accanto al primo ministro Benjamin Netanyahu e alla moglie, Sara, durante il gala di riapertura del museo.

Michael Calimani


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alessandro guettaQui Livorno - Il “Platone ebraico”
che spiegò la Qabbalah all’Europa



Quale deve essere il rapporto tra “noi” e “gli altri”? E quello tra identità ebraica e conoscenza scientifica? Queste domande hanno rappresentato fondamentali interrogativi dell’ebraismo nel corso dei secoli, divenuti ancora più profondi con l’emancipazione e la possibilità di vivere “come gli altri” a tutti gli effetti. Risposte importanti arrivano dalle opere di Elia Benamozegh, rabbino, cabalista, filosofo italiano, vissuto a Livorno tra il 1824 e il 1900. Di famiglia originaria di Fez in Marocco, Benamozegh si dedicò fin da giovanissimo allo studio della Qabbalah, ma fu anche profondo conoscitore della filosofia contemporanea, e in particolare, tenne bene a mente il razionalismo di Hegel. Secondo il pensatore livornese, definito dal suo allievo Dante Lattes il “Platone dell’ebraismo italiano”, religione e pensiero moderno non si pongono in contrasto. La tradizione ebraica deve rappresentare qualcosa che non si esaurisce nel passato, ma va a costituire la parte vitale dell’ebraismo nella dimensione contemporanea. Questa diventa la soluzione per la crisi religiosa e morale che l’ebraismo attraversava in quel momento storico. Un insegnamento di grande modernità, come sottolinea Alessandro Guetta, professore di Storia del pensiero ebraico all’Institut National de Langues et de Civilisations Orientales di Parigi, autore del libro Filosofia e Qabbalah. Saggio sul pensiero di Elia Benamozegh.
Professor Guetta, com’è nato il suo interesse nei confronti per Benamozegh?
È stato nel corso degli anni Settanta. Studiavo con il rav Giuseppe Laras, allora rabbino capo della Comunità ebraica di Livorno, dopo essere tornato da un periodo in una yeshivah israeliana. Ero profondamente immerso nel mondo degli studi ebraici e talmudici, ma sentivo il bisogno di coniugarli con la cultura in cui ero cresciuto, di non vivere le due dimensioni in modo separato. In Benamozegh ho trovato le risposte che cercavo.
Se dovesse riassumere in poche parole il pensiero di quest’autore?
Bisogna partire dall’idea che Benamozegh era un cabalista, aveva radici marocchine ed era legato alle sue origini, tant’è che anche il suo maestro proveniva da quella terra. Allo stesso tempo era profondamente permeato della cultura italiana ed europea ottocentesca, dal razionalismo hegeliano, dal positivismo. La sua scelta fu di tradurre nei concetti della filosofia europea il pensiero cabalistico, sia dal punto di vista concettuale che letterario. Per ogni parola ebraica cercò il termine italiano o francese più adatto a esprimerla. E in effetti, la sua stessa scelta di scrivere di mistica ebraica in italiano e in francese è significativa.
E qual è invece il legame di Benamozegh con Livorno?
Quello di un uomo che ha vissuto a Livorno tutta la vita senza mai spostarsi più in là di Pisa. In un certo senso si può affermare che Livorno sia nata con gli ebrei e il senso di cosmopolitismo e la vivacità intellettuale della città sono stati fondamentali per i suoi studi.
Nella sua opera più famosa, Israele e l’umanità, pubblicata postuma nel 1914, Benamozegh parla dell’ebraismo come di una religione allo stesso tempo particolare e universale. Cosa voleva dire?
Benamozegh ricorda che l’ebraismo, oltre che al popolo ebraico in modo particolare, si rivolge all’umanità intera attraverso i sette precetti che Do comanda a Noè per tutti gli uomini. Questo diventa il simbolo della possibilità di coltivare la diversità depurandola dall’idea di superiorità e inferiorità, ma anzi dimostrando l’esistenza di una base comune a tutta l’umanità. Benamozegh era un religioso, ed è nel vincolo religioso che la individua, nel monoteismo. Lui è un autore ebreo e rivendica la sua ebraicità, senza per questo entrare in conflitto con la maggioranza, ma semplicemente rimanendone distinti, con la consapevolezza di essere tutti, comunque, uomini.
Quale messaggio possiamo trarre oggi dall’opera di Benamozegh?
Prima di tutto l’importanza di una conoscenza profonda, tanto della cultura della realtà in cui viviamo, quanquanto di quella ebraica, che non può prescindere da una conoscenza diretta dei testi in lingua originale. E poi la centralità di un atteggiamento di curiosità verso il mondo, che sia refrattario a ogni chiusura. Non possiamo sopravvivere da soli. La nostra tradizione deve essere la base per capire e vivere la modernità, perché se rimaniamo arroccati in quello che siamo rischiamo di perdere la nostra stessa identità.

