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2 novembre
2010 - 25 Cheshvan 5771 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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La
Torah, base della nostra vita ebraica, ci è stata data quando già
eravamo un popolo affinché entrassimo nella Terra di Israele.
L'ebraismo è quindi fin dal suo inizio religione e storia insieme.
Anzi, l'ebraismo è la storia di una realtà in cui la Torah, il
popolo e la Terra formano un unicum, un tutto inscindibile. E se nella
definizione stessa di dialogo è implicita l'esigenza di entrare in
rapporto con l'altro nella propria completa identità e di accettare e
comprendere l'altro per come egli stesso si autodefinisce, è ovvio che
se si fa esclusione di uno solo di questi tre elementi, usare il
termine dialogo diventa assolutamente improprio e il superamento di
antichi rifiuti si sposta così su nuovi modi di
rifiutare.
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Sergio
Minerbi,
diplomatico
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Certamente dobbiamo esprimere
il nostro dolore e la nostra solidarietà ai cristiani di Bagdad uccisi
nell'incursione dei fondamentalisti islamici contro una chiesa. Ma
nello stesso tempo dobbiamo anche domandarci se il recente sinodo dei
vescovi cattolici del Medio Oriente non abbia aperto la strada a questo
atto con il suo atteggiamento unilaterale contro Israele. Così si
assolvono in anticipo i fondamentalisti islamici, gli stessi che
possono uccidere impunemente altri cristiani.
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torna su ˄
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Santo in prima serata
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Duecento minuti di fiction tv per raccontare agli italiani il ruolo
riveduto e corretto di papa Pio XII durante l’occupazione di Roma e i
momenti più bui della Shoah. Sotto il
cielo di Roma, andato in onda su Rai Uno, fa discutere e riaccende il
dibattito sul ruolo del
Vaticano.
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rav Di Segni - Fiction su Pio XII “patacca
propagandista”
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"Una patacca
propagandistica, un'opera apologetica". Così Riccardo Di Segni, rabbino
capo di Roma, in un'intervista al mensile 'Shalom', definisce la
fiction di Raiuno Sotto il cielo di Roma, dedicata alla figura di Pio
XII cui il mensile dedica la copertina del numero in uscita. La
preoccupazione del mondo ebraico è che un prodotto culturale con
un'impostazione storica "carente, piena di errori e imprecisioni",
contribuisca a dare una lettura "assolutoria su scelte, vicende e
silenzi del papato di Pio XII che sono ancora oggetto di studi e che
ancora attendono di essere vagliate alla luce dei documenti non ancora
resi pubblici dagli archivi vaticani". "Molto semplicemente direi -
spiega Di Segni nell'intervista al direttore di 'Shalom' Giacomo Khan -
che questo sceneggiato è una patacca, che persegue una finalità ben
precisa, quella di dimostrare l'assoluta bontà di quel Pontefice e la
giustificazione politica e morale di tutto ciò che ha fatto. La
questione quanto mai controversa non si può esaurire con una
discussione rapida e semplificata che finisce con una assoluzione
finale scontata e apologetica, senza mostrare tutti gli aspetti e tutti
i dati". "Lo dico - aggiunge Di Segni - con particolare rammarico
personale, avendo collaborato a lungo anni fa con la società
produttrice del filmato che quando produceva film di argomento biblico
era molto attenta alle differenti sensibilità. Lo sceneggiato di oggi è
invece a senso unico, con l'aggravante di una impostazione storica
carente, piena di errori e imprecisioni, con scelte politiche gravi,
come ad esempio la rimozione delle responsabilità fasciste".
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Bernabei - "Ricostruzione storica
veritiera"
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Nel corso della
presentazione alla stampa di “Sotto il cielo di Roma”, Ettore Bernabei
ha descritto la fiction come “una ricostruzione storica veritiera, un
quadro interessante, che susciterà apprezzamenti senza polemiche,
perché molto vicina alla verità”. A dispetto delle controversie che si
sono susseguite negli ultimi anni circa il ruolo che Pio XII giocò, o
evitò di giocare, durante le persecuzioni naziste, il presidente della
casa di produzione LuxVide, già direttore generale della Rai dal 1961
al 1974, affiliato all’organizzazione cattolica dell’Opus Dei, è
soddisfatto della miniserie.
Presidente,
lei non pensa che “Sotto il cielo di Roma” rappresenti un modo per
mettere in buona luce Pio XII? Gli ebrei romani quel periodo lo hanno
vissuto sulla propria pelle ed ci sono ancora numerosi testimoni
diretti. Avete pensato di consultarli?
Gli sceneggiatori hanno voluto evitare le posizioni ufficiali riguardo
alla figura del pontefice. Non si sono schierati né da una parte né
dall’altra. Hanno cercato invece di impostare la trama lungo due
binari, la vita dei tre ragazzi protagonisti, e le vicende del
pontefice. E con alcuni testimoni hanno parlato.
Il regista
Christian Duguay ha parlato di come “sia stata straordinaria raccontare
una fetta di storia così importante, in cui alla fine la bontà ha
prevalso”. Ma non è forse è un equivoco di fondo, considerando che
oltre aimille ebrei romani che furono deportati e non tornarono, altri
6 milioni che morirono nei campi di sterminio nazisti, insieme ad altri
5 milioni di omosessuali, zingari, oppositori politici. Perché la
fiction non parla del modo in cui si comportò Pio XII nei loro
confronti?
In fondo il papa è il vescovo di Roma, e quindi Pio XII si è fatto
carico di salvare più vite possibili nella sua diocesi. E aprendo i
conventi ne salvò moltissime. Probabilmente non si può definire un uomo
“giusto” nel senso ebraico del termine. Ma in “Sotto il cielo di Roma”
i dubbi rimangono, vengono mostrate anche delle critiche a Pio XII e la
questione rimane aperta. D’altra parte il fatto che dentro Roma non si
combatté come in altre città italiane ed europee è oggettivamente un
merito storico del pontefice, e di questo bisogna dargli
atto.
Considerando
tutti gli elementi controversi che esistono intorno alla figura di
questo papa, secondo lei la fiction, il mezzo nazional-popolare per
eccellenza, è lo strumento più adatto per trattare l’argomento?
Una fiction è adatta a parlare di queste cose nel momento in cui riesce
a essere equilibrata, e credo che questa lo sia. A quel punto la
fiction diventa anche meglio di un articolo o di un documentario.
Questi generi infatti nascondono sempre una dose di faziosità dietro
un’apparente oggettività. In una miniserie invece si può dare spazio ai
sentimenti e alle sfumature, che non sono altrimenti documentabili. E
la combinazione di immagini, parole, suoni ed emozioni dà vita a un
quadro più completo di qualsiasi ricostruzione storica.
Rossella
Tercatin
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Perra - Una guida ragionata alla
visione del film
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Raiuno ha trasmesso Sotto il
cielo di Roma, fiction incentrata sulla figura di Pio XII e sull’opera
di assistenza agli ebrei fornita da tante strutture della Chiesa
cattolica durante i mesi dell’occupazione nazista della capitale.
Ho già avuto modo di esprimere un primo sommario parere sulla miniserie
nel numero di novembre di Pagine Ebraiche. In quella sede, avevo
definito la fiction come un’opera tutto sommato riconducibile al filone
dell’agiografia, la cui costruzione drammatica e trattamento della
materia storica tende a presentare un quadro largamente positivo della
figura del pontefice. In questa sede, vorrei approfondire alcuni
elementi esemplificativi di questi due aspetti, con lo scopo di fornire
ai lettori una breve guida ragionata alla visione di Sotto il cielo di
Roma.
La figura di Pacelli emerge animata da profondo senso religioso sin
dalla prima inquadratura, che mostra dall’alto Pio XII assorto in
preghiera ai piedi di un crocifisso reso imponente dalla prospettiva
della macchina da presa.
Questa rappresentazione rimane costante sino all’ultima scena della
fiction, in cui Pacelli convince il comandante delle SS in Italia, Karl
Wolff, a lasciare la città senza resistere agli Alleati facendogli,
letteralmente, ‘vedere la luce’.
A questa prossimità del Pontefice col divino si aggiunge un altro
elemento nella caratterizzazione del personaggio: si tratta di una
personalità che svetta su quella di tutti i suoi collaboratori,
compreso il Card. Montini (futuro Paolo VI). Pio XII, infatti, è
l’unico, all’interno della curia, dotato di una visione d’insieme delle
problematiche che via via si presentano e del modo migliore di farvi
fronte; è autore in prima persona di ogni decisione e di ogni
trattativa (anche a costo di alcune forzature storiche, come vedremo);
soprattutto, è sulle sue spalle che grava la terribile decisione di
protestare pubblicamente o meno, aspetto che, come è noto, rappresenta
il cuore delle polemiche degli ultimi decenni intorno alla sua figura.
