se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui |
|
|
 |
|
L'Unione informa |
|
|
|
29 agosto 2010 - 19 Elul 5770 |
|
 |
|
| |
|
alef/tav |
|
|
 |
|
 |
Benedetto Carucci Viterbi, rabbino |
“In
questo giorno sei diventato popolo per il Signore tuo Dio”. Ogni
giorno, spiega Rashi, è questo giorno. Rabbi Natan, discepolo di Rabbi
Nahman di Breslav, ricava da questa spiegazione il principio che
dobbiamo essere quotidianamente nuovi, senza il peso del pensiero
precostituito e precedente, senza il legame dell’abitudine, senza
sentirci vecchi. Sono questi gli impedimenti alla teshuvà ed alla
crescita spirituale.
|
 |
Molti
in questi giorni hanno paragonato le espulsioni dei rom dalla Francia
alla Shoà. Non sono scandalizzato dal paragone, che trovo fuori luogo,
ma dal fatto che per infrangere il muro dell’indifferenza (questo sì un
prerequisito non marginale in tutte le politiche discriminatorie)
si debba alzare la posta della comparazione al fine di raggiungere
quell’obiettivo minimo rappresentato dalla rottura del
silenzio. Non era più appropriato sottolineare l’indifferenza? O questo
avrebbe obbligato a proporre un analisi meno radicale ma più profonda e
dunque non moralistica, ma etica? E dunque quel paragone probabilmente
rispondeva solo a un'economia della discussione: consentiva di andare
diritti al nocciolo del problema, con poca spesa e massima visibilità.
Ma senza incidere. Infatti niente è cambiato: l’effetto è che tutti
hanno insistito con enfasi sull’improprietà di quel paragone; qualcuno
ha parlato sui giornali. Non è mancato il solito “mai più!”.
Soddisfatti e alleggeriti, tutti sono tornati alle loro occupazioni
precedenti. In silenzio.
|
David Bidussa,
storico sociale delle idee |
 |
|
|
 |
|
|
torna su |
davar |
|
|
|
|
Qui Venezia - L'architettura israeliana in mostra
L’architettura e il suo ruolo attivo nel plasmare la società e nel
promuovere la qualità della vita e dei rapporti umani. Questo il tema
dell’installazione “Kibbutz: An Architecture Without Precedents”,
inaugurata venerdì all’interno del padiglione israeliano in occasione
della dodicesima Mostra Internazionale di Architettura di Venezia. L’esposizione,
curata da Galia Bar-Or e dall’architetto Yuval Yaski, presenta il
passato, il presente e il futuro del kibbutz, un modello di micro-città
che assurge a simbolo della società che l’ha generato e che incorpora
al suo interno le speranze e i sogni di una comunità. È la società a
generare l’insediamento urbano, che a sua volta, come in un gioco di
specchi, è il riflesso della struttura della società stessa con i suoi
desideri, progetti e realizzazioni. Una nuova missione a Venezia per
Israele, che proprio nell’anno in cui si celebra il centenario della
nascita del kibbutz, cerca di dar nuova vita a un’istituzione che
rappresenta un’esperienza unica nella storia del mondo. Una realtà che
si fonda sulla collettività organizzata democraticamente, sull’opera
volontaria, senza limiti ne costrizioni. Il Kibbutz rappresenta forse
uno dei pochi esperimenti riusciti per quanto concerne la
collettivizzazione del lavoro e della vita comunitaria. “Noi non
siamo interessati al mero giudizio artistico sull’esposizione - spiega
Bar Or - quello che siamo interessati a dimostrare è come
l’architettura abbia risposto in questo caso a un’ideale sociale e non
abbia rappresentato una mera celebrazione dell’ego dell’architetto. Il
kibbutz è un esempio emblematico di questo modus pensandi. Noi crediamo
che, alla luce della crisi economica globale, ci sia spazio nel mondo
per lo svilupparsi degli stessi ideali che sono alla base della
struttura dei kibbutzim. Anche i kibbutzim di oggi, con la loro
incomparabile rete di sicurezza e mutuo soccorso, potranno
rappresentare un’inestimabile fonte di ispirazione.”
