Monitoraggio della stampa
locale e controinformazione per combattere il razzismo, la xenofobia e
l’antisemitismo. Su queste basi si fonda In Other W.O.R.D.S (Web
Observatory & Review on Discriminations and Stereotypes), il
progetto portato avanti da Articolo 3, l’Osservatorio sulle
discriminazioni di Mantova, recentemente approvato dalla Commissione
europea. Grazie agli sforzi comuni di diversi enti, fra cui la Comunità
ebraica di Mantova, l’UCEI, gli enti locali mantovani, nasceranno
presto in Spagna, Portogallo, Francia, Romania, Estonia dei gruppi
locali che, ripercorrendo l’esperienza di Articolo 3 e sotto la sua
guida, si impegneranno a monitorare i mezzi di informazione locali. Il
senso dell’iniziativa è quello di sviluppare una metodologia su base
europea per ridurre l’impatto di quella che in ebraico potremmo
chiamare Hasbarah, (הסברע) o cattiva informazione: tutti quei messaggi
istituzionali o dei media volti ad alimentare stereotipi, idee razziste
e intolleranza. Per fare un esempio concreto, questo è un titolo di un
quotidiano italiano ‘Quel Corano che fa paura - Perché dobbiamo aver
paura dell'Islam’ o ancora ‘Il regalo dei rom “mantenuti”: tonnellate
di rifiuti all’ingresso’. La volontà è quella di fomentare la paura o
rabbia contro una determinata minoranza, generalizzando e semplificando
un problema puntando il dito contro un capro espiatorio. “Il progetto -
si legge nella proposta poi posizionatasi al quattordicesimo posto
nella graduatoria europea su 1333 progetti presentati - vuole creare un
sistema semiprofessionale e socialmente diffuso di monitoraggio e
reazione contro ogni fonte di comportamento intollerante”.
“Uno dei punti fondamentale dell’iniziativa - spiega Angelica
Bertellini di Articolo 3 - è che queste task community saranno formate
da uomini e donne appartenenti a una minoranza”. Così come accade a
Mantova, la responsabilità di questo complesso lavoro ricadrà su
persone che vivono quotidianamente, in modo diretto o meno, la realtà
delle discriminazioni. Sinti, rom, ebrei, musulmani, disabili,
omosessuali, ciascun paese vedrà rappresentata una minoranza, con le
peculiarità di ciascun Paese di origine. “Sono molto curiosa -
sottolinea Angelica - di sapere chi sceglieranno i nostri partner
europei e in particolare di conoscere la storia, le sensazioni, le
difficoltà di queste persone. E’ un a grande possibilità per
comprendere differenze e somiglianze delle diverse realtà europee”.
Le minoranze rappresentate nelle local units dovranno essere almeno
tre. Ciascun gruppo dovrà individuare un’Agenzia che fornisca la
rassegna stampa quotidiana delle testate principali del proprio Paese e
di alcune testate locali. Secondo passo sarà l’individuazione di parole
chiave per la preselezione degli articoli (ebreo, antisemitismo, islam,
omofobia, disabile, ecc.). Per arrivare alla guida settimanale alla
rassegna in stile Articolo 3, le local units dovranno analizzare le
modalità con cui vengono riportate le notizie sulle minoranze, il
linguaggio utilizzato, la fedeltà ai fatti e eventuali dichiarazioni da
propaganda razzista di politici locali come nazionali. Tutto questo
lavoro confluirà in una newsletter periodica destinata a un’ampia rete
di destinatari, pubblici e privati. “L’idea” spiega la Bertellini “è di
creare una controinformazione, come già accade da noi, nel mantovano,
che aiuti le persone, in particolare i giornalisti, a comprendere cosa
in una notizia è rilevante e cosa no. La nostra è una forma di
mediazione che cerca di far comprendere quanto possa essere dannoso
l’utilizzo di un particolare linguaggio o stereotipo per una
determinata minoranza. Da noi, per esempio, nei media locali c’è stato
un forte abbassamento dei titoli shock”. Per comprendere il peso di
questa cattiva informazione basta riflettere su un dato veramente
preoccupante che però passa sottotraccia: la prima causa di morte delle
donne in Europa è dovuta a violenza domestica, nel nucleo famigliare.
