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9 novembre 2010 - 2 Kislev 5771
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moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Roberto Della Rocca Roberto
Della Rocca,
rabbino

Uscendo dalla casa paterna per fuggire da suo fratello e per cercare moglie, Yaakòv comprende che l’incontro/scontro con Esàv deve essere affrontato preventivamente in una prospettiva sua interna. Yaakòv deve  confermare a se stesso che l’elezione ricevuta non è il prodotto di un inganno e neppure di un dono irrevocabile e incondizionato. La sfida si gioca sul futuro piuttosto che sul passato. Come riuscire a mantenere la continuità con suo padre e suo nonno? Come riuscire a non perdere nessuno dei suoi figli? Come riuscire a rimanere intero e a mantenere la propria identità? E insieme con noi suoi discendenti si interroga con angoscia: i nostri figli riusciranno a mantenerla? Dopo che riesce a unire assieme 12 pietre che si fondono in unica pietra, Yaakòv diventa l'identità integrata di Israele, una declinazione/ moltiplicazione in dodici figli - tribù, paradigmi di 12 modi di essere diversamente ebrei. Tutti compresi in uno stesso grande sogno, quello di una scala con degli angeli che fanno su e giù, come in una dialettica ininterrotta, un ponte creativo tra cielo e terra.
Anna
Foa,
storica



Anna Foa
Quando ho letto ieri le interviste ad Amos Oz avrei voluto abbracciarlo. Diceva che lo scontro di civiltà non è fra i musulmani e la cultura giudaico-cristiana, ma tra i fanatici e tutti gli altri. E i fanatici sono quelli, in ogni cultura, in ogni religione, che ti vogliono a tutti i costi cambiare, naturalmente sempre per il tuo bene. Questo è il vero scontro, diceva, qui dobbiamo batterci. E ancora, proponeva fra le armi che un non-fanatico può utilizzare, l'ironia. Avete mai visto, suggeriva, un fanatico che abbia anche il senso dell'umorismo? Grazie, Amos Oz.

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davar
Alessandro Schwed - "Facebook e mio figlio"
Il mondo di Facebook e la socialità giovanile sono i protagonisti in questi giorni del film The social network (nelle sale da questo giovedì) e dell'ultimo libro di Alessandro Schwed Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook (pubblicato dalle edizioni l'Ancora del Mediterraneo).
Pagine Ebraiche di novembre, attualmente in distribuzione ha intervistato il grande scrittore italiano, che ha saputo conquistare uno spazio del tutto originale fra i nuovi autori anche con i suoi precedenti Lo zio coso (Ponte alle Grazie edizioni) e La scomparsa di Israele (Mondadori). 

Copertina“Il Lungo va su Facebook e galleggia sugli abissi della sua superficie; si lascia appartenere a quell’eterogeneità ignota di foto, sorrisi e cognomi”. Assieme ad altri milioni di ragazzi, il Lungo preferisce il mondo virtuale dei social network alla noiosa realtà quotidiana. Chatta, aggiunge amici, diventa fan e si fidanza senza muoversi dal computer. Il tutto davanti a un padre confuso e meravigliato che deve confrontarsi con i burrascosi cambiamenti del figlio adolescente.
Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook (edizioni L’ancora del Mediterraneo), nuovo libro del giornalista e scrittore Alessandro Schwed, è il racconto ironico quanto vero di come sia cambiato, in particolare con internet, il rapporto tra genitori e figli. Le difficoltà dell’adolescenza, le pene amorose, le paure sono rimaste le stesse ma è mutato il linguaggio, il piano di confronto fra le due generazioni. E a farne le spese sono i padri, naufraghi in un mare oscuro e in cerca dell’orientamento perduto. Nel suo diario-racconto Schwed, celebre penna satirica della rivista Il Male in cui scrisse con lo pseudonimo di Giga Melik, dipinge con tenerezza e raffinato umorismo il tentativo, a volte tragicomico, di un padre di comprendere il proprio figlio nell’era della rivoluzione virtuale.