Questa costruzione del personaggio ingenera nello spettatore la
convinzione che Pio XII fosse di gran lunga la persona più adatta a
ricoprire quel ruolo in una così drammatica congiuntura storica, e che
le sue decisioni, per quanto difficili, fossero inappuntabili. In tale
direzione vanno anche alcuni episodi marginali dal punto di vista
narrativo ma che mostrano con chiarezza il meccanismo che soggiace alla
costruzione del personaggio. Questo avviene, ad esempio, poco prima
della liberazione, quando Pacelli riconosce il fragore dei mortai in
lontananza che il povero Montini scambia invece per tuoni, oppure
quando sembra che in tutto il Vaticano Pacelli sia l’unico capace di
azionare correttamente un proiettore su cui altri si erano
maldestramente adoperati.
Quest’ultimo episodio, cui si assiste nella prima puntata, offre un
altro importante spunto interpretativo. Il filmino a cui Pio XII e i
suoi collaboratori assistono è un montaggio di parate naziste con al
centro Hitler. Dopo pochi secondi di proiezione il pontefice si alza e
si avvicina allo schermo come a confrontarsi viso a viso con il
dittatore nazista; a quel punto, la pellicola si inceppa “bruciando” un
fotogramma di Hitler, la cui maschera si trasforma in un ghigno quasi
satanico.
In questa sequenza pregnante, la fiction fa proprio il punto di vista
cattolico sullo scontro tra male e bene, incarnati a un estremo dal
demonio fatto uomo e all’altro dal Vicario di Cristo (come è noto,
Pacelli arrivò a praticare un esorcismo su Hitler durante la guerra).
Gli spettatori assistono quindi a una ricostruzione della vicenda che
si colloca tutta dentro una visuale cattolica, più che legittima in sé,
ma che sarà utile che i lettori tengano presente mentre si accingono a
guardare Sotto il cielo di Roma.
Che la prospettiva e il retroterra culturale degli autori sia
essenzialmente questo, e che l’intento sia essenzialmente apologetico
nonostante le dichiarazioni di supposta neutralità da parte del
direttore di Rai Fiction Fabrizio Del Noce (‘Sotto il cielo di Roma’,
2010), lo dimostra anche la scelta degli episodi storici al centro
dell’azione. La miniserie attinge in larga misura alla storiografia più
prossima al cattolicesimo, anche di qualità come nel caso di Andrea
Riccardi (che figura tra l’altro tra i consulenti storici della
miniserie insieme a Giovanni Sabbattucci, Paolo Mieli e Stefano
Basset), e glissa su certi elementi problematici evidenziati nei lavori
di storici più laici.
Ad esempio, la rapida ricostruzione della promulgazione sotto Pio XI
dell’enciclica Mit Brennender Sorge di condanna del razzismo nazista
ricalca fedelmente quella fatta di recente da Andrea Tornielli
(Tornielli 2008, 217-9), a sua volta influenzata da un importante
articolo di Angelo Martini apparso su Archivum Historiae Pontificiae
(Martini 1964). Vale a dire che si attribuisce all’allora Segretario di
Stato Pacelli un ruolo di guida nella stesura del documento e nella
scelta di inserire alcune espressioni particolarmente dure nei
confronti del regime hitleriano, in un clima di concordia con gli altri
vescovi coinvolti e con Pio XI. In realtà, come ha recentemente
ricostruito Emma Fattorini (Fattorini 2007, 127-9), l’enciclica ha toni
ben più forti di quanto i principali estensori materiali Pacelli e
Faulhaber intendessero, presentando invece una forte impronta delle
riflessioni che il vecchio e malato Pio XI andava facendo in quei mesi.
Prova di questa diversità di approccio tra Pio XI e Pacelli (in fin dei
conti dimostrata dai loro diversi modi di condurre il papato nei
rapporti con la Germania nazista) si trova secondo Fattorini nella
lunga lettera di risposta alla nota di protesta tedesca vergata da
Pacelli il 30 aprile 1937, il cui tono e stile sottilmente diplomatico
si colloca agli antipodi rispetto alla perentorietà dell’enciclica e
degli ultimi pronunciamenti di papa Ratti (Fattorini 2007, 130).
Si prenda in considerazione un’altra sequenza, che altera il dato
storico in maniera forse eccessiva. La mattina del 16 ottobre, il
giorno della retata nel ghetto, gli spettatori assistono a uno scambio
teso tra Montini e Weizsäcker, ambasciatore tedesco presso la Santa
Sede. Alla minaccia del porporato di una protesta pubblica vaticana se
i rastrellamenti non si fermeranno, il diplomatico risponde minacciando
a sua volta una radicalizzazione delle deportazioni e conseguenze
severe per il Vaticano. Pio XII decide di rinunciare a un
pronunciamento pubblico, che richiederebbe ore prima di sortire qualche
effetto, e di puntare ad altre vie per fermare gli arresti. Invia il
sacerdote tedesco padre Pfeiffer a negoziare con il comandante militare
della piazza di Roma Stahel, fervente cristiano. Facendo leva sui
sentimenti religiosi e patriottici del militare, Pfeiffer lo convince a
chiamare Berlino e a fermare gli arresti. In poche parole, secondo la
fiction lo stop ai rastrellamenti sarebbe stato ottenuto grazie alla
mediazione vaticana. Questa era effettivamente la percezione che degli
eventi si aveva nella Santa Sede, ma è in realtà più probabile che
questa causa fosse perorata da ambienti diplomatici e militari tedeschi
(Riccardi 2008, 132-7). Ad ogni modo, il risultato fu quello di evitare
ulteriori retate di massa organizzate dai tedeschi, e non di fermare il
rastrellamento del 16 ottobre, come invece suggerito da Sotto il cielo
di Roma.
In ogni caso, come mostra la miniserie, la Chiesa si adoperò in molti
modi per fornire aiuto ai romani e per risparmiare alla città gli
orrori della guerra. D’altronde, come ha scritto Enzo Forcella,
preservare la sede del Vicario di Cristo era ‘una delle principali
preoccupazioni della diplomazia vaticana e un motivo ricorrente, quasi
ossessivo, degli interventi del papa’ (Forcella 1999, 47). Se però si
allarga la prospettiva al di là della capitale italiana, ad abbracciare
la dimensione continentale, si ripropone la spinosa questione del più
ampio comportamento della Chiesa di fronte allo sterminio.
È un tema che percorre sottotraccia tutta la miniserie ma che viene
affrontato esplicitamente solo in maniera fugace nel primo episodio,
quando Pio XII spiega all’ambasciatore polacco presso la Santa Sede,
Papée, che lui non può far sentire apertamente la sua voce in quanto
Vicario di Cristo, e perciò impossibilitato a schierarsi con un popolo
contro un altro. La risposta del diplomatico è che, se continuerà a non
assumere una posizione netta, verrà il giorno in cui nessuno prenderà
partito per lui, parole a loro modo profetiche a cui si aggiungono poco
dopo quelle della fedele aiutante di Pacelli, suor Pascalina, che gli
intima di parlare ‘altrimenti il mondo gli metterà la croce’.
Questi due brevi cenni alla principale controversia che a tutt’oggi
circonda la figura di Pio XII vengono risolti nella miniserie dalle
parole di Montini, che ricorda a Papée l’episodio del luglio 1942,
quando una lettera pastorale dei vescovi olandesi di protesta contro le
persecuzioni portò a una rappresaglia nazista che costò la deportazione
di altre migliaia di ebrei. È il tema del silenzio necessario per
favorire l’opera di assistenza e per non aggravare ulteriormente la
situazione per le stesse vittime, proposta sin dall’inizio della
controversia da Montini (Montini 1963), e presto fatta propria da tanti
anche al di fuori dell’ambiente ecclesiastico (Jemolo 1965, 275;
Spadolini 1967, 286-7).
È però una risposta non del tutto adeguata, in primo luogo perché nello
specifico della vicenda olandese ciò che provocò la rappresaglia
nazista fu non tanto la pastorale in sé quanto il fatto che al suo
interno era citato per intero il testo di un telegramma con cui il
Reichskommissar Seyss-Inquart accettava di esentare gli ebrei
convertiti dalle deportazioni, ponendolo in cattiva luce di fronte ai
vertici del partito a Berlino (Miccoli 2000, 336-41). Inoltre, è
legittimo chiedersi, più in generale, se avesse senso ragionare in
termini di limitazione del danno di fronte al flusso di informazioni
sempre più precise sullo sterminio sistematico su scala continentale
(Miccoli 2000, 99).