Non è l’extracomunitario, il romeno, il marocchino ma il marito, il
compagno o il padre il primo pericolo per una donna. Sembra incredibile
perché leggendo i giornali o guardando la televisione il dato passa
inosservato, non così il presunto stupro di una donna italiana da parte
di un rom, che compare a titoli cubitali sul giornale. “Se poi
però”ricorda Angelica “si scopre che non è stato il rom a compiere lo
stupro, la rettifica saranno quattro righe al fondo del giornale”.
Intanto nelle mente delle persone rimane la percezione che l’unico
pericolo per la loro incolumità sia l’extracomunitario stupratore o
bombarolo.
L’importanza di questo progetto appare, dunque, evidente. Un modo non
solo per difendere i diritti delle minoranze ma anche per porre
l’attenzione sui problemi reali della società, spesso dimenticati o
fatti dimenticare fomentando rabbie e paure.
Ricordiamo infine l’articolo 3 della nostra Costituzione, di cui in
molti troppo spesso si dimenticano il significato: “Tutti i cittadini
hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni
politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e
l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione
politica, economica e sociale del Paese”.
Daniel Reichel
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Fede e Scienza - Può
uno scienziato essere religioso?
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Indubbiamente sì, se è ebreo.
Se è cristiano, meno, e i motivi li ha
descritti molto bene Donatella Di Cesare nel numero del
27 settembre.
Ma la Di Cesare parla di una contraddizione che c'è, ed è da superare o
da accettare, e mette giustamente in risalto il ruolo fondamentale che
ha la dialettica delle contraddizioni nell'ebraismo, citando "l'elogio
della contraddizione" di Adin Steinsalz: questa dialettica degli
opposti è elemento indispensabile e formativo della dinamica dell'
"essere ebreo". E io aggiungo: per l'ebreo l'apparente contraddizione
fra fede e scienza, non solo è facilmente superabile, ma non esiste
nemmeno. Essa è un prodotto della scolastica tolemaico-cristiana e
ultimamente (solo ultimamente) è penetrata in certi ambienti ebraici
ortodossi, che hanno smesso di sviluppare un pensiero dinamico e si
sono cristallizzati nella loro nostalgia del passato. Ma l'ebraismo può
vivere e sopravvivere solo se è in moto, se si ferma degenera e muore,
e questo è quello che succede alla corrente che interpreta il libro di
Bereshit in senso dogmatico: in fatto di scienza è irrilevante. E mi
spiego. In molte Yeshivot si insegna che il mondo esiste da soli 5771
anni e che è il sole a girare intorno alla terra e non il contrario,
tanto per fare due esempi, per cui se un alunno domanda quanto tempo
impiega la luce ad arrivare a noi da un'altra galassia non riceve una
risposta soddisfacente, dato che si tratta di milioni di anni. E
questo, detto per inciso, è il motivo per cui in quelle Yeshivot non si
insegnano materie scientifiche, pur essendo queste nei programmi
ufficiali dello Stato.
Il fatto è che, come dicevo sopra, contraddizione fra fede ebraica e
scienza non c'è (e questo è il motivo per cui nelle istituzioni di
ricerca israeliane si vedono molte kippot) a patto che il primo
capitolo del libro di Bereshit venga interpretato nel modo giusto.
Contraddizione ci può essere solo laddove due argomenti diversi si
muovono nello stesso spazio e rischiano quindi di venire a contatto, ma
nel caso della fede e della scienza si tratta di attività che operano
in due spazi differenti, e quindi non hanno alcuna probabilità di
collisione. Quali sono questi due spazi?
La fede opera nell'ambito di una verità assoluta che non può essere
sottoposta a verifica sperimentale, mentre la scienza parla di verità
relative al loro contesto spazio-temporale, che traggono la loro
legittimità dalla verifica sperimentale.
La fede si chiede il perché ultimo dei fenomeni, mentre lo scienziato
si chiede solo il come e non si pone la domanda "chi abbia inventato le
leggi della natura".
La fede si rivolge all'interno dell'uomo e si occupa della morale, in
essa l'uomo è soggetto, mentre la scienza è tutta rivolta allo studio
del mondo esterno all'uomo, e quando la scienza studia l'uomo, questo è
oggetto.
I postulati della fede ebraica, che si riassumono nei Dieci
Comandamenti, provengono dall'Alto, mentre quelli della scienza sono
creazione dell'uomo e come tali soggetti a mutamenti.
