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L'Unione informa
 
    27 agosto 2010 - 17 Elul 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  roberto colombo Roberto Colombo,
rabbino 
Un rabbino di Berlino si lamentò con rav Shimshon Refael Hirsch perché la sua Comunità lo considerava di poco conto non essendo riuscito a  laurearsi in medicina. Hirsch gli rispose: "Il giorno in cui ai rabbini fu chiesto, come segno di modernità, di essere anche dottori, l'ebraismo ha cominciato ad ammalarsi". Rav Di Segni ha commentato ironicamente: il problema qui non è che la Comunità ha chiesto ai rabbini di essere dottori, ma al dottore di fare il rabbino. 
"La violenza verbale, malgrado i suoi rischi molto gravi, lascia all’essere umano l’ integrità fisica, l’ intelligenza, la dignità, la libertà, una scelta: silenzio, risposta. La violenza fisica ha invece qualcosa di irrimediabile, perché toglie il suo statuto di dignità e di libertà all’essere umano". (Emmanuel Levinas) 
Sonia
Brunetti Luzzati,
pedagogista
sonia brunetti  
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  Qui Firenze - Unicoop tra gli sponsor
della Giornata Europea della Cultura Ebraica


millinNello scorso maggio dagli scaffali dei punti vendita Conad e Coop sparivano alcuni prodotti (provenienti dai Territori occupati) di Agrexco, nota azienda esportatrice, in parte di proprietà statale, con quartier generale a Tel Aviv. Boicottaggio? Il sospetto di molti era che alla base della decisione ci fosse l’intenzione - d’altronde iniziative analoghe sono all’ordine del giorno - di penalizzare l’economia israeliana. In quei giorni di grande tensione (poi rientrata) tra gli ebrei italiani e i vertici delle due catene di distribuzione, una delegazione guidata da Guidobaldo Passigli (nell'immagine), presidente della Comunità ebraica di Firenze, incontrava Franco Cioni, direttore delle politiche sociali di Unicoop Firenze che attualmente sta lavorando ad alcuni progetti sul conflitto mediorientale, per cercare di sanare la frattura. Nel corso dell’incontro, oltre al chiarimento desiderato (“ho spiegato al presidente Passigli che i giornali hanno ingigantito i fatti e da parte sua c’è stata molta comprensione”, dice Cioni), arriva la proposta di lanciare un messaggio forte alla società, coinvolgendo Unicoop tra gli sponsor della Giornata Europea della Cultura Ebraica fiorentina. Guanto di sfida raccolto: a partire da lunedì i manifesti della GECE 2010, che si svolgerà domenica 5 settembre con tema Arte ed ebraismo, saranno esposti in oltre cinquanta punti vendita delle province di Firenze e Siena (prevista anche una vasta diffusione a livello regionale), mentre sul prossimo numero della rivista settimanale edita dalla Coop che raggiunge circa un milione di soci sparsi per la Toscana, ci sarà una mezza pagina di pubblicità dedicata alla manifestazione. Probabile, anche se ancora da confermare, l'intervista a uno dei protagonisti della Giornata per Informacoop, trasmissione che fa parte del palinsesto di alcuni canali televisivi cittadini. “Era necessario ripartire col piede giusto dopo le incomprensioni di maggio - spiega Cioni -. Trovo che la sponsorizzazione di un evento così ricco di significato sia il modo migliore per dimostrare il profondo rispetto e l’amicizia che ci legano alla Comunità ebraica di Firenze”. Amicizia che va avanti da anni: Unicoop Firenze era uno degli sponsor della Giornata Europea della Cultura Ebraica già nel 2008. “Le diversità sono un valore e non un qualcosa da assopire, per questo partecipiamo con entusiasmo a iniziative di questo genere”, conclude Cioni.

