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20
settembre
2010 - 12 Tishrì 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Quando
Bil'am fu costretto a benedire Israele, osservando l'accampamento
dall'alto, iniziò con le parole ma tovu ohalekha , "quanto sono belle
le tue tende". Stando a questa fonte, nel deserto gli ebrei abitavano
in tende, come in tende avevano abitato i Patriarchi. Tra due giorni
sarà Sukkot, e noi dovremo tornare a vivere in sukkot, capanne, per
ricordare le abitazioni del deserto. Ma tende e capanne non sono la
stessa cosa. La tenda, per quanto abitazione da nomade, presuppone una
certa evoluzione tecnologica, un filato tessuto e cucito (oggi ce ne
sono superaccessoriate, a disposizione di capi di Stato). La capanna è
molto più primitiva: basta raccogliere delle frasche e usarle per
protezione. L'unico intervento che prescrive la regola è il taglio,
l'interruzione del rapporto con la terra, ma oltre non si può andare,
perché se si trasforma il ramo tagliato in utensile non va più bene.
Simbolicamente, la sukkà è un tuffo alle origini della civiltà, in uno
stato tanto primordiale quanto precario.
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Anna
Foa,
storica
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Era il nonno materno dello
storico Paolo Alatri quel capitano d'artiglieria Giacomo Segre che il
venti settembre 1870 comandava la batteria che aprì la breccia di Porta
Pia, consentendo l'entrata dei bersaglieri a Roma e la fine del potere
temporale dei papi, oltre che, naturalmente, l'emancipazione degli
ebrei romani. Dando l'incarico a un ufficiale ebreo di ordinare il
fuoco, il comandante Cadorna intendeva probabilmente aggirare la
scomunica lanciata dal Papa su chi avesse ordinato l'assalto. Giacomo
Segre morì ancora giovane, ormai colonnello, nel 1894. E' sepolto nel
cimitero israelitico di Chieri, e sulla sua tomba sono raffigurati due
cannoni incrociati. Nel 2008 vi è stata apposta una lapide
che lo ricorda.
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Qui
Mantova - Articolo 3 modello vincente per l'Europa |
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Mancavano
ormai pochi minuti all'inizio del Kippur quando da Bruxelles si è
acceso un segnale positivo e significativo per la minoranza ebraica in
Italia.
I progetti in competizione erano ben oltre mille
(per la precisione 1333), quelli delle cerchia ristretta infine presi
in considerazione solo un centinaio. Il progetto europeo di Articolo 3
- Mantova (nell'immagine al momento della presentazione del primo
rapporto annuale), l'Osservatorio contro le discriminazioni e il
razzismo nato
sotto gli auspici di una delle più piccole e gloriose realtà ebraiche
italiane con la collaborazione dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane e della Rassegna stampa Ucei, degli enti locali mantovani
(Provincia e Comune di Mantova in testa) e di molte organizzazioni
antirazziste e per i diritti civili, fra cui l'Istituto di cultura
sinta e l'Associazione per la diffusione della cultura rom e sinta
Sucar Drom, è stato infine approvato e si è piazzato in quattordicesima
posizione nella graduatoria europea.
Del progetto è primo
firmatario il Presidente della Comunità ebraica di Mantova Fabio Norsa
(nell'immagine),
cui si sono aggiunti Ralf Makruzki (Eurocircle, Francia), Manuel
Frenandez Palomino (Diputation Provincial di Jaen, Spagna), Carlos
Alberto Leite Da Silva (IEBA, Portogallo), Calin Rus (Isituto
interculturale di Timisoara, Romania), Airi Alina Allaste (Università
di Tallin, Estonia) e Antonio Jose Maricas Ruano (Università Almeira,
Spagna). Una compagine internazionale chiamata a raccolta dalla realtà
mantovana per estendere in campo europeo la straordinaria esperienza di
Articolo 3.
Un momento di gioia e di
riconoscimento del
lavoro compiuto per Fabio Norsa, che è anche Consigliere UCEI ed è
stato raggiunto da un messaggio di congratulazioni del Presidente
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, per lo
staff e gli esperti di Articolo 3, a cominciare, solo per citarne
alcuni, da Maria Bacchi, Angelica Bertellini (nell'immagine a fianco) e
Eva Rizzin ed Elena
Borghi. E una soddisfazione per la redazione della Rassegna, che
costituisce uno degli elementi fondatori ed essenziali dell'esperienza
di Articolo 3.
Ma soprattutto un segnale rivolto al futuro
per le minoranze italiane e la dimostrazione ulteriore di quello che
possono fare e di quello che possono dare le comunità ebraiche italiane
nel contesto della società contemporanea.
A tutti gli amici di Articolo 3 un grande Mazal Tov e l'augurio di un
5771 ricco di soddisfazioni.
gv
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XX settembre - A Roma
"un anniversario difficile"
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Si svolge questo pomeriggio
nella sala Di Liegro di Palazzo Valentini in via IV Novembre a
partire dalle 16.30, il convegno “Un anniversario difficile: il XX
settembre 1870” che la Consulta Romana per la Laicità delle Istituzioni
ha promosso con il patrocinio della Provincia di Roma, per celebrare il
centoquarantesimo anniversario della liberazione di Roma.
