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9 novembre
2010 - 2 Kislev 5771 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Uscendo
dalla casa paterna per fuggire da suo fratello e per cercare moglie,
Yaakòv comprende che l’incontro/scontro con Esàv deve essere affrontato
preventivamente in una prospettiva sua interna. Yaakòv deve
confermare a se stesso che l’elezione ricevuta non è il prodotto di un
inganno e neppure di un dono irrevocabile e incondizionato. La
sfida si gioca sul futuro piuttosto che sul passato. Come riuscire a
mantenere la continuità con suo padre e suo nonno? Come riuscire a non
perdere nessuno dei suoi figli? Come riuscire a rimanere intero e a
mantenere la propria identità? E insieme con noi suoi discendenti si
interroga con angoscia: i nostri figli riusciranno a mantenerla? Dopo
che riesce a unire assieme 12 pietre che si fondono in unica pietra,
Yaakòv diventa l'identità integrata di Israele, una declinazione/
moltiplicazione in dodici figli - tribù, paradigmi di 12 modi di essere
diversamente ebrei. Tutti compresi in uno stesso grande sogno, quello
di una scala con degli angeli che fanno su e giù, come in una
dialettica ininterrotta, un ponte creativo tra cielo e terra.
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Anna
Foa,
storica
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Quando ho letto ieri le
interviste ad Amos Oz avrei voluto abbracciarlo. Diceva che lo scontro
di civiltà non è fra i musulmani e la cultura giudaico-cristiana, ma
tra i fanatici e tutti gli altri. E i fanatici sono quelli, in ogni
cultura, in ogni religione, che ti vogliono a tutti i costi cambiare,
naturalmente sempre per il tuo bene. Questo è il vero scontro, diceva,
qui dobbiamo batterci. E ancora, proponeva fra le armi che un
non-fanatico può utilizzare, l'ironia. Avete mai visto, suggeriva, un
fanatico che abbia anche il senso dell'umorismo? Grazie, Amos Oz.
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Alessandro Schwed - "Facebook e mio figlio"
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Il
mondo di Facebook e la socialità giovanile sono i protagonisti in
questi giorni del film The social network (nelle sale da questo
giovedì) e dell'ultimo libro di Alessandro Schwed Mio figlio mi ha
aggiunto su Facebook (pubblicato dalle edizioni l'Ancora del
Mediterraneo). Pagine
Ebraiche di novembre, attualmente in distribuzione ha intervistato il
grande scrittore italiano, che ha saputo conquistare uno spazio del
tutto originale fra i nuovi autori anche con i suoi precedenti Lo zio
coso (Ponte alle Grazie edizioni) e La scomparsa di Israele
(Mondadori).
“Il Lungo va su Facebook e
galleggia sugli abissi della sua superficie; si lascia appartenere a
quell’eterogeneità ignota di foto, sorrisi e cognomi”. Assieme ad altri
milioni di ragazzi, il Lungo preferisce il mondo virtuale dei social
network alla noiosa realtà quotidiana. Chatta, aggiunge amici, diventa
fan e si fidanza senza muoversi dal computer. Il tutto davanti a un
padre confuso e meravigliato che deve confrontarsi con i burrascosi
cambiamenti del figlio adolescente.
Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook (edizioni L’ancora del
Mediterraneo), nuovo libro del giornalista e scrittore Alessandro
Schwed, è il racconto ironico quanto vero di come sia cambiato, in
particolare con internet, il rapporto tra genitori e figli. Le
difficoltà dell’adolescenza, le pene amorose, le paure sono rimaste le
stesse ma è mutato il linguaggio, il piano di confronto fra le due
generazioni. E a farne le spese sono i padri, naufraghi in un mare
oscuro e in cerca dell’orientamento perduto. Nel suo diario-racconto
Schwed, celebre penna satirica della rivista Il Male in cui scrisse con
lo pseudonimo di Giga Melik, dipinge con tenerezza e raffinato umorismo
il tentativo, a volte tragicomico, di un padre di comprendere il
proprio figlio nell’era della rivoluzione virtuale.