Adam Smulevich


Bejahad 5770 - Tyberg, la Terza sinfonia torna alla luce

millinRiemerge dal passato, dopo quasi ottant’anni, la terza sinfonia di Marcel Tyberg, salvata fortunosamente dall’oblio prima che la tragedia della Shoah si abbattesse inesorabile sul compositore di Abbazia, morto ad Auschwitz nel 1944.
Questo straordinario lavoro è disponibile da oggi in un cd dal titolo Symphony No. 3 - Trio per piano, prodotto dalla Naxos. Un pubblicazione musicale realizzata grazie al contributo della Foundation for Jewish Philanthropies e all’impegno di JoAnn Falletta, direttore della orchestra sinfonica di Buffalo, che nei mesi scorsi ha messo in musica il componimento perduto durante una serie di performance dal vivo.
Completata alla fine degli anni ’30, la terza sinfonia di Tyberg propone un poetico viaggio in Re minore, che ha inizio con un gradevole pizzicato sulle corde più basse, seguito dal richiamo annunciatorio della tuba tenore. La musica segue un percorso che ha la struttura della sonata, caratterizzato da una varietà di temi e sviluppi. Il fraseggio risulta essere decisamente più rapsodico che strutturato, una complessa fantasia che coniuga sfumature tipiche dello stile di Bruckner ad astrazioni Mahleriane. La ricercatezza di Tyberg è inoltre rappresentata dai diversi spunti di stile che troviamo nel procedere dell’esecuzione: Appassionato, Misterioso, Con passione, Tranquillo.
Una coda breve e suggestiva si dissolve in chiusura con un nebuloso pizzicato in toni bassi. E tuttavia il secondo movimento, lo Scherzo: Allegro non troppo in Re minore, offre uno sprazzo tardo-romantico in tre quarti. Con cambiamenti ironici di tempo, un fluire armonico beffardo e una filigrana giocosa che attraversa l'orchestra, tutto finisce troppo presto con un rapido accenno al motivo principale da parte dei fiati e degli archi più bassi. Parlando del periodo romantico, Tyberg propone, nel terzo movimento, l’Adagio, le atmosfere del sogno con un’affascinante cantilena d’archi, dolcemente replicata dai fiati. Il fraseggio suggestivo si fonde attraverso variazioni successive di chiave e timbro, con assoli intimi del violino e dei fiati, avvolti dal calore degli ottoni e dal lussureggiare degli archi. La scena pastorale si chiude in Si bemolle maggiore, con un lontano eco di corni.
Nel Rondò finale c’è tutta la furia tipica della produzione ottocentesca, a cui Tyberg rende magistralmente omaggio, lasciando poi che la musica prenda il volo sgattaiolando via leggera. Il tributo si apre con una fiammata giocosa del corno solista, a cui rispondono i tromboni con incursioni di archi. Le sequenze di variazioni del rondò offrono un assaggio congiunto di tutte le sezioni, con un ulteriore contrappunto colorito. Strada facendo, il brano è attraversato da un umorismo accattivante e intrigante e da stuzzicanti ombreggiature armoniche. Ma in un batter d'occhio, gli archi si precipitano nuovamente verso la chiusura, cadenzati dall'insieme dell’orchestra.
Un’opera che esprime a pieno il talento e la maestria di un compositore fino ad oggi sconosciuto, una musica, quella di Marcel Tyberg, analitica e speculativa allo stesso tempo, colma di uno spirito romantico che si ispira alle atmosfere di Beethoven e Mendelssohn.

Michael Calimani



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Qui Abbazia - L’uomo che inventò il Valium 