Alessandro SchwedCome è nata l’idea di scrivere Mio figlio mi ha aggiunto su Facebook?
Avendo un figlio adolescente e soprattutto trovandomi spesso per casa frotte di suoi coetanei, ho deciso di raccontare la realtà di questa nuova generazione. Credo che il Lungo sia un esempio verosimile di adolescente moderno: immerso nella realtà virtuale, sempre on-line a giocare con la playstation o a chattare con gli amici di Facebook, comunque poco interessato alla scuola. E poi c’è il padre. Spaesato dal cambiamento del figlio, cerca di creare un rapporto con il ragazzo. Vuole superare il digital divide fra la sua generazione e quella del ragazzo, tentando un contatto anche tramite internet. Il padre, di fatto, entra in un terreno non suo, quello virtuale e quello dell’adolescenza, in cui è disorientato, vacilla ma rimane in piedi per amore del figlio.
Proprio internet, o comunque il mondo virtuale, appare nel libro come un rifugio per il giovane protagonista. Ma è così brutta la realtà?
Nella vita vera i giovani trovano sempre meno risposte alle proprie esigenze o interessi. E’ come se in questo mondo non si sentissero rappresentati. Su internet il Lungo e gli ultracorpi, come chiamo nel mio racconto i suoi amici, trovano verità iperboliche in contrasto con una realtà catatonica, monotona. Su Facebook o simili i ragazzi possono cucire la propria vita come vogliono.
Vivono, dunque, in universo parallelo con un proprio spazio, tempo e linguaggio. Non è però pericoloso rimanere troppo immersi in un luogo così effimero, in cui peraltro l’esibizionismo è diventato un fenomeno comune?
Internet non è buono o cattivo, sicuramente è rivoluzionario e dobbiamo ancora abituarci a metabolizzarlo. E’ vero, però, che Facebook e i blog sono strumenti che nutrono la moderna tendenza a creare tanti reality show su misura, in cui ciascuno è protagonista. Non condivido questo modo di fare ma penso sia temporaneo, siamo in un’epoca di cambiamenti e dobbiamo ancora trovare stabilità. Mentre le nuove generazioni si immergono in questo mondo virtuale, spetta a noi, come al padre del mio racconto, creare un ponte fra loro e la tradizione. Il Lungo non chiede che attenzione, chiede realtà e penso sia il compito dei genitori soddisfare questa domanda.
Nel romanzo, ironia e umorismo si intrecciano a momenti di tenera tristezza o di rabbia.
Nell’ebraismo c’è questa cosa bellissima di mettere vicino il riso e il pianto, basta pensare al gesto simbolico del calice spezzato il giorno del matrimonio. Anche nel giorno più bello della vita, c’è questo fatto di ricordarsi della Gerusalemme lontana. E’ un modo di tenere insieme tutto quanto ed è come se io avessi metabolizzato questa cosa. Nel libro ho voluto dare tutta la dimensione della vita perché i ragazzi, come i lettori in generale, hanno bisogno di commuoversi come di ridere.

Daniel Reichel, Pagine Ebraiche, novembre 2010

(Alessandro Schwed, Mio Figlio mi ha aggiunto su Facebook, collana Odisseo pp.192 euro 14,50)