È questa una questione sulla quale si dibatte da anni e che una
miniserie non può certo dirimere. È però importante che l’abbia
sollevata, seppur in maniera incompleta. Spetta al pubblico, a noi,
continuare ad approfondire e cercare di sviluppare un’opinione il più
possibile informata. Una fiction storica è sempre legata al presente
anche quando rappresenta il passato, e ciò non è necessariamente un
male. Ad esempio, Sotto il cielo di Roma presenta una visione
post-conciliare dei rapporti tra cattolici ed ebrei, come nella
sequenza in cui Pio XII e il rappresentante della comunità romana (che
non si incontrarono mai in quei mesi nella realtà) citano insieme il
passo della Genesi in cui il Signore dice ad Abramo ‘Guarda in cielo e
conta le stelle, se le puoi contare’, per poi aggiungere ‘Tale sarà la
tua discendenza’ (15:5); un promemoria della comune origine delle due
confessioni che non potrebbe essere più attuale, dopo le recenti
polemiche delle ultime settimane seguite al Sinodo dei vescovi del
Medio Oriente.
- Fattorini, Emma (2007) Pio XI,
Hitler e Mussolini: La solitudine di un papa (Torino: Einaudi).
- Forcella, Enzo (1999) La
Resistenza in convento (Torino: Einaudi).
- Jemolo, Arturo Carlo (1965)
Chiesa e Stato in Italia dalla unificazione al pontificato di Giovanni
XXIII (Torino: Einaudi).
- Martini, Angelo (1964) Il
cardinale Faulhaber e l’enciclica ‘Mit Brennender Sorge’. Archivum
Historiae Pontificiae 2: 303-20.
- Miccoli, Giovanni (2000) Il
dilemmi e i silenzi di Pio XII (Milano: Rizzoli).
- Montini, Giovanni Battista
(1963) Pio XII e gli ebrei: Lettera del Card. G.B. Montini al ‘Tablet’.
La Civiltà Cattolica 2714: 160-2.
- Riccardi, Andrea (2008)
L’inverno più lungo: 1943-44: Pio XII, gli ebrei e i nazisti a Roma
(Roma: Laterza).
- ‘Sotto il cielo di Roma’
L’omaggio tv a Papa Pacelli (2010) Il Tempo (26 ottobre): 43.
- Spadolini, Giovanni (1967) Il
Tevere più largo (Napoli: Morano).
- Tornielli, Andrea (2008) Pio
XII: Eugenio Pacelli: Un uomo sul trono di Pietro 2° ed. (Milano:
Mondadori).
Emiliano
Perra, storico
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Il diplomatico
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   
Incontri, colloqui, mediazioni. Il Pio XII ritratto dalla fiction Sotto
il cielo di Roma mostra un attivismo e un fiuto diplomatici senz’altro
spiccati. Si adopera per risparmiare a Roma gli orrori della guerra,
per consolidare l’inviolabilità extraterritoriale dei conventi in cui
si sono rifugiati molti ebrei e per liberare alcuni di loro arrestati
dopo la retata nel ghetto. Il suo interlocutore è il generale capo
Stahel (un rosario nel cassetto), capo della piazza militare di Roma,
che lo sostiene malgrado la contrarietà del comando tedesco che ne sta
invece progettando il rapimento. E mentre i nazisti si apprestano a
ritirarsi, Pio XII rifiuta la richiesta del generale Wolff di trattare
una pace separata tra Germania e Alleati ottenendo però che risparmi la
Capitale.
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Gli ebrei
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Il mondo ebraico dipinto dalla fiction è un quadro a tinte smorte e
poco realistiche. Per quanto molto presente in entrambe le puntate, la
realtà ebraica romana è ritratta senza molto entusiasmo e con qualche
incertezza: dalle improbabili note di un’Hatikvah suonata nel ‘43 in
pieno ghetto alle troppe kippoth in giro per le strade di una città
occupata dai nazisti per finire con un ghetto di maniera, svuotato
della sua umanità, identico nella scene della deportazione a tanti
altri sceneggiati. Un’occasione perduta per raccontare ai
telespettatori la vitalità di una presenza millenaria colpita così
duramente dalla Shoah.
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Il mistico
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Fin dalla prime scene, che ritraggono Pio XII in sofferta preghiera, si
intuisce che la figura del pontefice sarà contrassegnata da un potente
afflato mistico. Per tutta la durata della fiction torna infatti come
un leit motiv il suo costante legame con il Cielo, accentuato da una
sapiente regia che lavora sulla dimensione verticale e da un uso
suggestivo della luce che così spesso ne avvolge la figura (notevole,
in questo senso, l’ultima scena che lo vede in piazza San Pietro
circondato da una folla che lo applaude grata). Il raccoglimento in
preghiera e riflessione è in costante equilibrio con la vocazione
politica e diplomatica. Per questo non stupisce la sua volontà di
pregare per la conversione di Hitler che da un filmato d’epoca minaccia
distruzione e morte.
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Mastronardi - “La mia passeggiata in
ghetto"
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“Miriam è una ragazza di
vent’anni chiamata ad affrontare problemi troppo grandi per lei. Per
questo è costretta a crescere in fretta”. Alessandra Mastronardi,
classe 1986, la celebre Eva della fiction “I Cesaroni” parla del grande
significato che ha avuto interpretare, per la prima volta nella sua
carriera, un ruolo drammatico, quello della giovane ebrea protagonista
della fiction “Sotto il cielo di Roma”. La storia d’amore tra Miriam e
Davide (Marco Foschi), e la loro amicizia con Marco (Ettore Bassi)
durante l’occupazione nazista e la razzia del ghetto della capitale
rappresentano la vera trama della miniserie in due puntate in onda
domenica 31 ottobre e lunedì 1 novembre. Sullo sfondo, ma vero
protagonista della vicenda, papa Pio XII (James Cromwell). “Questa è
una storia molto delicata e profonda, per questo ho cercato di entrarci
con grande rispetto e senso di responsabilità. Vestire i panni di una
ragazza con una vita così difficile, costretta ad assistere a tanta
violenza nei confronti della sua famiglia e della sua gente, mi ha
fatta crescere moltissimo” spiega l’attrice.
Alessandra tu
avevi mai avuto modo di approfondire il tema della persecuzione
razziale durante la seconda guerra mondiale?
Quando frequentavo il liceo Tasso (uno dei classici più rinomati della
capitale ndr) ho avuto la fortuna di partecipare con la mia classe al
progetto della Memoria voluto da Veltroni quando era sindaco. Abbiamo
avuto diversi incontri con i sopravvissuti ai campi di sterminio,
abbiamo esaminato i registri scolastici, con gli alunni ebrei che a un
certo punto scomparirono, abbiamo fatto diversi approfondimenti con i
nostri insegnanti. Alla fine è arrivato a raccogliere il materiale che
avevamo elaborato addirittura Steven Spielberg, per la sua Survivors of
the Shoah Visual History Foundation. Questo progetto per me è stato
davvero un’esperienza fondamentale. E quando mi hanno offerto la parte
di Miriam sono stata felicissima. Devo ammettere che nelle mie ricerche
non avevo mai affrontato la questione del ruolo di Pio XII, e non avevo
mai sentito parlare della sua decisione di aprire le porte dei
conventi. Penso che questa fiction possa essere importante per mostrare
punti di vista differenti.
Come ti sei
preparata per interpretare Miriam?
Appena ho saputo di aver ottenuto la parte ho deciso di fare una
passeggiata nel ghetto di Roma. Era già sera e non conoscevo nessuno.
Mi stavo guardando attorno quando ho incontrato un ragazzo che mi ha
fatto da cicerone per tutte le stradine. Finché non mi ha portato in
“piazza” (così gli ebrei romani chiamano Portico d’Ottavia, il cuore
del ghetto ndr), dove c’era un gruppo di signore sedute fuori da una
porta. In pochi minuti mi è sembrato di trovarmi insieme a delle zie.
Per me che vengo da Napoli quest’atmosfera familiare è il massimo. È
stato davvero fantastico. Poi ovviamente a questo si è aggiunto un mix
di preparazione storica e di introspezione.
Durante la
lavorazione di “Sotto il cielo di Roma”, ti è mai capitato di pensare
che se tu fossi stata una ragazza di 24 anni in quel periodo storico,
ebrea o meno, ti saresti trovata di fronte a delle scelte?
Mi sono chiesta molte volte come mi sarei comportata in quella
situazione. Ma non sono riuscita a darmi una risposta. È difficile per
chiunque sapere quali scelte avrebbe compiuto in circostanze tanto
drammatiche, senza viverle davvero sulla propria pelle. Però una cosa
ci tengo a dirla. Per colpa delle leggi razziali, gli ebrei furono
privati dei diritti più elementari, quello di studiare, di lavorare,
persino quello di essere considerati uomini. Ieri è successo al popolo
ebraico, ma io penso che dobbiamo stare sempre in guardia per impedire
che accada di nuovo, agli ebrei, ma non solo. Anche perché guardandosi
intorno oggi si vedono tanti segnali preoccupanti, di intolleranza e di
razzismo.
r.t.
