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2 novembre 2010 - 25 Cheshvan 5771
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Roberto Della Rocca Roberto
Della Rocca,
rabbino

La Torah, base della nostra vita ebraica, ci è stata data quando già eravamo un popolo affinché entrassimo nella Terra di Israele. L'ebraismo è quindi fin dal suo inizio religione e storia insieme. Anzi, l'ebraismo è la storia di una realtà in cui la Torah, il popolo e la Terra formano un unicum, un tutto inscindibile. E se nella definizione stessa di dialogo è implicita l'esigenza di entrare in rapporto con l'altro nella propria completa identità e di accettare e comprendere l'altro per come egli stesso si autodefinisce, è ovvio che se si fa esclusione di uno solo di questi tre elementi, usare il termine dialogo diventa assolutamente improprio e il superamento di antichi rifiuti si sposta così su nuovi modi di rifiutare.   
Sergio
Minerbi,
diplomatico


Sergio Minerbi
Certamente dobbiamo esprimere il nostro dolore e la nostra solidarietà ai cristiani di Bagdad uccisi nell'incursione dei fondamentalisti islamici contro una chiesa. Ma nello stesso tempo dobbiamo anche domandarci se il recente sinodo dei vescovi cattolici del Medio Oriente non abbia aperto la strada a questo atto con il suo atteggiamento unilaterale contro Israele. Così si assolvono in anticipo i fondamentalisti islamici, gli stessi che possono uccidere impunemente altri cristiani.
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Santo in prima serata
vignetta

Duecento minuti di fiction tv per raccontare agli italiani il ruolo riveduto e corretto di papa Pio XII durante l’occupazione di Roma e i momenti più bui della Shoah. Sotto il cielo di Roma, andato in onda su Rai Uno, fa discutere e riaccende il dibattito sul ruolo del Vaticano.



rav Di Segni - Fiction su Pio XII “patacca propagandista”
vignetta"Una patacca propagandistica, un'opera apologetica". Così Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, in un'intervista al mensile 'Shalom', definisce la fiction di Raiuno Sotto il cielo di Roma, dedicata alla figura di Pio XII cui il mensile dedica la copertina del numero in uscita. La preoccupazione del mondo ebraico è che un prodotto culturale con un'impostazione storica "carente, piena di errori e imprecisioni", contribuisca a dare una lettura "assolutoria su scelte, vicende e silenzi del papato di Pio XII che sono ancora oggetto di studi e che ancora attendono di essere vagliate alla luce dei documenti non ancora resi pubblici dagli archivi vaticani". "Molto semplicemente direi - spiega Di Segni nell'intervista al direttore di 'Shalom' Giacomo Khan - che questo sceneggiato è una patacca, che persegue una finalità ben precisa, quella di dimostrare l'assoluta bontà di quel Pontefice e la giustificazione politica e morale di tutto ciò che ha fatto. La questione quanto mai controversa non si può esaurire con una discussione rapida e semplificata che finisce con una assoluzione finale scontata e apologetica, senza mostrare tutti gli aspetti e tutti i dati". "Lo dico - aggiunge Di Segni - con particolare rammarico personale, avendo collaborato a lungo anni fa con la società produttrice del filmato che quando produceva film di argomento biblico era molto attenta alle differenti sensibilità. Lo sceneggiato di oggi è invece a senso unico, con l'aggravante di una impostazione storica carente, piena di errori e imprecisioni, con scelte politiche gravi, come ad esempio la rimozione delle responsabilità fasciste".

Bernabei - "Ricostruzione storica veritiera"
vignettaNel corso della presentazione alla stampa di “Sotto il cielo di Roma”, Ettore Bernabei ha descritto la fiction come “una ricostruzione storica veritiera, un quadro interessante, che susciterà apprezzamenti senza polemiche, perché molto vicina alla verità”. A dispetto delle controversie che si sono susseguite negli ultimi anni circa il ruolo che Pio XII giocò, o evitò di giocare, durante le persecuzioni naziste, il presidente della casa di produzione LuxVide, già direttore generale della Rai dal 1961 al 1974, affiliato all’organizzazione cattolica dell’Opus Dei, è soddisfatto della miniserie.
Presidente, lei non pensa che “Sotto il cielo di Roma” rappresenti un modo per mettere in buona luce Pio XII? Gli ebrei romani quel periodo lo hanno vissuto sulla propria pelle ed ci sono ancora numerosi testimoni diretti. Avete pensato di consultarli?
Gli sceneggiatori hanno voluto evitare le posizioni ufficiali riguardo alla figura del pontefice. Non si sono schierati né da una parte né dall’altra. Hanno cercato invece di impostare la trama lungo due binari, la vita dei tre ragazzi protagonisti, e le vicende del pontefice. E con alcuni testimoni hanno parlato.
Il regista Christian Duguay ha parlato di come “sia stata straordinaria raccontare una fetta di storia così importante, in cui alla fine la bontà ha prevalso”. Ma non è forse è un equivoco di fondo, considerando che oltre aimille ebrei romani che furono deportati e non tornarono, altri 6 milioni che morirono nei campi di sterminio nazisti, insieme ad altri 5 milioni di omosessuali, zingari, oppositori politici. Perché la fiction non parla del modo in cui si comportò Pio XII nei loro confronti?
In fondo il papa è il vescovo di Roma, e quindi Pio XII si è fatto carico di salvare più vite possibili nella sua diocesi. E aprendo i conventi ne salvò moltissime. Probabilmente non si può definire un uomo “giusto” nel senso ebraico del termine. Ma in “Sotto il cielo di Roma” i dubbi rimangono, vengono mostrate anche delle critiche a Pio XII e la questione rimane aperta. D’altra parte il fatto che dentro Roma non si combatté come in altre città italiane ed europee è oggettivamente un merito storico del pontefice, e di questo bisogna dargli atto. 
Considerando tutti gli elementi controversi che esistono intorno alla figura di questo papa, secondo lei la fiction, il mezzo nazional-popolare per eccellenza, è lo strumento più adatto per trattare l’argomento?
Una fiction è adatta a parlare di queste cose nel momento in cui riesce a essere equilibrata, e credo che questa lo sia. A quel punto la fiction diventa anche meglio di un articolo o di un documentario. Questi generi infatti nascondono sempre una dose di faziosità dietro un’apparente oggettività. In una miniserie invece si può dare spazio ai sentimenti e alle sfumature, che non sono altrimenti documentabili. E la combinazione di immagini, parole, suoni ed emozioni dà vita a un quadro più completo di qualsiasi ricostruzione storica.

