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27
settembre
2010 - 19 Tishrì 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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insegnava Dante Lattes, non bisogna entusiasmarsi troppo delle grandi
carriere politiche di alcuni ebrei della Diaspora. Molti di questi
rivendicano con orgoglio il loro legame con le origini, ma il loro
rapporto con l'ebraismo non va molto più in là. In momenti di crisi e
di gravi decisioni, proprio la loro origine li costringe ad assumere
una rigida posizione super partes che difficilmente aiuta gli ebrei.
D'altra parte la presenza di questi personaggi è un segno positivo
della forza e della vivacità della comunità ebraica che continua a
produrre menti eccezionali. Su questa materia, in base alle notizie
recenti, un confronto s'impone tra Regno Unito e Italia, sia dal punto
di vista generale (oltre Manica il partito d'opposizione si rinnova e
sceglie come leader un ebreo di 40 anni, mentre il premier ne ha 43),
che dal punto di vista ebraico. Già perché in Italia, malgrado i nostri
minimi numeri, c'è stata in passato una continua produzione di grandi
figure politiche di ebrei dedicati agli interessi generali. Da poco è
scomparso Vittorio Foa, ed era l'ultimo dei grandi. E ora? E non si
dica che la carenza è dovuta al fatto che qui saremmo diventati più
religiosi...
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Anna
Foa,
storica
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Il resoconto, apparso sul Corriere di ieri, di David Irving
che se ne va in giro in Polonia con un branco di maturi discepoli, in
grado di pagare il suo profumato onorario, osannando Hitler e negando
la Shoah, ha del grottesco. Non varrebbe la pena di degnarlo di
attenzione se non fosse che una delle sue tappe è Treblinka (dal
momento che ad Auschwitz non lo fanno andare). Ora, Treblinka non ha
forse la valenza simbolica di Auschwitz, ma è il luogo dove sono stati
sterminati centinaia di migliaia di ebrei polacchi, in gran parte
provenienti dal ghetto di Varsavia. Il campo fu smantellato nel 1943,
dopo una rivolta dei prigionieri, alcune centinaia dei quali riuscirono
a fuggire. Una settantina di loro non saranno ripresi. I prigionieri
rimasti in vita dopo lo smantellamento del campo furono mandati nel
campo di sterminio di Sobibor. E' questo il luogo di morte che Irving
si prepara a profanare nel suo viaggio turistico. Dovremmo chiedere al
governo polacco di impedirglielo.
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Qui
Ferrara - De Mauro: "Il giornalismo non teme la crisi"
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Internazionale torna a
Ferrara. Il prossimo fine settimana, dall'1 al 3 ottobre, la città
estense ospiterà per il quarto anno consecutivo il Festival dedicato al
giornalismo e all’informazione. Prestigiose firme di fama mondiale si
riuniranno di fronte a migliaia di persone per un weekend di
approfondimenti, dibattiti, proiezioni su temi di attualità, politica,
economia e molto altro. Da Dana Priest, reporter premio Pulitzer del
Washington Post, alla giornalista cinese Hu Shuli, una delle dieci
donne più influenti d’Asia secondo il Time; passando per la discussa
Amira Hass, nota giornalista israeliana di Haaretz. “Oltre cento ospiti
provenienti da venticinque Paesi: come fare il giro del mondo in tre
giorni”, spiega il direttore di Internazionale Giovanni De Mauro.
“Quest’anno - continua De Mauro, uno dei fondatori del settimanale,
nato nel 1993 e ispirato al Courrier International - abbiamo avviato
l’iniziativa del Festival a spreco zero, un esperimento per ridurre
l’impatto ambientale che dimostra la nostra attenzione su questo tema.
Non saranno tre giorni a cambiare le cose ma è comunque un modo
concreto per dare risalto a un problema reale quanto grave”.
Porre l’attenzione su questioni meno conosciute o poco considerate dai
media italiani, è stato il grande successo di Internazionale, una
rassegna a cadenza settimanale con “il meglio dei giornali di tutto il
mondo” (come si legge sulla copertina della rivista). Di questa
fortunata scelta editoriale, del futuro del giornalismo, come di altri
temi, abbiamo parlato con il direttore De Mauro.
Qual è l’idea
guida della vostra rivista?