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Il mondo ebraico nell’ombra e senza un
carattere
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La
presentazione televisiva della fiction prodotta da Ettore Bernabei
sulla Roma tra il 1943 e il 1945, Sotto il cielo di Roma, lascia aperte
molte questioni e darà probabilmente vita ad un vivace dibattito, in
cui sarà possibile forse intervenire ancora. Ci limitiamo per ora a
sollevare alcuni punti generali. La scelta degli autori è stata quella
di trattare con una notevole libertà la realtà storica, preferendo
affidare l’immagine a personaggi dipinti anche in modo molto lontano
dalla loro realtà storica (come qui nel caso del presidente della
comunità ebraica Dante Almansi) o riunendo in un solo personaggio
figure nella realtà distinte. Una scelta legittima, nel caso appunto di
una fiction, che ci porta a lasciar perdere gli appunti particolari e a
discutere le immagini generali offerte dal filmato. Cominciamo dal
protagonista, papa Pio XII. L’intento del film è naturalmente quello di
rivalutare il ruolo di Pio XII e di offrire anche al grosso pubblico,
dopo le puntualizzazioni degli storici, un’immagine positiva di papa
Pacelli. Da questo punto di vista il film raccoglie tanto i risultati
della storiografia più recente sugli aiuti dati dalla Chiesa agli ebrei
durante l’occupazione (come il bel libro di Andrea Riccardi) che quella
di parte cattolica sul pontefice e sulla sua leggenda nera. Un film
tutto da leggenda rosa, dunque? Non completamente, perché bisogna
ammettere che la produzione ha saputo riprendere, sia pur soltanto in
un paio di scene, i dubbi sui “silenzi” del papa e sulla mancanza di
una condanna decisa del nazismo. La figura del papa vi appare, pur
nell’intento apologetico, molto umana, forse più di quello che il
processo di beatificazione non vorrebbe. Nell’intento di sollecitare la
simpatia, il film mostra un Pio XII pieno di dubbi e di umanità, non un
santo. L’immagine di Roma in questo periodo non coglie forse appieno il
vuoto di potere della città, in preda agli occupanti e alle bande
fasciste, e il ruolo di sostituzione del potere civile che la Chiesa si
assume in quei mesi, in cui Pio XII sembra ripercorrere le orme di un
Leone I e dei papi del Medioevo. Avrebbe forse giovato anche alla tesi
del film sottolineare di più le preoccupazioni del papa per la sorte
della città di Roma, che emergono solo alla fine in occasione della
fuga dei nazisti da Roma senza combattere, e che sono un’importante
chiave di lettura dell’intera vicenda, oltre a rappresentare una
vittoria della linea della Chiesa.
Dove invece molto ci sarebbe
da dire è sul quadro della Comunità ebraica durante l’occupazione e in
particolare nei giorni tra l’episodio dell’oro e la razzia del 16
ottobre: un’immagine di maniera, un po’ dolciastra, in cui non emergono
i conflitti e i dilemmi che attanagliarono la dirigenza (ad esempio, la
figura di Zolli, il rabbino capo poi convertitosi al cattolicesimo, è
stranamente assente). In questo caso, le inesattezze storiche, piccole
e grandi, contribuiscono a falsare l’immagine d’insieme che si
trasmette, rendendo privo di carattere il mondo degli ebrei romani. Su
una questione però ancora vorrei soffermarmi. Nella seconda parte del
filmato, l’irruzione nel convento dove si nascondono gli ebrei è fatta
dai nazisti. Storicamente, questo è falso. A operare in queste
incursioni, la principale delle quali fu quella nella Basilica di San
Paolo che portò a numerosi arresti, fu la polizia fascista, agli ordini
del questore Caruso. Il ruolo delle SS vi fu assolutamente marginale.
Perché questo cambiamento? E’ un bisogno di semplificare e sottolineare
ancor più, se ve ne fosse necessità, la malvagità dei nazisti e la loro
ostilità alla Chiesa, o è la volontà di lasciar fuori dal quadro la
questione del ruolo avuto dai repubblichini dopo il 16 ottobre nella
caccia agli ebrei, nel loro arresto e nel loro avvio alla deportazione
e alla morte? Non si tratta di una questione marginale, ma di un
aspetto essenziale della storia, sia pur romanzata, di Roma sotto
l’occupazione.
Anna Foa,
storica
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Santo subito, dice la cinepresa al popolo
della tv
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Santo
subito? È più che un Papa: è un genio rinascimentale, eclettico,
liberaleggiante, pieno di un amore senza macchie. Quando non è in
raccoglimento davanti al crocifisso, discute con competenza degli
ultimi modelli d’automobile; fa funzionare con le sue mani proiettori
cinematografici; democraticamente invita le guardie svizzere
inginocchiate a rialzarsi. Pio XII è capace perfino di uscire dal
Vaticano dopo il bombardamento di Roma, ricevendo l’omaggio emozionato
della città. Se per i cattolici è “il sentire del popolo” a decretare
in ultima istanza la santità di un uomo, quest’uomo è in una botte di
ferro. La proclamazione a Venerabile, nel 2009, è stata tappa di un
processo a cui oggi dà il suo aiutino la tv. Lo sceneggiato Lux Vide su
papa Pacelli è di buon pregio cinematografico, per gli standard della
fiction italiana, e fa con successo ciò che mille libri di storiografia
cattolica non potrebbero. Da un personaggio di cui sei decenni di studi
hanno evocato luci e ombre, ricava puro bagliore. Ogni elemento del
film si combina in uno sforzo concertato e privo di intoppi. Dialoghi
articolati, con qualche discreta battuta a effetto, una buona prova di
tutti gli attori. È messa al bando quella recitazione declamata e
retorica che affligge tv e cinema italiani. Le scelte di inquadratura e
i movimenti di macchina lavorano molto sulla dimensione verticale,
elevando volentieri lo sguardo o volgendolo dall’alto al basso, a
sottolineare il canale privilegiato che lega il protagonista al Cielo.
La scena di Pio XII tra le macerie della città ferita dai bombardieri è
fondata storicamente. Lo sceneggiato amplifica quel gesto, immortalato
al tempo solo dalle fotografie e dal tam tam popolare. Come in quelle
foto, Pio XII appare in posa da santo, insieme benedicente e adorante.
E telecamera dall’alto, certo.
Sotto il cielo di Roma ha una
finalità semplice: convincerci che i silenzi del Papa sulla
persecuzione degli ebrei non dipesero da antisemitismo, né da eccessi
di indulgenza verso un regime anticomunista. Bensì dalla convinzione
che tacere avrebbe salvato vite umane. Che fosse davvero quest’idea a
guidare Pio XII non è stato provato né smentito in modo definitivo. Ciò
che conta qui è: dubbi simili non sfioreranno mai molti spettatori
dello sceneggiato. Da cui si esce con il ricordo, arduo da cancellare,
di un uomo sofferente, lacerato da scelte tragiche, sempre umano e
bonario; austero ma capace di sorriso. Assolto in pieno da ogni
sospetto di antiebraismo.
Scelte accorte di montaggio, regia,
recitazione possono plasmare il ricordo di un personaggio storico
presso le generazioni seguenti. Anche quando gli sceneggiatori fanno un
lavoro accurato, non mistificatorio, senza inventare dettagli
indifendibili; e di questo lavoro sostanzialmente corretto va reso
merito. Piuttosto, restano comodamente assenti i personaggi che
avrebbero potuto creare problemi: Mussolini, nominato en passant; i
fascisti, che in un solo episodio rompono il monopolio tedesco della
cattiveria partecipando a un rastrellamento; le forze dell’ordine, che
quando appaiono brevemente si mettono in luce solo per pietà umana. Ed
è quasi del tutto cancellato il popolo di Roma. Si fosse fatto vedere
di più, sarebbe diventato necessario indagarne gli atteggiamenti:
portando alla luce il mix non esaltante di indifferenza, solidarietà,
opportunismo, ignavia, coraggio, crudeltà che emerse nella realtà di un
tempo e luogo in cui l’antisemitismo era valuta corrente più di oggi.
Abbondano invece gli uomini e donne di Chiesa; che si distinguono nel
peggiore dei casi per sola insufficienza di coraggio o di generosità.
Come insinuare che per i fratelli giudei qualcuno fra loro potesse
nutrire antipatie?
Giuliano
Tedesco, critico della Comunicazione
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Sottolineature e omissioni
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Nell’aprile
2002, intervenendo nel dibattito sul controverso film di Costa-Gavras,
Amen, critico nei confronti del silenzio tenuto dalla Santa Sede
durante la Shoah, Caterina Maniaci lamentò dalle colonne di Libero la
mancanza di un film che narrasse le vicende degli ebrei salvati grazie
a Pio XII.