La fede ebraica è un atteggiamento "totale" che permea ed esalta tutti
gli aspetti e i momenti della vita, mentre la scienza riguarda un solo
"luogo" molto particolare dell'anima umana, quello logico cognitivo, e
si muove secondo regole precise e convenzionali che furono fissate da
Galileo Galilei cinque secoli fa e valide fino ad oggi.
In sintesi si può dire che le diatribe fra creazionismo ed
evoluzionismo e fra geocentrismo ed eliocentrismo (tanto per fare solo
due esempi) hanno origine da interpretazioni dogmatiche e alla lettera
delle Scritture, interpretazioni che in epoca moderna si sono rivelate
errate, e così anche i "calcoli" che stabilirono l'età del mondo a 5771
anni. L'errore fondamentale è considerare il libro di Bereshit un
trattato di storia e di scienze naturali. Se invece lo si considera
nella sua giusta luce e cioè come libro di fede e come parte integrante
della Torah, sfuma ogni possibilità di fraintendimento e di
contraddizione con le deduzioni che la scienza propone di volta in
volta, figlie passeggere della loro epoca. Ma allora qual'è il vero
significato delle parole della Genesi? Questa è una sfida ancora aperta
che l'ebraismo deve affrontare con coraggio, anche a costo di
rinunciare a idee "belle" ma ormai da tempo inadeguate. Ma non è stato
già detto che il continuo e instancabile confronto dialettico con le
contraddizioni è la linfa vitale dell'ebraismo?
Daniel
Haviv, alchimista
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Francesco Maria
d'Ippolito, maestro di Storia
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L'ultima domenica di settembre,
nella suggestiva cornice del Castello Svevo di Trani, è stata
commemorata, da Andrea Lovato, Francesco Grelle e Tullio Spagnuolo
Vigorita, la figura di Federico Maria d’Ippolito, il grande storico e
giurista napoletano prematuramente scomparso quest’anno. Partecipiamo
anche noi alla rievocazione del pensiero del Maestro, ricordando come
egli, nel libro Modelli storiografici tra Otto e Novecento (ed. Satura,
2007), abbia magistralmente preso in esame e interpretato i contributi
scientifici lasciateci di quella parte rilevante della storiografia
tedesca che, negli anni Trenta, si compromise col nazismo. Suo grande
merito è stato quello di porre al centro dell’attenzione una “zona
oscura” della cultura del Novecento, che spesso si tende a evitare, in
quanto, probabilmente, evocatrice di ferite ancora aperte, o
irrimarginabili (o anche per evitare una dolorosa e scomoda riflessione
sulla capacità del male di insinuarsi, incistarsi nel pensiero,
seminando scorie nocive in grado di sopravvivere a quei regimi
totalitari che quello stesso male avevano generato e diffuso).
D’Ippolito, in particolare, prende in esame la figura significativa
dello storico Franz Altheim, la cui opera viene valutata anche alla
luce delle taglienti e illuminanti considerazioni di Arnaldo
Momigliano, il quale, nel denunciare la “mistura di misticismo e
razzismo” presente nel pensiero di Altheim (oltre che di autori come
Wilhelm Weber, Fritz Schachermeyer e Helmut Berve), denunciò le gravi
conseguenze prodotte sulle scienze storiografiche dall’intorbidamento
intellettuale nazifascista: “il vero male… fatto agli studi di storia
antica non sta nelle sciocchezze che si dissero, ma nei pensieri che
non furono più pensati”.
E’, questo, un aspetto particolare del rapporto tra cultura e nazismo,
che va al di là del problema delle responsabilità individuali e di
quello che d’Ippolito definisce l’“immane sopruso” subìto dagli
studiosi ebrei, ma tocca la questione della capacità, da parte di un
regime totalitario, di piegare dal di dentro l’animo umano, generando
un’oscura deriva della coscienza: nel campo della storia antica, per
esempio, il nazismo, nota l’autore, non solo corruppe l’acume degli
studiosi, ma portò a una forma di ‘autocorruzione’, nel momento in cui
indusse a ‘nazificare’ l’oggetto stesso dell’indagine, “reso prono alla
volontà del potere di costruirsi una nobiltà nell’antico”. L’antichità
classica, così, da terreno di ricerca diventa fonte di ideologia
malata, sirena incantatrice in grado di sedurre i naviganti per poi
farli naufragare.