Cerchiamo di differenziarci dagli altri. Non ha senso appiattirsi sulle
stesse notizie. Se lei prende due nostri quotidiani nazionali e ne
confronta la prima pagina, vedrà che bene o male le notizie sono sempre
uguali; non solo, spesso la gerarchia con cui sono presentate è la
stessa. Tutti temono di prendere il così detto buco dagli altri, quindi
se il Corriere ha una notizia, anche Repubblica dovrà pubblicarla e
viceversa. Se invece confrontiamo due giornali inglesi, noterà che
molto raramente le notizie coincidono. In Italia c’è la tendenza a
uniformarsi e questo facilita il nostro lavoro: noi cerchiamo di
occuparci di altro e la cosa non è poi così difficile vista la marea di
argomenti a disposizione, lasciati liberi dagli altri giornali. Si parla spesso di crisi dell’informazione, cosa ne pensa? Non
è l’informazione ad essere in crisi, ma i giornali. E’ la carta
stampata che sta subendo una sensibile riduzione delle vendite. Ma
d’altro canto, grazie a internet, alcune testate hanno raggiunto una
diffusione inimmaginabile. Pensi al britannico Guardian che, come ha
ricordato il suo direttore, nonostante abbia ridotto drasticamente le
copie vendute, oggi conta ogni giorno oltre un milione di visitatori
sul proprio sito. E’ la forma ad essere in crisi non il giornalismo. In
Italia forse il problema non è solo la forma. Questo è il titolo di un
nostro giornale a diffusione nazionale ‘Dopo le case agli zingari, i
milioni per gli immigrati’. Puntare il dito contro le minoranze,
generalizzando, non può che creare pericolose divisioni e alimentare
una già forte tensione sociale. Da noi il problema nasce
dalla spaccature in due del paese: ci sono due parti che guardano
contemporaneamente due film diversi. Questo ha portato ad un
progressivo distacco, non c’è più una base condivisa su cui intavolare
discorsi. Il rispetto dei diritti, per esempio, non è più il terreno
comune su cui confrontarsi e questa situazione rischia di minare la
convivenza civile. Nel mondo del giornalismo tutto questo si riflette
in una tendenza pericolosa per cui i fatti vengono incastrati
artificialmente nella notizia in modo che la ricostruzione confermi
l’opinione di chi scrive. Manca dunque l’oggettività? Secondo
me il giornalismo oggettivo è una bufala. Qualsiasi giornalista compie
una scelta quando scrive o fotografa qualcosa. Dà spazio a ciò che ha
visto secondo i propri criteri, la propria visione del mondo. Per cui
non esiste un giornalista imparziale ma esiste il giornalista corretto
ed onesto che non nasconde i dettagli che trova scomodi alla propria
tesi. Quando si riporta una notizia si stringe un patto con il lettore,
bisogna essere onesti sia sulla ricostruzione dei fatti sia sul proprio
punto di vista. Dunque anche la
scelta di Internazionale di dare spazio a una giornalista estremista
come Amira Hass, tanto discussa in Israele, nasce da una visione
determinata della situazione del conflitto israelo-palestinese. Se
c’è un conflitto, ci sono inevitabilmente due parti. Gli errori spesso
vengono compiuti da entrambi ma in ogni caso bisogna prendere una
posizione. E’ una questione troppo delicata per rimanere indifferenti.
Noi di Internazionale abbiamo fatto una scelta di campo e il lavoro di
Amira, con cui collaboriamo da oltre dieci anni, fa parte del nostro
DNA. Lei ricostruisce i fatti, partendo da elementi apparentemente
insignificanti, una telefonata, una scritta, comunque verificando
sempre che la ricostruzione sia corretta. Poi se quello che scrive fa
venire il mal di panca a qualcuno, ben venga. Il giornalismo è fatto
per far discutere. Il giornalista non è un giudice imparziale ed
obbiettivo ma deve sollecitare una riflessione. Rimanendo in tema Medio Oriente, cosa pensa dell’informazione israeliana? Non
conosco molto le radio, ma il panorama informativo mi sembra
estremamente variegato e complesso. In molti giornali si possono
trovare diverse firme importanti e complessivamente mi sembra un mondo
molto vivace e creativo, con posizioni decisamente diversificate. E’ un
sistema che ha i suoi limiti, come tutti, ma garantisce comunque a
tutti pari dignità. Perciò funziona. In
chiusura, a Ferrara lei interverrà su le Frontiere digitali nell’ambito
dell’informazione. Come vede il futuro di questo campo? Credo
che il cambiamento arriverà quando le generazioni che oggi hanno 8-10
anni saranno cresciute. Ci stupiranno con un modo diverso di fare
giornalismo, inventando oggetti e supporti tecnologici innovativi. Perché? Perché sono generazioni slegate dal passato, libere dal peso della carta stampata. Comunque
sono convinto di una cosa, il giornalismo ci sarà sempre. E mi trovo
d’accordo con quanto ha detto alcuni anni fa il proprietario e
direttore del New York Times Arthur Sulzberger Jr. “Io non so che forma
avrà il New York Times fra cinque anni e non mi importa saperlo”.