Qui Torino - La vocazione scientifica di Primo Levi
Primo LeviSe la prima Lezione Primo Levi è stata tenuta da un letterato, l'italianista di Cambridge Robert Gordon, che ha sviscerato il tema della fortuna nel pensiero di Primo Levi, pare giusto che la seconda, nel rispetto della personalità intellettuale di questo autore, spetti a un uomo di scienza. Il Centro internazionale di studi Primo Levi ha invitato Massimo Bucciantini, docente di Storia della Scienza all'Università di Siena-Arezzo, a tenere una lezione aperta al pubblico. Il titolo sarà Esperimento Auschwitz. La Lezione Primo Levi è un appuntamento molto seguito a Torino, promosso dal Centro studi, giunto quest'anno alla sua seconda edizione. “Ci sembrava interessante cambiare punto di vista, far emergere un aspetto ancora poco conosciuto di Primo Levi”, spiega il direttore del Centro Fabio Levi, professore di Storia contemporanea all'Università di Torino. La seconda Lezione si inserisce in un percorso di approfondimento del rapporto di questo mostro sacro della letteratura italiana e mondiale postbellica con la scienza. Quest'estate infatti il Centro studi ha proposto al pubblico Il segno del chimico: dialogo con Primo Levi, una lettura teatrale realizzata da Walter Malosti, regista e interprete di punta della scena italiana, prodotta dal Teatro Stabile di Torino.
“Raccontare la vocazione scientifica di Levi - spiega Bucciantini - è l'unico modo di aprire nuove prospettive di comprensione di questo straordinario autore”. Dunque ci voleva uno storico della scienza. Il professore senese concede alcune anticipazioni sulla lectio che esporrà giovedì 11 novembre nella storica Aula magna della facoltà di Chimica, tra i banchi di legno d'inizio secolo su cui studiò il giovane Levi. “Io sono uno storico - precisa - e come tale ho bisogno di fonti e documenti. Vado alla ricerca di contesti, di rapporti. La lezione di giovedì seguirà un doppio movimento: volgerà lo sguardo tanto all'interno dell'opera di Levi quanto alla sua difficile relazione coll'esterno”. Il professore allude alla tardiva comprensione della grandezza di Levi da parte della cultura italiana. “Uscito da Auschwitz, Primo Levi fu annientato una seconda volta. L'ottusità del Parnaso italiano - le eccezioni, tra si annoverano cui Calvino e Cases, furono davvero poche - determinò il fallimento editoriale di Se questo è un uomo, pubblicato nel 1947, che l'autore visse anche come il fallimento dell'obiettivo che si era dato: raccontare Auschwitz”. Stiamo parlando di uno dei più grandi letterati italiani dell'epoca, ma, nella lettura che ne dà Bucciantini, “Levi era innanzitutto un chimico, un chimico speciale. La sua formazione scientifica determina un'attitudine mentale fondamentale anche del Levi scrittore. E proprio in ciò risiede l'assoluta originalità della sua scrittura e della sua riflessione su Auschwitz. Se non capiamo questo non capiamo Se questo e un uomo, non capiamo I sommersi e i salvati”. Non capiamo Levi, come non lo capirono gli intellettuali italiani negli anni cinquanta e sessanta. Complice quel pregiudizio antiscientifico, cifra del retaggio gentiliano che pesa sulla cultura del nostro paese? “Io non credo - replica Bucciantini - non si può dare la colpa di tutto a Croce e Gentile: bisogna riconoscere invece l'arretratezza dei letterati italiani, la loro incapacità di pensare la scienza come cultura”.
Bucciantini anticipa la presentazione di documenti inediti, testimonianza della fortuna di Levi negli ambienti scientifici. In particolare fa riferimento alla ricezione dell'opera leviana da parte di Franco Basaglia, il grande riformatore della psichiatria italiana. Incalzato su questo punto, Bucciantini non è disposto a rivelare di più: tiene alta la curiosità per l'appuntamento di giovedì. Esperimento Auschwitz. Cosa nasconde l'enigmatico titolo della lezione? “La lunga indagine di Levi - spiega Bucciantini - che va da Se questo e un uomo a I sommersi e i salvati, fa ampio uso delle categorie scientifiche, appunto. L'autore trasforma la sua tragica esperienza del sistema concentrazionario in un esperimento mentale: è l'unico che descriverà Auschwitz in questo modo. Seguendo questa via arriva a capire molte cose, altrimenti (e ad altri) rimaste oscure”. Per esempio? “Bisognerà aspettare l'uscita della sua ultima opera, I sommersi e i salvati, per vedere illuminata la zona grigia”, quello spazio di oscura acquiescenza tra le vittime e gli aguzzini, costellato di personaggi turpi e patetici. L'ultimo Levi amplia la sua riflessione, trascende la contingenza storica di Auschwitz. “Attenendosi al discorso sperimentale - il metodo scientifico per eccellenza, insiste il professore - giunge a rendere Auschwitz una categoria antropologica universale”. Ovvero? “Ovvero, non si può capire un grande stabilimento industriale senza fare ricorso alla tragica esperienza dei lager. Levi si serve di quella per capire il mondo, il suo esperimento perde progressivamente i confini di spazio e di tempo”.

