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L'Unione informa
 
    29 agosto 2010 - 19 Elul 5770  
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Moked - il portale dell´ebraismo italiano
alef/tav    
  Benedetto Carucci Viterbi Benedetto Carucci Viterbi, rabbino “In questo giorno sei diventato popolo per il Signore tuo Dio”. Ogni giorno, spiega Rashi, è questo giorno. Rabbi Natan, discepolo di Rabbi Nahman di Breslav, ricava da questa spiegazione il principio che dobbiamo essere quotidianamente nuovi, senza il peso del pensiero precostituito e precedente, senza il legame dell’abitudine, senza sentirci vecchi. Sono questi gli impedimenti alla teshuvà ed alla crescita spirituale.
Molti in questi giorni hanno paragonato le espulsioni dei rom dalla Francia alla Shoà. Non sono scandalizzato dal paragone, che trovo fuori luogo, ma dal fatto che per infrangere il muro dell’indifferenza (questo sì un prerequisito non marginale in tutte le politiche discriminatorie) si debba alzare la posta della comparazione al fine di raggiungere quell’obiettivo minimo 
rappresentato dalla rottura del silenzio. Non era più appropriato sottolineare l’indifferenza? O questo avrebbe obbligato a proporre un analisi meno radicale ma più profonda e dunque non moralistica, ma etica? E dunque quel paragone probabilmente rispondeva solo a un'economia della discussione: consentiva di andare diritti al nocciolo del problema, con poca spesa e massima visibilità. Ma senza incidere. Infatti niente è cambiato: l’effetto è che tutti hanno insistito con enfasi sull’improprietà di quel paragone; qualcuno ha parlato sui giornali. Non è mancato il solito “mai più!”. Soddisfatti e alleggeriti, tutti sono tornati alle loro occupazioni precedenti. In silenzio.
David
Bidussa, 

storico sociale delle idee
david bidussa  
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  Qui Venezia -  L'architettura israeliana in mostra

padiglione israeliano L’architettura e il suo ruolo attivo nel plasmare la società e nel promuovere la qualità della vita e dei rapporti umani. Questo il tema dell’installazione “Kibbutz: An Architecture Without Precedents”, inaugurata venerdì all’interno del padiglione israeliano in occasione della dodicesima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia.
L’esposizione, curata da Galia Bar-Or e dall’architetto Yuval Yaski, presenta il passato, il presente e il futuro del kibbutz, un modello di micro-città che assurge a simbolo della società che l’ha generato e che incorpora al suo interno le speranze e i sogni di una comunità. È la società a generare l’insediamento urbano, che a sua volta, come in un gioco di specchi, è il riflesso della struttura della società stessa con i suoi desideri, progetti e realizzazioni. Una nuova missione a Venezia per Israele, che proprio nell’anno in cui si celebra il centenario della nascita del kibbutz, cerca di dar nuova vita a un’istituzione che rappresenta un’esperienza unica nella storia del mondo. Una realtà che si fonda sulla collettività organizzata democraticamente, sull’opera volontaria, senza limiti ne costrizioni. Il Kibbutz rappresenta forse uno dei pochi esperimenti riusciti per quanto concerne la collettivizzazione del lavoro e della vita comunitaria.
“Noi non siamo interessati al mero giudizio artistico sull’esposizione - spiega Bar Or - quello che siamo interessati a dimostrare è come l’architettura abbia risposto in questo caso a un’ideale sociale e non abbia rappresentato una mera celebrazione dell’ego dell’architetto. Il kibbutz è un esempio emblematico di questo modus pensandi. Noi crediamo che, alla luce della crisi economica globale, ci sia spazio nel mondo per lo svilupparsi degli stessi ideali che sono alla base della struttura dei kibbutzim. Anche i kibbutzim di oggi, con la loro incomparabile rete di sicurezza e mutuo soccorso, potranno rappresentare un’inestimabile fonte di ispirazione.”

