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29 settembre 2010 - 21 Tishrì 5771
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Adolfo Locci
Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova

Rabbì Chaninà, nel trattato di Sanhedrin (98a), afferma che il Messia arriverà nella generazione in cui non si troverà il pesce richiesto da un malato. Don Itzchak Abravanel (Lisbona 1437; Venezia 1508), sostiene che una chiave per la possibile lettura del detto di Rabbì Chaninà, si trovi nel racconto biblico della Creazione. Nel secondo giorno del Ma’asè Bereshit, il Signore separa le acque superiori da quelle inferiori e i maestri del Talmud suppongono che proprio in questo momento si creò lo spirito sterile e infruttifero della polemica e i pesci, abitanti delle acque che vivono in contrasto continuo l’uno con l’altro (il pesce “grande” si ciba sempre di quello più “piccolo”), diventano anche simbolo della contesa disgregatrice. Dunque, secondo Rabbì Chaninà, il malato che ricerca il pesce è un immagine simbolica del popolo ebraico, disperso in esilio, diviso e dedito alla controversia che lo lacera sempre più dal suo interno. Ecco che, quando il popolo ebraico (il malato) si unirà e smetterà di cercare motivi per discussioni disgregatrici (il pesce), la strada per l’arrivo del Messia sarà preparata. Alla vigilia dell’inizio del prossimo ciclo annuale della lettura della Torah, auspico che già dal prossimo congresso dell’UCEI (5-8 dicembre), dove saranno necessarie “solo” proposte costruttive, si possa dimostrare nel nostro piccolo - come Ebraismo Italiano - di aver intrapreso il giusto percorso... Mo’adim le-simchà.

Alfredo
Mordechai
Rabello,
giurista
   

Alfredo Mordechai Rabello

"Uomini santi sarete per Me" (Shemot 22:30): ho già abbastanza angeli, cerco uomini normali che sappiano vivere in santità, che sappiano portare la santità nella vita di ogni giorno (da un insegnamento del Kotzker Rebbe, 1787-1859). 
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davar
Articolo 3 - Un progetto per l'Europa
conferenza stampa_pubblicoMonitoraggio della stampa locale e controinformazione per combattere il razzismo, la xenofobia e l’antisemitismo. Su queste basi si fonda In Other W.O.R.D.S (Web Observatory & Review on Discriminations and Stereotypes), il progetto portato avanti da Articolo 3, l’Osservatorio sulle discriminazioni di Mantova, recentemente approvato dalla Commissione europea. Grazie agli sforzi comuni di diversi enti, fra cui la Comunità ebraica di Mantova, l’UCEI, gli enti locali mantovani, nasceranno presto in Spagna, Portogallo, Francia, Romania, Estonia dei gruppi locali che, ripercorrendo l’esperienza di Articolo 3 e sotto la sua guida, si impegneranno a monitorare i mezzi di informazione locali. Il senso dell’iniziativa è quello di sviluppare una metodologia su base europea per ridurre l’impatto di quella che in ebraico potremmo chiamare Hasbarah, (הסברע) o cattiva informazione: tutti quei messaggi istituzionali o dei media volti ad alimentare stereotipi, idee razziste e intolleranza. Per fare un esempio concreto, questo è un titolo di un quotidiano italiano ‘Quel Corano che fa paura - Perché dobbiamo aver paura dell'Islam’ o ancora ‘Il regalo dei rom “mantenuti”: tonnellate di rifiuti all’ingresso’. La volontà è quella di fomentare la paura o rabbia contro una determinata minoranza, generalizzando e semplificando un problema puntando il dito contro un capro espiatorio. “Il progetto - si legge nella proposta poi posizionatasi al quattordicesimo posto nella graduatoria europea su 1333 progetti presentati - vuole creare un sistema semiprofessionale e socialmente diffuso di monitoraggio e reazione contro ogni fonte di comportamento intollerante”.
“Uno dei punti fondamentale dell’iniziativa - spiega Angelica Bertellini di Articolo 3 - è che queste task community saranno formate da uomini e donne appartenenti a una minoranza”. Così come accade a Mantova, la responsabilità di questo complesso lavoro ricadrà su persone che vivono quotidianamente, in modo diretto o meno, la realtà delle discriminazioni. Sinti, rom, ebrei, musulmani, disabili, omosessuali, ciascun paese vedrà rappresentata una minoranza, con le peculiarità di ciascun Paese di origine. “Sono molto curiosa - sottolinea Angelica - di sapere chi sceglieranno i nostri partner europei e in particolare di conoscere la storia, le sensazioni, le difficoltà di queste persone. E’ un a grande possibilità per comprendere differenze e somiglianze delle diverse realtà europee”.
Le minoranze rappresentate nelle local units dovranno essere almeno tre. Ciascun gruppo dovrà individuare un’Agenzia che fornisca la rassegna stampa quotidiana delle testate principali del proprio Paese e di alcune testate locali. Secondo passo sarà l’individuazione di parole chiave per la preselezione degli articoli (ebreo, antisemitismo, islam, omofobia, disabile, ecc.). Per arrivare alla guida settimanale alla rassegna in stile Articolo 3, le local units dovranno analizzare le modalità con cui vengono riportate le notizie sulle minoranze, il linguaggio utilizzato, la fedeltà ai fatti e eventuali dichiarazioni da propaganda razzista di politici locali come nazionali. Tutto questo lavoro confluirà in una newsletter periodica destinata a un’ampia rete di destinatari, pubblici e privati. “L’idea” spiega la Bertellini “è di creare una controinformazione, come già accade da noi, nel mantovano, che aiuti le persone, in particolare i giornalisti, a comprendere cosa in una notizia è rilevante e cosa no. La nostra è una forma di mediazione che cerca di far comprendere quanto possa essere dannoso l’utilizzo di un particolare linguaggio o stereotipo per una determinata minoranza. Da noi, per esempio, nei media locali c’è stato un forte abbassamento dei titoli shock”. Per comprendere il peso di questa cattiva informazione basta riflettere su un dato veramente preoccupante che però passa sottotraccia: la prima causa di morte delle donne in Europa è dovuta a violenza domestica, nel nucleo famigliare. Non è l’extracomunitario, il romeno, il marocchino ma il marito, il compagno o il padre il primo pericolo per una donna. Sembra incredibile perché leggendo i giornali o guardando la televisione il dato passa inosservato, non così il presunto stupro di una donna italiana da parte di un rom, che compare a titoli cubitali sul giornale. “Se poi però”ricorda Angelica “si scopre che non è stato il rom a compiere lo stupro, la rettifica saranno quattro righe al fondo del giornale”. Intanto nelle mente delle persone rimane la percezione che l’unico pericolo per la loro incolumità sia l’extracomunitario stupratore o bombarolo.
L’importanza di questo progetto appare, dunque, evidente. Un modo non solo per difendere i diritti delle minoranze ma anche per porre l’attenzione sui problemi reali della società, spesso dimenticati o fatti dimenticare fomentando rabbie e paure.
Ricordiamo infine l’articolo 3 della nostra Costituzione, di cui in molti troppo spesso si dimenticano il significato: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Daniel Reichel

