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L'Unione informa
 
    15 agosto 2010 - 5 Elul 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
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  benedetto carucci viterbi Benedetto Carucci Viterbi,
rabbino 
"Sii integro con il Signore tuo Dio": accetta integralmente, spiega rashi, ciò che Dio ti manda senza tentare di conoscere come andranno le cose. Un buon consiglio per liberarci dall'ansia del futuro e per testare la nostra emunà.
E’ sempre più ricorrente la tentazione di essere a un tempo attori di storia e costruttori della narrazione che in futuro si farà degli eventi di questi nostri giorni. C’è un vizio totalitario - la parola non spaventi - in questo atteggiamento. A un partito politico non spetta “l’opera dello storico”, ma piuttosto quella di “fare la storia”. Preoccuparsi oggi di ciò che dopo si dirà di questi giorni, significa voler scrivere oggi - e probabilmente predisporre i documenti ovvero lasciandone alcuni, correggendone altri, forse anche occultandoli o distruggendoli - la storia ufficiale (o quella che si vuole che sia ufficiale) di domani. David
Bidussa,

storico sociale delle idee
david bidussa  
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  Qui Locarno - Eran Riklis (Israele) vince il premio di Piazza Grande

LocarnoEra il film che aveva dalla sua i favori del pronostico. Le previsioni della vigilia si sono rivelate corrette: The Human Resources Manager del registra israeliano Eran Riklis (nell'immagine a fianco) ha vinto il Premio del Pubblico al Festival del Cinema di Locarno. Quello ticinese è l’ennesimo riconoscimento alla grande profondità dei temi trattati dal cinema israeliano, che negli ultimi anni ha ottenuto un crescente riscontro in termini di pubblico e critica. Pellicole come La sposa siriana e Il giardino di limoni (entrambi di Riklis) o come Valzer con Bashir e Lebanon mettono d’accordo i critici di mezzo mondo: fare la fila al botteghino vale la pena. Non è dunque un caso che Israele fosse presente a Locarno con cinque film, schieramento più numeroso tra i paesi mediorientali, e ci sia venuto portandosi un ambasciatore d’eccezione: il grande vecchio Menahem Golan, che nel passato ha legato il suo nome ad alcuni capolavori hollywoodiani e che in Piazza Grande ha ritirato il Premio Rezzonico assegnato al miglior produttore di cinema indipendente in attività.

Enrico LeviThe Human Resources Manager (a fianco una scena del film), tratto dal libro omonimo di Abraham Yehoshua, racconta la storia di un responsabile delle risorse umane del più grande panificio di Gerusalemme che entra in crisi dopo essere stato abbandonato dalla moglie e dalla figlia. Una sua dipendente straniera muore in seguito a un attentato kamikaze ma nessuno ne reclama il cadavere. La stampa accusa l’azienda di disumanità e indifferenza, così la direttrice lo invita a risolvere la faccenda il prima possibile per evitare di procurare un danno eccessivo al panificio. Il manager parte per un travagliato viaggio che lo porta, in compagnia della salma e di un piccolo gruppo di persone ben caratterizzate nei loro aspetti più singolari, nel villaggio rumeno in cui è nata la donna. Lungo il tragitto la combriccola si imbatte nei personaggi e nelle situazioni più assurde. Stimolo per guardare al futuro con ottimismo, il film parla col linguaggio dell’ironia di un duplice itinerario: quello su strade e sentieri scalcinati (che si concluderà a bordo di un carro armato sovietico) ma anche quello alla scoperta dei nostri dissesti e squilibri interiori. Il protagonista è un uomo frustrato che odia il suo lavoro e che ha perso di vista i propri ideali, incapace di gestire se stesso e di aiutare gli altri: il viaggio è l’ultima opportunità per dare una svolta decisiva nella sua vita senza rotta e senza felicità.

Enrico Levi
Nel cast tra gli altri Alfi Guri e Mark Ivanir (nell'immagine assieme a Riklins), che Steven Spielberg ha voluto in Le avventure di Tin Tin: il segreto dell’unicorno, a breve nelle sale.