Ofra FarhiNei tre piani del padiglione israeliano ai Giardini della Biennale, troviamo un’installazione formata da 200 blocchi di volantini contenenti immagini relative alla storia del Kibbutz: dai piani di costruzione a scatti di vita quotidiana. Ogni visitatore ha così la possibilità di prendere con sé le immagini che maggiormente lo attirano in modo da poter creare il suo personale catalogo dell’esposizione. Le pareti sono invece dedicate ai contributi video: uno di questi in particolare, realizzato dal regista israeliano Amos Gitai e intitolato “A Lullaby to My Father”, presenta le immagini della chadar ochel (sala da pranzo), del Kibbutz Kfar Masaryk, concepita dal padre architetto Munio Gitai Wienraub. Abbiamo poi quattro filmati che presentano i luoghi tipici del kibbutz e i cambiamenti che sono stati apportati negli ultimi anni in queste realtà. Le ultime due installazioni si compongono di materiali d’archivio organizzati per tema e di un filmato dedicato all’opera d’educazione portata avanti da Malka Hess del Kibbutz Sde Eliyahu.
Presente all’inaugurazione Paolo Baratta, presidente della Fondazione Biennale di Venezia, particolarmente fiero di poter ospitare un’esposizione dal così forte significato sociale e culturale. Dello stesso avviso Ofra Farhi (nell'immagine in alto), addetta culturale dell’Ambasciata di Israele in Italia che, dopo aver portato il saluto dell’ambasciatore Gideon Meir, ha ringraziato il presidente Baratta per l’opportunità e tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione della mostra.

Michael Calimani




Qui Pisa - Una Summer School per la Memoria
 

brochureSi apre nel pomeriggio odierno a Pisa la prima Summer School della Regione Toscana riservata agli insegnanti che accompagneranno oltre 500 studenti delle scuole secondarie superiori sul Treno della Memoria in partenza da Firenze il prossimo 24 gennaio. Organizzato in collaborazione con Scuola Normale Superiore di Pisa, Forum per i problemi della pace e della guerra e Ufficio Scolastico Regionale, questo importante appuntamento didattico, che si concluderà venerdì 3 settembre, ha come finalità la trasmissione ai circa 100 insegnanti coinvolti delle metodologie educative e delle conoscenze storiche necessarie per preparare gli studenti al viaggio nel cuore del Male. Previsti gli interventi di numerosi esperti in materia. Tra i protagonisti delle prossime giornate di studio e approfondimento, Enzo Collotti (Il nazismo, l’universo concentrazionario e la realizzazione della soluzione finale), Gadi Luzzatto Voghera (Storia della Resistenza alla Shoah in Europa), Alberto Cavaglion (La Shoah nel cinema e nella letteratura), Marcello Pezzetti (Storia e Geografia di Auschwitz) e Dimitri d’Andrea (Shoah e modernità), coautore del libro di recente pubblicazione Sterminio e Stermini. “La Summer School - racconta Ugo Caffaz, ex direttore del dipartimento istruzione e cultura che continua a prestare la sua opera come consulente per il Giorno della Memoria - è un progetto pensato per consolidare il nostro modello, al momento vincente, che ogni anno prevede l’alternanza tra viaggio ad Auschwitz e meeting al Palamandela (12000 gli studenti presenti sugli spalti dell’impianto fiorentino,nel 2010, ndr). È fondamentale focalizzarci sulla costante preparazione di chi insegna, in modo da garantire ai ragazzi la possibilità di vivere un’esperienza dal grande valore formativo e umano”. Inaugurazione alle ore 14.15 nell’Aula Dini della Scuola Normale Superiore con i saluti di sindaco e organizzatori. Ci sarà anche Cristina Scaletti, assessore alla cultura della Regione Toscana, che sottolinea la sfida di lavorare a una pedagogia della Shoah che faccia emergere i meccanismi attraverso i quali nasce e si concretizza l'idea di sterminio:  “Il compito è tanto più importante - spiega la Scaletti - se si pensa ai problemi che oggi la nostra società sta vivendo, in questa fase di difficile e confuso passaggio a una società multietnica, multireligiosa e in cui troppo spesso si manifestano le tante ramificazioni del pregiudizio, del razzismo e dell’antisemitismo”.

a.s.