Nei
tre piani del padiglione israeliano ai Giardini della Biennale,
troviamo un’installazione formata da 200 blocchi di volantini
contenenti immagini relative alla storia del Kibbutz: dai piani di
costruzione a scatti di vita quotidiana. Ogni visitatore ha così la
possibilità di prendere con sé le immagini che maggiormente lo attirano
in modo da poter creare il suo personale catalogo dell’esposizione. Le
pareti sono invece dedicate ai contributi video: uno di questi in
particolare, realizzato dal regista israeliano Amos Gitai e intitolato
“A Lullaby to My Father”, presenta le immagini della chadar ochel (sala
da pranzo), del Kibbutz Kfar Masaryk, concepita dal padre architetto
Munio Gitai Wienraub. Abbiamo poi quattro filmati che presentano i
luoghi tipici del kibbutz e i cambiamenti che sono stati apportati
negli ultimi anni in queste realtà. Le ultime due installazioni si
compongono di materiali d’archivio organizzati per tema e di un filmato
dedicato all’opera d’educazione portata avanti da Malka Hess del
Kibbutz Sde Eliyahu. Presente all’inaugurazione Paolo Baratta,
presidente della Fondazione Biennale di Venezia, particolarmente fiero
di poter ospitare un’esposizione dal così forte significato sociale e
culturale. Dello stesso avviso Ofra Farhi (nell'immagine in alto),
addetta culturale dell’Ambasciata di Israele in Italia che, dopo aver
portato il saluto dell’ambasciatore Gideon Meir, ha ringraziato il
presidente Baratta per l’opportunità e tutti coloro che hanno
contribuito alla realizzazione della mostra.
Michael Calimani
Qui Pisa - Una Summer School per la Memoria
Si
apre nel pomeriggio odierno a Pisa la prima Summer School della Regione
Toscana riservata agli insegnanti che accompagneranno oltre 500
studenti delle scuole secondarie superiori sul Treno della Memoria in
partenza da Firenze il prossimo 24 gennaio. Organizzato in
collaborazione con Scuola Normale Superiore di Pisa, Forum per i
problemi della pace e della guerra e Ufficio Scolastico Regionale,
questo importante appuntamento didattico, che si concluderà venerdì 3
settembre, ha come finalità la trasmissione ai circa 100 insegnanti
coinvolti delle metodologie educative e delle conoscenze storiche
necessarie per preparare gli studenti al viaggio nel cuore del Male.
Previsti gli interventi di numerosi esperti in materia. Tra i
protagonisti delle prossime giornate di studio e approfondimento, Enzo
Collotti (Il nazismo, l’universo concentrazionario e la realizzazione
della soluzione finale), Gadi Luzzatto Voghera (Storia della Resistenza
alla Shoah in Europa), Alberto Cavaglion (La Shoah nel cinema e nella
letteratura), Marcello Pezzetti (Storia e Geografia di Auschwitz) e
Dimitri d’Andrea (Shoah e modernità), coautore del libro di recente
pubblicazione Sterminio e Stermini. “La Summer School - racconta Ugo
Caffaz, ex direttore del dipartimento istruzione e cultura che continua
a prestare la sua opera come consulente per il Giorno della Memoria - è
un progetto pensato per consolidare il nostro modello, al momento
vincente, che ogni anno prevede l’alternanza tra viaggio ad Auschwitz e
meeting al Palamandela (12000 gli studenti presenti sugli spalti
dell’impianto fiorentino,nel 2010, ndr). È fondamentale focalizzarci
sulla costante preparazione di chi insegna, in modo da garantire ai
ragazzi la possibilità di vivere un’esperienza dal grande valore
formativo e umano”. Inaugurazione alle ore 14.15 nell’Aula Dini della
Scuola Normale Superiore con i saluti di sindaco e organizzatori. Ci
sarà anche Cristina Scaletti, assessore alla cultura della Regione
Toscana, che sottolinea la sfida di lavorare a una pedagogia della
Shoah che faccia emergere i meccanismi attraverso i quali nasce e si
concretizza l'idea di sterminio: “Il compito è tanto più
importante - spiega la Scaletti - se si pensa ai problemi che oggi la
nostra società sta vivendo, in questa fase di difficile e confuso
passaggio a una società multietnica, multireligiosa e in cui troppo
spesso si manifestano le tante ramificazioni del pregiudizio, del
razzismo e dell’antisemitismo”.
a.s.