SternbachOltre dieci milioni di persone nel mondo, ogni giorno, combattono paure, stress, insonnia, dolore fisico, ansia e fobie con il diazepam. Tanto che il Valium (questo il suo nome commerciale) è stato inserito dall’Organizzazione mondiale della sanità nella lista dei farmaci essenziali per un sistema sanitario di base. L’inventore di questa preziosa risorsa per l’umanità è Leo Sternbach, ebreo del Quarnero, uno dei più importanti chimici del Novecento. Giovane di grande talento, nato nel 1908 nella splendida cittadina costiera di Abbazia, manifestò precocemente una spiccata predilezione per la disciplina chimica. Continuò i suoi studi lungo questo filone e, nonostante il clima politico dell’Europa non fosse dei più favorevoli per un giovane studente ebreo, ottenne il dottorato all’Università di Cracovia. Sternbach amava la chimica e credeva anche che potesse essere di grande aiuto agli uomini. Per questo non volle rilevare la farmacia del padre. Ma scelse di dedicarsi alla ricerca, sua vera passione che portò avanti fino a 95 anni, quando ancora si recava ogni giorno in laboratorio. Anche se questa scelta professionale non lo rese mai molto ricco, ne fu profondamente appagato: “Ho sempre fatto ciò che ho voluto”, dichiarò infatti più volte a proposito del suo lavoro. Forse anche per questo ebbe molte soddisfazioni dalla sua carriera, culminata nel riconoscimento più alto, poco prima della morte: l’inserimento nella National Inventors Hall of Fame, la più importante istituzione americana che premia chi contribuisce all’avanzamento tecnologico dell’umanità. Terminati gli studi, Leo Sternbach trovò lavoro a Basilea, alla Hoffman - La Roche, la maggiore casa farmaceutica svizzera. Il suo rapporto con l’azienda durò tutta la vita, proseguendo dall’altra parte dell’oceano. Fu infatti La Roche ad aiutare Sternbach a fuggire, nel 1941, verso gli Stati Uniti per scappare dalla furia nazista. Stabilitosi in New Jersey, lo scienziato, riprese a lavorare negli stabilimenti americani della stessa azienda e vi conseguì i suoi maggiori risultati. Depositò infatti 241 brevetti, sintetizzò sostanze ancora fondamentali contro l’insonnia e l’epilessia, fu uno dei chimici più prolifici di sempre. Ma la scoperta che lo rese famoso avvenne nel 1958: utilizzando scarti di vecchi esperimenti arrivò a sintetizzare, seppur in una forma ancora rozza e perfezionabile, il capostipite delle benzodiazepine, un composto chimico che è alla base di tutti gli ansiolitici diffusi nel mondo oggi. Il brevetto numero 3.371.085, con cui Sternbach registrò la sua invenzione, sancì l’inizio di una nuova era della psicofarmacologia. Prima di allora la cura di fenomeni di ansia acuta era spesso peggiore della malattia. Se il paziente cercava una soluzione farmacologica doveva rivolgersi a sostanze tossiche come i barbiturici. La situazione cambiò del tutto nel 1960, quando la Roche mise in circolazione il Librium, il primo farmaco commercializzato della classe delle benzodiazepine, un’alternativa efficace, sicura e dall’azione rapida che rivoluzionò il trattamento medico dell’ansia e dei disturbi compulsivi. Nel 1963 Sternbach mise a punto il Valium, che presto divenne il farmaco più venduto in America e dal ‘69 all’82 fu in assoluto il farmaco più prescritto in tutto il mondo. La Roche stessa e altre compagnie ne commercializzarono molte varianti, tra cui il Lexotan, lo Xanax e l’Atavan. In oltre quarant’anni di diffusione mondiale le benzodiazepine hanno dimostrato di essere efficaci e sicure. Tuttavia non sono mancate pagine oscure nella storia di questo farmaco. Presentato come una panacea appena uscito e diffusosi su scala larghissima, ha cominciato a essere considerato “l’aiutino della mamma”, come cantavano i Rolling Stones negli anni ‘60, sempre più irrinunciabile nelle famiglie della borghesia piccola e infelice, delusa dal sogno americano, fino a essere usato come vera e propria droga da sballo dai giovani negli anni Ottanta e Novanta. Assunto in modo opportuno, invece, rimane il migliore farmaco del suo genere mai inventato. Nella migliore tradizione dei chimici, Leo Sternbach sperimentò in prima persona le sue sostanze. Il Librium lo faceva sentire stanco – disse – mentre il Valium lo deprimeva. “Per chi non ne ha bisogno – sosteneva lo scienziato – è meglio un bicchiere di whisky”. Non sapeva che Liz Taylor, nel dubbio, li prendeva insieme. 

Manuel Disegni, Pagine Ebraiche, luglio 2010
 
 
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  Hanno vinto loro?

anna segreCon qualche giorno di ritardo leggo su l’Unione informa della polemica sull’opportunità di costruire una moschea non lontano da Ground Zero. Noto che alcuni commenti danno per scontata la contiguità, se non l’identità, tra gli assassini dell'11 settembre e l’Islam in generale. In questo modo riconosciamo a un gruppo di terroristi il diritto di rappresentare tutti i musulmani del mondo. E’ certamente quello che volevano ottenere. Che questo diritto di rappresentanza sia legittimo, però, mi sembra discutibile (chi li ha eletti?). Che sia opportuno riconoscerglielo mi pare ancora più discutibile: perché concedere a tavolino una vittoria che, per fortuna, non hanno ottenuto sul campo?.