Manuel Disegni

Qui Milano - L'Adei Wizo premia Angel Wagenstein
PubblicoAngel Wagenstein, con “I cinque libri di Isacco Blumenfeld” vince la decima edizione del premio letterario Adei-Wizo Adelina Della Pergola. Al Circolo della Stampa di Milano, nella splendida cornice di palazzo Serbelloni, Wagenstein, insieme agli altri scrittori della terna finalista, Assaf Gavron con “La mia storia, la tua storia” e Yehoshua Kenaz con “Paesaggio con tre alberi”, ha incontrato il pubblico, particolarmente numeroso. La serata è stata introdotta da Maria Modena, presidente della giuria letteraria, da Emanuela Trevisan, professore di Lingua e Letteratura ebraica moderna all’Università Ca’ Foscari di Venezia, e da Giorgia Greco, responsabile della sezione cultura di Informazione Corretta. Presenti anche i due finalisti del Premio narrativa ragazzi, Roberto Riccardi, con “Sono stato un numero” e Rina Frank con il libro “Vite fragili”, vincitore finale. Menzione speciale infine per “Un paese non basta” di Arrigo Levi.
Il premio letterario dell’Adei, sezione italiana del Women International Zionist Organization ha lo scopo di far conoscere al grande pubblico il mondo e la cultura ebraica in tutti i suoi aspetti. Proprio quello che fanno i libri selezionati dalla giuria composta da sole donne, che sceglie opere che raccontano la vita e la storia ebraica da prospettive totalmente differenti.
“Le fasi della vita di Isacco Blumenfeld, le terre in qui è costretto a spostarsi, gli idiomi che si ritrova a imparare, sono cinque, proprio come i Libri della Torah – ha spiegato Angel Wagenstein, classe 1922, cresciuto in Francia, partigiano catturato e condannato a morte dai nazisti, condanna a cui scampò grazie all’arrivo dell’Armata rossa - Ma in questo caso parliamo solo della vita di un semplice sarto galiziano, ebreo, che nonostante le due guerre mondiali e la permanenza in tre campi di concentramento, continua a impegnarsi per non rinunciare alla sua dignità, e al tipico umorismo ebraico, con cui guarda alle cose del mondo”.

Rossella Tercatin


Qui Firenze - La città ricorda i suoi deportati
PubblicoC’erano rappresentanti di istituzioni politiche locali e regionali, autorità militari e religiose, scolaresche fiorentine e pistoiesi e membri dell’Aned insieme al presidente della Comunità ebraica Guidobaldo Passigli, al rabbino capo Joseph Levi e a molti cittadini alla cerimonia svoltasi questa mattina al binario 16 della stazione ferroviaria Santa Maria Novella in ricordo delle centinaia di ebrei fiorentini deportati durante il nazifascismo, che proprio da quel binario 67 anni fa iniziarono il loro viaggio senza ritorno verso Auschwitz.
Davanti alla targa commemorativa che ricorda quei tragici convogli di morte, il tempo si è fermato. L’orda di pendolari, turisti e umanità varia che popola quotidianamente gli interni della stazione si è come dissolta. Il caos di mille passi affrettati, lo speaker che annuncia la partenza del prossimo treno, le reclame commerciali di volti scolpiti nella plastica si sono allontanati sempre più fino a scomparire del tutto.
La cerimonia si è aperta con l’elenco dei nomi delle vittime più giovani della barbarie nazifascista. Nome per nome, a decrescere fino ai 3 mesi di Lia Vitale. “Sono certo - ha detto il presidente Passigli rivolto agli studenti - che tornando a scuola riporterete ai vostri compagni il seguente messaggio: quello che è accaduto non deve più ripetersi”.
Presente in rappresentanza del sindaco, l’assessore comunale Rosa Maria De Giorgi ha chiesto ai ragazzi di tenere un occhio sempre vigile sulla realtà circostante. “Non dovete permettere - ha spiegato De Giorgi - che i diritti vengano calpestati. Se non ci impegniamo a impedirlo non siamo cittadini. Non valiamo niente”. Il segretario del PSI Riccardo Nencini ha invitato a non dimenticare la macchia del collaborazionismo, sottolineando come “i nostri padri e i nostri nonni siano venuti meno alla grande storia di libertà che è propria di Firenze”. Nel corso della commemorazione è intervenuta tra gli altri anche la storica Lionella Viterbo, che ha rievocato i mesi drammatici vissuti in clandestinità, di casa in casa, tra strade e piazze popolate da nazisti, fascisti e da eserciti di entusiasti collaboratori. In conclusione il rabbino capo Joseph Levi ha recitato un salmo e una preghiera funebre per i milioni di vittime della Shoah. Poi alle 12.27 la stazione che Benito Mussolini amava perché “sembra un fascio littorio visto dall’alto” è tornata alla vita di sempre. E dopo pochi minuti dal binario 16 è partito nuovamente un treno. Ma stavolta di uomini liberi, come quelli che dal 2003 ad oggi hanno portato migliaia di studenti toscani in visita tra le baracche e i forni del Male.