Si chiamava Giacomo Segre, il capitano d'artiglieria che il 20
settembre 1870 comandava la batteria che aprì il fuoco contro le mura
di Roma, “l'unico - ha ricordato infatti il rav Riccardo Di Segni nel
discorso che ha preceduto la preghiera di Ne'ilà a conclusione del
digiuno di Kippur - a non doversi preoccupare della minaccia di
scomunica papale per chi per primo avesse aperto il fuoco . “Perché
ricordare questa storia proprio ora e qui, in uno dei momenti più sacri
della vita religiosa ebraica? - ha detto rav Di Segni - Perché la tanto
desiderata conquista della libertà per i nostri antenati di questa
città, fine della barbarie dell'ultimo ghetto dell'Europa Occidentale,
fu anche l'inizio di una nuova forma di vita ebraica e di una
rivoluzione di abitudini e di modi di pensare”.
“Il convegno è rivolto alla
cittadinanza non solo per il ricordo, ma
anche per gli approfondimenti di tutti gli eventi successivi legati ai
rapporti tra Stato e Chiesa e, in particolare, al valore della laicità
delle istituzioni da difendere ancora oggi” precisa Enrico Modigliani
(nell'immagine)
presidente dell'associazione Democrazia laica, fra gli organizzatori
del Convegno.
A coordinare gli interventi dei relatori, dopo il saluto di Carlo
Cosmelli, coordinatore della Consulta Romana e di Cecilia d'Elia
vicepresidente della Provincia, il filosofo Marcello Vigli. Fra gli
interventi previsti quello della storica Anna Foa che parlerà degli
ebrei di Roma dal Ghetto all'Emancipazione, del professor Giuseppe
Monsagrati esperto di storia del Risorgimento che terrà una relazione
su “Il mito di Roma: dalla Repubblica Romana del 1849 al 1870”, mentre
la professoressa Anna Maria Isastia docente di Storia Contemporanea
parlerà de “Il XX settembre tra polemiche e celebrazioni”. A concludere
il pomeriggio, il professor Nicola Tranfaglia docente di Storia
dell'Europa e del giornalismo, dell'Università di Torino che si
soffermerà sul significato del venti settembre oggi.
l.e.
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XX settembre - Il
capitano ebreo che aprì la strada
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Appena 140 anni or sono,
un'inezia per la Storia,si aprivano finalmente i cancelli del ghetto di
Roma. Era una conseguenza della Breccia di Porta Pia,con la prima
cannonata fatta sparare agli ordini del Capitano Giacomo
Segre,ebreo,forse per "salvaguardare" gli ufficiali cattolici dalla
scomunica minacciata da Pio IX o forse per fare un ulteriore "dispetto"
all'ultimo Papa Re. Secondo il calendario ebraico correva il giorno 24
del mese di Elul
dell'anno 5630 e l'avvenimento,dunque,almeno per gli ebrei non fu
quella "sciocchezza" che qualcuno ha cercato di far passare
nell'immaginario collettivo. »
Gadi Polacco,
Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
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Qui Assisi - Un
ciclopellegrinaggio per Gino Bartali
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Settantaquattro chilometri
lungo la parte finale del percorso che Gino Bartali affrontava sulla
sua bicicletta per consegnare documenti e fotografie alla stamperia di
Trento Brizi, dove si fabbricavano nuove identità per gli ebrei in fuga
dal nazifascismo nascosti nei conventi e nelle abitazioni di coraggiose
famiglie del Centro Italia. Nato con lo scopo di ricordare il mitico
Ginettaccio e il suo ruolo di staffetta nella rete clandestina che mise
in salvo circa 800 ebrei dalle grinfie dei persecutori, il
ciclopellegrinaggio che domenica 19 settembre ha portato 200 ciclisti
(tra cui alcuni ex professionisti) dal comune di Terontola ad Assisi è
stato un momento di grande partecipazione, riflessione e spiritualità
che ha fatto ancora una volta luce sullo straordinario eroismo del
grande corridore di Ponte a Ema, che in vita rifiutò ogni tipo di
riconoscimento pubblico per le sue pedalate extra agonistiche. Presenta
alla corsa Andrea Bartali, figlio di Gino, che da tempo sta portando
avanti la battaglia per trovare testimonianze di sopravvissuti e far
piantare un albero nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem in ricordo
di suo padre. “È stato toccante - racconta Andrea - vedere per il
secondo anno consecutivo la partenza dalla stazione di Terontola dove è
posta la lapide in onore di papà a ricordo delle sue imprese durante la
guerra. Molto bello vedere questo gruppo numeroso e allegro, ciclisti
di tutte le età, uomini e donne, radunarsi per un campione sui pedali e
nella vita”. L’iniziativa, organizzata dal Gruppo Sportivo Faiv
Valdichiana in collaborazione con la Fondazione Gino Bartali, è stata
promossa dal Coni e dalla Federazione Italiana Ciclismo, con il
patrocinio delle Regioni Umbria e Toscana, le Province di Perugia e
Arezzo, i comuni di Cortona e Assisi.