Come è nata l’idea di scrivere
Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook?
Avendo un figlio adolescente e soprattutto trovandomi spesso per casa
frotte di suoi coetanei, ho deciso di raccontare la realtà di questa
nuova generazione. Credo che il Lungo sia un esempio verosimile di
adolescente moderno: immerso nella realtà virtuale, sempre on-line a
giocare con la playstation o a chattare con gli amici di Facebook,
comunque poco interessato alla scuola. E poi c’è il padre. Spaesato dal
cambiamento del figlio, cerca di creare un rapporto con il ragazzo.
Vuole superare il digital divide fra la sua generazione e quella del
ragazzo, tentando un contatto anche tramite internet. Il padre, di
fatto, entra in un terreno non suo, quello virtuale e quello
dell’adolescenza, in cui è disorientato, vacilla ma rimane in piedi per
amore del figlio.
Proprio
internet, o comunque il mondo virtuale, appare nel libro come un
rifugio per il giovane protagonista. Ma è così brutta la realtà?
Nella vita vera i giovani trovano sempre meno risposte alle proprie
esigenze o interessi. E’ come se in questo mondo non si sentissero
rappresentati. Su internet il Lungo e gli ultracorpi, come chiamo nel
mio racconto i suoi amici, trovano verità iperboliche in contrasto con
una realtà catatonica, monotona. Su Facebook o simili i ragazzi possono
cucire la propria vita come vogliono.
Vivono,
dunque, in universo parallelo con un proprio spazio, tempo e
linguaggio. Non è però pericoloso rimanere troppo immersi in un luogo
così effimero, in cui peraltro l’esibizionismo è diventato un fenomeno
comune?
Internet non è buono o cattivo, sicuramente è rivoluzionario e dobbiamo
ancora abituarci a metabolizzarlo. E’ vero, però, che Facebook e i blog
sono strumenti che nutrono la moderna tendenza a creare tanti reality
show su misura, in cui ciascuno è protagonista. Non condivido questo
modo di fare ma penso sia temporaneo, siamo in un’epoca di cambiamenti
e dobbiamo ancora trovare stabilità. Mentre le nuove generazioni si
immergono in questo mondo virtuale, spetta a noi, come al padre del mio
racconto, creare un ponte fra loro e la tradizione. Il Lungo non chiede
che attenzione, chiede realtà e penso sia il compito dei genitori
soddisfare questa domanda.
Nel romanzo,
ironia e umorismo si intrecciano a momenti di tenera tristezza o di
rabbia.
Nell’ebraismo c’è questa cosa bellissima di mettere vicino il riso e il
pianto, basta pensare al gesto simbolico del calice spezzato il giorno
del matrimonio. Anche nel giorno più bello della vita, c’è questo fatto
di ricordarsi della Gerusalemme lontana. E’ un modo di tenere insieme
tutto quanto ed è come se io avessi metabolizzato questa cosa. Nel
libro ho voluto dare tutta la dimensione della vita perché i ragazzi,
come i lettori in generale, hanno bisogno di commuoversi come di
ridere.
