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3 novembre 2010 - 26 Cheshvan 5771
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova

A un gruppo di uomini, dei pagani hanno detto: “dateci uno di voi e lo uccideremo, altrimenti uccideremo tutti”. Uccidano pure tutti ma non si consegni loro una persona di Israele... Questa citazione (Toseftà, trattato Terumot 8:12), presenta un avvenimento particolare che probabilmente trae origine dalle vicende vissute dagli ebrei durante la repressione romana (132-135 dell’E. V.) che, per certi aspetti, assume quasi un carattere profetico. E’ prerogativa fondamentale della Tradizione Orale (Torà shebe‘al pè) quella di poter trovare in essa gli elementi necessari per prendere, quando serve, la decisione giusta. Tra l’altro, lo studio e la ricerca delle nostre fonti tradizionali, quantomeno ci consentono di acquisire una capacità critica scevra di qualsiasi condizionamento, così da poter analizzare i fatti nella loro interezza. Ecco perché come ebrei, anche se per “altri” potrà essere motivo di forte perplessità (vedi articolo “Pio XII e la fiction del mancato disgelo” di Benedetto Ippolito su Riformista di oggi), non possiamo accettare l’idea di un Pontefice che, proprio per non causare “altre” vittime, rimane silente davanti alla protervia nazista. Detto questo, sono stimolato a fare anche altre considerazioni. Mi pare che oramai si sia consolidata una consuetudine, quella di prendere decisioni e fare dichiarazioni su certi temi, che ledono la sensibilità ebraica (di poca importanza).  Sacrificare il rapporto con gli ebrei sull’altare dei “buoni rapporti” con coloro che possono creare, all’establishment, più problemi di quelli che la “scontata” e “sproporzionata” reazione ebraica possa fare, sia socialmente sia politicamente. (Lo dimostrano ampiamente la reintrodotta preghiera “Oremus et pro perfidis judaeis” del venerdì santo, il rientro nella Chiesa dei Lefebvriani, il motivo della beatificazione di Pio XII, barzellette dei politici sugli ebrei che poi dicono di amare lo Stato d’Israele, senatori che prima fanno dichiarazioni antiebraiche e poi si rimangiano quanto detto, la dichiarazione del Sinodo dei Vescovi). E’ vero, sono/siamo “ipersensibili”, ma guai se non lo fossimo. A questo punto credo che il problema della gestione dei rapporti con l’esterno, sia un motivo serio per fare una riflessione interna. Il prossimo Congresso UCEI può rappresentare la giusta sede per farla. Dobbiamo analizzare concretamente quali finalità siano state raggiunte, e riconsiderare quelle da raggiungere, attraverso questo modo di dialogare con il mondo religioso e laico intorno a noi. Perché la periodicità della cadenza delle stesse polemiche comincia ad essere tutt’altro che “casuale” o frutto della “momentanea” insania di un singolo...
Marco Morselli,
Amicizia
ebraico-cristiana
di Roma

Morselli
Teologia della sostituzione e insegnamento dl disprezzo, che sono le due colonne dell'antiguidaismo cristiano, sono forse una conseguenza del dialogo ebraico-cristiano o il dialogo ebraico-cristiano è invece il tentativo - nato durante la Shoah, soprattutto dalla dolorosa riflessione di Jules Isaac (1887-1963) - di modificarli? Coloro che sostengono l'inutilità del dialogo ebraico-cristiano fanno felicissimi tutti quei cristiani - e sono senz'altro la maggioranza - che alla teologia della sostituzione e all'insegnamento del disprezzo, ossia all'antiguidaismo, non intendono affatto rinunciare.
davar
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primapaginaDal Cimitero di Praga di Umberto Eco (che si racconta in una lunga intervista esclusiva ed è analizzato dalla recensione delle firme più autorevoli) a Persecuzione di Alessandro Piperno. Da The social network sul creatore di Facebook alla controversa fiction televisiva Sotto il cielo di Roma. Dal dibattito sul progetto di riforma dello Statuto dell'ebraismo italiano agli editoriali delle molte, diverse voci che esprimono l'ebraismo italiano o guardano con interesse alla realtà ebraica. Da una visione viva e nuova della realtà di Israele al grande progetto del'edizione del Talmud in lingua italiana, al grande dossier Comics and Jews dedicato a  fumetto, creatività underground e cultura ebraica.
PAGINE EBRAICHE
è il giornale dell'ebraismo italiano