Rossella Tercatin

Perra - Una guida ragionata alla visione del film
vignettaRaiuno ha trasmesso Sotto il cielo di Roma, fiction incentrata sulla figura di Pio XII e sull’opera di assistenza agli ebrei fornita da tante strutture della Chiesa cattolica durante i mesi dell’occupazione nazista della capitale.
Ho già avuto modo di esprimere un primo sommario parere sulla miniserie nel numero di novembre di Pagine Ebraiche. In quella sede, avevo definito la fiction come un’opera tutto sommato riconducibile al filone dell’agiografia, la cui costruzione drammatica e trattamento della materia storica tende a presentare un quadro largamente positivo della figura del pontefice. In questa sede, vorrei approfondire alcuni elementi esemplificativi di questi due aspetti, con lo scopo di fornire ai lettori una breve guida ragionata alla visione di Sotto il cielo di Roma.
La figura di Pacelli emerge animata da profondo senso religioso sin dalla prima inquadratura, che mostra dall’alto Pio XII assorto in preghiera ai piedi di un crocifisso reso imponente dalla prospettiva della macchina da presa.
Questa rappresentazione rimane costante sino all’ultima scena della fiction, in cui Pacelli convince il comandante delle SS in Italia, Karl Wolff, a lasciare la città senza resistere agli Alleati facendogli, letteralmente, ‘vedere la luce’.
A questa prossimità del Pontefice col divino si aggiunge un altro elemento nella caratterizzazione del personaggio: si tratta di una personalità che svetta su quella di tutti i suoi collaboratori, compreso il Card. Montini (futuro Paolo VI). Pio XII, infatti, è l’unico, all’interno della curia, dotato di una visione d’insieme delle problematiche che via via si presentano e del modo migliore di farvi fronte; è autore in prima persona di ogni decisione e di ogni trattativa (anche a costo di alcune forzature storiche, come vedremo); soprattutto, è sulle sue spalle che grava la terribile decisione di protestare pubblicamente o meno, aspetto che, come è noto, rappresenta il cuore delle polemiche degli ultimi decenni intorno alla sua figura.
Questa costruzione del personaggio ingenera nello spettatore la convinzione che Pio XII fosse di gran lunga la persona più adatta a ricoprire quel ruolo in una così drammatica congiuntura storica, e che le sue decisioni, per quanto difficili, fossero inappuntabili. In tale direzione vanno anche alcuni episodi marginali dal punto di vista narrativo ma che mostrano con chiarezza il meccanismo che soggiace alla costruzione del personaggio. Questo avviene, ad esempio, poco prima della liberazione, quando Pacelli riconosce il fragore dei mortai in lontananza che il povero Montini scambia invece per tuoni, oppure quando sembra che in tutto il Vaticano Pacelli sia l’unico capace di azionare correttamente un proiettore su cui altri si erano maldestramente adoperati.
Quest’ultimo episodio, cui si assiste nella prima puntata, offre un altro importante spunto interpretativo. Il filmino a cui Pio XII e i suoi collaboratori assistono è un montaggio di parate naziste con al centro Hitler. Dopo pochi secondi di proiezione il pontefice si alza e si avvicina allo schermo come a confrontarsi viso a viso con il dittatore nazista; a quel punto, la pellicola si inceppa “bruciando” un fotogramma di Hitler, la cui maschera si trasforma in un ghigno quasi satanico.
In questa sequenza pregnante, la fiction fa proprio il punto di vista cattolico sullo scontro tra male e bene, incarnati a un estremo dal demonio fatto uomo e all’altro dal Vicario di Cristo (come è noto, Pacelli arrivò a praticare un esorcismo su Hitler durante la guerra). Gli spettatori assistono quindi a una ricostruzione della vicenda che si colloca tutta dentro una visuale cattolica, più che legittima in sé, ma che sarà utile che i lettori tengano presente mentre si accingono a guardare Sotto il cielo di Roma.
Che la prospettiva e il retroterra culturale degli autori sia essenzialmente questo, e che l’intento sia essenzialmente apologetico nonostante le dichiarazioni di supposta neutralità da parte del direttore di Rai Fiction Fabrizio Del Noce (‘Sotto il cielo di Roma’, 2010), lo dimostra anche la scelta degli episodi storici al centro dell’azione. La miniserie attinge in larga misura alla storiografia più prossima al cattolicesimo, anche di qualità come nel caso di Andrea Riccardi (che figura tra l’altro tra i consulenti storici della miniserie insieme a Giovanni Sabbattucci, Paolo Mieli e Stefano Basset), e glissa su certi elementi problematici evidenziati nei lavori di storici più laici.
Ad esempio, la rapida ricostruzione della promulgazione sotto Pio XI dell’enciclica Mit Brennender Sorge di condanna del razzismo nazista ricalca fedelmente quella fatta di recente da Andrea Tornielli (Tornielli 2008, 217-9), a sua volta influenzata da un importante articolo di Angelo Martini apparso su Archivum Historiae Pontificiae (Martini 1964). Vale a dire che si attribuisce all’allora Segretario di Stato Pacelli un ruolo di guida nella stesura del documento e nella scelta di inserire alcune espressioni particolarmente dure nei confronti del regime hitleriano, in un clima di concordia con gli altri vescovi coinvolti e con Pio XI. In realtà, come ha recentemente ricostruito Emma Fattorini (Fattorini 2007, 127-9), l’enciclica ha toni ben più forti di quanto i principali estensori materiali Pacelli e Faulhaber intendessero, presentando invece una forte impronta delle riflessioni che il vecchio e malato Pio XI andava facendo in quei mesi. Prova di questa diversità di approccio tra Pio XI e Pacelli (in fin dei conti dimostrata dai loro diversi modi di condurre il papato nei rapporti con la Germania nazista) si trova secondo Fattorini nella lunga lettera di risposta alla nota di protesta tedesca vergata da Pacelli il 30 aprile 1937, il cui tono e stile sottilmente diplomatico si colloca agli antipodi rispetto alla perentorietà dell’enciclica e degli ultimi pronunciamenti di papa Ratti (Fattorini 2007, 130).
Si prenda in considerazione un’altra sequenza, che altera il dato storico in maniera forse eccessiva. La mattina del 16 ottobre, il giorno della retata nel ghetto, gli spettatori assistono a uno scambio teso tra Montini e Weizsäcker, ambasciatore tedesco presso la Santa Sede. Alla minaccia del porporato di una protesta pubblica vaticana se i rastrellamenti non si fermeranno, il diplomatico risponde minacciando a sua volta una radicalizzazione delle deportazioni e conseguenze severe per il Vaticano. Pio XII decide di rinunciare a un pronunciamento pubblico, che richiederebbe ore prima di sortire qualche effetto, e di puntare ad altre vie per fermare gli arresti. Invia il sacerdote tedesco padre Pfeiffer a negoziare con il comandante militare della piazza di Roma Stahel, fervente cristiano. Facendo leva sui sentimenti religiosi e patriottici del militare, Pfeiffer lo convince a chiamare Berlino e a fermare gli arresti. In poche parole, secondo la fiction lo stop ai rastrellamenti sarebbe stato ottenuto grazie alla mediazione vaticana. Questa era effettivamente la percezione che degli eventi si aveva nella Santa Sede, ma è in realtà più probabile che questa causa fosse perorata da ambienti diplomatici e militari tedeschi (Riccardi 2008, 132-7). Ad ogni modo, il risultato fu quello di evitare ulteriori retate di massa organizzate dai tedeschi, e non di fermare il rastrellamento del 16 ottobre, come invece suggerito da Sotto il cielo di Roma.
In ogni caso, come mostra la miniserie, la Chiesa si adoperò in molti modi per fornire aiuto ai romani e per risparmiare alla città gli orrori della guerra. D’altronde, come ha scritto Enzo Forcella, preservare la sede del Vicario di Cristo era ‘una delle principali preoccupazioni della diplomazia vaticana e un motivo ricorrente, quasi ossessivo, degli interventi del papa’ (Forcella 1999, 47). Se però si allarga la prospettiva al di là della capitale italiana, ad abbracciare la dimensione continentale, si ripropone la spinosa questione del più ampio comportamento della Chiesa di fronte allo sterminio.
È un tema che percorre sottotraccia tutta la miniserie ma che viene affrontato esplicitamente solo in maniera fugace nel primo episodio, quando Pio XII spiega all’ambasciatore polacco presso la Santa Sede, Papée, che lui non può far sentire apertamente la sua voce in quanto Vicario di Cristo, e perciò impossibilitato a schierarsi con un popolo contro un altro. La risposta del diplomatico è che, se continuerà a non assumere una posizione netta, verrà il giorno in cui nessuno prenderà partito per lui, parole a loro modo profetiche a cui si aggiungono poco dopo quelle della fedele aiutante di Pacelli, suor Pascalina, che gli intima di parlare ‘altrimenti il mondo gli metterà la croce’.
Questi due brevi cenni alla principale controversia che a tutt’oggi circonda la figura di Pio XII vengono risolti nella miniserie dalle parole di Montini, che ricorda a Papée l’episodio del luglio 1942, quando una lettera pastorale dei vescovi olandesi di protesta contro le persecuzioni portò a una rappresaglia nazista che costò la deportazione di altre migliaia di ebrei. È il tema del silenzio necessario per favorire l’opera di assistenza e per non aggravare ulteriormente la situazione per le stesse vittime, proposta sin dall’inizio della controversia da Montini (Montini 1963), e presto fatta propria da tanti anche al di fuori dell’ambiente ecclesiastico (Jemolo 1965, 275; Spadolini 1967, 286-7).
È però una risposta non del tutto adeguata, in primo luogo perché nello specifico della vicenda olandese ciò che provocò la rappresaglia nazista fu non tanto la pastorale in sé quanto il fatto che al suo interno era citato per intero il testo di un telegramma con cui il Reichskommissar Seyss-Inquart accettava di esentare gli ebrei convertiti dalle deportazioni, ponendolo in cattiva luce di fronte ai vertici del partito a Berlino (Miccoli 2000, 336-41). Inoltre, è legittimo chiedersi, più in generale, se avesse senso ragionare in termini di limitazione del danno di fronte al flusso di informazioni sempre più precise sullo sterminio sistematico su scala continentale (Miccoli 2000, 99).
È questa una questione sulla quale si dibatte da anni e che una miniserie non può certo dirimere. È però importante che l’abbia sollevata, seppur in maniera incompleta. Spetta al pubblico, a noi, continuare ad approfondire e cercare di sviluppare un’opinione il più possibile informata. Una fiction storica è sempre legata al presente anche quando rappresenta il passato, e ciò non è necessariamente un male. Ad esempio, Sotto il cielo di Roma presenta una visione post-conciliare dei rapporti tra cattolici ed ebrei, come nella sequenza in cui Pio XII e il rappresentante della comunità romana (che non si incontrarono mai in quei mesi nella realtà) citano insieme il passo della Genesi in cui il Signore dice ad Abramo ‘Guarda in cielo e conta le stelle, se le puoi contare’, per poi aggiungere ‘Tale sarà la tua discendenza’ (15:5); un promemoria della comune origine delle due confessioni che non potrebbe essere più attuale, dopo le recenti polemiche delle ultime settimane seguite al Sinodo dei vescovi del Medio Oriente.
  • Fattorini, Emma (2007) Pio XI, Hitler e Mussolini: La solitudine di un papa (Torino: Einaudi).
  • Forcella, Enzo (1999) La Resistenza in convento (Torino: Einaudi).
  • Jemolo, Arturo Carlo (1965) Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione al pontificato di Giovanni XXIII (Torino: Einaudi).
  • Martini, Angelo (1964) Il cardinale Faulhaber e l’enciclica ‘Mit Brennender Sorge’. Archivum Historiae Pontificiae 2: 303-20.
  • Miccoli, Giovanni (2000) Il dilemmi e i silenzi di Pio XII (Milano: Rizzoli).
  • Montini, Giovanni Battista (1963) Pio XII e gli ebrei: Lettera del Card. G.B. Montini al ‘Tablet’. La Civiltà Cattolica 2714: 160-2.
  • Riccardi, Andrea (2008) L’inverno più lungo: 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma (Roma: Laterza).
  • ‘Sotto il cielo di Roma’ L’omaggio tv a Papa Pacelli (2010) Il Tempo (26 ottobre): 43.
  • Spadolini, Giovanni (1967) Il Tevere più largo (Napoli: Morano).
  • Tornielli, Andrea (2008) Pio XII: Eugenio Pacelli: Un uomo sul trono di Pietro 2° ed. (Milano: Mondadori).
Emiliano Perra, storico
Il diplomatico
Scenescenescenescene