Daniel
Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2010
(Alessandro Schwed, Mio
Figlio mi ha aggiunto su Facebook, collana Odisseo pp.192 euro
14,50)
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Qui Torino - La
vocazione
scientifica di Primo Levi
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Se
la prima Lezione Primo Levi è stata tenuta da un letterato,
l'italianista di Cambridge Robert Gordon, che ha sviscerato il tema
della fortuna nel pensiero di Primo Levi, pare giusto che la seconda,
nel rispetto della personalità intellettuale di questo autore, spetti a
un uomo di scienza. Il Centro internazionale di studi Primo Levi ha
invitato Massimo Bucciantini, docente di Storia della Scienza
all'Università di Siena-Arezzo, a tenere una lezione aperta al
pubblico. Il titolo sarà Esperimento Auschwitz. La Lezione
Primo Levi è
un appuntamento molto seguito a Torino, promosso dal Centro studi,
giunto quest'anno alla sua seconda edizione. “Ci sembrava interessante
cambiare punto di vista, far emergere un aspetto ancora poco conosciuto
di Primo Levi”, spiega il direttore del Centro Fabio Levi, professore
di Storia contemporanea all'Università di Torino. La seconda Lezione si
inserisce in un percorso di approfondimento del rapporto di questo
mostro sacro della letteratura italiana e mondiale postbellica con la
scienza. Quest'estate infatti il Centro studi ha proposto al pubblico
Il segno del chimico: dialogo con Primo Levi, una lettura teatrale
realizzata da Walter Malosti, regista e interprete di punta della scena
italiana, prodotta dal Teatro Stabile di Torino.
“Raccontare
la vocazione scientifica di Levi - spiega Bucciantini - è l'unico modo
di aprire nuove prospettive di comprensione di questo straordinario
autore”. Dunque ci voleva uno storico della scienza. Il professore
senese concede alcune anticipazioni sulla lectio che esporrà giovedì 11
novembre nella storica Aula magna della facoltà di Chimica, tra i
banchi di legno d'inizio secolo su cui studiò il giovane Levi. “Io sono
uno storico - precisa - e come tale ho bisogno di fonti e documenti.
Vado alla ricerca di contesti, di rapporti. La lezione di giovedì
seguirà un doppio movimento: volgerà lo sguardo tanto all'interno
dell'opera di Levi quanto alla sua difficile relazione coll'esterno”.
Il professore allude alla tardiva comprensione della grandezza di Levi
da parte della cultura italiana. “Uscito da Auschwitz, Primo Levi fu
annientato una seconda volta. L'ottusità del Parnaso italiano - le
eccezioni, tra si annoverano cui Calvino e Cases, furono davvero poche
- determinò il fallimento editoriale di Se questo è un uomo, pubblicato
nel 1947, che l'autore visse anche come il fallimento dell'obiettivo
che si era dato: raccontare Auschwitz”. Stiamo parlando di uno dei più
grandi letterati italiani dell'epoca, ma, nella lettura che ne dà
Bucciantini, “Levi era innanzitutto un chimico, un chimico speciale. La
sua formazione scientifica determina un'attitudine mentale fondamentale
anche del Levi scrittore. E proprio in ciò risiede l'assoluta
originalità della sua scrittura e della sua riflessione su Auschwitz.
Se non capiamo questo non capiamo Se questo e un uomo, non capiamo I
sommersi e i salvati”. Non capiamo Levi, come non lo capirono gli
intellettuali italiani negli anni cinquanta e sessanta. Complice quel
pregiudizio antiscientifico, cifra del retaggio gentiliano che pesa
sulla cultura del nostro paese? “Io non credo - replica Bucciantini -
non si può dare la colpa di tutto a Croce e Gentile: bisogna
riconoscere invece l'arretratezza dei letterati italiani, la loro
incapacità di pensare la scienza come cultura”.
Bucciantini
anticipa la presentazione di documenti inediti, testimonianza della
fortuna di Levi negli ambienti scientifici. In particolare fa
riferimento alla ricezione dell'opera leviana da parte di Franco
Basaglia, il grande riformatore della psichiatria italiana. Incalzato
su questo punto, Bucciantini non è disposto a rivelare di più: tiene
alta la curiosità per l'appuntamento di giovedì. Esperimento Auschwitz.
Cosa nasconde l'enigmatico titolo della lezione? “La lunga indagine di
Levi - spiega Bucciantini - che va da Se questo e un uomo a I sommersi
e i salvati, fa ampio uso delle categorie scientifiche, appunto.