rav Elia Richetti (Ari) - "Omissioni di un film assolutorio"
vignetta
Intervenendo a proposito della fiction televisiva Sotto il cielo di Roma dedicata a papa Pio XII, il presidente dell'Assemblea rabbinica italiana rav Elia Richetti ha dichiarato: "Se l'intento di chi ha scritto e prodotto la fiction Sotto il cielo di Roma era agiografico e assolutorio nei confronti di Papa Pio XII, temo che lo scopo non si sia raggiunto. Troppe le omissioni, ma soprattutto incredibili e scarsissimamente documentate le ambientazioni, non solo ebraiche ma anche cattoliche, mostrate nel filmato.

RichettiA partire da un ghetto di Roma nel quale non si intravede mai la Sinagoga maggiore, da ebrei osservanti che il venerdì sera si ritrovano in un'osteria (anche l'oste con la kippah!) a suonare la fisarmonica, da ebrei nessuno dei quali ha un cognome anche solo vagamente ebraico, fino a riti cattolici inesistenti, preti senza croci eccetera, il pressapochismo lancia un'ombra di incredibilità anche agli eventi storici più incontrovertibili.
Sia ben chiaro: la Chiesa - o le persone di sua fiducia - ha il diritto di difendere il suo operato, di mettere in risalto gli indubbi atti di carità del Papa nei confronti di molti ebrei non solo di Roma. Ma ciò non giustifica, a mio avviso, alcune scelte redazionali: il già citato pressapochismo e la mancata citazione di eventi e di personaggi di un certo rilievo.
Forse Papa Pacelli avrebbe meritato avvocati migliori".