Qui Livorno - Il Giusto per cui è stato scritto un nuovo Sefer Torah
Mario
Canessa, il Giusto tra le Nazioni in onore del quale è stato scritto il
Sefer Torah (caso forse unico al mondo) della sinagoga di Livorno, è
uno dei tanti eroi silenziosi che nel dopoguerra scelsero di non
parlare. “Non sono un eroe, ho fatto ciò che era giusto fare in quel
momento”. Anche adesso che ha ricevuto onorificenze da più parti,
compreso il massimo riconoscimento concesso dal popolo ebraico ai suoi
salvatori, si schermisce quando gli si parla dei suoi meriti. È un uomo
tutto di un pezzo ma comunque affabile nei modi. Ricorda nomi e luoghi
come se fosse ieri. Di lui Mario Zucchelli, giornalista del Tirreno che
ne ha curato una breve ma incisiva biografia, scrive: “Mario Canessa è
un ragazzo di 92 anni e la faccia da eroe francamente non ce l’ha.
Ammesso che gli eroi abbiano l’identikit hollywoodiano con la mascella
inox e il muscolo gonfio che a scanso di dubbi scatta prima del
pensiero. Non ce l’ha perché non si è mai visto un eroe con i capelli
bianchi, un viso rotondo e il sorriso largo da nonno contento più quel
tot di ironia bonaria toscana, forse etrusca”. Studente universitario
originario di Volterra, negli anni del nazifascismo lavora come
poliziotto addetto ai controlli sui treni che trasportano i frontalieri
della Valtellina in Svizzera e viceversa. Nel profondo nord italiano fa
una scelta di campo e decide di servire lo Stato come la grande fede in
Dio e la profonda umanità gli suggeriscono: a rischio della vita,
combatte dalla parte di coloro che si oppongono al Male. Canessa
accompagna ebrei e prigionieri alleati in terra elvetica, escogitando
mille stratagemmi per evitare le pattuglie nemiche e pienamente
consapevole che la soffiata di una spia lo porterebbe davanti al
plotone di esecuzione. Centinaia di persone vengono salvate grazie al
suo coraggio e a quello dei suoi eroici collaboratori.Il cuore di Mario
palpita anche per il fratello, combattente in Yugoslavia e detenuto dai
tedeschi a Dortmund. Basta fare il nome di uno degli ebrei che aiuta e
in cambio otterrebbe la sua liberazione. Basterebbe, però non lo fa.
Questa storia di eroismo e solidarietà Canessa se la sarebbe tenuta
volentieri per sé senza divulgarla in giro. Ma una confidenza fatta
quasi distrattamente all’amico fraterno Raul Orvieto una decina di anni
fa, di lì a poco dà il via a una catena di eventi che lo coinvolgono
suo malgrado. “Ho salvato alcuni ebrei”, dice al compagno di mille
partite di scacchi al Circolo ufficiali di Livorno. Passa del tempo da
quella confidenza e lo chiama Guido Guastalla, editore e consigliere
della Comunità ebraica livornese a cui è giunta voce delle sue azioni
meritorie, che si attiva per fornire la documentazione necessaria allo
Yad Vashem. In breve la notizia approda si giornali. Si arriva così al
marzo del 2008, quando Mario Canessa diventa un Giusto tra le Nazioni.
La cosa sembra turbarlo: “Detesto i riconoscimenti pubblici, sono una
forma di esibizionismo che non condivido”. L’eroe coi capelli bianchi
mostra alcuni documenti del primo dopoguerra che attestano la sua
promozione di grado nelle file della polizia, dovuta al comportamento
meritorio tenuto negli anni bellici. Li posa e commenta: “Sono questi i
documenti che mi rendono felice, degli altri non so che farmene perché
mi fanno solo soffrire complicandomi la vita”.
Pagine Ebraiche, agosto 2010
Sorgente di Vita - Speciale Giornata della Cultura
Un
itinerario tra arte, storia e cultura a Livorno, che il 5
settembre sarà città capofila per l’Italia della Giornata Europea della
Cultura Ebraica, è il servizio di apertura della puntata di Sorgente di
vita di domenica 29 agosto. Segue una visita nella scuola di restauro
che ha sede in un antico eremo sulle colline di Botticino vicino a
Brescia: nel laboratorio dei tessuti antichi riprendono forma e
colore gli arredi tessili provenienti dalla sinagoga e dal museo
ebraico di Livorno. Chiude la puntata un servizio sulla vita
di Antonietta Raphael, artista ebrea di origine lituana, moglie di
Mario Mafai, pittore della Scuola Romana, ricostruita attraverso
le sculture e i dipinti in mostra a Roma a Villa Torlonia: il
nonno rabbino, la nonna al bagno rituale, il venerdì sera in casa
Mafai, aspetti inediti di una vicenda artistica e familiare
raccontata dalle figlie Giulia e Miriam. Sorgente di vita va in onda domenica 29 agosto alle ore 1.20 circa su Raidue. La puntata verrà replicata lunedi’ 30 agosto alle ore 1.20 circa sempre su Raidue e lunedì 6 settembre alle 7 del mattino. I servizi di Sorgente di vita sono anche online.