La fiction Sotto il cielo di Roma risponde
precisamente a questo appello, narrando le concitate vicende dal
bombardamento di San Lorenzo del 19 luglio 1943 alla liberazione della
città attraverso il punto di vista di alcuni membri della comunità
ebraica e soprattutto del pontefice. Pio XII è, infatti, al centro di
ogni passaggio narrativo. È lui che promulga in prima persona l’ordine
di prestare accoglienza ai rifugiati, che negozia argutamente con le
autorità tedesche, e che decide eroicamente di restare al suo posto pur
essendo consapevole di essere oggetto di un piano di rapimento efficace
dal punto di visto drammatico quanto dubbio da quello storico.
Per
presentare questo quadro sostanzialmente agiografico, la miniserie
attua alcune omissioni. Ad esempio, non viene fatta alcuna menzione
della storia plurisecolare di pregiudizio antiebraico che aveva
influenzato in maniera non trascurabile la risposta cattolica alle
discriminazioni antiebraiche. Basti ricordare che ancora nell’agosto
1943 padre Tacchi Venturi scrisse al Segretario di stato Maglione di
aver seguito le sue disposizioni e di non aver chiesto al governo
Badoglio l’abrogazione in toto della legislazione razzista, “la quale,
secondo i principii e la tradizione della Chiesa Cattolica, ha bensì
disposizioni che vanno abrogate, ma ne contiene pure altre meritevoli
di conferma”.
Dall’allora cardinale Pacelli nella stesura
dell’enciclica Mit Brennender Sorge, molto critica nei confronti del
Terzo Reich, nulla viene detto della sua decisione di archiviare
un’altra enciclica di più ancora esplicita condanna del razzismo
nazista, la Humani Generis Unitas, commissionata da Pio XI poco prima
della morte. Ancora, agli spettatori non vengono offerte molte
indicazioni per comprendere quali fossero le priorità strategiche del
Vaticano; non si fa cenno all’anticomunismo che spingeva Pio XII a
mantenere un profilo il più possibile neutrale, in modo da porre il
Vaticano nella condizione di poter fungere da mediatore nei dialoghi di
pace e così garantire alla Germania il ruolo di baluardo europeo contro
l’influenza bolscevica, vista come vero nemico mortale della
cristianità.
Pur non presentando errori particolarmente
marchiani (anche se colpisce il fatto che le irruzione nei conventi
vengano presentate come iniziativa tedesca, mentre in realtà furono
condotte dagli italiani della Banda Koch), la tesi generale della
miniserie non mancherà di suscitare delle reazioni. Può darsi che abbia
ragione Corrado Augias nel definire, su la Repubblica, Sotto il cielo
di Roma un prodotto teso a tracciare un profilo di Pacelli che ne
faciliti il processo di santificazione.
Di sicuro è un altro
importante tassello nell’ormai pluridecennale dibattito sul ruolo
svolto da Pio XII durante la Shoah, che si va ad aggiungere ad altre
tre opere che generarono enormi controversie: il testo teatrale di Rolf
Huchhuth Il Vicario (1963), la cui messa in scena a Roma nel 1965 fu
interrotta dalla polizia; il film Rappresaglia (George Pan Cosmatos,
1973), che condusse a un processo penale per diffamazione contro gli
autori; e il già citato Amen. La speranza è che questa volta i toni
siano meno accesi e sia possibile avere un dibattito pubblico più
posato su quello che rimane un tema centrale nel rapporto tra ebrei e
cattolici.
Emiliano
Perra, storico
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I perseguitati? Un fardello di redenzione
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Qual
è il ruolo degli ebrei in Sotto il cielo di Roma? A dire il vero,
sembrano stare in scena solo come comprimari, semplice espediente della
storia narrata e pretesto per mettere in risalto il coraggio del papa e
dei suoi seguaci. La love story di Davide per la bella Miriam è poco
più di un condimento drammatico, che serve a creare un po’ di suspense
in un film altrimenti talmente scontato e prevedibile che si rischia di
cambiar rapidamente canale dopo aver capito il proposito che si vuole
raggiungere, scagionare Pio XII, papa Pacelli, da ogni sospetto di non
aver fatto niente o non aver fatto abbastanza, al momento delle
deportazioni degli ebrei di Roma e di fronte allo sterminio
dell’ebraismo europeo. Si tratta insomma di un’agiografia di papa
Pacelli, non di un’analisi storica di quali poterono essere i diversi
significati del suo comportamento durante il conflitto bellico. Da
questo punto di vista lo sceneggiato televisivo Sotto il cielo di Roma
si propone come una sorta di risposta al modo in cui il personaggio di
Pio XII era stato raffigurato nel film Amen di Costa Gavras del 2002,
pusillanime se non compiacente con i nazisti. Gli ebrei insomma
appaiono come strumenti che la provvidenza ha messo nel cammino del
Papa per mettere alla prova la sua virtù. Vittime designate dalla
storia sono pertanto esonerati da responsabilità morali se non quella
di mettersi in salvo, tutt’al più oggetti etici di dilemmi morali
altrui, in particolare di quelli che essi creano al pontefice. Sin qui
nulla di particolarmente nuovo in un cinema italiano che sembra essere
ancora legato all’immagine dell’ebreo vittima sacrificale e come tale
destinata a uscire di scena o a rimanere ai margini della storia, e
questo quando negli ultimi anni nel cinema internazionale si assiste a
una progressiva revisione, spesso in modo non meno problematico di
prima, dell’immagine dell’ebreo a cui vengono assegnati ruoli attivi e
di resistenza – basti citare Defiance di Edward Zwick del 2009 sul
gruppo partigiano formato dai fratelli Bielski, i Counterfeiters del
2007 di Stefan Ruzowitzky o ancora l’ultimo film di Quentin Tarantino
Inglorious Bastards dell’anno scorso. Tuttavia il film Sotto il cielo
di Roma veicola un messaggio addizionale ben più pernicioso. Gli ebrei
infatti non solo sono raffigurati mentre si trascinano pesanti valigie,
simbolo dell’uomo in perpetua fuga, ma sono presentati come fardello
essi stessi, per coloro che li circondano e per il papa in particolare.
Intendiamoci, un fardello non perché siano di per sè cattivi e
antipatici, ma pur sempre un fardello perché sempre bisognosi di
protezione, di soccorso, di compassione.
La loro presenza
inoltre rischia di fare ostacolo al riconoscimento di quanto la Chiesa
ha cercato di dimostrare sin dalla fine del secondo conflitto mondiale,
ovvero che perseguitando gli ebrei in realtà il nazismo stava colpendo
il cristianesimo e i cristiani, in quanto rappresentanti del Bene. Per
questo il film mostra la sofferenza ebraica, come una specie di
catastrofe naturale, le cui cause storiche non interessa indagare, e
sempre in relazione a quella del pontefice, che si priva delle sue
razioni alimentari per provvedere alla fame dei bambini nascosti nei
conventi. Il film insomma sposa la tesi che il papa, per il solo fatto
di essere uscito incolume dalla prova a cui i tedeschi, per
l’intermediario degli ebrei, lo avevano sottoposto è quindi l’unico che
in fin dei conti va compatito e ammirato. Ma al di là della particolare
interpretazione del ruolo quanto meno controverso nella storiografia
contemporanea che il film vuol dare dell’operato del pontefice, si
rimane perplessi sul significato della frase con cui il personaggio di
Pio XII nello sceneggiato televisivo giustifica la sua posizione:
“ognuno ha la sua croce”. Che la croce del papa siano gli ebrei non è
difficile capirlo. Questa è l’ennesima prova che non basta che un film
tratti di Shoah per essere automaticamente considerato serio.
La
gravità dell’argomento dovrebbe indurre a maggior prudenza e modestia i
registi che sempre più numerosi e spensierati affrontano il tema. Ma
che la Shoah venga utilizzata per giustificare piani provvidenziali di
ogni genere è cosa che lascia alquanto perplessi.
Asher Salah,
critico cinematografico
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Il dibattito e l’ipotesi del rapimento
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Sotto
il cielo di Roma affronta aspetti significativi, e come tali
considerati ancora oggetto di giudizi contrapposti, del complesso e
difficile pontificato di Pio XII durante la seconda guerra mondiale.
Nel valutare l’opera due sono i parametri ai quali affidarsi. Il primo
rinvia alla veridicità o, quanto meno, alla verosimiglianza dei dati
storici che sono citati nel film. Il secondo, invece, demanda alla
libertà di raffigurare un personaggio storico dentro una narrazione che
è anche libera ricostruzione. Nel mezzo si colloca lo spazio della
licenza intellettuale, che è legittima quando ciò che ci viene
consegnato del passato non è stravolto o manipolato, mentre diventa
arbitrio quando ne subisce un deliberato ribaltamento di significato.