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche agosto 2010



L'ebraismo non è più di nicchia

Numerosi sono i saggi usciti in quesf ultimo periodo e dedicati alla filosofia ebraica. L'idea messianica nell'ebraismo di Gershom Scholem (editore Adelphi) raccoglie scritti elaborati in un arco di tempo che va dal 1927 agli anni del dopoguerra e che sono apparsi in Inghilterra nel 1971: pagine di straordinario interesse che meritano di essere studiate attentamente e la cui attualità, pur a distanza di decenni, è sempre più viva. In Testimoni del futuro di Pierre Bouretz, edito da Città aperta di Trina (Fnna) l'analisi su filosofia e messianesimo nel Novecento si espande da Scholem a Benjamin, Bloch, Buber, Cohen, Jonas , Levinas, Rosenzweig, e Strauss e lo studioso francese ci offre in oltre ottocento pagine un quadro vivace e molto stimolante. Sullo stesso tema da segnalare, ancora, Il messia secondo gli ebrei di Davide Castelli (Edizioni Pizeta) un testo classico edito nel 1874 e riproposto nel 2008 e che passa in rassegna non solo le idee messianiche nei libri del Vecchio Testamento, ma anche in testi posteriori. Diversa, ma sempre complementare, Leggere Rosenzweig di Salomon Malka (Queriniana) che offre le linee essenziali sul pensiero, spesso discusso, di questo filosofo del Novecento. La casa editrice Morcelliana ha pubblicato tre piccoli libri dai titoli, di per sé, eloquenti: La passione credente dell'ebreo di Martin Buber, Immortalità e resurrezione di Mose Maimonide ed Educazione e giudaismo di Gershom Scholem. L'editore Marietti 1820 ne mette in campo altri tre di altrettanto valore: Commento ai Numeri di Rashi di Troyes, Israele e Palestina di Martin Buber, La preghiera di Israele di Carmine Di Sante. Tra le proposte più originali da segnalare: Torà e libertà di Furio Biagini (edito da I libri di Icaro di Lecce), un autore di cui si è già parlato su queste colonne a proposito di una storia del movimento anarchico ebreo e a proposito del rapporto in Argentina tra gli ebrei e il tango; Il cristianesimo secondo gli ebrei a cura di Fritz A. Rothschild (Claudiana di Torino) che raccoglie scritti di Leo Baeck, Martin Buber, Franz Rosenzweig, Abraham Geschel e Wil Herberg che getta le possibili basi filosofiche, da parte ebraica, del dialogo interreligioso e torna ad affrontare la prospettiva messianica da molteplici punti di vista. Dialoghi d'amore di Leone Ebreo (editore Laterza), un vero best seller degli inizi del Cinquecento scritto da Leone Yeudah Abrabanel, sintesi ineguagliata di tradizione platonica, aristotelismo arabo cultura ebraica ed esegesi biblica. Infine: La filosofia ebraica nel Novecento a cura di Paola Ricci Sindoni (edito da Spazio Tre di Roma) che raccoglie piccole monografie su Gershon Scholem, Franz Rosenzweig, Abraham eschel, Flie Wiesel, Andrè Neher, Martin Buber, Leo Strauss, Fmmanuel Levinas, Hans Jonas. Quasi contemporaneamente sono apparsi numerosi titoli su Talmud e Kabbalah. Il Talmud di Jacob Neusner (edizioni San Paolo) è una sintesi brillante e chiara, scritta da un rabbino che è ben conosciuto per la sua opera di divulgatore. Diverso e complementare Invito al Talmud di Marc-Alain Ouaknin, (Boringhieri Bollati editore) anch'egli rabbino e studioso fecondo: due letture agili che si integrano piacevolmente e che spingono a leggere Il Talmud di Guenter Stemberger che, oltre ad una introduzione, raccoglie una selezione di offrendo preziose chiavi di lettura testi e commenti. Utile anche Parole semplici di Adin Steinsaltz (edito da Utet,)autore famoso di oltre sessanta volumi e, soprattutto, di una edizione del Talmud commentata in ebraico moderno di cui sono già stati pubblicata 38 dei 46 previsti: Questo volume si ispira ai suoi studi ed è di amabile lettura. Eros e Qabbalah di Moshe Idel (Adelphi editore) è un libro intellettualmente audace che scandaglia a fondo temi ostici legati alla sessualità e al misticismo religioso ebraico, e lo fa con suggestiva competenza. Idel, del resto,è uno specialista di livello internazionale ben conosciuto e apprezzato. Queste riflessioni non sono una novità assoluta: il primo a occuparsene fu, alcuni decenni or sono, Jiri Georg Langer, fratello di un amico di Kafka, che aveva scritto Eros nella Cabbalà un testo che aveva suscitato grande scandalo a Praga e che ora è stata recentemente riproposto dalla casa editrice La parola di Roma: lo stesso editore ha stampato sempre in queste settimane I percorsi della Cabbalà di Moshe Idel e di Victor Malka, conversazioni sulla tradizione mistica ebraica, un testo divulgativo, ma pregevole sotto molti aspetti. Ultimi due titoli proposti: La sofferenza come identità di Esther Benbassa (edito da Ombre Corte di Verona) che, come si può intuire, affronta il tema cruciale della sofferenza in rapporto all'identità ebraica e ne analizza le implicazioni e i paradossi. Infine: Storia della letteratura giudaico-ellenistica di Clara Kraus Reggiani (Mimesis) che getta un fascio di luce su una materia composita e complessa, ma non meno affascinante.