L'autore trasforma la sua tragica esperienza del sistema
concentrazionario in un esperimento mentale: è l'unico che descriverà
Auschwitz in questo modo. Seguendo questa via arriva a capire molte
cose, altrimenti (e ad altri) rimaste oscure”. Per esempio? “Bisognerà
aspettare l'uscita della sua ultima opera, I sommersi e i salvati, per
vedere illuminata la zona grigia”, quello spazio di oscura acquiescenza
tra le vittime e gli aguzzini, costellato di personaggi turpi e
patetici. L'ultimo Levi amplia la sua riflessione, trascende la
contingenza storica di Auschwitz. “Attenendosi al discorso sperimentale
- il metodo scientifico per eccellenza, insiste il professore - giunge
a rendere Auschwitz una categoria antropologica universale”. Ovvero?
“Ovvero, non si può capire un grande stabilimento industriale senza
fare ricorso alla tragica esperienza dei lager. Levi si serve di quella
per capire il mondo, il suo esperimento perde progressivamente i
confini di spazio e di tempo”.
Manuel
Disegni
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Qui Milano - L'Adei Wizo premia Angel Wagenstein
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Angel Wagenstein, con “I
cinque libri di Isacco Blumenfeld” vince la decima edizione del premio
letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola. Al Circolo della Stampa di
Milano, nella splendida cornice di palazzo Serbelloni, Wagenstein,
insieme agli altri scrittori della terna finalista, Assaf Gavron con
“La mia storia, la tua storia” e Yehoshua Kenaz con “Paesaggio con tre
alberi”, ha incontrato il pubblico, particolarmente numeroso. La serata
è stata introdotta da Maria Modena, presidente della giuria letteraria,
da Emanuela Trevisan, professore di Lingua e Letteratura ebraica
moderna all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e da Giorgia Greco,
responsabile della sezione cultura di Informazione Corretta. Presenti
anche i due finalisti del Premio narrativa ragazzi, Roberto Riccardi,
con “Sono stato un numero” e Rina Frank con il libro “Vite fragili”,
vincitore finale. Menzione speciale infine per “Un paese non basta” di
Arrigo Levi.
Il premio letterario dell’Adei, sezione italiana del Women
International Zionist Organization ha lo scopo di far conoscere al
grande pubblico il mondo e la cultura ebraica in tutti i suoi aspetti.
Proprio quello che fanno i libri selezionati dalla giuria composta da
sole donne, che sceglie opere che raccontano la vita e la storia
ebraica da prospettive totalmente differenti.
“Le fasi della vita di Isacco Blumenfeld, le terre in qui è costretto a
spostarsi, gli idiomi che si ritrova a imparare, sono cinque, proprio
come i Libri della Torah – ha spiegato Angel Wagenstein, classe 1922,
cresciuto in Francia, partigiano catturato e condannato a morte dai
nazisti, condanna a cui scampò grazie all’arrivo dell’Armata rossa - Ma
in questo caso parliamo solo della vita di un semplice sarto galiziano,
ebreo, che nonostante le due guerre mondiali e la permanenza in tre
campi di concentramento, continua a impegnarsi per non rinunciare alla
sua dignità, e al tipico umorismo ebraico, con cui guarda alle cose del
mondo”.
Rossella
Tercatin
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Qui Firenze - La città ricorda i suoi deportati
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C’erano rappresentanti di
istituzioni politiche locali e regionali, autorità militari e
religiose, scolaresche fiorentine e pistoiesi e membri dell’Aned
insieme al presidente della Comunità ebraica Guidobaldo Passigli, al
rabbino capo Joseph Levi e a molti cittadini alla cerimonia svoltasi
questa mattina al binario 16 della stazione ferroviaria Santa Maria
Novella in ricordo delle centinaia di ebrei fiorentini deportati
durante il nazifascismo, che proprio da quel binario 67 anni fa
iniziarono il loro viaggio senza ritorno verso Auschwitz.