p.d.s. |
|
|
|
|
torna su |
pilpul |
|
|
|
|
Davar Acher - Ombre inquietanti
La
non-notizia delle origini ebraiche di Adolf Hitler diffusa dai giornali
nei giorni scorsi dovrebbe interessarci. Non per il suo contenuto, che
è scientificamente e logicamente insussistente. Nel DNA di un certo
numero di parenti del dittatore si sarebbe infatti trovata una variante
genetica diffusa fra certi gruppi ebraici: ma la presenza in qualcuno
di un singolo marcatore genetico più diffuso in un segmento di
popolazione non dimostra affatto necessariamente la sua appartenenza a
tale segmento. La complessità del genoma umano smentisce questo tipo di
attribuzioni che sono tendenzialmente razziste, perché riducono tale
varietà a combinazioni e "contaminazioni" di tipi umani chiusi ed
essenzializzati (le "razze"), sulla base di varianti che sono invece
distribuite nella popolazione e determinate spesso da selezioni
contingenti dovute all'ambiente. Quel
che dà da pensare è invece l'interesse che viene attribuito dai
giornali a questa storia e ad altre analoghe (l'attribuzione di un
padre illegittimo ebreo al dittatore nazista e ad altri gerarchi ecc.).
La ragione sottostante è evidente e velenosa. Se Hitler era ebreo,
nessun altro porta la responsabilità della Shoà se non gli ebrei
stessi. Inoltre se ebrei sono le vittime e i carnefici, l'identità
stessa degli ebrei si dissolve, gli ebrei apparenti non sono gli ebrei
reali, "ebreo" non è più il membro concreto di un popolo, ma un
principio metafisico che si ribella contro se stesso e cerca di
eliminarsi. E' quanto sostiene, su un altro piano, la teoria
recentemente rilanciata dallo "storico" antisionista Shlomo Sand, per
cui i veri discendenti degli ebrei biblici sarebbero i palestinesi,
mentre gli ebrei orientali verrebbero dai turchi kuzari, convertiti nel
medioevo; e quindi i veri "ebrei" che non sono ebrei ma musulmani,
farebbero bene a lottare contro i falsi ebrei, i sionisti kuzari
colonialisti. Ancora
a livello metafisico qualcosa del genere compare nel pensiero cristiano
implicito in Paolo di Tarso e formulato esplicitamente per la prima
volta da Giustino ("Contro Trifone", 11) e mai più rinnegato nemmeno
dal Concilio Vaticano II per cui la Chiesa sarebbe il "verus Israel"
(secondo lo spirito), e il popolo ebraico sarebbe tale solo secondo la
carne, in sostanza gli ebrei sarebbero falsi ebrei perché sono rimasti
ebrei invece di farsi cristiani. L'ebraismo vero, insomma,
corrisponderebbe alla rinuncia o addirittura all'odio e alla
persecuzione dell'ebraismo; quello falso sarebbe la sua continuazione.
Qualcosa del genere vale anche per coloro che (ebrei e non), dall'alto
di un'"etica ebraica" da loro stessi stabilita, giudicano e condannano
come non etico e dunque non ebraico il comportamento di Israele, cioè
del popolo ebraico democraticamente organizzato Trasformato in altro
dall'esistenza concreta del popolo ebraico, reso occulto o "spirituale"
o anche trasmutato in pura etica o socialismo, l'ebraismo diventa
pericoloso, si rivolta contro la sua origine, passa a odio di sé o
antisemitismo, diventa un'inafferrabile fantasma. All'ebreo viene
volentieri attribuito lo statuto di feticcio o di fantasma: qualcuno o
qualcosa che è abusivamente, ma che nonostante il suo non essere o
proprio per questo detiene un potere straordinario. Per
questo gli antisemiti sopravvalutano regolarmente la potenza, il
coordinamento e la determinazione del mondo ebraico (che noi sappiamo
fratturato, confuso, difficilissimo da coordinare), immaginando
terribili lobby ebraiche e concili di Savi di Sion e "fascisti ebraici"
– che naturalmente vanno distrutti e sterminati. L'antisemitismo (e
oggi l'odio per Israele) insomma non è l'antipatia normale per un
popolo cui si attribuiscono reali azioni deplorevoli, che potrebbero
facilmente essere dimostrate false. E' un odio teologico e metafisico
per qualcosa che non è ciò che è, la cui realtà è abusiva dal principio
e la cui stessa esistenza dimostra una colpa "originale". Chi pensa che
mostrandosi "buoni", "umanitari" e pacifici questo pregiudizio potrà
essere sconfitto, non solo si fa molte illusioni sulla natura umana, ma
ignora la straordinaria potenza del negativo, dimostrata per esempio
dall'antisemitismo diffuso in società quasi senza ebrei (come la
Polonia attuale) o che non ne hanno praticamente mai avuti (come il
Giappone). Se noi siamo anche quelli che vogliono distruggerci, la
nostra assenza non può che renderci più minacciosi.