Riccardo Calimani, Europa 13 agosto 2010
 
 
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  Rimandati a settembre

anna segreE’ iniziato Elul e manca poco più di un mese all’esame di riparazione. Anche questa volta siamo stati rimandati a settembre (altri anni a ottobre, ma è lo stesso). Dobbiamo darci da fare, perché l’esito non è scontato. Dobbiamo ripassare attentamente le nostre azioni, i nostri comportamenti dell’anno trascorso: abbiamo parlato male di qualcuno? Siamo stati egoisti o prepotenti? Ci siamo sforzati di aiutare gli altri o ci siamo disinteressati? Dobbiamo studiare con attenzione perché saremo interrogati. Ma si sa che studiare non basta: occorre anche l’esercizio, la pratica. Dobbiamo andare in giro e chiedere scusa a tutte le persone che abbiamo offeso; e ancora non basta: dobbiamo riprometterci di non farlo più. Come tutti i rimandati a settembre, capita di rammaricarsi per non esserci comportati adeguatamente durante l’anno: ci sarebbe voluto così poco! E’ forse più per questo rimpianto che per la reale paura dell’esame (non perché siamo convinti di meritare la promozione, ma perché confidiamo nel buon cuore dell’esaminatore) che ci diamo da fare seriamente, e davvero ci illudiamo che in futuro riusciremo ad essere migliori. E poi arriverà finalmente il giorno dell’esame, il 10 di Tishrì, e ci presenteremo tutti eleganti ad affrontarlo. Faremo la prova pratica del digiuno e reciteremo più volte i nostri peccati dalla alef alla tav. Poi arriverà la sera e probabilmente scopriremo che ancora una volta, anche se un po’ immeritatamente, siamo stati promossi. La Commissione d’esame avrà tenuto conto dei nostri sforzi e delle nostre buone intenzioni (pur sapendo bene che non sempre le manterremo) e sarà stata indulgente. Sapremo che il verbale è stato firmato e sigillato; forse non ce lo meritiamo del tutto ma ce l’abbiamo fatta. E andremo a festeggiare la promozione.