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Qui Livorno - Quando il rav Elio Toaff declamava versi in bagitto

Enrico LeviEnrico Levi, giornalista livornese vissuto a cavallo tra Ottocento e Novecento, quando riceveva comunicazioni scritte provenienti dalla Comunità ebraica le buttava nel cestino senza neanche aprirle. “Lo chiamano il pittoresco bagitto ma fa schifo a sentirlo parlare”, commentava sdegnato. Povero bagitto: il caratteristico gergo vernacolare degli ebrei livornesi non ha mai avuto fortuna tra gli intellettuali. Lingua bassa già a partire dal nome - l’origine è nel termine spagnolo bajito che significa “cosuccia da poco” - è una miscela sviluppatasi nel diciottesimo secolo che assorbe le molte identità della Livorno giudaica. Nel suo vocabolario, composto in prevalenza da modi di dire piuttosto che da una vera e propria grammatica, parole italiane si mescolano a termini spagnoli, ebraici, portoghesi e arabi, dando vita a fusioni dal timbro vivace e talvolta incomprensibile. Sono parole che da secoli circolano anche nella società esterna. Se andate in una pasticceria del centro di Livorno e chiedete di assaggiare una specialità del posto, con tutta probabilità vi consiglieranno le roschette, gustose e fragranti ciambelline il cui nome è proprio di derivazione bagitta. “Le roschette sono solo uno dei tanti esempi di questa contaminazione linguistica”, spiega Pardo Fornaciari, scrittore satirico e primo studioso ad occuparsi in modo scientifico delle origini del bagitto (pochi altri lo hanno fatto in seguito, tra cui lo studioso di ebraismo e parlate ebraiche Umberto Fortis). Pardo è un vero segugio. “Se sento qualcuno parlare bagitto lo riconosco al volo. È un linguaggio inconfondibile, ricco di nasalizzazioni, scambi di consonanti e modi di dire mutuati dai testi sacri”. È uno studente liceale quando si imbatte nei sonetti antisemiti di Giovanni Guarducci. Quel linguaggio colorito lo incuriosisce e decide di approfondirlo. Le ricerche si rivelano difficili, soprattutto per la mancanza di tracce scritte. “Ad eccezione del commediografo Guido Bedarida e di pochi altri tra cui Mario Della Torre e Cesarino Rossi, non esiste una vera e propria letteratura. Il bagitto ha dato più spesso luogo a strumentalizzazioni di giudeofobi che canzonavano gli ebrei per il loro modo di esprimersi che a una produzione letteraria “. Quel gergo scompare quasi del tutto dopo la fine della seconda guerra mondiale, spiega Fornaciari. “Già a inizio del secolo scorso sbagittare era considerato indecoroso e indice di mancanza di cultura, superstizione, scarsa integrazione e limitatezza mentale”. Autore di numerosi lavori tra cui Fate onore al bel Purim, volume in cui sono pubblicati decine di sonetti e composizioni in bagitto, Fornaciari ha da poco lasciato il frutto delle sue ricerche a un giovane laureato. Si chiama Alessandro Orfano e nella sua tesi ha analizzato le peculiarità del pittoresco linguaggio ebraico in salsa livornese. Dal 2006 al 2008 ha intervistato gli ultimi ebrei che parlano o ricordano il bagitto e ha poi utilizzato le varie testimonianze orali raccolte per realizzare un dvd (finanziato dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e da alcuni giorni in distribuzione gratuita) in cui i file audio si affiancano a un ricco glossario di oltre 200 termini. Orfano, la cui tesi sta per essere pubblicata dalla casa editrice Gaia Scienza, racconta un aneddoto curioso: “Non tutti lo sanno ma il bagitto resiste ancora in parte tra i commercianti del mercato Buontalenti, che lo utilizzano per non farsi capire dai clienti”. Gabriele Bedarida, memoria storica della Comunità ebraica di Livorno, non è un commerciante ma quel gergo lo conosce bene: suo padre Guido è stato il più importante commediografo in bagitto. Guido Bedarida si firmava con lo pseudonimo di Eliezer Ben David e aveva inventato uno stemma personale raffigurante un leone. Aveva inoltre messo in piedi una compagnia teatrale che recitava i sonetti e le commedie in vernacolo. Tra quei giovani attori, anche il futuro rav Elio Toaff. Uomo distinto e posato, il figlio di Guido estrae dal cassetto un giornale. È il Sor Davar, numero unico edito dal circolo giovanile ebraico di Livorno nel 1962, che tra le sue pagine ospita due sonetti di Cesarino Rossi. Si alza in piedi, fa un sorriso, schiarisce la voce e comincia a recitare.