Davanti alla targa commemorativa che ricorda quei tragici convogli di
morte, il tempo si è fermato. L’orda di pendolari, turisti e umanità
varia che popola quotidianamente gli interni della stazione si è come
dissolta. Il caos di mille passi affrettati, lo speaker che annuncia la
partenza del prossimo treno, le reclame commerciali di volti scolpiti
nella plastica si sono allontanati sempre più fino a scomparire del
tutto.
La cerimonia si è aperta con l’elenco dei nomi delle vittime più
giovani della barbarie nazifascista. Nome per nome, a decrescere fino
ai 3 mesi di Lia Vitale. “Sono certo - ha detto il presidente Passigli
rivolto agli studenti - che tornando a scuola riporterete ai vostri
compagni il seguente messaggio: quello che è accaduto non deve più
ripetersi”.
Presente in rappresentanza del sindaco, l’assessore comunale Rosa Maria
De Giorgi ha chiesto ai ragazzi di tenere un occhio sempre vigile sulla
realtà circostante. “Non dovete permettere - ha spiegato De Giorgi -
che i diritti vengano calpestati. Se non ci impegniamo a impedirlo non
siamo cittadini. Non valiamo niente”. Il segretario del PSI Riccardo
Nencini ha invitato a non dimenticare la macchia del collaborazionismo,
sottolineando come “i nostri padri e i nostri nonni siano venuti meno
alla grande storia di libertà che è propria di Firenze”. Nel corso
della commemorazione è intervenuta tra gli altri anche la storica
Lionella Viterbo, che ha rievocato i mesi drammatici vissuti in
clandestinità, di casa in casa, tra strade e piazze popolate da
nazisti, fascisti e da eserciti di entusiasti collaboratori. In
conclusione il rabbino capo Joseph Levi ha recitato un salmo e una
preghiera funebre per i milioni di vittime della Shoah. Poi alle 12.27
la stazione che Benito Mussolini amava perché “sembra un fascio
littorio visto dall’alto” è tornata alla vita di sempre. E dopo pochi
minuti dal binario 16 è partito nuovamente un treno. Ma stavolta di
uomini liberi, come quelli che dal 2003 ad oggi hanno portato migliaia
di studenti toscani in visita tra le baracche e i forni del Male.
Adam Smulevich
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Il Collegio rabbino è utile solo a Roma? |
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A ogni congresso dell’Ucei si
ripete un “mantra” secondo cui il Collegio rabbinico italiano, con sede
a Roma, serve solo per formare rabbini che resteranno nella capitale.
Forse, se ci si interessasse del Collegio non solo in vista del
congresso e non solo quando una Comunità è alla disperata ricerca di un
rabbino, si mostrerebbe di avere una maggiore ampiezza di vedute e un
pensiero a lunga prospettiva. Ma è proprio vero che i rabbini
laureatisi al Collegio rabbinico sono rimasti per lo più a Roma? Come
studente del Collegio da una vita, docente da vent’anni e coordinatore
da due anni, sotto la direzione di rav Riccardo Di Segni, posso fornire
notizie di prima mano, e non basate su voci incontrollate, riguardo a
chi studia al Collegio, chi vi insegna, chi si è laureato e dove è
andato dopo la laurea.
Cosa sia il Collegio e come sia strutturato non è per niente un
mistero, e ne ho parlato in una recente intervista pubblicata nel
numero di agosto di Pagine ebraiche. Riguardo al destino dei laureati
del Collegio, limitandoci agli ultimi vent’anni, essi hanno ricoperto
la cattedra rabbinica, e in alcuni casi tuttora la ricoprono, nelle
seguenti Comunità: Venezia, Trieste, Padova, Bologna, Milano e Ancona.