Anna Segre

 
 
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Della navigazione sempre più difficile nelle acque della politica italiana sono piene le pagine estive dei nostri quotidiani, non meno che dei periodici. Si ha come un senso di sgradevole sazietà osservando il ripetersi delle violente schermaglie verbali che oramai da alcune settimane saturano le prime pagine. Non si tratta del distacco un po’ snobistico di chi guarda con perplessità l’altrui operato bensì della crescente preoccupazione che lievita dal misurare la distanza che sempre più intercorre tra l’affannoso ed enfatico dire di certuni e le inderogabili esigenze che si vanno manifestando nel nostro paese, affaticato da una situazione economica ben lontana dall’avere ritrovato quegli equilibri che gli occorrerebbero per guardare a sé, e al proprio immediato futuro, con la dovuta serenità. Ma tant’è e ci fermiamo a questo riscontro solo per affermare come le notizie che ci arrivano da Israele, dal Medio Oriente e dal piccolo ma vivace universo ebraico siano anch’esse inevitabilmente filtrate dal senso di incertezza che a volte si respira dinanzi a un quadro nazionale, ma anche internazionale, piuttosto magmatico. Già si è avuto modo recentemente di dire dell’impressione che dietro l’apparente stasi ci sia come una sorta di sommovimento implicito. Si pensi, ad esempio, all’avvio delle operazione per la riduzione del contingente americano in Iraq, che stanno raccogliendo le perplessità – per meglio dire i timori – di una parte degli iracheni medesimi. Così quanto scrivono oggi Lorenzo Cremonesi su il Corriere della Sera, che sulla medesima testata intervista in proposito John Fisher Burns, Lorenzo Biondi per Europa, il Foglio che parla dell’«Iraq e i lupi» e Gianandrea Gaiani per il Sole 24 Ore. La settimana che va chiudendosi è stata peraltro caratterizzata da alcuni eventi di un qualche spessore. Il primo di essi rimanda all’inchiesta aperta sui fatti del 31 maggio scorso, quando la nave turca Mavi Marmara fu fermata poco prima che forzasse il blocco navale di Gaza, non senza perdite di vite umane. Ne parlano, aggiornandoci in merito, diversi articoli tra i quali scegliamo quelli di Antonella Vicini su il Riformista di martedì 10 agosto e, nel medesimo giorno, de il Foglio dove ci viene detto che «Netanyahu difende Israele (e se stesso) dall’incursione turca». Ben più aspro è il tono dell’intervista di Umberto De Giovannangeli a Yossi Sarid su l’Unità di ieri. Il fondatore del Meretz e attuale editorialista di Haaretz si lascia andare a secchi giudizi sul governo israeliano e in particolare nel merito dell’operato del consiglio di gabinetto, l’organismo ristretto di emergenza, costituito, a suo dire, da «sette idioti pericolosi».  Più commissioni di indagine stanno lavorando (o lavoreranno) su questa vicenda. Poiché anche qui, come spesso capita quando ci si trova a contatto con i fatti del Medio Oriente, si entra nel ginepraio delle voci (e delle notizie), è bene ricapitolare la successione degli elementi. Le commissioni operanti sono quattro. La prima, israeliana, ha già terminato i suoi lavori essendo stata costituita subito dopo i tragici eventi. Composta da un gruppo di militari, otto alti ufficiali, presieduti dal generale Giora Eiland, ha indagato su richiesta dello Stato maggiore dell’esercito e delle autorità politiche. Ha prodotto un relazione nella quale venivano raccolti tutti i dati relativi alla condotta dei reparti e delle unità che hanno operato sul Mavi Marmara, dandone poi una lettura critica che ha scagionato da responsabilità tecniche e di comportamento quanti furono impegnati nelle operazioni, ravvisando semmai alcuni limiti nell’attività di intelligence. La seconda commissione, dinanzi alla quale hanno deposto nei giorni scorsi sia Benjamin Netanyahu che Ehud Barak – di quest’ultimo si parla su il Foglio di mercoledì 11 agosto, affermando che il ministro della Difesa «difende il blitz navale, ma tira ariaccia dentro il governo» -  è invece composta da civili, quattro israeliani e due osservatori stranieri, il giornalista Ken Watkin e il nobel per la pace David Trimble. Il suo presidente, Yaakov Turkel, ex giudice della Corte suprema, ha il mandato di raccogliere, analizzare, valutare ed esprimere un giudizio autonomo, da offrire alle autorità ma anche al pubblico israeliano e internazionale. La terza commissione, la