(nell'immagine Gabriele Bedarida con una la copia de Il Sor Davar pubblicato per la prima e unica volta nel 1962)

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche, agosto 2010


Sorgente di vita: da Yuri Foreman, pugile rabbino,
ai mimi-attori israeliani che raccontano la Shoah


logo sdvLa singolare storia di Yuri Foreman, pugile e ‘quasi’ rabbino, apre la puntata di Sorgente di vita di domenica 15 agosto. Campione del mondo dei superwelter, nato in Bielorussia, emigrato in Israele e approdato a New York nel mondo della boxe, Foreman si racconta tra gli allenamenti in palestra e la lezione in yeshivà, dove studia da tre anni per diventare rabbino.
Segue l’ultima intervista di Mayer Kirshenblatt, il pittore che dipingeva a memoria il mondo della sua infanzia, lasciato nel 1934 per emigrare in Canada con la famiglia: la preghiera, il lavoro, i personaggi, le gioie e i dolori della vita quotidiana nella cittadina polacca di Opatow, descritta fin nei minimi dettagli, fissati per sempre nei ricordi di bambino.
Infine lo spettacolo “Stones”: sei mimi-attori israeliani portano in scena a Torino il monumento alle vittime della Shoah e ai resistenti del ghetto, posto dove sorgeva il ghetto di Varsavia. Le statue si animano sulla scena in una performance ricca di emozioni.
Sorgente di vita va in onda domenica 15 agosto alle ore 1,20 circa su Raidue.
La puntata verrà replicata lunedì 16 agosto alla stessa ora circa e lunedì 23 agosto alle ore 7 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche online.

 
 
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  Davar Acher - Lo scontro di civiltà

ugo volliL'idea di uno "scontro di civiltà", proposta da Samuel Huntigton in un articolo del 1993, è diventato una specie di tabù per il perbenismo intellettuale. Esso in realtà si opponeva al pensiero neoliberale del tempo (Fukoyama), per cui la globalizzazione avrebbe portato per forza a una pace economica universale e alla "fine della storia". L'esperienza degli ultimi vent'anni mostra che Huntigton aveva sostanzialmente ragione e che alla base dei numerosi conflitti attuali vi sono non solo conflitti economici tutt'altro che sopiti, come la lotta per l'accesso alle materie prima, ma soprattutto una dimensione di "teologia politica" (così definita da Carl Schmitt e discussa acutamente da quell'anomalo ma importante pensatore ebraico che è Jacob Taubes. Il punto acuto dello scontro di civiltà si incentra oggi sulla pretesa teocratica dell'islamismo, cioè sulla sua spinta a estendersi a tutto il pianeta e a non distinguere fra una sfera religiosa e una civile.
Il cristianesimo, fin dai tempi di Gesù ("date a Cesare...") o almeno di Costantino, ha accettato in linea di principio la separazione delle due sfere. La tradizione ebraica conosce bene la teocrazia; la parola è stata inventata da Giuseppe Flavio proprio per descrivere il potere politico dei Grandi Sacerdoti durante il Secondo Tempio (che fu peraltro soprattutto interno, rientrando Israele nella sfera di potere di grandi imperi). E nelle Scritture si discute sulla legittimità stessa di un'autonoma sfera politica (cioè di un re): consentito con limitazioni sia nel Deuteronomio, sia con l'istituzione del regno di Saul, voluto dal popolo "per essere come gli altri" e accettato a malincuore da D-o come un "rifiuto" di Lui (raro esempio di volontà divina piegata a quel che non vuole). Sessant'anni fa Israele si è comunque rifondato come uno stato laico e democratico, in cui la fonte delle leggi è la volontà degli elettori e non quella divina. La dimensione teologico-politica dell'ebraismo resta (quante volte nelle preghiere invochiamo D-o come Melekh...) ma confinata nella sfera religiosa, salvo forse per i settori più estremi dello schieramento religioso. E soprattutto l'ebraismo non pretende di estendere le sue leggi e il suo potere agli altri popoli, accontentandosi di chiedere loro il rispetto delle generalissime norme etiche attribuite a Noè.
E' l'islamismo oggi che mette senza freni in gioco la teocrazia, predicando il divino come unica fonte di legge e di potere per tutti i popoli e negando ogni sistema politico che non ne derivi direttamente. E' una pretesa che costituisce un esplosivo fattore di sovversione interna e di scontro esterno. Quando si discute di religioni, dei loro diritti e della loro libertà, questa differenza dev'essere sempre tenuta in conto.