Ugo Volli
Una telenovela tragicomica
Non
mi pare che i trattati internazionali si festeggino ogni anno e
quindi mi sfugge ancor di più il motivo per il quale invece a
quanto pare, ci si debba sorbire per il secondo anno le sceneggiate di
Gheddafi che, ricordiamolo anche se "pecunia non olet" e "real politik"
non sono una novità, è un dittatore per giunta colluso con il
terrorismo e con un curriculum non proprio amichevole nei confronti di
italiani, ebrei ed altri. Se la mostra fotografica sulla storia della
Libia, riletta da Gheddafi, non mi basta per un viaggio a Roma,
confesso che sarei però curioso di sapere se si mostreranno anche le
foto degli oppositori politici, dei cimiteri e dei luoghi di culto non
islamici profanati e trasformati in moschee (alcune sinagoghe anche in
chiese), delle vittime del "colonnello", ecc. E' però alla "Benemerita"
che devo un pensiero solidale poiché, "usi obbedir tacendo", i
Carabinieri a cavallo dovranno onorare l'ingombrante ospite
esibendosi nel famoso Carosello: per giunta nella caserma intitolata a
Salvo D'Acquisto, il vice brigadiere che nel 1943 si oppose a una
rappresaglia nazista sacrificandosi poi per salvare vite altrui.
Insomma, piove sul bagnato!
Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane |
|
|
|
|
torna su |
rassegna stampa |
|
|
|
|
|
|
|
|
|
Gli israeliani chiedono la liberazione di Shalit sbagliando interlocutore [...
] Molti sostengono che la famiglia Shalit, avrebbe dovuto
piantare la tenda davanti alla sede della Croce Rossa Internazionale,
che in tutta questa storia rappresenta il vero scandalo, non essendosi
mai mossa con decisione per contro- battere la decisione di Hamas di
impedire qualunque indagine, o visita, al prigioniero Gilad. Hamas ha
detto no, e la CRI ha risposto va bene così, È alla CRI che si deve
chiedere conto, non a Netanyahu. Nella mani di Hamas, Gilad è un'arma
di ricatto formidabile, non perché avrà il potere di liberarlo, ma
perché ne attribuisce la responsabilità della prigionia al Primo
Ministro d'Israele. Una passione umanitaria nobile, ma con il bersaglio
sbagliato.
Angelo Pezzana, Libero, 29 agosto 2010
Arte, cibo e mestieri degli ebrei Il
5 settembre a ridosso del capodanno ebraico si terrà in tutta Italia la
giornata europea della cultura ebraica. Nel quartiere ebraico molti gli
eventi da visitare. Questo anno il tema prescelto è quello del rapporto
tra arte ed ebraismo. Per l'occasione che vedrà come città capofila
Livorno, la Comunità Ebraica di Roma ha in programma una serie di
eventi di diverso genere. Oltre alla visite guidate per l'exghetto, la
sinagoga e il museo ebraico sono previsti anche vernissage e matrimoni.
Nel pomeriggio del 5 settembre verrà infatti celebrato un matrimonio
con rito ebraico e si festeggeranno le nozze d'argento di una simpatica
coppia. Il tutto accompagnato da una serie di musiche liturgiche del
maestro Claudio Di Segni. Anche tante novità. «Per la prima volta
quest'anno verrà aperta al pubblico la sinagoga di via Balbo», rivela
Claudio Pro- caccia direttore del dipartimento cultura della Comunità
Ebraica di Roma. «E' una sinagoga significativa nella vita della
Comunità Ebraica di Roma del '900 in quella che è la storia di un'area
fortemente caratterizzata dalla presenza ebraica e che è uno dei
simboli dell'emancipazione degli ebrei di Roma». [...]