cui attività è in via di rodaggio, è quella che viene promossa dal Segretariato generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, presieduta dal premier neozelandese Geoffrey Palmer. Rispetto a quest’ultima Netanyahu ha già dichiarato che Israele non permetterà che i suoi militari vengano convocati ed interrogati. La quarta, infine, di cui non si hanno ancora tracce consistenti, è quella che dovrebbe derivare (per meglio dire, figliare) dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Qual è la considerazione da avanzare dinanzi a questo ampio carnet di iniziative di «indagine»? Le commissioni di inchiesta hanno una peculiare funzione, che non è quella di emettere un verdetto bensì di raccogliere elementi di valutazione. Un po’ come fanno gli inquirenti, ruolo distinto dai requirenti e, soprattutto, dai giudicanti. Nella concezione tribunalizia che è andata invece affermandosi, in questi fatti come in tanti altri, la convocazione e l’audizione presso una commissione equivale oramai, nel comune sentire, ad un giudizio di colpevolezza o, comunque, di corresponsabilità. Dall’attività di questi organismi ci si aspettano condanne e non analisi.  Per contestualizzare il tutto, però, aggiungiamo che è in dirittura d’arrivo il lavoro di un’altra Commissione internazionale, il Tribunale speciale per il Libano, istituito per indagare sull’assassinio, nel febbraio del 2005, dell’allora Premier Rafiq Hariri. Poiché il coinvolgimento del movimento Hezbollah parrebbe molto probabile, con il rischio di una incriminazione per alcuni dei suoi maggiori dirigenti, Hassan Nasrallah, segretario generale del partito fondamentalista ha già dichiarato di sapere chi è il vero responsabile ossia Israele. La notizia (che a ben guardare tale non è, poiché ripete un copione decisamente vecchio, asfittico e consunto) è ripresa, tra gli altri, da Javier Espinosa su El Mundo e da Ugo Trimballi sul Sole 24 Ore di martedì 10 agosto, così come da Enrico Campofreda per Terra e dall’Osservatore romano, questi ultimi due entrambi di mercoledì 11 agosto. Nasrallah parla ai suoi, rinverdendo la teoria del «complotto sionista», un ever green nella politica mediorientale, che serve per serrare le file quando il rischio è che qualche colpo derivi dall’altrui attività di ricerca. Nel mentre, come ci informa Guido Olimpo su il Corriere della Sera sempre di mercoledì, Hezbollah rimpingua i suoi arsenali anche per il tramite dei buoni servigi dei servizi segreti turchi, diretti da Hakan Fidan, un uomo che guarda con interesse ad un rapporto più stretto tra Ankara e Teheran. Del pari a quest’ultima esternazione è degno di nota quanto il Foglio dell’11 agosto ci racconta informandoci che «l’Iran lancia il negazionismo via web per irridere l’Olocausto». La squallida iniziativa, che fa da contorno alle ultime, rivoltanti dichiarazioni di Mahmud Ahmadinejad contro la «leggenda della Shoah», è un bell’esempio di prodotto di regime, confezionato secondo i crismi del più vieto antisemitismo di Stato. Due risposte a questo delirio, se le si vuole considerare tali, sono invece quelle che ci vengono offerte da Anna Foa sull’Avvenire di oggi, che si interroga sia sulle potenzialità sia sui limiti della rappresentazione artistica e letteraria dello sterminio, nonché sul buon uso della memoria, e da Riccardo Calimani che su Europa offre una rassegna dei molti volumi recentemente usciti in libreria sul rapporto tra ebraismo e filosofia.

 
Claudio Vercelli

 
 
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Turchia: inchiesta Der Spiegel, armi chimiche contro i curdi        Gerusalemme, 13 ago -
Un'inchiesta pubblicata dal tedesco Der Spiegel, sull'asserito uso di armi chimiche da parte della Turchia contro i ribelli curdi ha suscitato una grande eco sui giornali israeliani. L'accusa - non nuova sui media internazionali nei confronti delle forze di Ankara - risulta corredata stavolta da foto di cadaveri di miliziani del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) che sembrano presentare segni degli effetti di agenti chimici letali. A suffragare l'autenticità delle immagini è poi il parere di esperti interpellati dallo Spiegel. Israele è entrato negli ultimi mesi in una fase di progressiva lacerazione dei rapporti con il governo turco dell'islamico-conservatore, Recep Tayyip Erdogan.  
 
 
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