Riccardo Pacifici: “La Rai faccia un gesto riparatore”
vignettaLa Rai faccia un “documentario riparatore”. Così il presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici commenta la fiction di Raiuno 'Sotto il cielo di Roma' trasmessa nelle serate di domenica 31 ottobre e lunedì 1 novembre. “Mi piacerebbe - spiega Pacifici - che i vertici Rai, con cui abbiamo ottimi rapporti, prendessero in esame, anche se ormai il danno è fatto, l'idea di fare un documentario che tenga conto anche del mondo ebraico e delle sue vittime, da rispettare nel loro dolore e nella loro memoria storica. Un progetto forte che rimetta in ordine le cose”. “Quando la Basilica di San Paolo fu violata -ricorda Pacifici- e il nonno di mia moglie Ezio Spizzichino fu catturato, non ci fu una protesta formale presso l'ambasciata tedesca e papa Pio XII non intervenne. Perché il papa andò in mezzo alle macerie di San Lorenzo gridando al dolore mentre non è venuto al Portico d'Ottavia? Perché non ha fermato i treni quando avrebbe potuto farlo?”. Pacifici pone l'accento anche su un aspetto che ritiene molto pericoloso: “Le fiction entrano nell'immaginario collettivo al di là che ci sia o no la verità storica - sottolinea - 'Sotto il cielo di Roma' guarda la storia da un punto di vista che noi non condividiamo, contestiamo e consideriamo un pericoloso tentativo di revisionismo storico, qualora passasse come messaggio universale. Il fatto che il Vaticano ha dovuto utilizzare un mezzo come la fiction per dire la sua verità storica prova che le sue argomentazioni sono deboli”.
“È evidente che la fiction - continua Pacifici- è un'operazione mediatica creata ad arte, finalizzata a costruire un consenso utile a santificare una figura controversa come Papa Pio XII. Il mondo ebraico non vuole introdursi nel discorso della santificazione del papa perché è una questione che non ci riguarda, ma sarebbe molto grave che si cercasse di modificare la realtà storica facendo apparire quel Papa come un eroe della Seconda Guerra mondiale”. “Noi abbiamo un enorme debito di riconoscenza verso tanti uomini di chiesa che si sono adoperati per salvare tanti ebrei - aggiunge Pacifici - Non riconoscerlo sarebbe un atto di ingenerosità e di ingratitudine. Del resto lo testimoniano i 21 mila casi di medaglie dei giusti consegnate dal museo della Shoah (Yad Vashem) a tantissimi esponenti del clero cattolico”. “Non bisogna però dimenticare – dice - quanti criminali nazisti sono riusciti a sfuggire alla giustizia grazie all'aiuto di conventi e prelati che gli hanno dato ospitalità e gli hanno dato lasciapassare e visti per fuggire liberi in sud America e nei paesi arabi, rovescio della stessa medaglia. E non possiamo neanche dimenticare altri ordini monastici che hanno accolto ebrei in cambio di denaro e poi li hanno messi fuori dalla porta senza pietà non appena questo era finito. O quanti invece – conclude - hanno aperto le loro porte in cambio della conversione”.
Secondo Abraham Foxman direttore nazionale dell' 'Anti-Defamation League', è necessario attendere l'apertura degli archivi vaticani per esprimere un parere obiettivo sull'operato di papa Pacelli “Solo dopo l'apertura di quegli archivi con tutte le informazioni a disposizione, - chiarisce Foxman - potrà esserci un giudizio definitivo. Per questo sono assolutamente d'accordo con la definizione di ambiguità usata nei confronti di Pio XII dallo Yad Vashem, il Sacrario della Memoria di Gerusalemme”. “Nella fiction tv, sempre in base a ciò che mi hanno detto, ci sono soltanto le cose positive. Ci sono stati molti italiani che hanno aiutato gli ebrei in quei momenti terribili, ma non sappiamo se lo abbiano fatto per seguire la loro coscienza o perché lo abbia detto la Chiesa. non ci sono documentazioni”.
“La visione che viene data in questa fiction su Pio XII è totalmente fuori dalla storia: ci sono tre episodi che non corrispondono alla realtà dei fatti”. Dice invece il direttore del Museo della Shoah Marcello Pezzetti, “prima di tutto il Vaticano non ha mai fermato la razzia del 16 ottobre che si è svolta invece proprio come era stata programmata dai nazisti, senza interferenze. I nazisti aspettarono due giorni prima di deportare gli ebrei, anche perché si aspettavano una reazione dal Vaticano, ma questa non arrivò mai e loro poterono procedere”. Secondo errore dice Pezzetti “è dire che non è stata espressa condanna dal Vaticano perché in Olanda alla protesta dei vescovi olandesi è seguita la deportazione 40 mila ebrei, cosa assolutamente non veritiera! I vescovi olandesi, ben più coraggiosi di quelli italiani – continua - avevano protestato esclusivamente per gli ebrei che erano diventati cristiani e per i figli e coniugi di matrimonio misto”. “Terzo errore - aggiunge Pezzetti - è il rapimento del papa dato come dato storico certo: non esiste nessuna documentazione su questo, tutto si basa principalmente sulla testimonianza di Karl Wolff, ex assistente di Himmler, noto criminale e noto bugiardo e quindi non è attendibile”. Per il rav Giuseppe Laras, ex presidente dell'Assemblea rabbinica italiana, la figura di papa Pio XII è destinata “a rimanere un elemento frenante lungo il percorso del dialogo ebraico-cristiano”. “Con tutto il rispetto e considerati i tempi drammatici e terribili di cui stiamo parlando, Pio XII - sottolinea Laras - più che da uomo di religione sembra essersi comportato da uomo politico”.