Il
senso che si ricava dall’intera produzione è che lo sforzo degli autori
sia stato premiato, ma laddove le zone di luce hanno conosciuto
un’ancora maggiore intensità. Meno accettabili sono invece quei
passaggi, con scarsi riscontri storiografici, che rinviano con certezza
all’ipotesi di un rapimento per parte dei tedeschi. Così come ripetute
sono le imprecisioni che rivelano molte concessioni alla dimensione
drammaturgica del pari a certa tensione agiografica. Diciamo però
subito che la materia trattata è, nel suo insieme, ancora
incandescente, demandando non solo alla fondamentale questione del
rapporto intercorso tra Eugenio Pacelli e il mondo ebraico ma, più in
generale, all’atteggiamento assunto dal suo pontificato nel merito dei
complessi rapporti con gli opposti schieramenti di belligeranti e, più
nello specifico, verso la Germania, con la quale colui che era già
stato nunzio apostolico tra il 1917 e il 1930, intratteneva un rapporto
molto stretto.
Pio XII era un papa “concordatario”, avverso al
radicalismo dei nazisti. Durante il suo pontificato si interrogò
ripetutamente sulla compatibilità tra la Chiesa e i regimi liberali,
ben sapendo che alla modernità si dovesse dare una risposta non meno
“moderna”. La sua stessa figura, di uomo di pensiero, a tratti quasi
dilemmatico, si confrontava e si scontrava con una realtà bellica
dietro la quale intravedeva il configurarsi di nuove egemonie
politiche, intese come non meno pericolose di quelle declinanti.
L’arco
di tempo raccontato dal minisceneggiato è quello che va dal
bombardamento alleato di Roma, il 19 luglio 1943, alla liberazione per
parte angloamericana il 4 giugno dell’anno successivo. Un periodo di
tempo piuttosto breve, meno di un anno, durante il quale però l’Italia
subì, in rapida successione, la caduta del regime mussoliniano, il
mutamento di alleanze militari e politiche, la fuga della monarchia, la
feroce occupazione nazista, la disintegrazione dell’esercito così come
lo sfaldamento di molte delle pubbliche amministrazioni, l’avvio della
lotta partigiana, la reviviscenza di un fascismo tracotante e
sanguinario. La guerra entrò definitivamente nelle case degli italiani
poiché fu il paese stesso a diventarne il teatro. La solitudine era
l’elemento preponderante. La popolazione, a Roma come in tutta l’Italia
occupata, rimase di fatto abbandonata a sé. Tra questi gli ebrei, che
in quei drammatici giorni vivevano una condizione di gravosa
sospensione, condividendo, con tanti altri, le fragili speranze di una
soluzione tanto veloce quanto indolore.
Lo sviluppo degli eventi
si è poi incaricato di dirci dell’illusoria ingenuità di tali ipotesi.
Su di essi, infatti, cadde da subito la mannaia nazista, che già ai
primi di ottobre del 1943 aveva pianificato la deportazione
sistematica. In questo contesto, di per sé estremamente problematico,
poiché innumerevoli erano le variabili che entravano simultaneamente in
gioco, si inseriva il magistero morale, ma anche e soprattutto l’agire
temporale, di Pio XII. Il quale per più aspetti svolse il ruolo che gli
competeva con calcolata misura sul versante diplomatico, l’unica vera
leva d’azione politica a sua disposizione, insieme all’apertura dei
conventi ai perseguitati.
Ciò facendo non si rivelò indifferente
al destino degli ebrei pur non eleggendolo a esclusiva priorità del suo
operato. Non diversamente, va ribadito, da quanto facevano le
cancellerie alleate.
In tale condotta concorsero più fattori, a
partire dal duro isolamento che la Santa Sede scontava in quegli anni,
del pari alla sua debolezza, così come i rischi che l’occupazione
tedesca comportava. Pare peraltro oramai veramente poco attendibile la
“leggenda nera” che vuole il pontefice in qualche modo acquiescente
alla volontà di Hitler.
Sull’intensità dell’intervento papale,
prima ancora che sulla sua efficacia, è invece ancora necessario
discutere. Poiché un aspetto fondamentale, in quella storia, è la
tonalità delle proteste che, forse, avrebbero potuto condurre il
convoglio dei deportati romani, partito il 18 ottobre, invece che ad
Auschwitz verso Mauthausen. La qual cosa avrebbe fatto la differenza
tra la vita e la morte per non pochi. Ma non è quest’ultima materia
cinematografica, non potendo chiedere a una pellicola di indagare su
quei brusii di allora che, nel tempo, si sono trasformati nei boati di
oggi.
Claudio
Vercelli, storico
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Quella parola mai pronunciata poteva forse
salvare delle vite
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La
fiction Sotto il cielo di Roma offre una bella immagine di quanto Pio
XII avrebbe potuto dire e fare, ma in realtà non fece. Sono infatti
molteplici i fatti, mostrati dal film, che non corrispondono a quanto
appurato finora dagli storici. Non risulta né dai documenti pubblicati
dalla Santa Sede né dai libri pubblicati, che ci sia mai stato un solo
incontro diretto fra Pio XII e il generale tedesco Stahel, mentre
secondo il film ve ne furono diversi. Il papa riceveva invece in
udienza privata l’ambasciatore tedesco, von Weizsacker, ed era questo
il suo tramite con Berlino. Anche la frase che Pio XII avrebbe
pronunciato, “Roma e Gerusalemme, due città nelle quali la presenza di
Dio è più percepibile”, sembra più adatta ai nostri giorni che al 1943,
così come la richiesta dell’ebreo di suonare l’Hatikvah.
Certo,
il salvataggio degli ebrei nei monasteri fu reale, anche se avvenne in
modo molto più discreto di quanto mostrato nel film, ebbe luogo in modo
spontaneo, grazie all’iniziativa dei singoli, mentre non disponiamo,
almeno per i primi giorni, di nessuna testimonianza di intervento della
Santa Sede e tanto meno del pontefice. Quanto alla bomba di via Rasella
del 23 Marzo 1944, la reazione nazista fu così rapida e violenta da non
permettere nessun intervento caritatevole, anche se il pontefice inviò
padre Pancratius Pfeiffer a parlare con le autorità tedesche. Vera
invece l’ansia per Roma, molto più che per gli ebrei.
Il
progetto di rapimento del papa, poi, è noto da una sola fonte: la
deposizione del generale Wolff, fatta circa trent’anni dopo i fatti
descritti e senza nessun documento che appoggi la tesi. Otto Wolff
riferì che il 13 settembre egli fu ricevuto da Hitler che gli chiese di
occupare la Città del Vaticano, ed eventualmente deportare il papa nel
Lichtenstein per evitare che cadesse nelle mani degli Alleati. Nessun
altro documento conferma tale testimonianza. Per questo molti storici
non credono a questo progetto o perlomeno sostengono che non arrivò mai
alla fase esecutiva. Se però fosse vero, esso darebbe luogo ad
un’ipotesi del tutto diversa. Potremmo cioè immaginare che si
delineasse un enorme baratto: il silenzio papale sulla deportazione
degli ebrei del 16 ottobre, in cambio della mancata esecuzione del
rapimento. Le minacce naziste contro la Comunità ebraica erano comunque
note già con un certo anticipo. Tanto che la Segreteria di stato
vaticana registrò il 17 settembre: “Temuti provvedimenti contro gli
ebrei in Italia”. Qualche giorno prima, il 9 settembre, il rabbino capo
di Roma Eugenio Zolli aveva proposto ai maggiorenti di chiudere il
Tempio e gli uffici della Comunità e di distruggere le cartelle fiscali
degli ebrei per evitare che i tedeschi potessero ottenere una lista di
nomi degli ebrei iscritti. La proposta non fu accettata e Zolli
scomparve subito dopo.
Pochi giorni dopo, il 25 settembre, il
colonnello delle SS Herbert Kappler ricevette un ordine di Himmler di
arrestare tutti gli ebrei e deportarli in Germania “per liquidazione”.
Il 26 settembre Dante Almansi e Ugo Foà furono quindi convocati dal
colonnello Kappler che richiese entro 36 ore 50 chilogrammi d’oro
minacciando, in caso contrario, la deportazione di 200 ebrei. L’oro fu
raccolto e consegnato in tempo, senza ricorrere a nessun prestito né
del Vaticano né di altri. Meno di una settimana più tardi, il primo
ottobre, la Segreteria di stato vaticana prende nota di un progetto di
invasione tedesca del Vaticano per “il sequestro di persona del Sommo
Pontefice”. Il 4 Ribbentrop telegrafa a von Weizsacker: “Il Governo del
Reich rispetterà in pieno la sovranità ed integralità dello Stato del
Vaticano e gradirà che la Curia pubblichi un resoconto non ambiguo
della situazione”. Era la risposta attesa dal Vaticano. Due giorni
dopo, il 6 ottobre, Kappler avviserà il suo capo, il generale Wolff,
che Theodor Dannecker era arrivato in Italia per arrestare gli ebrei e
deportarli.