Qui Livorno - Il Giusto per cui è stato scritto un nuovo Sefer Torah

davar 3Mario Canessa, il Giusto tra le Nazioni in onore del quale è stato scritto il Sefer Torah (caso forse unico al mondo) della sinagoga di Livorno, è uno dei tanti eroi silenziosi che nel dopoguerra scelsero di non parlare. “Non sono un eroe, ho fatto ciò che era giusto fare in quel momento”. Anche adesso che ha ricevuto onorificenze da più parti, compreso il massimo riconoscimento concesso dal popolo ebraico ai suoi salvatori, si schermisce quando gli si parla dei suoi meriti. È un uomo tutto di un pezzo ma comunque affabile nei modi. Ricorda nomi e luoghi come se fosse ieri. Di lui Mario Zucchelli, giornalista del Tirreno che ne ha curato una breve ma incisiva biografia, scrive: “Mario Canessa è un ragazzo di 92 anni e la faccia da eroe francamente non ce l’ha. Ammesso che gli eroi abbiano l’identikit hollywoodiano con la mascella inox e il muscolo gonfio che a scanso di dubbi scatta prima del pensiero. Non ce l’ha perché non si è mai visto un eroe con i capelli bianchi, un viso rotondo e il sorriso largo da nonno contento più quel tot di ironia bonaria toscana, forse etrusca”. Studente universitario originario di Volterra, negli anni del nazifascismo lavora come poliziotto addetto ai controlli sui treni che trasportano i frontalieri della Valtellina in Svizzera e viceversa. Nel profondo nord italiano fa una scelta di campo e decide di servire lo Stato come la grande fede in Dio e la profonda umanità gli suggeriscono: a rischio della vita, combatte dalla parte di coloro che si oppongono al Male. Canessa accompagna ebrei e prigionieri alleati in terra elvetica, escogitando mille stratagemmi per evitare le pattuglie nemiche e pienamente consapevole che la soffiata di una spia lo porterebbe davanti al plotone di esecuzione. Centinaia di persone vengono salvate grazie al suo coraggio e a quello dei suoi eroici collaboratori.Il cuore di Mario palpita anche per il fratello, combattente in Yugoslavia e detenuto dai tedeschi a Dortmund. Basta fare il nome di uno degli ebrei che aiuta e in cambio otterrebbe la sua liberazione. Basterebbe, però non lo fa. Questa storia di eroismo e solidarietà Canessa se la sarebbe tenuta volentieri per sé senza divulgarla in giro. Ma una confidenza fatta quasi distrattamente all’amico fraterno Raul Orvieto una decina di anni fa, di lì a poco dà il via a una catena di eventi che lo coinvolgono suo malgrado. “Ho salvato alcuni ebrei”, dice al compagno di mille partite di scacchi al Circolo ufficiali di Livorno. Passa del tempo da quella confidenza e lo chiama Guido Guastalla, editore e consigliere della Comunità ebraica livornese a cui è giunta voce delle sue azioni meritorie, che si attiva per fornire la documentazione necessaria allo Yad Vashem. In breve la notizia approda si giornali. Si arriva così al marzo del 2008, quando Mario Canessa diventa un Giusto tra le Nazioni. La cosa sembra turbarlo: “Detesto i riconoscimenti pubblici, sono una forma di esibizionismo che non condivido”. L’eroe coi capelli bianchi mostra alcuni documenti del primo dopoguerra che attestano la sua promozione di grado nelle file della polizia, dovuta al comportamento meritorio tenuto negli anni bellici. Li posa e commenta: “Sono questi i documenti che mi rendono felice, degli altri non so che farmene perché mi fanno solo soffrire complicandomi la vita”.