Adam Smulevich

pilpul
Il Collegio rabbino è utile solo a Roma?
Gianfranco Di SegniA ogni congresso dell’Ucei si ripete un “mantra” secondo cui il Collegio rabbinico italiano, con sede a Roma, serve solo per formare rabbini che resteranno nella capitale. Forse, se ci si interessasse del Collegio non solo in vista del congresso e non solo quando una Comunità è alla disperata ricerca di un rabbino, si mostrerebbe di avere una maggiore ampiezza di vedute e un pensiero a lunga prospettiva. Ma è proprio vero che i rabbini laureatisi al Collegio rabbinico sono rimasti per lo più a Roma? Come studente del Collegio da una vita, docente da vent’anni e coordinatore da due anni, sotto la direzione di rav Riccardo Di Segni, posso fornire notizie di prima mano, e non basate su voci incontrollate, riguardo a chi studia al Collegio, chi vi insegna, chi si è laureato e dove è andato dopo la laurea.
Cosa sia il Collegio e come sia strutturato non è per niente un mistero, e ne ho parlato in una recente intervista pubblicata nel numero di agosto di Pagine ebraiche. Riguardo al destino dei laureati del Collegio, limitandoci agli ultimi vent’anni, essi hanno ricoperto la cattedra rabbinica, e in alcuni casi tuttora la ricoprono, nelle seguenti Comunità: Venezia, Trieste, Padova, Bologna, Milano e Ancona. Dei laureatisi con titolo di rabbino maggiore dal 1990 a oggi, quattro rabbini sono andati in altre Comunità, cinque sono rimasti a Roma (solo tre come dipendenti della Comunità), e uno ha fatto la aliyà. Come si vede, non è affatto vero che i rabbini laureatisi a Roma “sono un patrimonio esclusivo della Comunità romana”. Oltre ai rabbini, il Collegio ha fornito regolarmente, negli ultimi anni, giovani allievi e allieve come chazanim per i chaghim e per svolgere attività socio-culturali nelle Comunità di Pisa, Siena, Firenze, Ancona e Milano. Il Collegio sarebbe disponibile a mandare i propri allievi anche in altre Comunità, che però spesso hanno manifestato scarso o nullo interesse all’iniziativa.
Passando al presente, il Collegio sta vivendo una fase di rigoglio, con classi piene e più di 100 frequentatori, dall’età scolastica fino a quella adulta. Il corso superiore, che abilita al conseguimento del titolo di rabbino maggiore, conta 6 iscritti (di cui uno in yeshiva in Israele), un numero che da anni non si vedeva. La maggior parte di questi allievi (già in possesso del titolo di maskil) hanno intenzione di intraprendere una carriera rabbinica nell’ambito delle Comunità ebraiche italiane.
Le prospettive sono quindi incoraggianti. Molto resta ancora da fare, ovviamente. Bisognerebbe attirare un maggiore numero di allievi, aumentando l’offerta didattica e la qualità dell’insegnamento, soprattutto nelle prime classi della scuola media e del liceo; bisognerebbe aumentare il numero di coloro che si sentano attratti dalla carriera rabbinica, e su questo anche le Comunità e le stesse famiglie si dovrebbero impegnare. L’unica cosa che non si può fare è affossare il Collegio rabbinico italiano, dislocandolo altrove (come è stato detto) o diminuendo l’impegno culturale, economico e istituzionale dell’Ucei. Meno l'Unione investe nel collegio, più problemi ci saranno in futuro per tutto l'ebraismo italiano, e viceversa. Ben venga invece l’apertura di altri collegi rabbinici, come la Scuola Margulies-Disegni di Torino, di cui abbiamo letto l’imminente riapertura, e il rafforzamento del collegio di Milano, che è incomprensibile come mai ancora non possa operare a pieno titolo.