Midterm Election - Eric Cantor nuovo leader repubblicano
Cantor“Le elezioni di questa notte parlano della necessità di ascoltare le persone e il messaggio inviato dagli elettori è che a loro non piace questa riforma sanitaria. Vogliono vedere che ci concentriamo sulla questione dei posti di lavoro e su questo punto, fino ad ora, non hanno avuto nessun riscontro”. Con queste parole il deputato repubblicano Eric Cantor (Virginia) ha commentato i risultati elettorali che, come è noto, hanno sancito il trionfo dei repubblicani alla Camera dei Rappresentati. Unico ebreo eletto fra i conservatori, Cantor (nell'immagine), con ogni probabilità, diventerà il leader del Gop proprio alla Camera, ruolo di primissimo piano nel panorama politico americano. “Ha coltivato le forze a destra e sarà lui, apparentemente, a diventare l’erede di questa tradizione - ha commentato Gilbert Kahn, politologo della Kean University, in merito alla straordinaria ascesa di Cantor - E’ un risultato notevole per un ebreo nel partito repubblicano; con Cantor ci sarà un maggior peso della forza ebraica fra i vertici del Congresso”. Il deputato della Virginia ha recentemente dichiarato di aver ricevuto diverse minacce, “non solo per le mie posizioni politiche ma anche per la mia origine ebraica”. Minacce e intimidazioni evidentemente non lo hanno fermato: Cantor oggi è uno dei delfini del partito conservatore e la fiducia dell’ala repubblicana lo porterà a sedere in una delle posizioni di maggior prestigio su scala nazionale. Diventare leader della maggioranza, garantirà a Cantor un ruolo di indiscusso potere all’interno della Camera, secondo per importanza solo al probabile nuovo speaker John Boehner.
Mentre i repubblicani gioiscono, i democratici cercano di rimettersi in piedi dopo la batosta elettorale. La disfatta alla Camera ovviamente ha toccato anche i diversi candidati di origine ebraica che, a dirla tutta, hanno resistito, nel complesso, meglio rispetto ad altri colleghi. Nei diciotto seggi in cui erano in corsa, quindici “democratici ebrei” sono riusciti ad ottenere la vittoria o la riconferma. Florida(2), New York, New Jersey e Wisconsin, gli stati in cui i candidati repubblicani hanno avuto la meglio.
Al senato, invece, la democratica Barbara Boxer si è confermata in California, così come Charles Schumer a New York e Ron Wyden nell’Oregon. Al ballottaggio, invece, si andrà molto probabilmente in Colorado dove Michael Bennet, figlio di sopravvissuti alla Shoah, è impegnato in uno scontro alla pari con Ken Buck, esponente del partito conservatore Tea Party.
In un quadro più ampio della situazione, il trionfo repubblicano di ieri potrebbe costringere Obama, non solo a ripensare la politica sul fronte interno, ma anche ad adottare nuovi provvedimenti sul versante internazionale. E una dei punti più delicati è la questione israeliana. “Il Congresso dovrebbe avere un impatto tangibile nel miglioramento dei rapporti sulla asse U.S.A - Israele” dichiarava una settimana fa Eric Cantor al quotidiano israeliano Haaretz. Oggi queste parole non possono che assumere un peso maggiore, in particolare grazie al ruolo che lo stesso Cantor dovrebbe assumere. “Se riconquisteremo la maggioranza - confidava il deputato della Virginia ad Haaretz- useremo la nostra larga piattaforma per dimostrare che tutelare l’autorità di Israele è interesse strategico e morale per gli Stati Uniti. Cercheremo di allentare la pressione sullo Stato ebriaco dell’amministrazione che, invece, vorrebbe che Israele facesse concessioni che comprometterebbero la sua stessa sicurezza già sottile”.

Daniel Reichel

Unione a Congresso - Idee e confronto
dibattitoIl Congresso dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è alle porte e questa domenica, 7 novembre, gli iscritti alle Comunità ebraiche italiane sono chiamati a eleggere i loro delegati che parteciperanno ai lavori.
In ognuna delle tre circoscrizioni elettorali idee e programmi a confronto sono espresse da due liste in competizione. Con alcune domande rivolte ai capolista delle formazioni in gara la redazione tenta di fornire al lettore ulteriori elementi di conoscenza e di giudizio.
Per la Prima circoscrizione (Firenze capofila, Torino, Venezia, Trieste e tutte le Comunità meno numerose salvo Mantova e Napoli), parlano Gadi Luzzatto Voghera e Ugo Caffaz.

Gadi Luzzatto Voghera: “Decentramento e rappresentanza”
 
VogheraPiccole comunità e Otto per Mille. Gadi Luzzatto Voghera, storico e capolista della lista Per le Comunità, sintetizza l’importanza della funzione di reperimento delle risorse svolta dalle realtà minori con un esempio tangibile: “Una piccola comunità come Padova  raccoglie otto volte il numero degli ebrei padovani e altre comunità di media dimensione si spingono fino a 14 volte il numero dei loro iscritti. Dobbiamo rendercene conto”.
 