Ugo Volli
 
 
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Nucleare, Teheran fa paura a Israele
Il braccio di ferro non si allenta. «L'Iran continuerà il suo programma di arricchimento dell'uranio anche dopo l'avvio della centrale di Bushehr in Russia, perché ne ha bisogno per le sue future centrali nucleari», ha sentenziato Alaeddin Borujerdi, presidente della commissione Esteri e Sicurezza Nazionale del Parlamento, sfidando il portavoce della Casa Bianca, Robert Gibbs, che aveva detto che Teheran non aveva alcuna necessità di portare avanti l'arricchimento in proprio. Ma se gli americani pensavano che l'avvio della centrale russa il 21 agosto prossimo bastasse agli iraniani che hanno accettato che una parte della produzione avvenga all'estero, si sbagliavano. «Il portavoce della Casa Bianca ha esordito Borujerdi dovrebbe migliorare la sua conoscenza sul nucleare. In Parlamento abbiamo votato una legge che impone al governo di produrre 20 mila megawatt di energia da centrali nucleari e ci significa costruire 20 reattori come quello di Bushehr. Per gli impianti abbiamo bisogno di combustibile e quindi dobbiamo arricchire l'uranio in proprio e lo faremo». Non bastano le sanzioni, non bastano le minacce, l'Iran che non vede ragioni per non produrre il nucleare, prosegue il suo programma. D'altra parte Teheran è pronta a scommettere che il presidente americano Obama, travolto dalla crisi e dalla costosa guerra in Afghanistan, non abbia né la forza né le risorse finanziare per azioni più drastiche; nemmeno il suo predecessore, il falco Bush, aveva mai veramente pensato che scatenare un conflitto con l'Iran fosse un'opzione possibile. Lo è invece per Israele: ne è sicuro il giornalista Jeffrey Goldberg che sulla rivista Atlantic ha scritto, dopo aver intervistato 40 autorità influenti israeliane, che c'è il 50% di possibilità che Israele attacchi in modo unilaterale l'Iran entro il luglio prossimo. I timori di Israele vicino di casa di un Paese che ne minaccia l'esistenza e a un passo dalla possibilità di creare un ordigno nucleare, sono leciti, ma nel corso degli anni, fu proprio l'intelligence israeliana a cercare di mantenere i toni bassi sulla possibilità di un intervento militare. Ma oggi, in un Medio Oriente sempre più caldo, Goldberg, che prima della guerra in Iraq sosteneva vivacemente i legami di Saddam con al Qaeda poi smentiti dagli stessi americani, è un giornalista vicino agli ambienti della destra israeliana al potere e avverte che un attacco può essere inevitabile. [...]
Barbara Schiavulli, il Messaggero, 15 agosto 2010