Qui Casale Monferrato - OyOyOy, appuntamenti d'autunno
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Fede e Scienza - Può uno scienziato essere religioso?
Daniel Haviv
Indubbiamente sì, se è ebreo. Se è cristiano, meno, e i motivi li ha descritti molto bene Donatella Di Cesare nel numero del 27 settembre. Ma la Di Cesare parla di una contraddizione che c'è, ed è da superare o da accettare, e mette giustamente in risalto il ruolo fondamentale che ha la dialettica delle contraddizioni nell'ebraismo, citando "l'elogio della contraddizione" di Adin Steinsalz: questa dialettica degli opposti è elemento indispensabile e formativo della dinamica dell' "essere ebreo". E io aggiungo: per l'ebreo l'apparente contraddizione fra fede e scienza, non solo è facilmente superabile, ma non esiste nemmeno. Essa è un prodotto della scolastica tolemaico-cristiana e ultimamente (solo ultimamente) è penetrata in certi ambienti ebraici ortodossi, che hanno smesso di sviluppare un pensiero dinamico e si sono cristallizzati nella loro nostalgia del passato. Ma l'ebraismo può vivere e sopravvivere solo se è in moto, se si ferma degenera e muore, e questo è quello che succede alla corrente che interpreta il libro di Bereshit in senso dogmatico: in fatto di scienza è irrilevante. E mi spiego. In molte Yeshivot si insegna che il mondo esiste da soli 5771 anni e che è il sole a girare intorno alla terra e non il contrario, tanto per fare due esempi, per cui se un alunno domanda quanto tempo impiega la luce ad arrivare a noi da un'altra galassia non riceve una risposta soddisfacente, dato che si tratta di milioni di anni. E questo, detto per inciso, è il motivo per cui in quelle Yeshivot non si insegnano materie scientifiche, pur essendo queste nei programmi ufficiali dello Stato.
Il fatto è che, come dicevo sopra, contraddizione fra fede ebraica e scienza non c'è (e questo è il motivo per cui nelle istituzioni di ricerca israeliane si vedono molte kippot) a patto che il primo capitolo del libro di Bereshit venga interpretato nel modo giusto.
Contraddizione ci può essere solo laddove due argomenti diversi si muovono nello stesso spazio e rischiano quindi di venire a contatto, ma nel caso della fede e della scienza si tratta di attività che operano in due spazi differenti, e quindi non hanno alcuna probabilità di collisione. Quali sono questi due spazi?
La fede opera nell'ambito di una verità assoluta che non può essere sottoposta a verifica sperimentale, mentre la scienza parla di verità relative al loro contesto spazio-temporale, che traggono la loro legittimità dalla verifica sperimentale.
La fede si chiede il perché ultimo dei fenomeni, mentre lo scienziato si chiede solo il come e non si pone la domanda "chi abbia inventato le leggi della natura".
La fede si rivolge all'interno dell'uomo e si occupa della morale, in essa l'uomo è soggetto, mentre la scienza è tutta rivolta allo studio del mondo esterno all'uomo, e quando la scienza studia l'uomo, questo è oggetto.
I postulati della fede ebraica, che si riassumono nei Dieci Comandamenti, provengono dall'Alto, mentre quelli della scienza sono creazione dell'uomo e come tali soggetti a mutamenti.
La fede ebraica è un atteggiamento "totale" che permea ed esalta tutti gli aspetti e i momenti della vita, mentre la scienza riguarda un solo "luogo" molto particolare dell'anima umana, quello logico cognitivo, e si muove secondo regole precise e convenzionali che furono fissate da Galileo Galilei cinque secoli fa e valide fino ad oggi.
In sintesi si può dire che le diatribe fra creazionismo ed evoluzionismo e fra geocentrismo ed eliocentrismo (tanto per fare solo due esempi) hanno origine da interpretazioni dogmatiche e alla lettera delle Scritture, interpretazioni che in epoca moderna si sono rivelate errate, e così anche i "calcoli" che stabilirono l'età del mondo a 5771 anni. L'errore fondamentale è considerare il libro di Bereshit un trattato di storia e di scienze naturali. Se invece lo si considera nella sua giusta luce e cioè come libro di fede e come parte integrante della Torah, sfuma ogni possibilità di fraintendimento e di contraddizione con le deduzioni che la scienza propone di volta in volta, figlie passeggere della loro epoca. Ma allora qual'è il vero significato delle parole della Genesi? Questa è una sfida ancora aperta che l'ebraismo deve affrontare con coraggio, anche a costo di rinunciare a idee "belle" ma ormai da tempo inadeguate. Ma non è stato già detto che il continuo e instancabile confronto dialettico con le contraddizioni è la linfa vitale dell'ebraismo?