Quali sono le basi programmatiche della Lista “Per le comunità” di cui sei il capolista?
Dallo scorso Congresso dove già era stata presentata una lista di piccole comunità si era considerato inutile riproporre a livello di comunità ebraiche il confronto politico presente a livello nazionale, ci sembrava opportuno soprassedere alle opinioni politiche per concentrarci su questioni più urgenti e all’ordine del giorno soprattutto per le piccole comunità. Questo tipo di atteggiamento si è fatto più urgente nel momento in cui si è resa concreta l’ipotesi di una riscrittura dello Statuto UCEI.
Riguardo a questo quali sono i punti che secondo voi andrebbero rivisti?
La questione nodale è quella della rappresentanza. L’ipotesi di riorganizzazione della rappresentanza delle comunità ebraiche con l’allargamento del Consiglio, svuotato di poteri esecutivi che vengono invece concentrati in una Giunta molto più ristretta e più operativa concentrata sostanzialmente a Roma, ha molto allarmato le piccole comunità che invece sentono forte la necessità di far sentire la loro voce. Per molti anni l’Unione delle Comunità si è strutturata in un’organizzazione molto complessa dal punto di vista istituzionale con più di 60 dipendenti concentrati su un ambito prevalentemente romano. I servizi di cui le piccole comunità godono in rapporto allo sforzo economico e organizzativo dell’Unione sono molto limitati. Un altro punto che dovrebbe essere affrontato è quello dell’apertura del mondo ebraico italiano verso l’estero e in particolare verso le vicine comunità europee. Di questo non vi è traccia nel nuovo Statuto, come se l’ebraismo italiano avesse deciso di vivere di se stesso, senza una prospettiva di collegamento strutturale o istituzionale con realtà di rilievo come quelle ebraiche a livello europeo. Uno Statuto in fin dei conti dovrebbe guardare al futuro.
Che ruolo dovrebbero assumere le piccole comunità in Italia?
L’UCEI è l’Unione delle Comunità ebraiche e non l’unione degli ebrei. Questo significa che ogni comunità ha la sua importanza sul territorio e deve essere adeguatamente assistita. Spesso questo cosa non accade. La sensazione è che si voglia ridurre tutto a una mera rappresentanza politica degli ebrei, concentrata su Roma. Non ci si rende conto che in questo modo si disperde un patrimonio che è già in crisi e non si riconosce l’importanza delle piccole comunità prendendo in considerazione solo i numeri e non il valore intrinseco delle singole realtà. Riguardo all’Otto per Mille, ad esempio, gran parte dei proventi derivano dallo sforzo delle medie e piccole comunità. La Comunità ebraica di Roma, che concentra quasi il 50 per cento degli ebrei d’Italia, riesce a racimolare in sottoscrizioni per l’Otto per Mille meno del numero totale dei suoi iscritti.  Una piccola comunità come Padova raccoglie otto volte il numero degli ebrei padovani e altre comunità di media dimensione si spingono fino a 14 volte il numero dei loro iscritti.
Riguardo al tema del decentramento dei poteri, che proposta avanzate?
In una delle nostre proposte abbiamo identificato Bologna, per la sua posizione strategica, come luogo per poter aprire un ufficio decentrato dell’UCEI che si dedichi all’assistenza delle piccole comunità e dove si mettano a disposizione tutta una serie di servizi: da un rabbino itinerante a un ufficio amministrativo che fornisca l’assistenza necessaria alle piccole comunità e alle piccolissime che sono sprovviste di un ufficio di segreteria, a eventuali consulenze legali. Un insieme di servizi che ad oggi sono difficili da ottenere e che invece devono essere resi disponibili non solo per le grandi comunità, ma anche per le piccole e medie che dovrebbero avere gli stessi diritti.
Quali altri punti sentite di dover discutere e portare avanti?
Per il resto le problematiche sono sempre le stesse: la carenza d’assistenza per quanto concerne la kasherut, l’enorme difficoltà per le medie e piccole comunità a reperire personale rabbinico italiano e la conseguente necessità di ricorrere a rabbini stranieri. Noi potremmo avere, ad esempio, delle grandi competenze rabbiniche a Milano, ma riuscire a spostare anche solo una branca del Collegio Rabbinico di Roma a Milano sembra una cosa impossibile. I punti critici da prendere in considerazione sarebbero molti e di sicuro verranno discussi durante il congresso. La nostra lista ha preferito nella sua dichiarazione d’intenti porre però l’attenzione su ciò che ci sta forse più a cuore: il problema del decentramento e della sottorappresentazione. Su questo abbiamo lavorato negli ultimi quattro anni, cercando di raggiungere una linea comune, e cercando almeno di stabilire dei criteri paritetici nella ridistribuzione delle risorse dell’Otto per Mille.
 
Michael Calimani
 
Ugo Caffaz: “Impariamo ad apprezzare la nostra identità”
 
CaffazUno scatto d’orgoglio e una maggiore attenzione per le realtà numericamente minori. Sono queste le richieste che Ugo Caffaz, ex Consigliere UCEI sotto la presidenza di Tullia Levi e capolista della lista Per l’ebraismo italiano, rivolge agli ebrei italiani in procinto di andare al voto: “L’ebraismo italiano è storicamente fondato sulle piccole comunità ed ha pari dignità con qualsiasi altra realtà ebraica europea e mondiale”.
 