(foto di
Laura Guerra)
Adam Smulevich
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La frattura del mondo
ebraico e il resto dell’ebraismo
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Il discorso del rav Di Segni,
che è stato letto a Kippur nelle sinagoghe di Roma ed è stato
pubblicato con un'edizione speciale del notiziario quotidiano "l'Unione
informa" e sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it solleva
molti interrogativi e pone questioni complesse. Non sarà certo casuale
il rinvio alla parola teshuvà e al suo significato non solo di
«ritorno», ma anche di «risposta». Una delle domande che attraversano
il testo, in cui non manca il richiamo alle fratture nel mondo ebraico,
è quella sulla difficoltà di «essere ebrei».
Questa domanda, che ha costituito nei secoli un pungolo incessante per
il pensiero ebraico, ha assunto accenti inediti nel Novecento, dopo la
Shoah e dopo la fondazione dello Stato di Israele. Ma non si deve
neppure sottovalutare quel che è avvenuto nell’ultimo decennio sotto
l’effetto della globalizzazione. L’ebreo occidentale non solo non può
più fare a meno della scienza, della tecnologia, dell’arte, della
democrazia, dei diritti umani, ma rivendica la civiltà occidentale. E
la rivendica giustamente, sia per l’apporto di questa civiltà alla vita
ebraica, sia per il contributo decisivo della vita ebraica alla civiltà
occidentale. Alla fine della modernità, mentre si va compiendo il
travagliato passaggio a Occidente, a cui davvero solo pochi settori del
modo ebraico si sottraggono, si apre allora una grande questione: com’è
possibile non rinunciare ai valori occidentali senza abdicare
all’ebraismo? La questione è dunque quella che riguarda il modo di
intendere e di vivere l’identità ebraica.
Nel dibattito filosofico contemporaneo la frattura che nel mondo
ebraico si estende da Israele, attraverso l’Europa, fino agli Stati
Uniti, non è vista come una disputa partigiana. La linea di frattura,
che non contrappone necessariamente i laici ai religiosi, definisce due
strategie dell’esistenza ebraica.
Un polo è costituito dall’ebreo illuminato, pronto a sacrificare il
proprio sé sull’altare dell’universale, aspirando ad una identità
puramente «umana», mentre quella ebraica riemerge nella lotta contro
l’antisemitismo. Jean-Paul Sartre aveva già colto questo fenomeno
quando aveva affermato che l’«ebreo autentico» scomparirà quando si
sarà estinto l’antisemitismo. È evidente che in questa strategia le
lettere quadrate appaiono una restrizione della visione offerta dai
lumi e che l’ebraismo è subito come un particolarismo che, soprattutto
se letto in termini religiosi, diventa una minaccia per l’autonomia e
la libertà del soggetto.
L’altro polo è costituito da quello che Shmuel Trigano ha chiamato il
«campo della nazione». È l’ebreo eroicamente solo contro tutti che,
concentrato su di sé, abbandona qualsiasi preoccupazione per l’altro.
L’ebreo militante e combattente, che accusa spesso gli altri ebrei di
tradimento, come se non avessero altrettanto a cuore le sorti di
Israele, costruisce la propria identità sulla difesa dello Stato di
Israele, prendendo dunque una pericolosa scorciatoia identitaria.
Perché la difesa, replicata quasi ogni giorno, piega non solo
l’ebraismo all’economia spicciola della politica, ma diventa un alibi.
Non solo un alibi per aggirare il problema della secolarizzazione, ma
anche per convivere con un ebraismo che può essere anche svuotato di
contenuti.
Quel che è comune alle due strategie è che in entrambe l’ebraismo è
difeso come un vestigio del passato, non come forza propositiva e
creativa. Mentre resta fuori da queste due strategie, che hanno segnato
la storia recente, l’ebraismo risorge sulla scena contemporanea in
tutta la sua effervescenza. Situazione paradossale che invita a
riflettere. È un residuo arcaico e ingombrante che la modernità non ha
assimilato? Oppure è il resto di quella verità trasmessa dialogicamente
nella tradizione ebraica che ha oggi molto da dire, che bisogna perciò
leggere, studiare e interpretare per far parlare?
Donatella Di Cesare, filosofa
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
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L'UCEI
pianta alberi a Gerusalemme
in memoria del soldato italiano Romani
Roma,
20 settembre |
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“Sulle colline di Gerusalemme saranno piantati alberi in ricordo del
sacrificio del soldato italiano alla ricerca della pace e per la tutela
dei diritti fondamentali in Afghanistan”. L'iniziativa,
dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, è stata comunicata allo
Stato maggiore dell'esercito direttamente dal presidente UCEI, Renzo
Gattegna e dal presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo
Pacifici, presenti alla camera ardente allestita al Policlinico
militare del Celio per l'ufficiale della Folgore, Alessandro Romani,
morto in Afghanistan venerdì scorso.
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