Incontri, colloqui, mediazioni. Il Pio XII ritratto dalla fiction Sotto il cielo di Roma mostra un attivismo e un fiuto diplomatici senz’altro spiccati. Si adopera per risparmiare a Roma gli orrori della guerra, per consolidare l’inviolabilità extraterritoriale dei conventi in cui si sono rifugiati molti ebrei e per liberare alcuni di loro arrestati dopo la retata nel ghetto. Il suo interlocutore è il generale capo Stahel (un rosario nel cassetto), capo della piazza militare di Roma, che lo sostiene malgrado la contrarietà del comando tedesco che ne sta invece progettando il rapimento. E mentre i nazisti si apprestano a ritirarsi, Pio XII rifiuta la richiesta del generale Wolff di trattare una pace separata tra Germania e Alleati ottenendo però che risparmi la Capitale.

Gli ebrei
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Il mondo ebraico dipinto dalla fiction è un quadro a tinte smorte e poco realistiche. Per quanto molto presente in entrambe le puntate, la realtà ebraica romana è ritratta senza molto entusiasmo e con qualche incertezza: dalle improbabili note di un’Hatikvah suonata nel ‘43 in pieno ghetto alle troppe kippoth in giro per le strade di una città occupata dai nazisti per finire con un ghetto di maniera, svuotato della sua umanità, identico nella scene della deportazione a tanti altri sceneggiati. Un’occasione perduta per raccontare ai telespettatori la vitalità di una presenza millenaria colpita così duramente dalla Shoah.

Il mistico
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Fin dalla prime scene, che ritraggono Pio XII in sofferta preghiera, si intuisce che la figura del pontefice sarà contrassegnata da un potente afflato mistico. Per tutta la durata della fiction torna infatti come un leit motiv il suo costante legame con il Cielo, accentuato da una sapiente regia che lavora sulla dimensione verticale e da un uso suggestivo della luce che così spesso ne avvolge la figura (notevole, in questo senso, l’ultima scena che lo vede in piazza San Pietro circondato da una folla che lo applaude grata). Il raccoglimento in preghiera e riflessione è in costante equilibrio con la vocazione politica e diplomatica. Per questo non stupisce la sua volontà di pregare per la conversione di Hitler che da un filmato d’epoca minaccia distruzione e morte.

Mastronardi - “La mia passeggiata in ghetto"
vignetta“Miriam è una ragazza di vent’anni chiamata ad affrontare problemi troppo grandi per lei. Per questo è costretta a crescere in fretta”. Alessandra Mastronardi, classe 1986, la celebre Eva della fiction “I Cesaroni” parla del grande significato che ha avuto interpretare, per la prima volta nella sua carriera, un ruolo drammatico, quello della giovane ebrea protagonista della fiction “Sotto il cielo di Roma”. La storia d’amore tra Miriam e Davide (Marco Foschi), e la loro amicizia con Marco (Ettore Bassi) durante l’occupazione nazista e la razzia del ghetto della capitale rappresentano la vera trama della miniserie in due puntate in onda domenica 31 ottobre e lunedì 1 novembre. Sullo sfondo, ma vero protagonista della vicenda, papa Pio XII (James Cromwell). “Questa è una storia molto delicata e profonda, per questo ho cercato di entrarci con grande rispetto e senso di responsabilità. Vestire i panni di una ragazza con una vita così difficile, costretta ad assistere a tanta violenza nei confronti della sua famiglia e della sua gente, mi ha fatta crescere moltissimo” spiega l’attrice.
Alessandra tu avevi mai avuto modo di approfondire il tema della persecuzione razziale durante la seconda guerra mondiale?
Quando frequentavo il liceo Tasso (uno dei classici più rinomati della capitale ndr) ho avuto la fortuna di partecipare con la mia classe al progetto della Memoria voluto da Veltroni quando era sindaco. Abbiamo avuto diversi incontri con i sopravvissuti ai campi di sterminio, abbiamo esaminato i registri scolastici, con gli alunni ebrei che a un certo punto scomparirono, abbiamo fatto diversi approfondimenti con i nostri insegnanti. Alla fine è arrivato a raccogliere il materiale che avevamo elaborato addirittura Steven Spielberg, per la sua Survivors of the Shoah Visual History Foundation. Questo progetto per me è stato davvero un’esperienza fondamentale. E quando mi hanno offerto la parte di Miriam sono stata felicissima. Devo ammettere che nelle mie ricerche non avevo mai affrontato la questione del ruolo di Pio XII, e non avevo mai sentito parlare della sua decisione di aprire le porte dei conventi. Penso che questa fiction possa essere importante per mostrare punti di vista differenti.
Come ti sei preparata per interpretare Miriam?
Appena ho saputo di aver ottenuto la parte ho deciso di fare una passeggiata nel ghetto di Roma. Era già sera e non conoscevo nessuno. Mi stavo guardando attorno quando ho incontrato un ragazzo che mi ha fatto da cicerone per tutte le stradine. Finché non mi ha portato in “piazza” (così gli ebrei romani chiamano Portico d’Ottavia, il cuore del ghetto ndr), dove c’era un gruppo di signore sedute fuori da una porta. In pochi minuti mi è sembrato di trovarmi insieme a delle zie. Per me che vengo da Napoli quest’atmosfera familiare è il massimo. È stato davvero fantastico. Poi ovviamente a questo si è aggiunto un mix di preparazione storica e di introspezione.
Durante la lavorazione di “Sotto il cielo di Roma”, ti è mai capitato di pensare che se tu fossi stata una ragazza di 24 anni in quel periodo storico, ebrea o meno, ti saresti trovata di fronte a delle scelte?
Mi sono chiesta molte volte come mi sarei comportata in quella situazione. Ma non sono riuscita a darmi una risposta. È difficile per chiunque sapere quali scelte avrebbe compiuto in circostanze tanto drammatiche, senza viverle davvero sulla propria pelle. Però una cosa ci tengo a dirla. Per colpa delle leggi razziali, gli ebrei furono privati dei diritti più elementari, quello di studiare, di lavorare, persino quello di essere considerati uomini. Ieri è successo al popolo ebraico, ma io penso che dobbiamo stare sempre in guardia per impedire che accada di nuovo, agli ebrei, ma non solo. Anche perché guardandosi intorno oggi si vedono tanti segnali preoccupanti, di intolleranza e di razzismo.

r.t.