Anna Segre, insegnante

 
 
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Si farà la pace? Gli sforzi profusi dall’amministrazione Obama per la ripresa dei colloqui tra israeliani e palestinesi produrranno finalmente un accordo ragionevole, tale soprattutto perché sinceramente condiviso e quindi rispettato? Negli ultimi dieci giorni le fanfare hanno ripreso a suonare e i tamburi a rullare. Ma è innegabile che lo scetticismo sia molto diffuso. Non lo possono esibire gli americani, in quanto patrocinatori, dopo venti mesi di silenzio tra le due delegazioni, di un nuovo round di conversazioni. (Chiamiamole così, in assenza d’altro.) Né è consentito ai due contendenti manifestare un eccesso di titubanze, pur esprimendo a chiare lettere, ognuna per la sua parte, le premesse alle quali sono disposte a riprendere una qualche forma di confronto che non sia quello delle vie di fatto: se per Gerusalemme è imprescindibile, nell’avviare una discussione, l’inesistenza di «precondizioni vincolanti» (che nel linguaggio del dicastero Netanyahu indica la possibilità di potere procedere, dopo il 26 settembre, data in cui terminerà la moratoria nella costruzione di nuove abitazioni negli insediamenti ebraici in Cisgiordania, all’edificazione di nuovi vani) per Ramallah vale il principio esattamente opposto, ovvero l’inaccettabilità di qualsiasi atto che dovesse mutare lo status quo territoriale. La qual cosa, che in sé è tale da potere implicare una paralisi reciproca al tavolo delle trattative, sarà il vero terreno di confronto e, presumibilmente, di scontro, dal momento in cui, il 2 settembre, inizieranno le sessioni di lavoro tra i diretti interessati. Peraltro, estranea a qualsiasi trattativa è Hamas che, nell’intervista che Umberto De Giovannangeli pubblica oggi su l’Unità, scaglia, per bocca di Ismail Haniyeh, un vero e proprio anatema. Su un conflitto oramai canuto - peraltro - c’è anche chi si esercita artisticamente. All’oramai prossima edizione del festival di Venezia concorrerà anche un film, «Miral», firmato da Julian Schnabel. Di che cosa si tratti ce lo dicono Wlodek Goldkorn su l’Espresso e Pietrangelo Buttafuoco su Panorama (al lettore professionale della stampa non può sfuggire che la testimonial della pellicola è Rula Jebreal, dal cui romanzo è tratta la sceneggiatura: la promozione è senz’altro garantita dinanzi ad una figura commercialmente così seducente). Ma al di là dei vincoli di principio, il vero enigma è a cosa voglia aspirare l’amministrazione americana. Poiché se in linea di principio nulla è insuperabile, come passate vicende si sono incaricate di dimostrarci, deve tuttavia sussistere una meta e un arbitro negoziale in grado di farla raggiungere ai contendenti. Mentre in questo caso, al di là del pur legittimo interesse americano ad incassare una cambiale – la sedazione di un vecchio confronto tra due comunità nazionali – da spendere in termini di autoaccreditamento nell’altrimenti difficile nonché ostile proscenio internazionale, ben poco d’altro parrebbe potersi vedere di concreto. Lo stato dell’arte per Washington è, al momento, a dir poco problematico: ritiro da un Iraq dove gli equilibri politici sono così precari da potersi frantumare in un sol colpo, come sottolinea Alberto Negri sul Sole 24 Ore di giovedì 26 agosto; le ripetute difficoltà militari (e non solo) in un Afghanistan controllato solo per piccola parte, sulla scorta della precedente, fallimentare esperienza sovietica; la possibile crisi del Pakistan, potenza nucleare stretta tra la morsa delle alluvioni, la pressione islamista e la colpevole negligenza della sua leadership politica; il rinnovato attivismo russo in Iran, che ha di fatto posto sotto il suo patrocinio il programma di sviluppo nucleare civile del paese (la cui nascita data a più di trentacinque anni fa, per volontà degli stessi americani); lo spostamento di baricentro della Turchia verso l’Oriente e altro ancora, non da ultimo il non nuovo focolaio di instabilità che deriva dalla Somalia, ossia dal montare della violenza fondamentalista e dal suo costituire un oramai concreto pericolo per tutto il Corno d’Africa. Israeliani e palestinesi (che non sono due entità omogenee ed equivalenti, anche se per convenzione vengono accomunate: nel primo caso parliamo di una comunità politica e amministrativa che ha tutti i crismi di un moderno Stato nazionale, a