Pagine Ebraiche, agosto 2010





Sorgente di Vita - Speciale Giornata della Cultura

logo sorgente di vitaUn itinerario tra arte, storia  e cultura a Livorno, che  il 5 settembre sarà città capofila per l’Italia della Giornata Europea della Cultura Ebraica, è il servizio di apertura della puntata di Sorgente di vita di domenica 29 agosto. Segue una visita nella scuola di restauro che ha sede in un antico eremo sulle colline di Botticino vicino a Brescia: nel laboratorio dei tessuti antichi  riprendono forma e colore gli arredi tessili provenienti dalla sinagoga e dal museo ebraico di Livorno.
Chiude la puntata un servizio sulla  vita di Antonietta Raphael, artista ebrea di origine lituana, moglie di Mario Mafai, pittore della Scuola Romana, ricostruita attraverso  le sculture e i dipinti in  mostra a Roma a Villa Torlonia: il nonno rabbino, la nonna al bagno rituale, il venerdì sera in casa Mafai,  aspetti inediti di una vicenda artistica e familiare raccontata dalle figlie Giulia e Miriam.
Sorgente di vita va in onda domenica 29 agosto alle ore 1.20 circa su Raidue.
La puntata verrà replicata  lunedi’ 30 agosto alle ore 1.20 circa sempre su Raidue e lunedì 6 settembre alle 7 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche online.

p.d.s.  
 
 
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  Davar Acher - Ombre inquietanti

ogo volliLa non-notizia delle origini ebraiche di Adolf Hitler diffusa dai giornali nei giorni scorsi dovrebbe interessarci. Non per il suo contenuto, che è scientificamente e logicamente insussistente. Nel DNA di un certo numero di parenti del dittatore si sarebbe infatti trovata una variante genetica diffusa fra certi gruppi ebraici: ma la presenza in qualcuno di un singolo marcatore genetico più diffuso in un segmento di popolazione non dimostra affatto necessariamente la sua appartenenza a tale segmento. La complessità del genoma umano smentisce questo tipo di attribuzioni che sono tendenzialmente razziste, perché riducono tale varietà a combinazioni e "contaminazioni" di tipi umani chiusi ed essenzializzati (le "razze"), sulla base di varianti che sono invece distribuite nella popolazione e determinate spesso da selezioni contingenti dovute all'ambiente.
Quel che dà da pensare è invece l'interesse che viene attribuito dai giornali a questa storia e ad altre analoghe (l'attribuzione di un padre illegittimo ebreo al dittatore nazista e ad altri gerarchi ecc.). La ragione sottostante è evidente e velenosa. Se Hitler era ebreo, nessun altro porta la responsabilità della Shoà se non gli ebrei stessi. Inoltre se ebrei sono le vittime e i carnefici, l'identità stessa degli ebrei si dissolve, gli ebrei apparenti non sono gli ebrei reali, "ebreo" non è più il membro concreto di un popolo, ma un principio metafisico che si ribella contro se stesso e cerca di eliminarsi. E' quanto sostiene, su un altro piano, la teoria recentemente rilanciata dallo "storico" antisionista Shlomo Sand, per cui i veri discendenti degli ebrei biblici sarebbero i palestinesi, mentre gli ebrei orientali verrebbero dai turchi kuzari, convertiti nel medioevo; e quindi i veri "ebrei" che non sono ebrei ma musulmani, farebbero bene a lottare contro i falsi ebrei, i sionisti kuzari colonialisti.
Ancora a livello metafisico qualcosa del genere compare nel pensiero cristiano implicito in Paolo di Tarso e formulato esplicitamente per la prima volta da Giustino ("Contro Trifone", 11) e mai più rinnegato nemmeno dal Concilio Vaticano II per cui la Chiesa sarebbe il "verus Israel" (secondo lo spirito), e il popolo ebraico sarebbe tale solo secondo la carne, in sostanza gli ebrei sarebbero falsi ebrei perché sono rimasti ebrei invece di farsi cristiani. L'ebraismo vero, insomma, corrisponderebbe alla rinuncia o addirittura all'odio e alla persecuzione dell'ebraismo; quello falso sarebbe la sua continuazione. Qualcosa del genere vale anche per coloro che (ebrei e non), dall'alto di un'"etica ebraica" da loro stessi stabilita, giudicano e condannano come non etico e dunque non ebraico il comportamento di Israele, cioè del popolo ebraico democraticamente organizzato Trasformato in altro dall'esistenza concreta del popolo ebraico, reso occulto o "spirituale" o anche trasmutato in pura etica o socialismo, l'ebraismo diventa pericoloso, si rivolta contro la sua origine, passa a odio di sé o antisemitismo, diventa un'inafferrabile fantasma. All'ebreo viene volentieri attribuito lo statuto di feticcio o di fantasma: qualcuno o qualcosa che è abusivamente, ma che nonostante il suo non essere o proprio per questo detiene un potere straordinario.
Per questo gli antisemiti sopravvalutano regolarmente la potenza, il coordinamento e la determinazione del mondo ebraico (che noi sappiamo fratturato, confuso, difficilissimo da coordinare), immaginando terribili lobby ebraiche e concili di Savi di Sion e "fascisti ebraici" – che naturalmente vanno distrutti e sterminati. L'antisemitismo (e oggi l'odio per Israele) insomma non è l'antipatia normale per un popolo cui si attribuiscono reali azioni deplorevoli, che potrebbero facilmente essere dimostrate false. E' un odio teologico e metafisico per qualcosa che non è ciò che è, la cui realtà è abusiva dal principio e la cui stessa esistenza dimostra una colpa "originale". Chi pensa che mostrandosi "buoni", "umanitari" e pacifici questo pregiudizio potrà essere sconfitto, non solo si fa molte illusioni sulla natura umana, ma ignora la straordinaria potenza del negativo, dimostrata per esempio dall'antisemitismo diffuso in società quasi senza ebrei (come la Polonia attuale) o che non ne hanno praticamente mai avuti (come il Giappone). Se noi siamo anche quelli che vogliono distruggerci, la nostra assenza non può che renderci più minacciosi.