Dei laureatisi con titolo di rabbino maggiore dal 1990 a oggi, quattro
rabbini sono andati in altre Comunità, cinque sono rimasti a Roma (solo
tre come dipendenti della Comunità), e uno ha fatto la aliyà. Come si
vede, non è affatto vero che i rabbini laureatisi a Roma “sono un
patrimonio esclusivo della Comunità romana”. Oltre ai rabbini, il
Collegio ha fornito regolarmente, negli ultimi anni, giovani allievi e
allieve come chazanim per i chaghim e per svolgere attività
socio-culturali nelle Comunità di Pisa, Siena, Firenze, Ancona e
Milano. Il Collegio sarebbe disponibile a mandare i propri allievi
anche in altre Comunità, che però spesso hanno manifestato scarso o
nullo interesse all’iniziativa.
Passando al presente, il Collegio sta vivendo una fase di rigoglio, con
classi piene e più di 100 frequentatori, dall’età scolastica fino a
quella adulta. Il corso superiore, che abilita al conseguimento del
titolo di rabbino maggiore, conta 6 iscritti (di cui uno in yeshiva in
Israele), un numero che da anni non si vedeva. La maggior parte di
questi allievi (già in possesso del titolo di maskil) hanno intenzione
di intraprendere una carriera rabbinica nell’ambito delle Comunità
ebraiche italiane.
Le prospettive sono quindi incoraggianti. Molto resta ancora da fare,
ovviamente. Bisognerebbe attirare un maggiore numero di allievi,
aumentando l’offerta didattica e la qualità dell’insegnamento,
soprattutto nelle prime classi della scuola media e del liceo;
bisognerebbe aumentare il numero di coloro che si sentano attratti
dalla carriera rabbinica, e su questo anche le Comunità e le stesse
famiglie si dovrebbero impegnare. L’unica cosa che non si può fare è
affossare il Collegio rabbinico italiano, dislocandolo altrove (come è
stato detto) o diminuendo l’impegno culturale, economico e
istituzionale dell’Ucei. Meno l'Unione investe nel collegio, più
problemi ci saranno in futuro per tutto l'ebraismo italiano, e
viceversa. Ben venga invece l’apertura di altri collegi rabbinici, come
la Scuola Margulies-Disegni di Torino, di cui abbiamo letto l’imminente
riapertura, e il rafforzamento del collegio di Milano, che è
incomprensibile come mai ancora non possa operare a pieno titolo.
rav Gianfranco
Di Segni, Coordinatore del Collegio rabbinico italiano
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Un progetto per salvare
via Tasso |
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A leggere queste cifre non so
se ridere o piangere: il Museo storico della Liberazione di Roma,
quello di via Tasso, rischia di chiudere. Il Governo ha infatti
tagliato nel 2010 i fondi da 50 mila a 42.500
(quarantaduemilacinquecento!) euro, di cui solo 15 mila effettivamente
erogati. Antonio Parisella, presidente del Museo, ha imboccato la
strada virtuosa del fund raising, racimolando circa dieci mila euro
(cioè più del 20 per cento del totale) da privati e scuole, ma la
situazione non è tranquilla.
Il tema è davvero serio, perché via Tasso è un patrimonio di tutta la
città, perché tra quelle mura furono torturati e uccisi antifascisti,
ebrei, militari. Nell’epoca in cui si parla sempre di memoria, fa
sorridere l’idea che un’istituzione di questa portata debba elemosinare
pochi spiccioli, e solo per carità di patria evito di paragonare questa
cifra con i soldi che ogni anno vengono garantiti alle sagre più
sfigate in ogni angolo del paese: ci sarebbe semplicemente da
vergognarsi!