Daniel Reichel
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Qui Roma - Un Museo per stare insieme
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Luci soffuse, divani bianchi
e musica di sottofondo, il Museo ebraico di Roma ha per qualche ora
cambiato volto ospitando per un aperitivo ragazzi e ragazze di età
diverse, ma anche molti adulti curiosi partecipare all'insolita
iniziativa, ideata da Daniela Di Castro, la direttrice del Museo
prematuramente scomparsa, che aveva proposto di coinvolgere i giovani
nel progetto di apertura del museo alla cittadinanza romana. Fra
camerieri in livrea bianca che offrivano calici di vino casher ed un
piccolo corner adibito a banco di preparazione e distribuzione dei
drink, oltre trecento giovani hanno affollato le suggestive sale del
museo, fra loro il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo
Pacifici, la vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti, Daniel Citone
assessore alle politiche giovanili, Aide Naouri assessore alle risosrse
umane e Claudio Procaccia direttore del dipartimento Cultura della CER
oltre a Giuseppe Piperno e Daniel Funaro rispettivamente presidente e
vicepresidente Ugei (Unione Giovani Ebrei d'Italia). La speranza dei
ragazzi Ugei, si legge nella pagina Facebook dedicata all’evento, è che
questo sia solo il primo di una serie di appuntamenti in cui l’incontro
tra giovani di differenti religioni e convinzioni, possa portare a
lavorare sulla diversità come valore fondante del proprio futuro e, a
giudicare dal successo dell'iniziativa, sembra che il cammino sia stato
intrapreso.
l.e.
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Qui Roma - Un nuovo centro per i giovani
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Una
domenica di settembre a Roma, genitori e ragazzi insieme per una
grigliata al Centro Elichai in via dell'Acqua Marcia, dove si trova
l'impianto sportivo diretto dal rav Moshe Hachmun, potrebbe sembrare
una domenica come tante altre, ma un atmosfera speciale ha
caratterizzato questa giornata di Sukkot in cui circa 700 persone fra
adulti e bambini si sono riunite nelle due sukkot, una riservata ai
ragazzi e una ai genitori, proprio nell'impianto sportivo, dove
usualmente si gioca a basket. »
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Tra scienza e fede. Una
contraddizione da superare?
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I progressi della scienza, che
seguono ormai un ritmo quotidiano, sembrano costituire per molti la
conferma di una difficoltà «oggettiva» della fede. In un mondo di
scettici ogni scoperta scientifica, al di là di ciò che dimostra,
sembra costituire la prova inconfutabile che rintracciare la presenza
di D-o può essere un passatempo per pochi. Sottolineare la
contraddizione tra scienza e fede finisce insomma per essere sempre un
vantaggio per la prima.
Ma perché mai la contraddizione dovrebbe essere superata? È nella
logica della filosofia occidentale, da Aristotele a Hegel, che il
superamento appare indispensabile. Non nell’ebraismo. Un errore che
molti commettono è quello di pensare che «religione» abbia lo stesso
significato nel contesto cristiano e in quello ebraico. Non è così. La
religione nel contesto ebraico rinvia al suo significato etimologico
(da «religare», perciò «legare»), vale a dire ai molteplici e fecondi
legami con una tradizione. L’ebraismo è anzitutto una forma di vita che
si produce sulla base della tradizione.
In questa forma di vita non è necessario trovare una unità. Anzi è
«obbligatorio immergersi nella contraddizione» - osserva Adin
Steinsaltz nel suo suggestivo libro «La rosa dai tredici petali. Un
incontro con la mistica ebraica» (Giuntina, Firenze 2000). È
probabilmente la prassi dell’ermeneutica talmudica a suggerire a
Steinsaltz un vero e proprio elogio della contraddizione che non è una
empasse, ma è piuttosto il «varco tra un mondo e l’altro». La
contraddizione è dunque apertura, è «oscillazione ritmica» che vieta di
restare fermi allo studio oppure alla devozione, all’attività
intellettuale che si dispiega nel dubbio oppure alla semplicità
rigorosa della preghiera. Di più: l’ebraismo sta per Steinsaltz proprio
nel percorso incessante tra lo studio e il giusto operare.
La contraddizione è dunque indispensabile. «Le scritture ebraiche -
scrive - sono piene di questa contraddizione, nel loro acuto
sottolineare il più piccolo dettaglio, nella loro sublime
consapevolezza delle verità più elevate e onnicomprensive, nella loro
prontezza nel mettere in discussione tutto, come anche ad accettare
tutto senza discutere». È sapendo dimorare nella contraddizione che ci
si può elevare alla forma di vita ebraica.
Donatella Di Cesare, filosofa
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notizieflash |
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rassegna
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Negoziati
israelo-palestinesi:
ostacolo moratoria
Tel
Aviv, 27 settembre |
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E' stato raggiunto un accordo fra Israele e Anp nel concedersi
un'ulteriore settimana di contatti per trovare un compromesso sulla
moratoria nelle colonie della Cisgiordania, allo scopo di poter poi
proseguire nelle trattative di pace. Lo scrive il quotidiano Jerusalem
Post secondo cui la decisione del presidente Abu Mazen di chiedere in
merito una consultazione con la Lega araba solo il 4 ottobre - e non
prima - è la conseguenza di serrati contatti diplomatici intercorsi
dietro le quinte nei giorni scorsi.
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
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di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
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