«L'Olocausto può ripetersi»
Cortina - «L'olocausto ha cancellato 20 milioni di ebrei in cinque anni, senza un perché. Ci uccidevano come insetti: non ci riprenderemo mai da quello che abbiamo perso». Lo ha detto Abraham Yehoshua ieri dal palco di Cortina InConTra. «Per questo l'antisemitismo mi preoccupa ha spiegato lo scrittore israeliano. Può succedere di nuovo, velo devo dire. E possiamo evitarlo con la democrazia, combattendo contro il razzismo». E ha aggiunto: «Dobbiamo cercare la pace altrimenti saremo tutti vittime di un nuovo disastro: gli ebrei come i palestinesi».
Il Corriere della Sera, 15 agosto 2010

Obama, un presidente troppo “europeo”
A Washington si ostenta un certo distacco dalle tragedie. L'oltraggio, a suo tempo inflitto dai terroristi di Al Qaeda all'edificio del Pentagono, sembra ormai un brutto incidente remotissimo e pressoché dimenticato. L'aria: più distesa, assai meno congestionata di quella che si respira a New York, conferisce alle ampie strade non oppresse dalla verticalità dei grattacieli; alla stessa facciata orizzontale della Casa Bianca, quel tocco di capitale illuminata e imparziale destinata a filtrare i chiaroscuri di una congerie di Stati non sempre uniti nelle idee, nelle leggi, nelle tradizioni, nei pregiudizi etnici e nella rilettura della dichiarazione dell'Indipendenza. A New York, invece, tragedie e disastri si possono toccare con mano. Si vedono fisicamente, a poca distanza l'uno dall'altro, i luoghi dei tremendi crolli che dal World Trade Center a Wall Street hanno sconvolto l'America nel primo decennio del Duemila. La psicosi e la tensione non smettono di rodere gli animi. A Manhattan, mentre il segno meno della Borsa sfinita continua a incombere, i postumi dell'11 settembre stentano ad estinguersi. È ancora vivo il ricordo, piuttosto recente, di un immigrato legale d'origine musulmana che aveva tentato di far saltare un'autobomba nel cuore di Times Square. Da alcuni giorni poi divampala polemica intorno al progetto di una moschea a tredici piani, con auditorium, piscina, palestra, spazio per pregare, il tutto sponsorizzato dal noto e controverso imam americano Feisal Abdul Rauf. Il luogo di culto e di cultura, che costa per ora sulla carta 100 milioni di dollari, dovrebbe chiamarsi Cordoba House e sorgere a due isolati dal grande vuoto di Ground Zero. Il nome Cordoba, dato al progetto dall'imam moderato, propenso al dialogo, accusato per di considerare Hamas un'organizzazione umanitaria, vorrebbe evocare l'epoca d'oro in cui l'antica città spagnola, negli anni bui del Medioevo, era popolata di musulmani, ebrei e cristiani intenti a creare tutt'insieme un'oasi d'arte e di scienza. L'idea e la sua motivazione storica, benché approvate dal sindaco repubblicano Michael Bloomberg, sono state subito contestate come «offese deliberate» dall'ex presidente repubblicano della Camera Newt Gingrich: «Cordoba ricorda un periodo in cui i conquistatori musulmani governavano la Spagna». Consensi allo spirito d'apertura e di tolleranza multiculturale hanno continuato a scontrarsi con le proteste dei parenti delle vittime che, manifestando intorno alle macerie delle Torri Gemelle, invitavano i newyorkesi a «non glorificare l'omicidio dei Tremila». Infine Barack Obama, improvvisandosi giudice presidenziale, ha arbitrato ieri la disputa con un sì autorevole: «La libertà di culto è diritto inalienabile». Niente comunque di consimile nella capitale dove governa o, secondo gli oppositori, sgoverna lo stesso Obama. Oggi come ieri, come ai tempi di Jefferson e di Tocqueville, turbolenze e nevrosi provenienti dai vari States tendono a smussarsi approdando a Washington: qui si stemperano nel passaggio attraverso il setaccio di una razionalità burocratica ordinatrice e in qualche modo olimpica. L'impronta illuministica, voluta dai fondatori del centro amministrativo di una confederazione di stati orgogliosi della propria indipendenza, bellicosi, rivendicativi, in continua trasformazione ed espansione tra due oceani e spazi selvaggi, ha finito per conferire a Washington un'aura diversa: più europea, più neutra, quasi appartata rispetto alla tumultuosa complessità della società americana. […]
Enzo Bettizza, La Stampa, 15 agosto 2010 