Ugo Volli


Una telenovela tragicomica  

gadi polaccoNon mi pare  che i trattati internazionali si festeggino ogni anno e quindi mi sfugge ancor di più il motivo per il quale invece a quanto pare, ci si debba sorbire per il secondo anno le sceneggiate di Gheddafi che, ricordiamolo anche se "pecunia non olet" e "real politik" non sono una novità, è un dittatore per giunta colluso con il terrorismo e con un curriculum non proprio amichevole nei confronti di italiani, ebrei ed altri. Se la mostra fotografica sulla storia della Libia, riletta da Gheddafi, non mi basta per un viaggio a Roma, confesso che sarei però curioso di sapere se si mostreranno anche le foto degli oppositori politici, dei cimiteri e dei luoghi di culto non islamici profanati e trasformati in moschee (alcune sinagoghe anche in chiese), delle vittime del "colonnello", ecc. E' però alla "Benemerita" che devo un pensiero solidale poiché, "usi obbedir tacendo", i Carabinieri a cavallo  dovranno onorare l'ingombrante ospite esibendosi nel famoso Carosello: per giunta nella caserma intitolata a Salvo D'Acquisto, il vice brigadiere che nel 1943 si oppose a una rappresaglia nazista sacrificandosi poi per salvare vite altrui. Insomma, piove sul bagnato!

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
 
 
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Gli israeliani chiedono la liberazione di Shalit 
sbagliando interlocutore

[...     ] Molti sostengono che la famiglia Shalit, avrebbe dovuto piantare la tenda davanti alla sede della Croce Rossa Internazionale, che in tutta questa storia rappresenta il vero scandalo, non essendosi mai mossa con decisione per contro- battere la decisione di Hamas di impedire qualunque indagine, o visita, al prigioniero Gilad. Hamas ha detto no, e la CRI ha risposto va bene così, È alla CRI che si deve chiedere conto, non a Netanyahu. Nella mani di Hamas, Gilad è un'arma di ricatto formidabile, non perché avrà il potere di liberarlo, ma perché ne attribuisce la responsabilità della prigionia al Primo Ministro d'Israele. Una passione umanitaria nobile, ma con il bersaglio sbagliato.

Angelo Pezzana, Libero, 29 agosto 2010


Arte, cibo e mestieri degli ebrei
Il 5 settembre a ridosso del capodanno ebraico si terrà in tutta Italia la giornata europea della cultura ebraica. Nel quartiere ebraico molti gli eventi da visitare. Questo anno il tema prescelto è quello del rapporto tra arte ed ebraismo. Per l'occasione che vedrà come città capofila Livorno, la Comunità Ebraica di Roma ha in programma una serie di eventi di diverso genere. Oltre alla visite guidate per l'exghetto, la sinagoga e il museo ebraico sono previsti anche vernissage e matrimoni. Nel pomeriggio del 5 settembre verrà infatti celebrato un matrimonio con rito ebraico e si festeggeranno le nozze d'argento di una simpatica coppia. Il tutto accompagnato da una serie di musiche liturgiche del maestro Claudio Di Segni. Anche tante novità. «Per la prima volta quest'anno verrà aperta al pubblico la sinagoga di via Balbo», rivela Claudio Pro- caccia direttore del dipartimento cultura della Comunità Ebraica di Roma. «E' una sinagoga significativa nella vita della Comunità Ebraica di Roma del '900 in quella che è la storia di un'area fortemente caratterizzata dalla presenza ebraica e che è uno dei simboli dell'emancipazione degli ebrei di Roma». [...]

