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13
settembre
2010 - 5 Tishrì 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Nei
giorni di teshuvà, un insegnamento di Maimonide (da Hilkhot Teshuvà,
cap. 4): esistono delle colpe per le quali il processo di teshuvà è
molto difficile. Molto dipende da come noi valutiamo le nostre azioni.
Paradossalmente non sono le trasgressioni più gravi a rendere difficile
la teshuvà, ma quelle che una persona considera di lieve entità. Una
grave trasgressione inevitabilmente lascia un segno nella coscienza, e
prima o poi la persona che l'ha commessa dovrà farci i conti. Ma se una
trasgressione, grave o leggera che sia, non viene percepita da chi la
fa come un atto grave, non lascia nella coscienza quello stimolo che
potrà portare al ripensamento. In margine all'insegnamento di
Maimonide, potremmo osservare che oggi gran parte di ciò che la
tradizione considera grave e importante è ritenuto, nella mentalità
comune, come cosa di secondaria importanza, dal Sabato alla purità
familiare ecc. Se non si riflette su questo radicale ribaltamento di
prospettiva, ogni discorso sulla teshuvà è pura retorica.
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Anna
Foa,
storica
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“Uno dei modi migliori per
affrontare lo studio della società e della storia ebraica - dai suoi
inizi fino alla scena contemporanea in generale, con particolare
riguardo per Israele - E’ di analizzarla come storia di una civiltà".
Uso il termine civiltà perché desidero sottolineare esplicitamente che
concetti come “religione”, “nazione” e “popolo” non sono sufficienti
per la comprensione della storia ebraica, benché, è inutile dirlo, si
riferiscano tutti ad aspetti importanti dell’esperienza storica degli
ebrei.”Sono le parole iniziali di Civiltà ebraica di Shmuel N.
Eisenstadt, il grande studioso israeliano scomparso pochi giorni fa,
ricordato su questo Portale da un bel pezzo di Manuel Disegni. Un libro
importantissimo, che fu nel 1993 tradotto da Donzelli, nella traduzione
di Marina Astrologo e Fiammetta Bises, e con una bella prefazione di
David Meghnagi. Un libro straordinario, ricco di suggestioni e di
illuminazioni, che all’epoca fu letto e discusso con passione e che
vale la pena oggi di leggere o di rileggere. Anche perché è sempre il
modo migliore di ricordare chi, scomparendo, ci lascia in eredità i
suoi libri e il suo pensiero.
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Qui Firenze - “Arte ed
ebraismo, apriamo un dibattito”
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“Parlare
del rapporto esistente tra arte ed ebraismo è molto stimolante. Mi
piacerebbe che la discussione andasse avanti anche nelle prossime
settimane”. Joseph Levi, rabbino capo di Firenze, propone nuovi spunti
di riflessione sul tema scelto per la Giornata Europea della Cultura
Ebraica 2010. “È un argomento che si presta ad essere approfondito
sotto vari punti di vista, teologici ma anche filosofici e culturali.
Ad esempio, nonostante il secondo comandamento vieti la creazione e la
riproduzione di immagini, all’interno di alcune sinagoghe risalenti ai
primi secoli dell’era volgare sono stati rinvenuti mosaici con figure e
simboli in stile ellenistico. Un affascinante enigma culturale che ad
oggi neanche gli esperti sono riusciti a risolvere”. Il mosaico più
conosciuto è lo Zodiaco scoperto nella sinagoga di Beit Alfa, altre
testimonianze si trovano in luoghi di culto della Galilea e del Golan.
Tutte le rappresentazioni sono statiche, vanno intese in chiave ebraica
e non ellenistica, ma resta comunque quella che sembra una curiosa
anomalia. “Il fatto - spiega Levi - è che di reale iconoclastia non si
può verosimilmente parlare fino alla comparsa sulla scena dell’Islam.