Il mondo ebraico nell’ombra e senza un carattere  
vignettaLa presentazione televisiva della fiction prodotta da Ettore Bernabei sulla Roma tra il 1943 e il 1945, Sotto il cielo di Roma, lascia aperte molte questioni e darà probabilmente vita ad un vivace dibattito, in cui sarà possibile forse intervenire ancora. Ci limitiamo per ora a sollevare alcuni punti generali. La scelta degli autori è stata quella di trattare con una notevole libertà la realtà storica, preferendo affidare l’immagine a personaggi dipinti anche in modo molto lontano dalla loro realtà storica (come qui nel caso del presidente della comunità ebraica Dante Almansi) o riunendo in un solo personaggio figure nella realtà distinte. Una scelta legittima, nel caso appunto di una fiction, che ci porta a lasciar perdere gli appunti particolari e a discutere le immagini generali offerte dal filmato. Cominciamo dal protagonista, papa Pio XII. L’intento del film è naturalmente quello di rivalutare il ruolo di Pio XII e di offrire anche al grosso pubblico, dopo le puntualizzazioni degli storici, un’immagine positiva di papa Pacelli. Da questo punto di vista il film raccoglie tanto i risultati della storiografia più recente sugli aiuti dati dalla Chiesa agli ebrei durante l’occupazione (come il bel libro di Andrea Riccardi) che quella di parte cattolica sul pontefice e sulla sua leggenda nera. Un film tutto da leggenda rosa, dunque? Non completamente, perché bisogna ammettere che la produzione ha saputo riprendere, sia pur soltanto in un paio di scene, i dubbi sui “silenzi” del papa e sulla mancanza di una condanna decisa del nazismo. La figura del papa vi appare, pur nell’intento apologetico, molto umana, forse più di quello che il processo di beatificazione non vorrebbe. Nell’intento di sollecitare la simpatia, il film mostra un Pio XII pieno di dubbi e di umanità, non un santo. L’immagine di Roma in questo periodo non coglie forse appieno il vuoto di potere della città, in preda agli occupanti e alle bande fasciste, e il ruolo di sostituzione del potere civile che la Chiesa si assume in quei mesi, in cui Pio XII sembra ripercorrere le orme di un Leone I e dei papi del Medioevo. Avrebbe forse giovato anche alla tesi del film sottolineare di più le preoccupazioni del papa per la sorte della città di Roma, che emergono solo alla fine in occasione della fuga dei nazisti da Roma senza combattere, e che sono un’importante chiave di lettura dell’intera vicenda, oltre a rappresentare una vittoria della linea della Chiesa.
Dove invece molto ci sarebbe da dire è sul quadro della Comunità ebraica durante l’occupazione e in particolare nei giorni tra l’episodio dell’oro e la razzia del 16 ottobre: un’immagine di maniera, un po’ dolciastra, in cui non emergono i conflitti e i dilemmi che attanagliarono la dirigenza (ad esempio, la figura di Zolli, il rabbino capo poi convertitosi al cattolicesimo, è stranamente assente). In questo caso, le inesattezze storiche, piccole e grandi, contribuiscono a falsare l’immagine d’insieme che si trasmette, rendendo privo di carattere il mondo degli ebrei romani. Su una questione però ancora vorrei soffermarmi. Nella seconda parte del filmato, l’irruzione nel convento dove si nascondono gli ebrei è fatta dai nazisti. Storicamente, questo è falso. A operare in queste incursioni, la principale delle quali fu quella nella Basilica di San Paolo che portò a numerosi arresti, fu la polizia fascista, agli ordini del questore Caruso. Il ruolo delle SS vi fu assolutamente marginale. Perché questo cambiamento? E’ un bisogno di semplificare e sottolineare ancor più, se ve ne fosse necessità, la malvagità dei nazisti e la loro ostilità alla Chiesa, o è la volontà di lasciar fuori dal quadro la questione del ruolo avuto dai repubblichini dopo il 16 ottobre nella caccia agli ebrei, nel loro arresto e nel loro avvio alla deportazione e alla morte? Non si tratta di una questione marginale, ma di un aspetto essenziale della storia, sia pur romanzata, di Roma sotto l’occupazione. 

Anna Foa, storica

Santo subito, dice la cinepresa al popolo della tv
vignettaSanto subito? È più che un Papa: è un genio rinascimentale, eclettico, liberaleggiante, pieno di un amore senza macchie. Quando non è in raccoglimento davanti al crocifisso, discute con competenza degli ultimi modelli d’automobile; fa funzionare con le sue mani proiettori cinematografici; democraticamente invita le guardie svizzere inginocchiate a rialzarsi. Pio XII è capace perfino di uscire dal Vaticano dopo il bombardamento di Roma, ricevendo l’omaggio emozionato della città. Se per i cattolici è “il sentire del popolo” a decretare in ultima istanza la santità di un uomo, quest’uomo è in una botte di ferro. La proclamazione a Venerabile, nel 2009, è stata tappa di un processo a cui oggi dà il suo aiutino la tv. Lo sceneggiato Lux Vide su papa Pacelli è di buon pregio cinematografico, per gli standard della fiction italiana, e fa con successo ciò che mille libri di storiografia cattolica non potrebbero. Da un personaggio di cui sei decenni di studi hanno evocato luci e ombre, ricava puro bagliore. Ogni elemento del film si combina in uno sforzo concertato e privo di intoppi. Dialoghi articolati, con qualche discreta battuta a effetto, una buona prova di tutti gli attori. È messa al bando quella recitazione declamata e retorica che affligge tv e cinema italiani. Le scelte di inquadratura e i movimenti di macchina lavorano molto sulla dimensione verticale, elevando volentieri lo sguardo o volgendolo dall’alto al basso, a sottolineare il canale privilegiato che lega il protagonista al Cielo. La scena di Pio XII tra le macerie della città ferita dai bombardieri è fondata storicamente. Lo sceneggiato amplifica quel gesto, immortalato al tempo solo dalle fotografie e dal tam tam popolare. Come in quelle foto, Pio XII appare in posa da santo, insieme benedicente e adorante. E telecamera dall’alto, certo.
Sotto il cielo di Roma ha una finalità semplice: convincerci che i silenzi del Papa sulla persecuzione degli ebrei non dipesero da antisemitismo, né da eccessi di indulgenza verso un regime anticomunista. Bensì dalla convinzione che tacere avrebbe salvato vite umane. Che fosse davvero quest’idea a guidare Pio XII non è stato provato né smentito in modo definitivo. Ciò che conta qui è: dubbi simili non sfioreranno mai molti spettatori dello sceneggiato. Da cui si esce con il ricordo, arduo da cancellare, di un uomo sofferente, lacerato da scelte tragiche, sempre umano e bonario; austero ma capace di sorriso. Assolto in pieno da ogni sospetto di antiebraismo.
Scelte accorte di montaggio, regia, recitazione possono plasmare il ricordo di un personaggio storico presso le generazioni seguenti. Anche quando gli sceneggiatori fanno un lavoro accurato, non mistificatorio, senza inventare dettagli indifendibili; e di questo lavoro sostanzialmente corretto va reso merito. Piuttosto, restano comodamente assenti i personaggi che avrebbero potuto creare problemi: Mussolini, nominato en passant; i fascisti, che in un solo episodio rompono il monopolio tedesco della cattiveria partecipando a un rastrellamento; le forze dell’ordine, che quando appaiono brevemente si mettono in luce solo per pietà umana. Ed è quasi del tutto cancellato il popolo di Roma. Si fosse fatto vedere di più, sarebbe diventato necessario indagarne gli atteggiamenti: portando alla luce il mix non esaltante di indifferenza, solidarietà, opportunismo, ignavia, coraggio, crudeltà che emerse nella realtà di un tempo e luogo in cui l’antisemitismo era valuta corrente più di oggi. Abbondano invece gli uomini e donne di Chiesa; che si distinguono nel peggiore dei casi per sola insufficienza di coraggio o di generosità. Come insinuare che per i fratelli giudei qualcuno fra loro potesse nutrire antipatie?