partire dall’esercizio esclusivo della propria giurisdizione su una determinata porzione di terra; nel secondo caso ci riferiamo ad una comunità sociale che aspira a dare seguito ad un percorso di costruzione di una propria entità statuale) scontano, per parte loro, difficoltà e ritrosie nei rispettivi campi riguardo a ciò che resta di qualsivoglia ipotesi di un rinnovato «processo di pace». Così, tra i tanti articoli usciti in questi giorni, si legga quello pubblicato sul Foglio del 25 agosto dove è raccontato «perché Netanyahu teme il suo governo alla prova dei negoziati». Il primo punto critico è, come già si ricordava, il 26 settembre, laddove l’esecutivo israeliano rischia di dividersi al suo interno, come ci ragguaglia Joshua Mitnick sul Wall Street Journal del 26 agosto. Va allora anche in questa direzione, forse, la designazione “preventiva” di un nuovo Capo di stato maggiore delle forze armate israeliane nella persona di Yoav Galant, all’interno di una riconsiderazione generale dei compiti e degli strumenti di cui Tsahal dovrà dotarsi per i tempi a venire, come sottolinea Pierre Chiartano su Liberal di mercoledì. Nell’edizione di Le Monde del giorno precedente, martedì 24 agosto, Benjamin Barthe ha invece raccolto le perplessità e le disillusioni serpeggianti tra alcuni palestinesi della Cisgiordania, per i quali la trattativa costituisce una «mascarade» (ossia una farsa). Significativo il passaggio conclusivo dell’articolo, dove uno degli intervistati recita una sorta di epitaffio quando afferma che «per resistere occorre un leader e una ideologia. A Gaza abbiamo Hamas e la sua ideologia étrange [strana poiché straniera, importata dall’esterno]. In Cisgiordania non abbiamo nulla. Le persone hanno perso il desiderio di battersi per il loro diritti». Ma c’è una questione che sta a monte, ed è qualcosa di più di un fraintendimento lessicale. Si parla, infatti, di «pace» come dell’obiettivo al quale aspirare. Nulla da obiettare in linea di principio. Tuttavia, se si entra nel merito della natura del confronto ci si rende conto dell’intrico e della stratificazione che stanno alla sua origine. Il conflitto israelo-palestinese è letto come reiterazione bellica, ovverosia come una guerra, sia pure atipica, che da decenni perdura e che, per essere risolta, richiederebbe un accordo prevalentemente “militare” tra due contendenti. In realtà la trama delle cose non è così evidente e immediata poiché anche quella parola fondamentale, la «sicurezza», che è il nocciolo delle richieste degli uni come degli altri, ha significati e contenuti molteplici. Tale fatto complica ancora di più qualsiasi ipotesi di negoziazione, presente o futura che sia. Se ha senz’altro fondamento il ricorso alla categoria del «conflitto», inteso come un contenzioso di lunga durata, a volte anche armato, tra due opposti gruppi, dai profili identitari più o meno ben definiti, assai meno congruente è oggi il parlare di guerra se con questa parola si intende qualcosa che demanda a due fronti chiaramente contrapposti, dotati di eserciti nazionali e di giurisdizioni omologhe, con un avvio ma anche una prevedibile conclusione, che avvantaggi esclusivamente l’uno a scapito totale degli interessi dell’altro. L’asimmetria di ruoli e funzioni è il tratto dominante in questo scenario a bassa intensità (un numero non elevato di morti, distribuito in un ampio lasso di tempo, all’interno di un confronto basato più sul logoramento di lungo periodo che non sugli esiti degli scontri immediati, in campo aperto) e la difficile ricomponibilità di un rompicapo territoriale, ma anche identitario, sta tutta nella interconnessione tra le parti in causa e nelle loro inevitabili specularità. Israeliani e palestinesi  da sempre condividono, sia pure con aspettative ed esiti diversi, comuni vicende nonché una identica porzione di terra, estremamente limitata, ora sezionata ma in ipotesi ancora aperta alla definizione delle linee di separazione. Si tratta, in questo caso, di una radice comune fortissima, che va al di là delle mutevoli volontà dei singoli protagonisti. Nell’apparente ripetizione, a tratti maniacale, degli stessi gesti, dei medesimi atti di ostilità si cela l’impossibilità di sfuggire da quella stretta vicinanza, ossia da una contiguità, che è spesso indice di commistione e ibridazione, anche se si finge di pensare l’esatto opposto. 