Come nasce la lista Per l’ebraismo italiano?
Nasce dalla volontà di rivendicare e riaffermare le caratteristiche basilari dell’ebraismo italiano: la sua storia bimillenaria, la sua originalità, la sua grande ricchezza culturale e la sua capacità dialogica con la società esterna. Quello che serve agli ebrei italiani è uno scatto d’orgoglio. Non dobbiamo guardare ad altre realtà ebraiche europee e mondiali, penso ad esempio all’ebraismo nordamericano e a quello mitteleuropeo, come a realtà di maggior valore rispetto alla nostra. Misurare le varie modalità di approccio all’ebraismo è sbagliato. Pur con modalità individuali e collettive differenti, gli obiettivi che perseguiamo sono infatti condivisibili. Dobbiamo quindi essere pronti ad aprirci al confronto e trarre da queste esperienze di scambio reciproco nuovo slancio e nuove idee per la nostra comunità. Ma per fare ciò bisogna avere piena consapevolezza dell’identità che ci appartiene, perché solo chi è in grado di apprezzare la propria identità non teme il confronto. 
Su quali temi si sviluppa il vostro impegno?
L’impegno della lista Per l’ebraismo italiano è focalizzato a dare una maggiore visibilità e capacità di soddisfacimento delle proprie esigenze alle piccole e medie comunità. La presenza e il peso di tali comunità in seno all’UCEI deve andare aldilà di una mera questione numerica, quello che auspichiamo è la possibilità di giocare un ruolo decisivo nella scelta di chi governerà l’Unione negli anni a venire e di chi si occuperà di riformare lo Statuto. Troppo spesso infatti le piccole comunità vengono considerate importanti esclusivamente per il patrimonio turistico di cui dispongono. In realtà sono istituzioni ancora in grado di contribuire al futuro dell’ebraismo italiano, a partire dall’impatto decisivo che hanno nel dialogo con la società esterna e nel reperimento di risorse attraverso la raccolta dell’Otto per Mille. Le piccole comunità hanno più oneri che onori e questo è storicamente sbagliato visto che la tradizione del nostro ebraismo si poggia su tali comunità e sulla loro capacità di vivere e relazionarsi con il territorio. Restando in Toscana faccio l’esempio del ruolo fondamentale svolto nei secoli dalla Comunità di Pitigliano.
Leggendo il vostro programma emergono posizioni molto critiche rispetto alle attuali dinamiche che portano alla formazione dei rabbini. Conferma?
Sì, questo è uno dei punti che riteniamo sia indispensabile affrontare al più presto. L’attuale centralismo romano è insopportabile. Non è pensabile che le comunità paghino la formazione dei rabbanim e che poi questi restino nella Capitale: i rabbini sono un patrimonio di tutta la comunità italiana e non un patrimonio esclusivo di quella romana. Questo atteggiamento va a scapito dell’italianità del nostro rabbinato, caratteristica sulla quale penso dovremmo insistere. Il fatto che una comunità scelga un rabbino straniero è una scelta che può essere anche condivisibile, ma dovrebbe per l’appunto trattarsi di una scelta e non di un obbligo. Quello che chiediamo all’UCEI è di sviluppare attraverso il Collegio Rabbinico programmi per la formazione di futuri rabbini che siano in grado di soddisfare le esigenze delle realtà numericamente minori. È una richiesta che vale in generale: l’UCEI deve essere fattivamente una Unione di tutte le comunità. La concentrazione nei grandi centri è sbagliata, la via da percorrere è quella di un sano federalismo comunitario.
Altri punti che ritenete prioritari?
La diffusione della cultura e dell’informazione, sia interna che esterna. È importante dare continuità agli strumenti predisposti dall’attuale Consiglio per realizzare opportunità di formazione e informazione ebraica, prendendo come modello di riferimento l’esperienza molto positiva della newsletter l’Unione Informa e del mensile Pagine Ebraiche che sono ottimi strumenti di confronto e che hanno aperto nuovi fronti di comunicazione. Un’altra questione di grande importanza riguarda la kasherut. L’Unione dovrebbe attivarsi per migliorare la distribuzione dei prodotti kasher anche nelle piccole e medie comunità, impegnandosi ad abbassarne il prezzo d’acquisto, spesso irragionevole e fuori dalla portata delle tasche di molti. Sul piano internazionale vorremmo inoltre promuovere scambi politici tra Italia e Israele in modo da sconfiggere il pregiudizio anti-israeliano, sostenendo allo stesso tempo le iniziative che portino a una risoluzione del conflitto mediorientale con il raggiungimento di una pace giusta e duratura e con la messa in sicurezza dello Stato di Israele e dei suoi abitanti.
 