Giuliano Tedesco, critico della Comunicazione

Sottolineature e omissioni 
vignettaNell’aprile 2002, intervenendo nel dibattito sul controverso film di Costa-Gavras, Amen, critico nei confronti del silenzio tenuto dalla Santa Sede durante la Shoah, Caterina Maniaci lamentò dalle colonne di Libero la mancanza di un film che narrasse le vicende degli ebrei salvati grazie a Pio XII.
La fiction Sotto il cielo di Roma risponde precisamente a questo appello, narrando le concitate vicende dal bombardamento di San Lorenzo del 19 luglio 1943 alla liberazione della città attraverso il punto di vista di alcuni membri della comunità ebraica e soprattutto del pontefice. Pio XII è, infatti, al centro di ogni passaggio narrativo. È lui che promulga in prima persona l’ordine di prestare accoglienza ai rifugiati, che negozia argutamente con le autorità tedesche, e che decide eroicamente di restare al suo posto pur essendo consapevole di essere oggetto di un piano di rapimento efficace dal punto di visto drammatico quanto dubbio da quello storico.
Per presentare questo quadro sostanzialmente agiografico, la miniserie attua alcune omissioni. Ad esempio, non viene fatta alcuna menzione della storia plurisecolare di pregiudizio antiebraico che aveva influenzato in maniera non trascurabile la risposta cattolica alle discriminazioni antiebraiche. Basti ricordare che ancora nell’agosto 1943 padre Tacchi Venturi scrisse al Segretario di stato Maglione di aver seguito le sue disposizioni e di non aver chiesto al governo Badoglio l’abrogazione in toto della legislazione razzista, “la quale, secondo i principii e la tradizione della Chiesa Cattolica, ha bensì disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli di conferma”.
Dall’allora cardinale Pacelli nella stesura dell’enciclica Mit Brennender Sorge, molto critica nei confronti del Terzo Reich, nulla viene detto della sua decisione di archiviare un’altra enciclica di più ancora esplicita condanna del razzismo nazista, la Humani Generis Unitas, commissionata da Pio XI poco prima della morte. Ancora, agli spettatori non vengono offerte molte indicazioni per comprendere quali fossero le priorità strategiche del Vaticano; non si fa cenno all’anticomunismo che spingeva Pio XII a mantenere un profilo il più possibile neutrale, in modo da porre il Vaticano nella condizione di poter fungere da mediatore nei dialoghi di pace e così garantire alla Germania il ruolo di baluardo europeo contro l’influenza bolscevica, vista come vero nemico mortale della cristianità.
Pur non presentando errori particolarmente marchiani (anche se colpisce il fatto che le irruzione nei conventi vengano presentate come iniziativa tedesca, mentre in realtà furono condotte dagli italiani della Banda Koch), la tesi generale della miniserie non mancherà di suscitare delle reazioni. Può darsi che abbia ragione Corrado Augias nel definire, su la Repubblica, Sotto il cielo di Roma un prodotto teso a tracciare un profilo di Pacelli che ne faciliti il processo di santificazione.
Di sicuro è un altro importante tassello nell’ormai pluridecennale dibattito sul ruolo svolto da Pio XII durante la Shoah, che si va ad aggiungere ad altre tre opere che generarono enormi controversie: il testo teatrale di Rolf Huchhuth Il Vicario (1963), la cui messa in scena a Roma nel 1965 fu interrotta dalla polizia; il film Rappresaglia (George Pan Cosmatos, 1973), che condusse a un processo penale per diffamazione contro gli autori; e il già citato Amen. La speranza è che questa volta i toni siano meno accesi e sia possibile avere un dibattito pubblico più posato su quello che rimane un tema centrale nel rapporto tra ebrei e cattolici. 

Emiliano Perra, storico

I perseguitati? Un fardello di redenzione
vignettaQual è il ruolo degli ebrei in Sotto il cielo di Roma? A dire il vero, sembrano stare in scena solo come comprimari, semplice espediente della storia narrata e pretesto per mettere in risalto il coraggio del papa e dei suoi seguaci. La love story di Davide per la bella Miriam è poco più di un condimento drammatico, che serve a creare un po’ di suspense in un film altrimenti talmente scontato e prevedibile che si rischia di cambiar rapidamente canale dopo aver capito il proposito che si vuole raggiungere, scagionare Pio XII, papa Pacelli, da ogni sospetto di non aver fatto niente o non aver fatto abbastanza, al momento delle deportazioni degli ebrei di Roma e di fronte allo sterminio dell’ebraismo europeo. Si tratta insomma di un’agiografia di papa Pacelli, non di un’analisi storica di quali poterono essere i diversi significati del suo comportamento durante il conflitto bellico. Da questo punto di vista lo sceneggiato televisivo Sotto il cielo di Roma si propone come una sorta di risposta al modo in cui il personaggio di Pio XII era stato raffigurato nel film Amen di Costa Gavras del 2002, pusillanime se non compiacente con i nazisti. Gli ebrei insomma appaiono come strumenti che la provvidenza ha messo nel cammino del Papa per mettere alla prova la sua virtù. Vittime designate dalla storia sono pertanto esonerati da responsabilità morali se non quella di mettersi in salvo, tutt’al più oggetti etici di dilemmi morali altrui, in particolare di quelli che essi creano al pontefice. Sin qui nulla di particolarmente nuovo in un cinema italiano che sembra essere ancora legato all’immagine dell’ebreo vittima sacrificale e come tale destinata a uscire di scena o a rimanere ai margini della storia, e questo quando negli ultimi anni nel cinema internazionale si assiste a una progressiva revisione, spesso in modo non meno problematico di prima, dell’immagine dell’ebreo a cui vengono assegnati ruoli attivi e di resistenza – basti citare Defiance di Edward Zwick del 2009 sul gruppo partigiano formato dai fratelli Bielski, i Counterfeiters del 2007 di Stefan Ruzowitzky o ancora l’ultimo film di Quentin Tarantino Inglorious Bastards dell’anno scorso. Tuttavia il film Sotto il cielo di Roma veicola un messaggio addizionale ben più pernicioso. Gli ebrei infatti non solo sono raffigurati mentre si trascinano pesanti valigie, simbolo dell’uomo in perpetua fuga, ma sono presentati come fardello essi stessi, per coloro che li circondano e per il papa in particolare. Intendiamoci, un fardello non perché siano di per sè cattivi e antipatici, ma pur sempre un fardello perché sempre bisognosi di protezione, di soccorso, di compassione.
La loro presenza inoltre rischia di fare ostacolo al riconoscimento di quanto la Chiesa ha cercato di dimostrare sin dalla fine del secondo conflitto mondiale, ovvero che perseguitando gli ebrei in realtà il nazismo stava colpendo il cristianesimo e i cristiani, in quanto rappresentanti del Bene. Per questo il film mostra la sofferenza ebraica, come una specie di catastrofe naturale, le cui cause storiche non interessa indagare, e sempre in relazione a quella del pontefice, che si priva delle sue razioni alimentari per provvedere alla fame dei bambini nascosti nei conventi. Il film insomma sposa la tesi che il papa, per il solo fatto di essere uscito incolume dalla prova a cui i tedeschi, per l’intermediario degli ebrei, lo avevano sottoposto è quindi l’unico che in fin dei conti va compatito e ammirato. Ma al di là della particolare interpretazione del ruolo quanto meno controverso nella storiografia contemporanea che il film vuol dare dell’operato del pontefice, si rimane perplessi sul significato della frase con cui il personaggio di Pio XII nello sceneggiato televisivo giustifica la sua posizione: “ognuno ha la sua croce”. Che la croce del papa siano gli ebrei non è difficile capirlo. Questa è l’ennesima prova che non basta che un film tratti di Shoah per essere automaticamente considerato serio.
La gravità dell’argomento dovrebbe indurre a maggior prudenza e modestia i registi che sempre più numerosi e spensierati affrontano il tema. Ma che la Shoah venga utilizzata per giustificare piani provvidenziali di ogni genere è cosa che lascia alquanto perplessi. 