Daniel Haviv, alchimista

Francesco Maria d'Ippolito, maestro di Storia
Francesco Lucrezi
L'ultima domenica di settembre, nella suggestiva cornice del Castello Svevo di Trani, è stata commemorata, da Andrea Lovato, Francesco Grelle e Tullio Spagnuolo Vigorita, la figura di Federico Maria d’Ippolito, il grande storico e giurista napoletano prematuramente scomparso quest’anno. Partecipiamo anche noi alla rievocazione del pensiero del Maestro, ricordando come egli, nel libro Modelli storiografici tra Otto e Novecento (ed. Satura, 2007), abbia magistralmente preso in esame e interpretato i contributi scientifici lasciateci di quella parte rilevante della storiografia tedesca che, negli anni Trenta, si compromise col nazismo. Suo grande merito è stato quello di porre al centro dell’attenzione una “zona oscura” della cultura del Novecento, che spesso si tende a evitare, in quanto, probabilmente, evocatrice di ferite ancora aperte, o irrimarginabili (o anche per evitare una dolorosa e scomoda riflessione sulla capacità del male di insinuarsi, incistarsi nel pensiero, seminando scorie nocive in grado di sopravvivere a quei regimi totalitari che quello stesso male avevano generato e diffuso).
D’Ippolito, in particolare, prende in esame la figura significativa dello storico Franz Altheim, la cui opera viene valutata anche alla luce delle taglienti e illuminanti considerazioni di Arnaldo Momigliano, il quale, nel denunciare la “mistura di misticismo e razzismo” presente nel pensiero di Altheim (oltre che di autori come Wilhelm Weber, Fritz Schachermeyer e Helmut Berve), denunciò le gravi conseguenze prodotte sulle scienze storiografiche dall’intorbidamento intellettuale nazifascista: “il vero male… fatto agli studi di storia antica non sta nelle sciocchezze che si dissero, ma nei pensieri che non furono più pensati”.
E’, questo, un aspetto particolare del rapporto tra cultura e nazismo, che va al di là del problema delle responsabilità individuali e di quello che d’Ippolito definisce l’“immane sopruso” subìto dagli studiosi ebrei, ma tocca la questione della capacità, da parte di un regime totalitario, di piegare dal di dentro l’animo umano, generando un’oscura deriva della coscienza: nel campo della storia antica, per esempio, il nazismo, nota l’autore, non solo corruppe l’acume degli studiosi, ma portò a una forma di ‘autocorruzione’, nel momento in cui indusse a ‘nazificare’ l’oggetto stesso dell’indagine, “reso prono alla volontà del potere di costruirsi una nobiltà nell’antico”. L’antichità classica, così, da terreno di ricerca diventa fonte di ideologia malata, sirena incantatrice in grado di sedurre i naviganti per poi farli naufragare.
Una storiografia deformante, quindi, tossica e inquinante, che avrebbe spianato la strada, creando una forma di subdola legittimazione intellettuale, agli orrendi crimini che sarebbero stato compiuti di lì a pochi anni. Le pagine di d’Ippolito, in tal senso, si rivelano particolarmente utili, e non solo sul piano storiografico, nel momento in cui contribuiscono a mantenere viva l’attenzione e il dibattito sulla responsabilità morale della scienza, e sul rischio, sempre presente, di una sua capacità di ‘autocorrompersi’, e di contribuire, più o meno coscientemente, all’inquinamento e all’oscuramento delle coscienze. Un rischio che non può mai dirsi definitivamente scongiurato, e il cui periodico riaffiorare impone - come insegna il Maestro - costante vigilanza.