 
 
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Europei basket - Israele batte Montenegro                                       
e si riporta in testa al girone 
Per mantenere le velleità di primato nel girone di qualificazione ai prossimi Europei di basket c’era un solo risultato possibile: la vittoria. E vittoria è stata, il 77 a 73 con cui la nazionale israeliana ha sconfitto Montenegro sul parquet della Nokia Arena di Tel Aviv riapre la corsa per la leadership e proietta il quintetto di casa in testa alla classifica del raggruppamento. L’incontro è stato molto equilibrato (40 a 40 al termine della seconda frazione e 72 a 72 quando mancavano pochi minuti alla fine), Israele ha prevalso solo negli ultimi istanti di gioco grazie alla maggior lucidità sotto canestro dei suoi assi. Straordinaria la prestazione di Omri Casspi, 30 punti e indiscusso uomo partita. Adesso il calendario prevede per martedì sera la sfida (sempre a Tel Aviv) contro la nazionale italiana. Gli azzurri di mister Pianegiani arrivano affamati di punti e intenzionati a vendicarsi della sconfitta interna patita nel match di andata. Ma Israele, guarito dal mal di classifica dopo il clamoroso ko finlandese della scorsa settimana, parte con i favori del pronostico e vede la Lituana più vicina.

CLASSIFICA GIRONE A

ISRAELE 6, MONTENEGRO 6, LETTONIA 4, FINLANDIA 4, ITALIA 2


Shoah: Centro Wiesenthal e Shimon Peres, è polemica              

Gerusalemme, 14 ago -
Epharim Zuroff, direttore del Centro Wiesenthal si è detto “deluso e sorpreso” del discorso del presidente israeliano Shimon Peres a Bucarest. Il presidente ha elogiato coloro che in Romania contribuirono a salvare dalla Shoah numerosi ebrei, di cui circa 400 mila sono poi emigrati in Israele. Zuroff, in un nota diffusa ai media, rimprovera Peres d'aver evidenziato solo una parte della storia. In particolare il direttore del Centro si rammarica del fatto che egli abbia mancato di rimarcare al contempo "i crimini orrendi commessi dal regime (collaborazionista) di Antonescu contro il popolo ebraico" nei primi anni '40. Una dimenticanza in grado di produrre ''gravi conseguenze" sul fronte della Memoria, fa sapere il Centro Wiesenthal, sullo sfondo della tendenza crescente registrata in vari Paesi dell'Europa ex comunista a "minimizzare il ruolo svolto dai collaboratori locali dei nazisti nell'annientamento degli ebrei". Peres sembra aver accettato la critica e in un discorso tenuto ieri ha corretto il tiro: ha ricordato i crimini dei collaborazionisti romeni della Germania nazista, ma ha anche sottolineato come la Romania di oggi sia "un Paese democratico, del tutto diverso" da allora. La Romania ha negato per decenni ogni responsabilità nella Shoah, finché nel 2003 non ha accettato di sottoporsi al giudizio di una commissione internazionale di storici che ha stimato in 270 mila il numero degli ebrei uccisi nei territori amministrati da Bucarest fra il 1940 e il '44 e in 12-13 mila quello dei rom morti durante la deportazione.

 
 
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