rav Gianfranco Di Segni, Coordinatore del Collegio rabbinico italiano

Un progetto per salvare via Tasso
Tobia ZeviA leggere queste cifre non so se ridere o piangere: il Museo storico della Liberazione di Roma, quello di via Tasso, rischia di chiudere. Il Governo ha infatti tagliato nel 2010 i fondi da 50 mila a 42.500 (quarantaduemilacinquecento!) euro, di cui solo 15 mila effettivamente erogati. Antonio Parisella, presidente del Museo, ha imboccato la strada virtuosa del fund raising, racimolando circa dieci mila euro (cioè più del 20 per cento del totale) da privati e scuole, ma la situazione non è tranquilla.
Il tema è davvero serio, perché via Tasso è un patrimonio di tutta la città, perché tra quelle mura furono torturati e uccisi antifascisti, ebrei, militari. Nell’epoca in cui si parla sempre di memoria, fa sorridere l’idea che un’istituzione di questa portata debba elemosinare pochi spiccioli, e solo per carità di patria evito di paragonare questa cifra con i soldi che ogni anno vengono garantiti alle sagre più sfigate in ogni angolo del paese: ci sarebbe semplicemente da vergognarsi!
Hic stantibus rebus, e visto che in Italia i monumenti più importanti crollano per la totale assenza di manutenzione, oltre a lamentarci proviamo ad affrontare la questione da un’altra angolatura: i pochi soldi che ci sono, cerchiamo di spenderli bene. Tutti noi apprezziamo l’attivismo del singolo insegnante di scuola, del singolo assessore comunale, della singola associazione, che ogni anno si sforzano di organizzare qualcosa per la Giornata della Memoria, di reperire qualche ospite dall’agenda già fitta di appuntamenti, di inventare qualcosa di apparentemente nuovo.
Però questo proliferare di iniziative raramente si traduce in qualità, e rappresenta una grande dispersione di risorse. A dieci anni dall’istituzione della Giornata della Memoria sarebbe forse il caso di razionalizzare: se in Parlamento si procedesse a una mappatura delle iniziative, dei Musei, delle associazioni, dei Comuni che si occupano di memoria, ci si renderebbe probabilmente conto che molte cose possono essere accorpate, altre tranquillamente soppresse, altre beneficamente soppresse, altre ancora trasformate. Evidentemente nessuno dovrebbe imporre nulla, ma non escludo che, sentendosi parte di un progetto più ampio, molti sarebbero disposti a venire incontro alle esigenze collettive.
Procedendo in questa direzione, sono certo che qualche euro in più per il Museo di via Tasso uscirebbe sicuramente…

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas

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notizieflash   rassegna stampa

Rosetta Ester Bauducco Segre

Cordoglio e solidarietà fra gli ebrei del Piemonte per la scomparsa della signora Rosetta Ester Bauducco Segre, moglie del professor Vittorio Dan Segre. La Comunità Ebraica di Torino ha comunicato con un messaggio di unirsi al dolore del professor Segre e dei suoi familiari ricordando che i funerali partiranno domani, mercoledì 10 novembre, alle 9 da corso Massimo D’Azeglio 12 per proseguire al Cimitero Ebraico di Torino in corso Regio Parco 80, dove alle 10 avverrà la tumulazione. I redattori e i collaboratori del Portale dell'ebraismo italiano si stringono in questo momento di dolore attorno a Vittorio Dan Segre (che dona regolarmente ai lettori del portale e di Pagine Ebraiche elementi preziosi della sua esperienza e della sua saggezza) e ai suoi cari. Baruch Dayan ha-Emet.


Qui Milano - Amos Oz
con il Centro Peres per la pace

Lo scrittore israeliano Amos Oz ha partecipato alla serata organizzata dal Centro Peres per la pace al Teatro Franco Parenti. All’incontro, presentato da Andrée Ruth Shammah, direttore del Teatro di via Pier Lombardo, hanno preso parte Rodolfo De Benedetti e Manuela Dviri, oltre a Ron Pundak, direttore generale del Peres Center For Peace, che ha illustrato la struttura e la finalità dell’organizzazione... »

 

La notizia della giornata è la decisione del ministero israeliano dell’edilizia di pubblicare il piano per la costruzione di un certo numero di appartamenti (900 o 1200, a seconda delle versioni, in sostanza una quindicina di palazzi di abitazione) nei sobborghi di Gesuralemme. Tanto basta ai palestinesi per dire che “Così Israele distrugge i negoziati” (Scuto su Repubblica) e all’amministrazione Obama di dirsi “profondamente delusa” (Battistini sul Corriere della sera), per non parlare dello “schiaffo ai palestinesi” come la vede il Messaggero. In realtà Israele ha sempre detto di considerare Gerusalemme esclusa dal blocco delle costruzioni negli insediamenti, ha dichiarato la fine del blocco due mesi fa, dopo i dieci mesi promessi, e inoltre non si tratta in questo caso di costruzioni ma di un passo burocratico che di gran lunga le precede. Tutto questo ai giornali (e all’amministrazione americana e naturalmente ai palestinesi che hanno scelto di farne un caso) non importa affatto.... »

Ugo Volli


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