Hic stantibus rebus, e visto che in Italia i monumenti più importanti
crollano per la totale assenza di manutenzione, oltre a lamentarci
proviamo ad affrontare la questione da un’altra angolatura: i pochi
soldi che ci sono, cerchiamo di spenderli bene. Tutti noi apprezziamo
l’attivismo del singolo insegnante di scuola, del singolo assessore
comunale, della singola associazione, che ogni anno si sforzano di
organizzare qualcosa per la Giornata della Memoria, di reperire qualche
ospite dall’agenda già fitta di appuntamenti, di inventare qualcosa di
apparentemente nuovo.
Però questo proliferare di iniziative raramente si traduce in qualità,
e rappresenta una grande dispersione di risorse. A dieci anni
dall’istituzione della Giornata della Memoria sarebbe forse il caso di
razionalizzare: se in Parlamento si procedesse a una mappatura delle
iniziative, dei Musei, delle associazioni, dei Comuni che si occupano
di memoria, ci si renderebbe probabilmente conto che molte cose possono
essere accorpate, altre tranquillamente soppresse, altre beneficamente
soppresse, altre ancora trasformate. Evidentemente nessuno dovrebbe
imporre nulla, ma non escludo che, sentendosi parte di un progetto più
ampio, molti sarebbero disposti a venire incontro alle esigenze
collettive.
Procedendo in questa direzione, sono certo che qualche euro in più per
il Museo di via Tasso uscirebbe sicuramente…
Tobia
Zevi, Associazione Hans Jonas
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notizieflash |
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rassegna
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Rosetta
Ester Bauducco Segre
Cordoglio e solidarietà fra
gli ebrei del Piemonte per la scomparsa della signora Rosetta Ester
Bauducco Segre, moglie del professor Vittorio Dan Segre. La Comunità
Ebraica di Torino ha comunicato con un messaggio di unirsi al dolore
del professor Segre e dei suoi familiari ricordando che i funerali
partiranno domani, mercoledì 10 novembre, alle 9 da corso Massimo
D’Azeglio 12 per proseguire al Cimitero Ebraico di Torino in corso
Regio Parco 80, dove alle 10 avverrà la tumulazione. I redattori e i
collaboratori del Portale dell'ebraismo italiano si stringono in questo
momento di dolore attorno a Vittorio Dan Segre (che dona regolarmente
ai lettori del portale e di Pagine Ebraiche elementi preziosi della sua
esperienza e della sua saggezza) e ai suoi cari. Baruch Dayan ha-Emet.
Qui
Milano - Amos Oz
con il Centro Peres per la pace
Lo scrittore israeliano Amos
Oz ha partecipato alla serata organizzata dal Centro Peres per la pace
al Teatro Franco Parenti. All’incontro, presentato da Andrée Ruth
Shammah, direttore del Teatro di via Pier Lombardo, hanno preso parte
Rodolfo De Benedetti e Manuela Dviri, oltre a Ron Pundak, direttore
generale del Peres Center For Peace, che ha illustrato la struttura e
la finalità dell’organizzazione... »
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La notizia della giornata è
la decisione del ministero israeliano dell’edilizia di pubblicare il
piano per la costruzione di un certo numero di appartamenti (900 o
1200, a seconda delle versioni, in sostanza una quindicina di palazzi
di abitazione) nei sobborghi di Gesuralemme. Tanto basta ai palestinesi
per dire che “Così Israele distrugge i negoziati” (Scuto su Repubblica)
e all’amministrazione Obama di dirsi “profondamente delusa” (Battistini
sul Corriere della sera), per non
parlare dello “schiaffo ai
palestinesi” come la vede il Messaggero. In realtà Israele ha
sempre
detto di considerare Gerusalemme esclusa dal blocco delle costruzioni
negli insediamenti, ha dichiarato la fine del blocco due mesi fa, dopo
i dieci mesi promessi, e inoltre non si tratta in questo caso di
costruzioni ma di un passo burocratico che di gran lunga le precede.
Tutto questo ai giornali (e all’amministrazione americana e
naturalmente ai palestinesi che hanno scelto di farne un caso) non
importa affatto.... »
Ugo Volli
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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