Solo in quel momento cessano le commistioni col mondo esterno, casi
sporadici ma sintomo di una forte influenza della società circostante
sulle dinamiche religiose di alcune comunità ebraiche del tempo”. Il
ragionamento del rabbino capo di Firenze prosegue nel contemporaneo:
“C’è chi sostiene che gli ebrei, a causa del divieto di
rappresentazione, abbiamo prediletto ambiti professionali più astratti
come scienza è musica. Probabilmente c’è un nesso logico tra le due
cose, ma è altrettanto vero che in questi giorni stiamo celebrando
numerosi protagonisti ebrei in campo artistico. Spero allora che la
GECE, manifestazione che ogni anno ci permette di aprire con orgoglio
una finestra sulla nostra cultura, diventi una grande occasione di
riflessione interna. Quanti artisti ebrei sono portatori di una idea e
di un concetto figurativo differente perché ebrei e quanti invece
portano meno del proprio ebraismo perché assimilati? Chiediamocelo e
animiamo il dibattito nelle comunità”. Il Rav un'ideacel'ha: “Premetto
che questo è una considerazione generale, ma ho la sensazione che nella
nostra società assimilata si tenda a individuare più facilmente
l’ebraicità di una persona nelle sue origini piuttosto che nella piena
consapevolezza della propria identità. Nel caso degli artisti ci sono
molte sfumature da analizzare in profondità, scavando nel loro rapporto
con il figurativo e nella ricerca di strade alternative che alcuni di
loro, tra cui molti pittori astrattisti, hanno intrapreso”. Parte da
qui la proposta di Levi ad aprire un confronto che approfondisca anche
il seguente punto: quali sono i limiti halakhici per un artista ebreo e
come vengono definiti?. Sul nodo i Maestri si interrogano da sempre.
“In occasione dell’inaugurazione dell’Accademia delle Arti di Bezalel -
prosegue Levi -, il rabbino Kook scrive una famosa lettera in cui
sostiene che tutte le attività artistiche che glorificano anche in
forma indiretta la creazione e Dio aprono una finestra sulla
conoscenza. La valenza estetica dell’arte come metodo di avvicinamento
alla divinità, bellezza che indica divinità e divinità che indica
bellezza, questo è il suo punto di vista. Qual è invece il vostro?”.
Adam Smulevich
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Verso Kippur
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Per
l’ebreo che ha esperito la cesura tra i due anni, l’infranto dei
«giorni terribili», alla ricerca di una purificazione attraverso la
teshuvà, si prepara il digiuno, che non è l’astinenza dal cibo fine a
se stessa, ma è un modo per ricomporre la frammentazione, per
riunificarsi con se stessi e con gli altri grazie alla riconciliazione
con D-o.
Ha scritto il filosofo Yuhuda HaLevi, nel suo bellissimo
libro Kuzarì, che il digiuno che si osserva nel giorno di Kippur è «il
digiuno con cui si è simili agli angeli, perché perfeziona con la
contrizione e l’umiliazione, stando in piedi e inginocchiandosi, con le
lodi e con gli elogi; tutte le facoltà corporee “digiunano” astraendosi
dalle occupazioni naturali, come se nell’essere umano non ci fosse
natura animale» (Kuzari 3, 5).
Nella liturgia l’enumerazione dei
peccati (contenuta nelle preghiere di Ashamnu e di ’Al chet) è un modo
per strappare la confessione, per far affiorare i segreti che si
annidano nei recessi più reconditi e che, articolati insieme, vengono
condivisi in ripetizioni rinnovate. In questa condivisione, in cui
ciascuno è davanti a D-o nella sua umanità spoglia, Israele è
consapevole di pregare «con i peccatori» (Kol nidrè). E a Kippur emerge
con chiarezza che Israele si fa carico dell’umanità.
Donatella Di Cesare, filosofa
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notizieflash |
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rassegna
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Sciopero
a sorpresa, disagi all'aeroporto di Ben Gurion
Tel
Aviv, 13 settembre |
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Uno sciopero a sorpresa è stato indetto stamane dal
personale di terra dell'aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel
Aviv. Senza alcun preavviso alle nove di mattina i dipendenti hanno
incrociato le braccia e costretto al blocco di tutte le partenze. Gli
atterraggi vengono ancora autorizzati ma ai passeggeri non viene
consegnato il bagaglio. Il motivo della protesta è legata alla gestione
del fondo pensione dei dipendenti. Forti le critiche da parte del
ministro delle finanze Yuval Steinitz (Likud), che peraltro ha ammesso
che le richieste dei lavoratori sono "comprensibili". Febbrili contatti
sono adesso in corso dietro le quinte per ripristinare nella tarda
mattinata il traffico aereo.
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