Asher Salah, critico cinematografico

Il dibattito e l’ipotesi del rapimento
vignettaSotto il cielo di Roma affronta aspetti significativi, e come tali considerati ancora oggetto di giudizi contrapposti, del complesso e difficile pontificato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale. Nel valutare l’opera due sono i parametri ai quali affidarsi. Il primo rinvia alla veridicità o, quanto meno, alla verosimiglianza dei dati storici che sono citati nel film. Il secondo, invece, demanda alla libertà di raffigurare un personaggio storico dentro una narrazione che è anche libera ricostruzione. Nel mezzo si colloca lo spazio della licenza intellettuale, che è legittima quando ciò che ci viene consegnato del passato non è stravolto o manipolato, mentre diventa arbitrio quando ne subisce un deliberato ribaltamento di significato.
Il senso che si ricava dall’intera produzione è che lo sforzo degli autori sia stato premiato, ma laddove le zone di luce hanno conosciuto un’ancora maggiore intensità. Meno accettabili sono invece quei passaggi, con scarsi riscontri storiografici, che rinviano con certezza all’ipotesi di un rapimento per parte dei tedeschi. Così come ripetute sono le imprecisioni che rivelano molte concessioni alla dimensione drammaturgica del pari a certa tensione agiografica. Diciamo però subito che la materia trattata è, nel suo insieme, ancora incandescente, demandando non solo alla fondamentale questione del rapporto intercorso tra Eugenio Pacelli e il mondo ebraico ma, più in generale, all’atteggiamento assunto dal suo pontificato nel merito dei complessi rapporti con gli opposti schieramenti di belligeranti e, più nello specifico, verso la Germania, con la quale colui che era già stato nunzio apostolico tra il 1917 e il 1930, intratteneva un rapporto molto stretto.
Pio XII era un papa “concordatario”, avverso al radicalismo dei nazisti. Durante il suo pontificato si interrogò ripetutamente sulla compatibilità tra la Chiesa e i regimi liberali, ben sapendo che alla modernità si dovesse dare una risposta non meno “moderna”. La sua stessa figura, di uomo di pensiero, a tratti quasi dilemmatico, si confrontava e si scontrava con una realtà bellica dietro la quale intravedeva il configurarsi di nuove egemonie politiche, intese come non meno pericolose di quelle declinanti.
L’arco di tempo raccontato dal minisceneggiato è quello che va dal bombardamento alleato di Roma, il 19 luglio 1943, alla liberazione per parte angloamericana il 4 giugno dell’anno successivo. Un periodo di tempo piuttosto breve, meno di un anno, durante il quale però l’Italia subì, in rapida successione, la caduta del regime mussoliniano, il mutamento di alleanze militari e politiche, la fuga della monarchia, la feroce occupazione nazista, la disintegrazione dell’esercito così come lo sfaldamento di molte delle pubbliche amministrazioni, l’avvio della lotta partigiana, la reviviscenza di un fascismo tracotante e sanguinario. La guerra entrò definitivamente nelle case degli italiani poiché fu il paese stesso a diventarne il teatro. La solitudine era l’elemento preponderante. La popolazione, a Roma come in tutta l’Italia occupata, rimase di fatto abbandonata a sé. Tra questi gli ebrei, che in quei drammatici giorni vivevano una condizione di gravosa sospensione, condividendo, con tanti altri, le fragili speranze di una soluzione tanto veloce quanto indolore.
Lo sviluppo degli eventi si è poi incaricato di dirci dell’illusoria ingenuità di tali ipotesi. Su di essi, infatti, cadde da subito la mannaia nazista, che già ai primi di ottobre del 1943 aveva pianificato la deportazione sistematica. In questo contesto, di per sé estremamente problematico, poiché innumerevoli erano le variabili che entravano simultaneamente in gioco, si inseriva il magistero morale, ma anche e soprattutto l’agire temporale, di Pio XII. Il quale per più aspetti svolse il ruolo che gli competeva con calcolata misura sul versante diplomatico, l’unica vera leva d’azione politica a sua disposizione, insieme all’apertura dei conventi ai perseguitati.
Ciò facendo non si rivelò indifferente al destino degli ebrei pur non eleggendolo a esclusiva priorità del suo operato. Non diversamente, va ribadito, da quanto facevano le cancellerie alleate.
In tale condotta concorsero più fattori, a partire dal duro isolamento che la Santa Sede scontava in quegli anni, del pari alla sua debolezza, così come i rischi che l’occupazione tedesca comportava. Pare peraltro oramai veramente poco attendibile la “leggenda nera” che vuole il pontefice in qualche modo acquiescente alla volontà di Hitler.
Sull’intensità dell’intervento papale, prima ancora che sulla sua efficacia, è invece ancora necessario discutere. Poiché un aspetto fondamentale, in quella storia, è la tonalità delle proteste che, forse, avrebbero potuto condurre il convoglio dei deportati romani, partito il 18 ottobre, invece che ad Auschwitz verso Mauthausen. La qual cosa avrebbe fatto la differenza tra la vita e la morte per non pochi. Ma non è quest’ultima materia cinematografica, non potendo chiedere a una pellicola di indagare su quei brusii di allora che, nel tempo, si sono trasformati nei boati di oggi.

Claudio Vercelli, storico

Quella parola mai pronunciata poteva forse salvare delle vite
vignettaLa fiction Sotto il cielo di Roma offre una bella immagine di quanto Pio XII avrebbe potuto dire e fare, ma in realtà non fece. Sono infatti molteplici i fatti, mostrati dal film, che non corrispondono a quanto appurato finora dagli storici. Non risulta né dai documenti pubblicati dalla Santa Sede né dai libri pubblicati, che ci sia mai stato un solo incontro diretto fra Pio XII e il generale tedesco Stahel, mentre secondo il film ve ne furono diversi. Il papa riceveva invece in udienza privata l’ambasciatore tedesco, von Weizsacker, ed era questo il suo tramite con Berlino. Anche la frase che Pio XII avrebbe pronunciato, “Roma e Gerusalemme, due città nelle quali la presenza di Dio è più percepibile”, sembra più adatta ai nostri giorni che al 1943, così come la richiesta dell’ebreo di suonare l’Hatikvah.
Certo, il salvataggio degli ebrei nei monasteri fu reale, anche se avvenne in modo molto più discreto di quanto mostrato nel film, ebbe luogo in modo spontaneo, grazie all’iniziativa dei singoli, mentre non disponiamo, almeno per i primi giorni, di nessuna testimonianza di intervento della Santa Sede e tanto meno del pontefice. Quanto alla bomba di via Rasella del 23 Marzo 1944, la reazione nazista fu così rapida e violenta da non permettere nessun intervento caritatevole, anche se il pontefice inviò padre Pancratius Pfeiffer a parlare con le autorità tedesche. Vera invece l’ansia per Roma, molto più che per gli ebrei.
Il progetto di rapimento del papa, poi, è noto da una sola fonte: la deposizione del generale Wolff, fatta circa trent’anni dopo i fatti descritti e senza nessun documento che appoggi la tesi. Otto Wolff riferì che il 13 settembre egli fu ricevuto da Hitler che gli chiese di occupare la Città del Vaticano, ed eventualmente deportare il papa nel Lichtenstein per evitare che cadesse nelle mani degli Alleati. Nessun altro documento conferma tale testimonianza. Per questo molti storici non credono a questo progetto o perlomeno sostengono che non arrivò mai alla fase esecutiva. Se però fosse vero, esso darebbe luogo ad un’ipotesi del tutto diversa. Potremmo cioè immaginare che si delineasse un enorme baratto: il silenzio papale sulla deportazione degli ebrei del 16 ottobre, in cambio della mancata esecuzione del rapimento. Le minacce naziste contro la Comunità ebraica erano comunque note già con un certo anticipo. Tanto che la Segreteria di stato vaticana registrò il 17 settembre: “Temuti provvedimenti contro gli ebrei in Italia”. Qualche giorno prima, il 9 settembre, il rabbino capo di Roma Eugenio Zolli aveva proposto ai maggiorenti di chiudere il Tempio e gli uffici della Comunità e di distruggere le cartelle fiscali degli ebrei per evitare che i tedeschi potessero ottenere una lista di nomi degli ebrei iscritti. La proposta non fu accettata e Zolli scomparve subito dopo.
Pochi giorni dopo, il 25 settembre, il colonnello delle SS Herbert Kappler ricevette un ordine di Himmler di arrestare tutti gli ebrei e deportarli in Germania “per liquidazione”. Il 26 settembre Dante Almansi e Ugo Foà furono quindi convocati dal colonnello Kappler che richiese entro 36 ore 50 chilogrammi d’oro minacciando, in caso contrario, la deportazione di 200 ebrei. L’oro fu raccolto e consegnato in tempo, senza ricorrere a nessun prestito né del Vaticano né di altri. Meno di una settimana più tardi, il primo ottobre, la Segreteria di stato vaticana prende nota di un progetto di invasione tedesca del Vaticano per “il sequestro di persona del Sommo Pontefice”. Il 4 Ribbentrop telegrafa a von Weizsacker: “Il Governo del Reich rispetterà in pieno la sovranità ed integralità dello Stato del Vaticano e gradirà che la Curia pubblichi un resoconto non ambiguo della situazione”. Era la risposta attesa dal Vaticano. Due giorni dopo, il 6 ottobre, Kappler avviserà il suo capo, il generale Wolff, che Theodor Dannecker era arrivato in Italia per arrestare gli ebrei e deportarli.
Il giorno stesso il console Moelhausen, avuto sentore della questione, telegrafò al ministro degli esteri Ribbentrop e perfino a Hitler scrivendo: “Kappler ha ricevuto l’ordine di arrestare ottomila ebrei residenti a Roma e di procedere al loro trasporto verso l’Italia del nord dove saranno liquidati”. Il console propose di utilizzarli per lavori di fortificazioni. Il messaggio arrivò il giorno stesso anche al presidente Roosevelt.
Il 7 ottobre l’ambasciatore Weizsacker fu ricevuto dal segretario di stato cardinale Maglione il quale gli chiese, secondo i documenti vaticani, che la Città eterna non diventasse un terreno di battaglia, una questione di supremo interesse per la civiltà e la religione.
Due giorni dopo, il 9 Ottobre, Weizsacker fu ricevuto in udienza privata dal Pontefice e gli comunicò a voce e per iscritto, che la Germania “era determinata e rispettare i diritti sovrani e l’integrità” del Vaticano. Chiese inoltre una dichiarazione vaticana che sarà lungamente discussa fra le due parti e pubblicata a fine mese sull’Osservatore romano.
Date le relazioni di amicizia con il pontefice, ed essendo ormai alla vigilia della razzia, è probabile che l’ambasciatore lo abbia informato per sommi capi su quanto stava per avvenire. Weizsacker accennò anche al qui pro quo: riconoscimento tedesco della neutralità vaticana, in cambio del silenzio assoluto del Vaticano sulla razzia degli ebrei? In tutti i casi questi furono i fatti, anche se non sappiamo se ci fosse un accordo formale. Qualche giorno dopo, il 14 Ottobre, Weizsacker si recò nuovamente da Maglione che chiese solo ci fossero “sufficienti forze di polizia per mantenere l’ordine”, ma sugli ebrei nemmeno una parola. Infine il giorno stesso della razzia, il 16 Ottobre, Maglione convocò l’ambasciatore e gli disse: “La Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di disapprovazione”. Weizsacker rispose chiedendo di essere lasciato libero di non riferire quella conversazione ufficiale a Berlino. Sì, è vero, molti conventi aprirono le porte agli ebrei e De Felice valuta a 4 mila e 447 il numero degli ebrei salvati negli istituti religiosi. Molto probabilmente la destinazione originale di quelli catturati era Mauthausen. Scrive la storica Liliana Picciotto: “Solo più tardi vedendo che non c’era nessuna reazione dal Vaticano, il trasporto con 1020 deportati che lasciò la stazione Tiburtina il 18 Ottobre, fu destinato ad Auschwitz e allo sterminio”. Una parola avrebbe potuto deviare il treno verso Mauthausen con maggiori probabilità di sopravvivere. 