Il giorno stesso il console Moelhausen, avuto
sentore della questione, telegrafò al ministro degli esteri Ribbentrop
e perfino a Hitler scrivendo: “Kappler ha ricevuto l’ordine di
arrestare ottomila ebrei residenti a Roma e di procedere al loro
trasporto verso l’Italia del nord dove saranno liquidati”. Il console
propose di utilizzarli per lavori di fortificazioni. Il messaggio
arrivò il giorno stesso anche al presidente Roosevelt.
Il 7
ottobre l’ambasciatore Weizsacker fu ricevuto dal segretario di stato
cardinale Maglione il quale gli chiese, secondo i documenti vaticani,
che la Città eterna non diventasse un terreno di battaglia, una
questione di supremo interesse per la civiltà e la religione.
Due
giorni dopo, il 9 Ottobre, Weizsacker fu ricevuto in udienza privata
dal Pontefice e gli comunicò a voce e per iscritto, che la Germania
“era determinata e rispettare i diritti sovrani e l’integrità” del
Vaticano. Chiese inoltre una dichiarazione vaticana che sarà lungamente
discussa fra le due parti e pubblicata a fine mese sull’Osservatore
romano.
Date le relazioni di amicizia con il pontefice, ed
essendo ormai alla vigilia della razzia, è probabile che l’ambasciatore
lo abbia informato per sommi capi su quanto stava per avvenire.
Weizsacker accennò anche al qui pro quo: riconoscimento tedesco della
neutralità vaticana, in cambio del silenzio assoluto del Vaticano sulla
razzia degli ebrei? In tutti i casi questi furono i fatti, anche se non
sappiamo se ci fosse un accordo formale. Qualche giorno dopo, il 14
Ottobre, Weizsacker si recò nuovamente da Maglione che chiese solo ci
fossero “sufficienti forze di polizia per mantenere l’ordine”, ma sugli
ebrei nemmeno una parola. Infine il giorno stesso della razzia, il 16
Ottobre, Maglione convocò l’ambasciatore e gli disse: “La Santa Sede
non vorrebbe essere messa nella necessità di dire la sua parola di
disapprovazione”. Weizsacker rispose chiedendo di essere lasciato
libero di non riferire quella conversazione ufficiale a Berlino. Sì, è
vero, molti conventi aprirono le porte agli ebrei e De Felice valuta a
4 mila e 447 il numero degli ebrei salvati negli istituti religiosi.
Molto probabilmente la destinazione originale di quelli catturati era
Mauthausen. Scrive la storica Liliana Picciotto: “Solo più tardi
vedendo che non c’era nessuna reazione dal Vaticano, il trasporto con
1020 deportati che lasciò la stazione Tiburtina il 18 Ottobre, fu
destinato ad Auschwitz e allo sterminio”. Una parola avrebbe potuto
deviare il treno verso Mauthausen con maggiori probabilità di
sopravvivere.
Sergio
Minerbi, diplomatico
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Travolti dal fiume della fiction
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Molti
giornalisti e critici cinematografici, un pugno di storici, un giovane
addetto stampa; lo sceneggiatore, alcuni esponenti del mondo cattolico;
Ettore Bernabei, per decenni direttore della Rai e fondatore di Lux
vide, produttrice di Sotto il cielo di Roma e, ovviamente, gli attori
protagonisti. Il pubblico è di quelli assortiti.Tutti accomodati, in
religioso silenzio, davanti a uno schermo gigante. Nelle eleganti sale
di un albergo romano sono in parecchi a rispondere all’invito
dell’ufficio stampa Rai per un’anteprima della fiction che promette di
sbancare gli ascolti. Duecento minuti da trangugiare in un sol boccone
per capire quali possono essere le reazioni alla miniserie che racconta
Pio XII, il papa più discusso degli ultimi decenni; la deportazione
degli ebrei romani e i conventi che allora nella Capitale diedero
rifugio a tanti perseguitati. Il film si apre sulle immagini del
pontefice in preghiera. Il volto è quello ossuto di James Cromwell che,
concorderanno diversi critici, in quest’occasione offre gran prova di
sé. E subito scatta il riconoscimento. Quello è infatti un volto più
che familiare per chi oltre dieci anni fa aveva figli piccoli. Allora
impersonava il fattore proprietario di Babe, il maialino coraggioso.
Figura un po’ acidula, ma comunque carismatica (complice probabilmente
anche la statura di Cromwell che pare misuri ben 201 centimetri).
D’altronde la familiarità è una buona chiave per inoltrarsi nella
fiction. Miriam, la bella protagonista, è infatti Alessandra
Mastronardi, la tenera Eva dei Cesaroni mentre Margot Sikabony, già
vista in Un medico in famiglia, impersona la suorina di cui invano
s’innamorerà Marco. Insomma, un mix di sicuro impatto. Soprattutto per
il pubblico tipo della prima serata di Raiuno che, come ci spiegherà
dopo un esperto, in buona parte dei casi ha un’età elevata e un titolo
di studio che non supera la quinta elementare. Le immagini scorrono. Lo
storico ogni tanto sobbalza sulla sedia. Qualcuno inarca il
sopracciglio. Il critico prende appunti frenetico. E l’appassionato di
fiction si lascia trasportare da questo fiume multicolore in cui si
mischiano l’amore di David e Miriam e la deportazione dal ghetto, il
pontefice e i generali nazisti, i conventi e i bimbi in pericolo.
Agiografico? Poco rispettoso della storia? Kitsch? Sarà. Ma anche fra
gli addetti ai lavori c’è chi si commuove. E il senso critico alza
bandiera bianca.
Cento minuti e le luci si riaccendono. Un breve
intervallo. Una gentile signora provvede tè, succhi di frutta e
pasticcini mignon. I commenti scivolano via compiti. Non è ancora il
momento di sbilanciarsi se non in qualche cortesia. La seconda puntata
si sofferma sulla vita nei conventi e sul progetto di rapire il papa. E
mentre la love story di David e Miriam si avvia al matrimonio, i
tedeschi in ritirata risparmiano la città grazie all’intercessione del
pontefice. E’ l’epilogo e il film si chiude com’era iniziato, sulla
figura di Pio XII. Questa volta non più assorto in preghiera, ma
circondato dalla folla plaudente a piazza San Pietro.
Al
riaccendersi delle luci arrivano i primi commenti. Anche se il ritegno
è palpabile. Ettore Bernabei si appassiona a spiegare le ragioni della
fiction. Materia di cui è assoluto specialista se si considera che Lux
vide è stata produttrice anche di un’apprezzatissima serie sui
personaggi della Bibbia. “Questa è una televisione buona, che insegna,
che trasmette dei contenuti. Non è la televisione del demonio di cui ha
parlato di recente il papa e per cui io stesso ho lavorato per tanti
anni”. Sbuca scettico dall’ombra il direttore di Pagine Ebraiche Guido
Vitale, che commenta gelido e cortese come lui il vizio del telecomando
se lo sia tolto ormai da molti anni. Arriva sorridente Luca Bernabei,
produttore della fiction, saluta e chiede opinioni. Un critico parla di
buon livello cinematografico. Lo storico discetta del complesso
rapporto tra fiction e storia. Ma l’ora è tarda: c’è chi deve tornare
al lavoro, chi ha figli piccoli, chi un aereo da prendere, chi una
cagnolina da portare a spasso. E alla spicciolata la riunione si
scioglie. La discussione è rimandata alla prossima riunione
di redazione.
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Di Cesare - Finzioni e santificazioni
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«Parli, altrimenti la
metteranno in croce!» - sono le parole che suor Pasqualina rivolge a
Pio XII nella fiction televisiva «Sotto il cielo di Roma». Il racconto
della deportazione degli ebrei a Roma il 16 ottobre 1943 - racconto più
o meno credibile (si pensi alla improbabile scena alla stazione
Tiburtina in cui Myriam si getta verso il vagone del padre e viene
respinta) - corre parallelo accanto alla descrizione della figura
controversa di Pio XII.
E qui l’astuta regia mette in scena un papa tormentato, prudente e
circospetto, sovrastato dalla immagine diabolica di Hitler che - così
preannuncia un filmato nella fiction, quasi una visione del papa - si
distruggerà da sé. Basterà agire con oculatezza. Per non provocare
altre vittime. E poi non possono sfuggire le parole che Pacelli, quasi
all’inizio, pronuncia per giustificare la sua condotta durante quegli
anni così bui per la chiesa: «non posso prendere le parti di un popolo
contro un altro». Come se scomunicare Hitler - ma perché non l’ha
fatto? - e aprire bocca per denunciare i crimini del nazismo davanti al
mondo fosse stato prendere le parti di un popolo - del popolo ebraico e
non di quello tedesco?