Una storiografia deformante, quindi, tossica e inquinante, che avrebbe
spianato la strada, creando una forma di subdola legittimazione
intellettuale, agli orrendi crimini che sarebbero stato compiuti di lì
a pochi anni. Le pagine di d’Ippolito, in tal senso, si rivelano
particolarmente utili, e non solo sul piano storiografico, nel momento
in cui contribuiscono a mantenere viva l’attenzione e il dibattito
sulla responsabilità morale della scienza, e sul rischio, sempre
presente, di una sua capacità di ‘autocorrompersi’, e di contribuire,
più o meno coscientemente, all’inquinamento e all’oscuramento delle
coscienze. Un rischio che non può mai dirsi definitivamente
scongiurato, e il cui periodico riaffiorare impone - come insegna il
Maestro - costante vigilanza.
Francesco
Lucrezi, storico
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Noi e la Destra
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Da queste colonne Tobia Zevi, che seguo sempre con
grande interesse, sfoga la propria rammaricata meraviglia per il
corteggiamento di Berlusconi verso la "Destra" di Storace e camerati
simili.
In verità mi meraviglio che ci si meravigli, perchè non vedo niente di
nuovo sotto il sole, ricordando ad esempio altri fieri camerati, tanto
per citare un nome Ciarrapico, imbarcati dal presidente del Consiglio
negli anni.
Mi meraviglio anche, però, del fatto che Fini abbia avuto bisogno di
più di tre lustri per concludere che Berlusconi è "illiberale".
Da liberale senza prefissi o suffissi quale sono e siamo, ironizzando
direi in compagnia di pochi ma cocciuti "nostalgici", immuni dal
berlusconismo come dall'antiberlusconismo vorrei dire che quanto viene
constatato oggi ci appariva chiaro sin dai primordi della "discesa in
campo": non essendo certamente noi dei geni, quanto ora viene rilevato
ci appare ovvia conclusione alla quale si poteva giungere quindi tempo.
Da questo mio modesto ma autonomo punto di vista, da ebreo e da
liberale, devo però anche ricordare che dall'altra parte della
barricata, per banalizzare, ovvero nel cosiddetto centrosinistra, non
vedo però di meglio: sono purtroppo abbastanza maturo da ricordare il
"feeling" D'Alema-Fini e da avere ben presenti le pulsioni
antisraeliane con ampi sforamenti nel pregiudizio che ad oggi, per
quanto alcune ali estreme siano state punite dal voto degli
elettori,albergano appunto nel centrosinistra (ad esempio si leggano
alcuni commenti, purtroppo, in area IDV per non parlare della sinistra
radicale che magari qualcuno vorrebbe ripescare con il "nuovo Ulivo").
Andrei quindi cauto nello stigmatizzare i comportamenti altrui così
come nel voler istruire gli altri circa cosa dovrebbero fare o dire,
abitudine che appartiene (non me ne voglia Tobia) a una certa vocazione
snob della sinistra, e cercherei invece di operare una liberale
distinzione tra parti politiche e personaggi che, pur da queste
provenienti, assumano pro tempore incarichi di governo od
amministrazione locale che, come vuole la pur retorica frase, si spera
almeno vengano esercitati in nome della collettività tutta.
Insomma, per parafrasare Rigoletto, "questi o quelli per me pari
sono..." .
Infine una curiosità da lettore: la legittima ma marcatamente politica
nota, anche in senso di orientamento, di Tobia Zevi accompagnata dalla
dicitura "Associazione Hans Jonas", indica una collocazione politica
ben precisa della stessa?
Gadi
Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane
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rassegna
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Nel 1934, nel momento
dell'arresto di alcuni ebrei italiani antifascisti, numerosi altri
ebrei si precipitarono a scrivere a Mussolini una lettera di
solidarietà come ebrei italiani fascisti. Questo mi torna in mente dopo
la lettura di quanto Benny Tsipper, responsabile della rubrica
culturale di Haaretz, ha scritto alla vigilia di Rosh haShanà sul
giornale Yäkinton (da Yäke, ebreo tedesco), a pochi mesi da quando la
decana dei giornalisti americani Helen Thomas aveva dichiarato che gli
ebrei israeliani devono tornare in Polonia, e in
Germania. »
Emanuel Segre Amar
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L'Unione
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incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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