Sergio Minerbi, diplomatico

Travolti dal fiume della fiction
vignettaMolti giornalisti e critici cinematografici, un pugno di storici, un giovane addetto stampa; lo sceneggiatore, alcuni esponenti del mondo cattolico; Ettore Bernabei, per decenni direttore della Rai e fondatore di Lux vide, produttrice di Sotto il cielo di Roma e, ovviamente, gli attori protagonisti. Il pubblico è di quelli assortiti.Tutti accomodati, in religioso silenzio, davanti a uno schermo gigante. Nelle eleganti sale di un albergo romano sono in parecchi a rispondere all’invito dell’ufficio stampa Rai per un’anteprima della fiction che promette di sbancare gli ascolti. Duecento minuti da trangugiare in un sol boccone per capire quali possono essere le reazioni alla miniserie che racconta Pio XII, il papa più discusso degli ultimi decenni; la deportazione degli ebrei romani e i conventi che allora nella Capitale diedero rifugio a tanti perseguitati. Il film si apre sulle immagini del pontefice in preghiera. Il volto è quello ossuto di James Cromwell che, concorderanno diversi critici, in quest’occasione offre gran prova di sé. E subito scatta il riconoscimento. Quello è infatti un volto più che familiare per chi oltre dieci anni fa aveva figli piccoli. Allora impersonava il fattore proprietario di Babe, il maialino coraggioso. Figura un po’ acidula, ma comunque carismatica (complice probabilmente anche la statura di Cromwell che pare misuri ben 201 centimetri). D’altronde la familiarità è una buona chiave per inoltrarsi nella fiction. Miriam, la bella protagonista, è infatti Alessandra Mastronardi, la tenera Eva dei Cesaroni mentre Margot Sikabony, già vista in Un medico in famiglia, impersona la suorina di cui invano s’innamorerà Marco. Insomma, un mix di sicuro impatto. Soprattutto per il pubblico tipo della prima serata di Raiuno che, come ci spiegherà dopo un esperto, in buona parte dei casi ha un’età elevata e un titolo di studio che non supera la quinta elementare. Le immagini scorrono. Lo storico ogni tanto sobbalza sulla sedia. Qualcuno inarca il sopracciglio. Il critico prende appunti frenetico. E l’appassionato di fiction si lascia trasportare da questo fiume multicolore in cui si mischiano l’amore di David e Miriam e la deportazione dal ghetto, il pontefice e i generali nazisti, i conventi e i bimbi in pericolo. Agiografico? Poco rispettoso della storia? Kitsch? Sarà. Ma anche fra gli addetti ai lavori c’è chi si commuove. E il senso critico alza bandiera bianca.
Cento minuti e le luci si riaccendono. Un breve intervallo. Una gentile signora provvede tè, succhi di frutta e pasticcini mignon. I commenti scivolano via compiti. Non è ancora il momento di sbilanciarsi se non in qualche cortesia. La seconda puntata si sofferma sulla vita nei conventi e sul progetto di rapire il papa. E mentre la love story di David e Miriam si avvia al matrimonio, i tedeschi in ritirata risparmiano la città grazie all’intercessione del pontefice. E’ l’epilogo e il film si chiude com’era iniziato, sulla figura di Pio XII. Questa volta non più assorto in preghiera, ma circondato dalla folla plaudente a piazza San Pietro.
Al riaccendersi delle luci arrivano i primi commenti. Anche se il ritegno è palpabile. Ettore Bernabei si appassiona a spiegare le ragioni della fiction. Materia di cui è assoluto specialista se si considera che Lux vide è stata produttrice anche di un’apprezzatissima serie sui personaggi della Bibbia. “Questa è una televisione buona, che insegna, che trasmette dei contenuti. Non è la televisione del demonio di cui ha parlato di recente il papa e per cui io stesso ho lavorato per tanti anni”. Sbuca scettico dall’ombra il direttore di Pagine Ebraiche Guido Vitale, che commenta gelido e cortese come lui il vizio del telecomando se lo sia tolto ormai da molti anni. Arriva sorridente Luca Bernabei, produttore della fiction, saluta e chiede opinioni. Un critico parla di buon livello cinematografico. Lo storico discetta del complesso rapporto tra fiction e storia. Ma l’ora è tarda: c’è chi deve tornare al lavoro, chi ha figli piccoli, chi un aereo da prendere, chi una cagnolina da portare a spasso. E alla spicciolata la riunione si scioglie. La discussione è rimandata alla prossima riunione di redazione.