Vito Kahlun, Libero Roma, 28 agosto 2010
Il paragone di Marchetto La
chiesa cattolica ha tutto il diritto di ricordare agli stati europei la
necessità di rispettare la dignità della persona umana, inclusa la sua
libertà di movimento. E' suo compito far presente all'opinione pubblica
quanto sia pericolosa la denominazione d'origine criminale. "La
rumena", "i rumeni", "le rumene". E sostenere che non si deve
confondere l'ordine pubblico con la paura dello straniero. Ma quando
monsignor Agostino Marchetto, segretario del Pontificio consiglio per i
Migranti, definisce la persecuzione di cui sono oggi vittime i rom in
Francia come una sorta di nuovo olocausto, si scivola su un altro
piano. Quello del riflesso condizionato della cultura dominante e del
giornalismo collettivo che si è spinto al punto di paragonare le
politiche di sicurezza della Francia o del ministro dell'Interno Maroni
ai pogrom antisemiti, alle stragi naziste e al ritualismo ebraicida di
sapore medievale. Dopo le aggressioni in un campo rom a Napoli, un anno
fa, Adriano Prosperi su Repubblica riciclò a suo uso e consumo le
parole di Primo Levi: " Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide
case". Si parlò perfino di ritorno delle leggi razziali . Monsignor
Marchetto sbaglia quindi perché la Shoah, il genocidio industriale di
esseri umani e i comportamenti di uno stato totalitario non sono
paragonabili, neppure per un vezzo linguistico, al diritto alla
sicurezza di un paese democratico o alle sue derive securitarie. E'
sciocco e stolto questo paragone, oltre che storicamente falso. Gli
zingari e i romeni diventano minoranze ideologiche apparentate agli
ebrei nell'immaginario dell'antirazzismo militante. L'accostamento
nasce da una retorica falsamente umanitaria, non è altro che
conformismo e propaganda. E se la si critica si diventa reazionari
quindi razzisti, l'epiteto preferito dalle cicale del politically
correct. Con questi paragoni non si fa un buon servizio né alla memoria
dello sterminio degli ebrei né alla soluzione del problema sicurezza in
Francia e in Italia.
Il Foglio 28 agosto 2010
|
|
|
|
|
torna su |
notizieflash |
|
|
|
|
Israele, migliaia manifestano per la liberazione di Gilad Shalit Gerusalemme, 29 ago - In
occasione del suo ventiquattresimo compleanno, migliaia di israeliani
hanno manifestato ieri sera a Gerusalemme per la liberazione del
soldato Gilad Shalit, tenuto prigioniero dal 2006 a Gaza da Hamas,
brandendo cartelli con la scritta: "I nostri soldati non hanno prezzo".
La madre di Shalit, Aviva, ha chiesto al premier Benyamin Netanyahu di
riportare a casa suo figlio, lasciando intendere che dovrebbe accettare
le condizioni per uno scambio di prigionieri poste dal movimento
integralista palestinese. "Lei ha la possibilità di liberare Gilad" ha
dichiarato rivolgendosi al premier da un podio improvvisato piazzato
davanti alla residenza di Netanyahu, dove, in una tenda, da due mesi
vivono i famigliari del soldato. In un messaggio inviato per
l'occasione, e letto da un diplomatico dell'ambasciata di Francia a Tel
Aviv, il presidente francese Nicolas Sarkozy ha sottolineato la sua
"determinazione ad agire per giungere alla liberazione di Gilad
Shalit", che ha anche la cittadinanza francese. "Gilad - ha aggiunto -
non è un prigioniero di guerra, perché i prigionieri di guerra hanno
dei diritti: quello di ricevere visite da parte di organizzazioni
umanitarie, quello di scambiare lettere con i famigliari. Gilad non ha
questi diritti perché, diciamo le cose come stanno, è un ostaggio". |
|
|
|
|
|
torna su |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli
utenti che fossero interessati a partecipare alla sperimentazione
offrendo un proprio contributo, possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it per concordare le modalità di intervento.
Il servizio Notizieflash è realizzato dall'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane in collaborazione con la Comunità Ebraica di Trieste,
in redazione Daniela Gross. Avete
ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei
l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere
ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo
e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. |
|
|