La fiction va considerata appunto come una qualsiasi altra finzione.
Eppure molto ci sarebbe da dire sull’impostazione complessiva. Ad
esempio: che fine hanno fatto i fascisti? Nel film compaiono sì e no un
paio di volte. Passano invisibili in macchina nella parte dei
donnaioli. E nel rastrellamento l’unico fascista è anzi un buono. Il
giudizio che viene suggerito sulla resistenza e sui partigiani è che si
tratta di uno sparuto gruppo di piccoli intellettuali che leggono libri
inservibili (ad esempio Petrarca), che procurano guai a sé e agli altri
e che, alla fin fine, se non ci fossero stati, sarebbe stato meglio.
Via Rasella e soprattutto le Fosse ardeatine, nella seconda parte del
film, non meritano che un piccolo cenno al margine. Il messaggio è
chiaro: la Resistenza avrebbe fatto poco o nulla per gli ebrei. Molto
di più avrebbe fatto la chiesa, molto di più avrebbe fatto, per quanto
non visto e non sentito, Pio XII che, nelle sue stanze pontificie,
tormentandosi, provava a trattare con i tedeschi.
C’è anche di più: alcuni tedeschi, malgrado tutto, possono essere
redenti. Il generale Stahel, che durante il film guarda il rosario nel
cassetto, è il tedesco che potrebbe un domani, con la magnanimità della
chiesa, perfino essere perdonato. E mentre la fiction corre verso una
riconciliazione totale e totalizzante, torna l’immagine di papa Pacelli
davanti ad un crocifisso. Di nuovo il messaggio è chiaro: Pio XII ha
portato la croce non solo durante il nazismo, ma anche dopo, per via
del suo pervicace silenzio, non un atto ignominioso per lui e per
l’istituzione ecclesiastica, ma anzi l’unico atto possibile. È dunque
tempo di santificarlo. A questa santificazione, che è e resta
incomprensibile, ingiustificabile e immotivata, mira tutta la fiction.
Non certo a narrare l’unica crocifissione di quel tempo: la Passione di
Israele sotto Adolf Hitler. Perché questa fa solo da sfondo. Anzi, con
un gesto consueto, che ha scandito la storia della chiesa per secoli,
anche questa volta, all’insegna della teologia della sostituzione,
viene espropriato il popolo ebraico del suo martirio, mentre Pio XII,
con il carico della croce, si prepara ad essere santificato.
Non saranno immagini casuali, nella seconda parte del film, quelle
degli ebrei che, nascosti qui e là in chiese e monasteri della
capitale, vestono gioiosamente i panni di preti e suore… un auspicio di
conversione. D’altronde l’impulso alla conversione non cessò neppure
finita la guerra; il Vaticano seguì una politica molto rigida sulla
restituzione degli orfani ebrei e andarono deluse le richieste di
restituzione di almeno 8000 bambini ebrei sopravvissuti nelle
istituzioni cattoliche europee ed educati cattolicamente.
La fiction è una finzione in vista della santificazione di Pio XII e di
una celebrazione della chiesa che vuole così autoassolversi. Resta però
indelebile e incancellabile il silenzio di Pacelli. Il papa che, dopo
molti anni trascorsi in Germania durante la Repubblica di Weimar, aveva
scelto il «male minore», il paganesimo nazista, per arginare il vero
nemico, il bolscevismo, fu forse più antiebraico di quanto lo fosse la
curia romana dei suoi tempi e non sembrò mai particolarmente colpito
dal martirio del popolo ebraico. Lo dimostra il suo silenzio che
continuò - ma perché mai? - anche dopo il 1945.
C’è da chiedersi se alla chiesa giovino fictions e finzioni di questo
genere che possono forse edulcorare temporaneamente la storia, ma che
non sono la strada giusta per un ripensamento critico e costituiscono
anzi la scorciatoia di una - indebita - appropriazione della Shoah.
Donatella Di
Cesare
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Un futuro per i giovani |
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Domenica
mattina ho incontrato un contadino che aveva appena terminato di
raccogliere le olive. Parlando del più e del meno, mi ha raccontato che
i suoi due figli - quando si dice i sacrifici dei genitori! - sono
entrambi laureati, la più grande è un architetto che vive a Londra, e
il secondo è un regista che attualmente pensa di tornare in Argentina,
dove è già stato. La settimana scorsa sono usciti i dati
dell’ultimo concorso bandito in Francia dal CNRS, il CNR francese. Il
35 per cento dei posti assegnati è andato a ricercatori italiani,
formatisi nel nostro paese e poi emigrati all’estero per valorizzare il
proprio talento e la propria dottrina, e il numero di connazionali
nelle istituzioni scientifiche transalpine cresce di anno in anno. Lo
scorso anno mia sorella ha studiato giornalismo in America e
attualmente lavora in Italia per un quotidiano USA, e anche lei si
sente sempre sul punto di ripartire per avere maggiori opportunità. Ho
scelto, tra i molti possibili, questi tre esempi per evidenziare un
problema su cui i leader ebraici italiani dovrebbero riflettere: quando
si parla della continuità ebraica in questo o quell’altro paese, in
questa o quest’altra città, lo si fa spesso prendendo in considerazione
solamente due fattori: grado di osservanza del gruppo ebraico e tasso
di socializzazione ebraica possibile (cioè quanti matrimoni è possibile
fare a partire dal numero di ebrei). Non ci sono dubbi che siano
due questioni fondamentali. Rimane il fatto che i giovani ebrei sono
anche giovani italiani, che come i loro coetanei hanno difficoltà a
immaginare il loro futuro in Italia, che magari scelgono di andare in
Israele per trovare un lavoro migliore. L’associazione Hans
Jonas sta conducendo una ricerca sui giovani ebrei italiani tra i 18 e
i 35 anni, che tra i molti aspetti analizza anche questo tema. Credo
che il prossimo congresso UCEI dovrebbe porsi questa domanda: è
possibile favorire programmi o progetti che favoriscano un futuro in
Italia per i giovani ebrei?
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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I Protocolli e i dogmi
di Lerner |
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E’ possibile che un romanzo che
vuole essere una vigorosa condanna dell’antisemitismo possa invece fare
l’effetto contrario - se pure contro la volontà dell’autore - e per
questo suscitare dei dubbi e delle critiche? Certo, anche se l’autore è
Umberto Eco, perché l’eterogenesi dei fini esiste.
Ma così non la pensa Gad Lerner che ieri, nella trasmissione
dell’Infedele in gran parte dedicata al nuovo romanzo di Eco, Il
cimitero di Praga, ha bellamente ignorato le riserve avanzate su questo
tema da ben tre articoli apparsi su Pagine ebraiche - di Anna Foa,
Riccardo di Segni, Ugo Volli - per considerare invece come unica
rappresentazione di questo atto di lesa maestà la mia recensione al
libro stesso apparsa sull’Osservatore romano, e quindi fare solo
della mia riverita persona il capro espiatorio dell’inconcepibile
crimine suddetto. Tacendo, per l’appunto, il fatto che sul giornale
della Santa sede accanto alla mia era riprodotta anche la recensione di
Anna Foa apparsa su Pagine ebraiche.
Così il dubbio che il romanzo possa avere sui lettori un’influenza
antisemita - o comunque non contribuire affatto a smascherare i
famigerati Protocolli - è stato confinato a una bizzarra e
ultradiscutibile posizione di “cattolicesimo integralista”,
naturalmente nemica di Eco perché lo scrittore sarebbe troppo libero e
aperto, contrario ai “dogmi”, che tanto soffocano, invece, il pensiero
dei cattolici. Un modo manipolatorio per non parlare di un problema
vero, per far finta che i cattivi sono sempre i soliti, che tutto va
sempre bene. Per Lerner e per i suoi amici, ovviamente.
Lucetta
Scaraffia
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
La
Giornata Unesco della Filosofia
si svolgerà in Iran, Israele protesta
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Leggi la rassegna |
Protesta israeliana per la decisione dell'Unesco di indire quest'anno
in Iran la 'Giornata mondiale della filosofia' che si svolgerà fra il
21 e il 23 novembre. Secondo Nimrod Barkan, il rappresentante di
Israele all' Unesco, "l'Iran è una crudele dittatura che ha falsificato
l'esito delle elezioni, che perseguita quanti anelano alla libertà, che
nega la Shoah e invoca la distruzione di Israele". »
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In attesa dei risultati
delle elezioni americane, due argomenti dominano oggi la nostra
rassegna stampa: la reazione ebraica allo sceneggiato agiografico su
Pio XII che è stato trsmesso nei giorni scorsi e il terribile attentato
contro una chiesa cattolica in Iraq. »
Ugo Volli
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continua
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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 |
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
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