Adam Smulevich

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Silenzio assenso in Vaticano
pubblicoIl carattere violentemente ostile e aggressivo, nei confronti di Israele e dell’intero popolo ebraico, del messaggio finale dell’assemblea speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei vescovi è già stato ampiamente denunciato, e l’unica cosa importante che resta da appurare è in che misura tali posizioni siano fatte proprie anche dalle alte gerarchie del Vaticano e dalla Chiesa nel suo complesso. Ma c’è una piccola frase, nel velenoso documento, che merita di essere sottolineata, e riguardo alla quale appare assolutamente necessaria una definitiva parola di chiarimento da parte della Santa Sede. Ci riferiamo al passaggio in cui il Sinodo afferma che, avendo il Nuovo Testamento superato il Primo, non ci sarebbe più una Terra Promessa per il popolo d’Israele, perché la “la Terra Promessa è tutta la terra”, e dunque “non vi è più un popolo eletto”. Che vogliono dire queste parole? Quali conseguenze si devono ricavare da esse?
Per rispondere, occorrerebbe innanzitutto chiarire se il Sinodo intendesse riferirsi essenzialmente al moderno Stato d’Israele, come patria del popolo ebraico tornato nella sua “Terra Promessa”, o piuttosto all’intera identità e storia del popolo ebraico, al suo lungo processo di affermazione, nazionale e spirituale, nel tempo e nello spazio.
Nel primo caso, il senso unico e inequivocabile del documento è che lo Stato di Israele non avrebbe più diritto di esistere, non sussistendo alcun diritto del popolo ebraico su quella terra. Le ragioni di questa delegittimazione, certamente, rappresenterebbero un’assoluta novità, dal punto di vista ecclesiastico, giacché mai e poi mai la Chiesa Cattolica, di fronte al fenomeno del sionismo, ha accettato l’idea della sovranità dello Stato di Israele come un diritto di ritorno alla “Terra Promessa”. A lungo, com’è noto, la posizione della Chiesa è stata di assoluta e intransigente contrarietà di fronte all’idea di una qualsiasi forma di sovranità politica del popolo ebraico, su qualsiasi pezzo di terra, in qualsiasi angolo del mondo, rimandando ogni discussione sul tema a dopo che gli ebrei avessero “riconosciuto Gesù” (il Cardinale Merry del Val, incaricato dal papa di trattare con Theodor Herzl, affermò, nel 1904: “finché gli ebrei negano la divinità di Cristo, noi non possiamo pronunciarci in loro favore”); e quando, finalmente, il 30 dicembre 1993, è stato firmato un accordo di reciproco riconoscimento tra Israele e Santa Sede, si è fatta molta attenzione a precisare che tale riconoscimento aveva una natura esclusivamente politica e diplomatica, senza alcuna connotazione e implicazione a livello teologico e religioso (come era già stato ufficialmente puntualizzato, in una nota del 1985, dalla Santa Sede: “l’ambito del dialogo religioso” deve restare “ben distinto dall’ambito politico”, e “l’esistenza dello Stato di Israele e delle sue scelte politiche non devono essere considerate in una prospettiva in sé stessa religiosa, ma nel loro riferimento ai comuni principi del diritto internazionale”).
Ma, al di là di questa evidente forzatura e manipolazione (anzi, proprio in ragione di essa), il messaggio resta chiarissimo: “avete perso il vostro diritto”.
Proprio per il linguaggio adoperato, di tipo più religioso che politico, però, appare più probabile che le parole del Sinodo non intendessero riferirsi al solo Stato di Israele, ma all’intero popolo ebraico. Ed è evidente, in questo caso, che esse rappresentano non già una correzione o una parziale ‘retromarcia’ rispetto al Concilio Vaticano II, ma una totale cancellazione di tutto quanto era stato raggiunto, dopo quasi duemila anni di odio e persecuzioni, con la Dichiarazione “Nostra Aetate” (che ricordava, nel 1965, che gli ebrei “rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento”). Il dono di Dio, secondo il Sinodo, è dunque stato revocato, il Nuovo Testamento non integra e completa l’Antico, ma lo sostituisce e cancella, l’ebraismo non è più la “santa radice” del cristianesimo, ma una gramigna da estirpare.
Ripetiamo: che ne pensa il Vaticano? Silenzio-assenso?