Di Cesare - Finzioni e santificazioni
vignetta«Parli, altrimenti la metteranno in croce!» - sono le parole che suor Pasqualina rivolge a Pio XII nella fiction televisiva «Sotto il cielo di Roma». Il racconto della deportazione degli ebrei a Roma il 16 ottobre 1943 - racconto più o meno credibile (si pensi alla improbabile scena alla stazione Tiburtina in cui Myriam si getta verso il vagone del padre e viene respinta) - corre parallelo accanto alla descrizione della figura controversa di Pio XII.
E qui l’astuta regia mette in scena un papa tormentato, prudente e circospetto, sovrastato dalla immagine diabolica di Hitler che - così preannuncia un filmato nella fiction, quasi una visione del papa - si distruggerà da sé. Basterà agire con oculatezza. Per non provocare altre vittime. E poi non possono sfuggire le parole che Pacelli, quasi all’inizio, pronuncia per giustificare la sua condotta durante quegli anni così bui per la chiesa: «non posso prendere le parti di un popolo contro un altro». Come se scomunicare Hitler - ma perché non l’ha fatto? - e aprire bocca per denunciare i crimini del nazismo davanti al mondo fosse stato prendere le parti di un popolo - del popolo ebraico e non di quello tedesco?
La fiction va considerata appunto come una qualsiasi altra finzione. Eppure molto ci sarebbe da dire sull’impostazione complessiva. Ad esempio: che fine hanno fatto i fascisti? Nel film compaiono sì e no un paio di volte. Passano invisibili in macchina nella parte dei donnaioli. E nel rastrellamento l’unico fascista è anzi un buono. Il giudizio che viene suggerito sulla resistenza e sui partigiani è che si tratta di uno sparuto gruppo di piccoli intellettuali che leggono libri inservibili (ad esempio Petrarca), che procurano guai a sé e agli altri e che, alla fin fine, se non ci fossero stati, sarebbe stato meglio. Via Rasella e soprattutto le Fosse ardeatine, nella seconda parte del film, non meritano che un piccolo cenno al margine. Il messaggio è chiaro: la Resistenza avrebbe fatto poco o nulla per gli ebrei. Molto di più avrebbe fatto la chiesa, molto di più avrebbe fatto, per quanto non visto e non sentito, Pio XII che, nelle sue stanze pontificie, tormentandosi, provava a trattare con i tedeschi.
C’è anche di più: alcuni tedeschi, malgrado tutto, possono essere redenti. Il generale Stahel, che durante il film guarda il rosario nel cassetto, è il tedesco che potrebbe un domani, con la magnanimità della chiesa, perfino essere perdonato. E mentre la fiction corre verso una riconciliazione totale e totalizzante, torna l’immagine di papa Pacelli davanti ad un crocifisso. Di nuovo il messaggio è chiaro: Pio XII ha portato la croce non solo durante il nazismo, ma anche dopo, per via del suo pervicace silenzio, non un atto ignominioso per lui e per l’istituzione ecclesiastica, ma anzi l’unico atto possibile. È dunque tempo di santificarlo. A questa santificazione, che è e resta incomprensibile, ingiustificabile e immotivata, mira tutta la fiction.
Non certo a narrare l’unica crocifissione di quel tempo: la Passione di Israele sotto Adolf Hitler. Perché questa fa solo da sfondo. Anzi, con un gesto consueto, che ha scandito la storia della chiesa per secoli, anche questa volta, all’insegna della teologia della sostituzione, viene espropriato il popolo ebraico del suo martirio, mentre Pio XII, con il carico della croce, si prepara ad essere santificato.
Non saranno immagini casuali, nella seconda parte del film, quelle degli ebrei che, nascosti qui e là in chiese e monasteri della capitale, vestono gioiosamente i panni di preti e suore… un auspicio di conversione. D’altronde l’impulso alla conversione non cessò neppure finita la guerra; il Vaticano seguì una politica molto rigida sulla restituzione degli orfani ebrei e andarono deluse le richieste di restituzione di almeno 8000 bambini ebrei sopravvissuti nelle istituzioni cattoliche europee ed educati cattolicamente.
La fiction è una finzione in vista della santificazione di Pio XII e di una celebrazione della chiesa che vuole così autoassolversi. Resta però indelebile e incancellabile il silenzio di Pacelli. Il papa che, dopo molti anni trascorsi in Germania durante la Repubblica di Weimar, aveva scelto il «male minore», il paganesimo nazista, per arginare il vero nemico, il bolscevismo, fu forse più antiebraico di quanto lo fosse la curia romana dei suoi tempi e non sembrò mai particolarmente colpito dal martirio del popolo ebraico. Lo dimostra il suo silenzio che continuò - ma perché mai? - anche dopo il 1945.
C’è da chiedersi se alla chiesa giovino fictions e finzioni di questo genere che possono forse edulcorare temporaneamente la storia, ma che non sono la strada giusta per un ripensamento critico e costituiscono anzi la scorciatoia di una - indebita - appropriazione della Shoah.

Donatella Di Cesare

pilpul
Un futuro per i giovani
Tobia ZeviDomenica mattina ho incontrato un contadino che aveva appena terminato di raccogliere le olive. Parlando del più e del meno, mi ha raccontato che i suoi due figli - quando si dice i sacrifici dei genitori! - sono entrambi laureati, la più grande è un architetto che vive a Londra, e il secondo è un regista che attualmente pensa di tornare in Argentina, dove è già stato.
La settimana scorsa sono usciti i dati dell’ultimo concorso bandito in Francia dal CNRS, il CNR francese. Il 35 per cento dei posti assegnati è andato a ricercatori italiani, formatisi nel nostro paese e poi emigrati all’estero per valorizzare il proprio talento e la propria dottrina, e il numero di connazionali nelle istituzioni scientifiche transalpine cresce di anno in anno.
Lo scorso anno mia sorella ha studiato giornalismo in America e attualmente lavora in Italia per un quotidiano USA, e anche lei si sente sempre sul punto di ripartire per avere maggiori opportunità.
Ho scelto, tra i molti possibili, questi tre esempi per evidenziare un problema su cui i leader ebraici italiani dovrebbero riflettere: quando si parla della continuità ebraica in questo o quell’altro paese, in questa o quest’altra città, lo si fa spesso prendendo in considerazione solamente due fattori: grado di osservanza del gruppo ebraico e tasso di socializzazione ebraica possibile (cioè quanti matrimoni è possibile fare a partire dal numero di ebrei).
Non ci sono dubbi che siano due questioni fondamentali. Rimane il fatto che i giovani ebrei sono anche giovani italiani, che come i loro coetanei hanno difficoltà a immaginare il loro futuro in Italia, che magari scelgono di andare in Israele per trovare un lavoro migliore.
L’associazione Hans Jonas sta conducendo una ricerca sui giovani ebrei italiani tra i 18 e i 35 anni, che tra i molti aspetti analizza anche questo tema. Credo che il prossimo congresso UCEI dovrebbe porsi questa domanda: è possibile favorire programmi o progetti che favoriscano un futuro in Italia per i giovani ebrei?

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

I Protocolli e i dogmi di Lerner
ScaraffiaE’ possibile che un romanzo che vuole essere una vigorosa condanna dell’antisemitismo possa invece fare l’effetto contrario - se pure contro la volontà dell’autore - e per questo suscitare dei dubbi e delle critiche? Certo, anche se l’autore è Umberto Eco, perché l’eterogenesi dei fini esiste.
Ma così non la pensa Gad Lerner che ieri, nella trasmissione dell’Infedele in gran parte dedicata al nuovo romanzo di Eco, Il cimitero di Praga, ha bellamente ignorato le riserve avanzate su questo tema da ben tre articoli apparsi su Pagine ebraiche - di Anna Foa, Riccardo di Segni, Ugo Volli - per considerare invece come unica rappresentazione di questo atto di lesa maestà la mia recensione al libro stesso apparsa sull’Osservatore romano, e quindi fare solo della mia riverita persona il capro espiatorio dell’inconcepibile crimine suddetto. Tacendo, per l’appunto, il fatto che sul giornale della Santa sede accanto alla mia era riprodotta anche la recensione di Anna Foa apparsa su Pagine ebraiche.
Così il dubbio che il romanzo possa avere sui lettori un’influenza antisemita - o comunque non contribuire affatto a smascherare i famigerati Protocolli - è stato confinato a una bizzarra e ultradiscutibile posizione di “cattolicesimo integralista”, naturalmente nemica di Eco perché lo scrittore sarebbe troppo libero e aperto, contrario ai “dogmi”, che tanto soffocano, invece, il pensiero dei cattolici. Un modo manipolatorio per non parlare di un problema vero, per far finta che i cattivi sono sempre i soliti, che tutto va sempre bene. Per Lerner e per i suoi amici, ovviamente.

Lucetta Scaraffia 

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La Giornata Unesco della Filosofia
si svolgerà in Iran, Israele protesta

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Protesta israeliana per la decisione dell'Unesco di indire quest'anno in Iran la 'Giornata mondiale della filosofia' che si svolgerà fra il 21 e il 23 novembre. Secondo Nimrod Barkan, il rappresentante di Israele all' Unesco, "l'Iran è una crudele dittatura che ha falsificato l'esito delle elezioni, che perseguita quanti anelano alla libertà, che nega la Shoah e invoca la distruzione di Israele". 
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In attesa dei risultati delle elezioni americane, due argomenti dominano oggi la nostra rassegna stampa: la reazione ebraica allo sceneggiato agiografico su Pio XII che è stato trsmesso nei giorni scorsi e il terribile attentato contro una chiesa cattolica in Iraq. »

Ugo Volli


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