Francesco Lucrezi, storico

Noi e la Destra
Gadi Polacco
Da queste colonne Tobia Zevi, che seguo sempre con grande interesse, sfoga la propria rammaricata meraviglia per il corteggiamento di Berlusconi verso la "Destra" di Storace e camerati simili.
In verità mi meraviglio che ci si meravigli, perchè non vedo niente di nuovo sotto il sole, ricordando ad esempio altri fieri camerati, tanto per citare un nome Ciarrapico, imbarcati dal presidente del Consiglio negli anni.
Mi meraviglio anche, però, del fatto che Fini abbia avuto bisogno di più di tre lustri per concludere che Berlusconi è "illiberale".
Da liberale senza prefissi o suffissi quale sono e siamo, ironizzando direi in compagnia di pochi ma cocciuti "nostalgici", immuni dal berlusconismo come dall'antiberlusconismo vorrei dire che quanto viene constatato oggi ci appariva chiaro sin dai primordi della "discesa in campo": non essendo certamente noi dei geni, quanto ora viene rilevato ci appare ovvia conclusione alla quale si poteva giungere quindi tempo.
Da questo mio modesto ma autonomo punto di vista, da ebreo e da liberale, devo però anche ricordare che dall'altra parte della barricata, per banalizzare, ovvero nel cosiddetto centrosinistra, non vedo però di meglio: sono purtroppo abbastanza maturo da ricordare il "feeling" D'Alema-Fini e da avere ben presenti le pulsioni antisraeliane con ampi sforamenti nel pregiudizio che ad oggi, per quanto alcune ali estreme siano state punite dal voto degli elettori,albergano appunto nel centrosinistra (ad esempio si leggano alcuni commenti, purtroppo, in area IDV per non parlare della sinistra radicale che magari qualcuno vorrebbe ripescare con il "nuovo Ulivo").
Andrei quindi cauto nello stigmatizzare i comportamenti altrui così come nel voler istruire gli altri circa cosa dovrebbero fare o dire, abitudine che appartiene (non me ne voglia Tobia) a una certa vocazione snob della sinistra, e cercherei invece di operare una liberale distinzione tra parti politiche e personaggi che, pur da queste provenienti, assumano pro tempore incarichi di governo od amministrazione locale che, come vuole la pur retorica frase, si spera almeno vengano esercitati in nome della collettività tutta.
Insomma, per parafrasare Rigoletto, "questi o quelli per me pari sono..." .
Infine una curiosità da lettore: la legittima ma marcatamente politica nota, anche in senso di orientamento, di Tobia Zevi accompagnata dalla dicitura "Associazione Hans Jonas", indica una collocazione politica ben precisa della stessa?

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane 

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rassegna stampa
Leggi la rassegna

Nel 1934, nel momento dell'arresto di alcuni ebrei italiani antifascisti, numerosi altri ebrei si precipitarono a scrivere a Mussolini una lettera di solidarietà come ebrei italiani fascisti. Questo mi torna in mente dopo la lettura di quanto Benny Tsipper, responsabile della rubrica culturale di Haaretz, ha scritto alla vigilia di Rosh haShanà sul giornale Yäkinton (da Yäke, ebreo tedesco), a pochi mesi da quando la decana dei giornalisti americani Helen Thomas aveva dichiarato che gli ebrei israeliani devono tornare in Polonia, e in Germania.  »

Emanuel Segre Amar





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