Claudio Vercelli

 
 
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Champions League - Niente big nel girone dell’Hapoel Tel Aviv
Girone di Champions League ostico (ma non terribile) per l’Hapoel Tel Aviv, alla prima frequentazione tra le grandi d’Europa. L’urna di Montecarlo, che propone accoppiamenti golosi come Milan-Real Madrid e Roma-Bayern, inserisce il club israeliano nel gruppo B insieme a Lione, Benfica e Schalke. I rossi di Tel Aviv, partendo in quarta fascia, rischiavano di incontrare l’elite del calcio continentale. Cioè tanti soldi al botteghino ma anche tanti dolori sul campo. Eventualità sfumata: Manchester, Inter, Barcellona & C. prendono altre strade. Il sorteggio, pur prevedendo incontri con compagini tecnicamente superiori, dà un responso più morbido del previsto e lascia intravedere all’orizzonte la possibilità di togliersi alcune soddisfazioni. La speranza di fare meglio del Maccabi Haifa, che nella scorsa edizione ha chiuso il proprio girone con zero punti e zero goal fatti, non è utopia. Difficile chiedere di più: gli ottavi di finale, considerata la caratura delle scuole calcistiche da affrontare, al momento sembrano fuori dalla portata.
Intanto da ieri sera l’Hapoel è l’ultima squadra israeliana ancora in lizza nelle competizioni europee: il Maccabi Tel Aviv, impegnato nel terzo turno preliminare di Europa League, è stato eliminato dai francesi del PSG. Inutile (anche se significativa) la vittoria interna per 4 a 3 nel match di ritorno. Per passare il turno, dopo il ko per 2 a 0 dell'andata, ci volevano tre goal di scarto.


Europei basket - Israele a un passo dalla qualificazione              
Missione quasi compiuta: la nazionale israeliana di basket vede la qualificazione ai prossimi Europei in Lituania sempre più vicina. Giovedì sera sono arrivati altri due punti, forse quelli decisivi, contro la Finlandia, sconfitta con un perentorio 85 a 71 sul parquet della Nokia Arena di Tel Aviv. Due punti che ad essere la vendetta, ampiamente attesa, per il brutto ko di Helsinki nel match di andata, significano anche secondo posto matematico nel girone (a scapito dell’Italia che resta in corsa per gli spareggi) e possibilità, fino a pochi giorni fa insperate, di primato (ricordiamo che agli Europei si qualificano le prime e le due migliori seconde dei vari raggruppamenti). L’ultima sfida prevista dal calendario è uno spareggio al vertice: Montenegro contro Israele, entrambe appaiate in testa alla classifica con dieci punti. Chi vince è sicuro di volare a Vilnius, chi perde ha buone possibilità di prendere lo stesso aereo.
ISRAELE 85 - 71 FINLANDIA
CLASSIFICA GIRONE A
Montenegro e Israele 10, Italia 8, Lettonia 4, Finlandia 2
a.s.

Negoziati - Netanyahu per colloqui discreti con Abu Mazen
Tel Aviv, 27 ago -
“In Medio Oriente le trattative sulle questioni cardinali, per essere serie, devono avvenire in forma discreta e continuata fra i dirigenti stessi", così il premier israeliano Benjamin Netanyahu ritiene che dovrebbero svolgersi i negoziati con i palestinesi, la cui ripresa è prevista per il 2 settembre. Il ritmo ideale dovrebbe essere di due incontri al mese. Non è ancora noto se l'idea sia accettabile per il leader dell'Anp. A rendere pubblica la notizia è stata la radio militare israeliana. In anni passati anche Ehud Olmert aveva optato per una formula simile.
 
 
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