Francesco Lucrezi, storico

Risposte incaute
gadi polaccoNell'intervista rilasciata a Rossella Tercatin pubblicata sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it in seguito all'anteprima dell'apologetica miniserie su Pio XII, Ettore Bernabei esprime un paio di bizzarri concetti che, se non ci fosse in sottofondo la tragedia di quegli anni, si potrebbero anche classificare come esilaranti.
"Gli sceneggiatori hanno voluto evitare le posizioni ufficiali riguardo alla figura del pontefice. Non si sono schierati né da una parte né dall’altra..." e infatti è proprio dal sito della Lux Vide, la società di Bernabei e soci,che apprendiamo come "Lux Vide ha lavorato sui documenti per la causa di beatificazione di Pio XII..." che, con tutto il rispetto, non sono certo di fonte autonoma e indipendente.
In qualche modo ammirevole è anche, nel tentativo di minimizzare i dubbi circa ciò che Pio XII avrebbe forse potuto fare, la seguente affermazione: "In fondo il papa è il vescovo di Roma, e quindi Pio XII si è fatto carico di salvare più vite possibili nella sua diocesi....". Insomma, il Papa ridotto alla potenzialità di un curato locale, non proprio Don Camillo Monsignore, ma quasi, concetto che, per fare un paragone più recente, avrebbe potuto pertanto giustificare un disinteresse di Wojtyla per la sua Polonia in quanto "solo" e lontano Vescovo di Roma!
Un tipico esempio di come non sia sempre possibile dare un colpo al cerchio e uno alla botte.... 

Gadi Polacco, Consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane

Gad Lerner - Umberto Eco, i cattolici e gli ebrei
gadi polaccoMolto singolare la rimostranza di Lucetta Scaraffia: non mi accusa di aver riportato scorrettamente la sua recensione pubblicata dall’”Osservatore Romano”, il che sarebbe grave, ma solo di non averla collocata in buona compagnia ebraica. Non le bastavano i suoi (presunti) buoni argomenti per stroncare Eco? No, anche lei confidava di rafforzarli con “l’ebreo che la pensa come me”. Pratica deteriore molto in voga di questi tempi, nei quali “l’amico ebreo” si cita strumentalmente come se potesse derivarne chissà quale legittimazione. Si dà invece il caso che l’”Osservatore Romano” è l’organo ufficiale di una struttura gerarchica: una sua presa di posizione fa notizia perché in qualche modo rappresenta la Chiesa di Roma. Dunque pesa di più rispetto ad altre recensioni di autori cattolici che magari la pensano diversamente, come Massimo Introvigne all’Infedele e su “Avvenire”. Invece il parere di un ebreo, per quanto autorevole e sempre rispettabile, vale quanto il parere di un altro ebreo (e peraltro quello di Riccardo Di Segni su “Il cimitero di Praga” non somiglia affatto alla livorosa stroncatura della Scaraffia). Insomma, avevo buoni motivi giornalistici per privilegiare l’uscita della Scaraffia rispetto alle altre numerose recensioni uscite, a prescindere dalla religione di chi le aveva scritte.
Non tema, Lucetta Scaraffia: considero assolutamente lecito parlar male di Umberto Eco. Ma al posto suo non avrei usato mai l’argomento della pericolosità di un libro; non l’ho fatto neppure nel caso di “Le benevole” di Jonathan Littel, ben altrimenti morboso e voyeuristico nel descrivere la Shoah, eppure dotato di un impianto narrativo poderoso.
Seguendo il suo schema mentale, malissimo farebbe ai berlinesi visitare in questi giorni la mostra sulla popolarità di Hitler in cui li si invita a fare i conti col senso comune cui aderirono sotto il Terzo Reich. Il libro di Eco può piacere o non piacere, ma accusarlo di antisemitismo involontario è una grossolanità che non si ripara tirando per la giacca Anna Foa, Ugo Volli o Riccardo Di Segni. Tutto ciò sia detto con immutata stima.

Gad Lerner 

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