Vito Kahlun, Libero Roma, 28 agosto 2010


Il paragone di Marchetto
 La chiesa cattolica ha tutto il diritto di ricordare agli stati europei la necessità di rispettare la dignità della persona umana, inclusa la sua libertà di movimento. E' suo compito far presente all'opinione pubblica quanto sia pericolosa la denominazione d'origine criminale. "La rumena", "i rumeni", "le rumene". E sostenere che non si deve confondere l'ordine pubblico con la paura dello straniero. Ma quando monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i Migranti, definisce la persecuzione di cui sono oggi vittime i rom in Francia come una sorta di nuovo olocausto, si scivola su un altro piano. Quello del riflesso condizionato della cultura dominante e del giornalismo collettivo che si è spinto al punto di paragonare le politiche di sicurezza della Francia o del ministro dell'Interno Maroni ai pogrom antisemiti, alle stragi naziste e al ritualismo ebraicida di sapore medievale. Dopo le aggressioni in un campo rom a Napoli, un anno fa, Adriano Prosperi su Repubblica riciclò a suo uso e consumo le parole di Primo Levi: " Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case". Si parlò perfino di ritorno delle leggi razziali . Monsignor Marchetto sbaglia quindi perché la Shoah, il genocidio industriale di esseri umani e i comportamenti di uno stato totalitario non sono paragonabili, neppure per un vezzo linguistico, al diritto alla sicurezza di un paese democratico o alle sue derive securitarie. E' sciocco e stolto questo paragone, oltre che storicamente falso. Gli zingari e i romeni diventano minoranze ideologiche apparentate agli ebrei nell'immaginario dell'antirazzismo militante. L'accostamento nasce da una retorica falsamente umanitaria, non è altro che conformismo e propaganda. E se la si critica si diventa reazionari quindi razzisti, l'epiteto preferito dalle cicale del politically correct. Con questi paragoni non si fa un buon servizio né alla memoria dello sterminio degli ebrei né alla soluzione del problema sicurezza in Francia e in Italia.

Il Foglio 28 agosto 2010

 
 
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Israele, migliaia manifestano per la liberazione di Gilad Shalit      
Gerusalemme, 29 ago -
In occasione del suo ventiquattresimo compleanno, migliaia di israeliani hanno manifestato ieri sera a Gerusalemme per la liberazione del soldato Gilad Shalit, tenuto prigioniero dal 2006 a Gaza da Hamas, brandendo cartelli con la scritta: "I nostri soldati non hanno prezzo". La madre di Shalit, Aviva, ha chiesto al premier Benyamin Netanyahu di riportare a casa suo figlio, lasciando intendere che dovrebbe accettare le condizioni per uno scambio di prigionieri poste dal movimento integralista palestinese. "Lei ha la possibilità di liberare Gilad" ha dichiarato rivolgendosi al premier da un podio improvvisato piazzato davanti alla residenza di Netanyahu, dove, in una tenda, da due mesi vivono i famigliari del soldato. In un messaggio inviato per l'occasione, e letto da un diplomatico dell'ambasciata di Francia a Tel Aviv, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha sottolineato la sua "determinazione ad agire per giungere alla liberazione di Gilad Shalit", che ha anche la cittadinanza francese. "Gilad - ha aggiunto - non è un prigioniero di guerra, perché i prigionieri di guerra hanno dei diritti: quello di ricevere visite da parte di organizzazioni umanitarie, quello di scambiare lettere con i famigliari. Gilad non ha questi diritti perché, diciamo le cose come stanno, è un ostaggio".
 
 
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