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14 novembre 2010 - 7 Kislev 5771
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l'Unione informa
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino 

"Nelle generazioni passate potevano basare l'educazione ebraica sulla yirah - sul timore. Oggi noi dobbiamo educare basandoci sulla ahavah - sull'amore: questa è l'unica strada per influenzare i nostri studenti. Dobbiamo dare loro la dolcezza e la piacevolezza della Torah." (Rav Gershon Edelstein, rosh yeshivat Ponevezh - una delle più importanti jeshivot lituane in Israele - in occasione della terza conferenza sull'educazione del cosiddetto mondo ultraortodosso, martedì scorso).

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
“Andate oltre il pregiudizio, Conoscete i Rom”. E’ lo slogan con cui è stata lanciata  nel giugno scorso “Dosta” (“Basta” in lingua romanes) la campagna promossa dalla Comunità europea per promuovere anche in Italia una maggiore conoscenza della cultura dei Rom e dei Sinti. Ci vuole sicuramente tempo perché un pregiudizio radicato, coltivato e ripetutamente rinfrescato inizi a retrocedere. Non sarebbe privo di significato, per questo, e forse aiuterebbe, che il 5 dicembre all’apertura del prossimo Congresso dell’UCEI insieme ai molti saluti delle autorità, che certo non mancheranno, ci fosse anche lo spazio e il tempo per ascoltare le parole di qualcuno che è oggetto di pregiudizio. Per tenere i riflettori accesi e gli occhi fissi su una questione di giustizia e per ricordare che una società giusta non è un regalo, ma un impegno.

davar
I giovani e Yeud, la svolta della formazione
YeudFesta grande stamane al Centro Biliografico dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane per i giovani partecipanti al corso di formazione Yeud. In occasione dei lavori del Consiglio Ucei, alle presenza di molti Consiglieri, del presidente Ucei Renzo Gattegna, della vicepresidente Claudia De Benedetti e del direttore del dipartimento Educazione e Cultura rav Roberto Della Rocca, hanno ricevuto l'attestato per il completamento del corso avanzato Alice Silva, Benedetto Sacerdoti, Claudia Di Nepi, Diletta Perugia, Ruben Gorjian, Vito Kahlun.
Hanno ricevuto l'attestato del Corso universitario di formazione Angelo Moscati, Ariel Bruckmayer, Daniele Di Nepi, Davide Lascar, David Della Rocca, Federica Di Castro, Gady Piazza, Genny Di Consiglio, Massimo Sed, Micaela Di Nepi, Miriam Lanza, Moshe Polacco, Nicolas Michele Nemni e Ylenia Tagliacozzo. Tutti i partecipanti hanno ricevuto, oltre l'attestato, anche sei crediti formativi del Corso di laurea in studi ebraici.


Qui Biella - Carlotta Noemi Rizzetto "Giusta" fra le nazioni
Carlotta RizzettoNome: Carlotta Noemi Rizzetto. Religione: ebraica. Cambiare identità, cambiare nome e religione, fingersi ebrea quando il solo esserlo significava deportazione. Tutto per salvare la vita del piccolo Bruno, dieci anni, solo, impaurito, con un confine a dividerlo dalla sua famiglia. Da Biella a Como, da Como alla Svizzera, nonostante i fascisti, nonostante i nazisti, la tata Carlotta è rimasta sempre accanto ai Vitale, mettendo a rischio la propria vita pur di mantenere unita la famiglia. E ieri il suo eroismo, il suo coraggio è stato ricordato con il conferimento dell’attestato e della medaglia di Giusto fra le Nazioni alla Sala consiliare del Comune di Biella. L’onorificenza è stata consegnata dal Consigliere dell’Ambasciata d’Israele a Roma Livia Link al nipote della Rizzetto, Roberto Del Piano. Presenti alla cerimonia oltre alle autorità cittadine, i figli Vitale, il vicepresidente della Comunità di Torino Edoardo Segre, il vice rabbino di Torino Avraham De Wolf e il presidente della Comunità di di Vercelli Rossella Bottini Treves.
“Come si legge nel Talmud – ha sottolineato nel suo discorso Livia Link, dopo l’introduzione storica di Emilio Jona – chi salva un essere umano è come se salvasse il mondo intero. La storia di Carlotta Rizzetto è un esempio di come anche in un momento buio per l’umanità come la Shoah, i singoli siano riusciti a portare la luce, a non dimenticare la moralità e non rimanere indifferenti davanti alla sofferenza e al dolore”.
L’esodo della famiglia Vitale inizia dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Con l’arrivo dei tedeschi, Biella non è più una città sicura, soprattutto per gli ebrei. Così il padre Maurizio decide di provare a varcare il confine e cercare rifugio in Svizzera. “Prima partirono mia madre e i miei due fratelli – ha ricordato Bruno Vitale – mentre il giorno seguente io lasciai la città con mio padre. Eravamo ai primi di dicembre. Avevo freddo e paura. Mio padre, quando salimmo in treno, direzione Milano, mi sistemò al fondo della carrozza e mi disse ‘tu stai qui, io mi siedo più avanti. Se dovessero portarmi via, se un poliziotto dovesse arrestarmi, tu fai finta di niente, non guardarmi. Tu non mi conosci’. E mi diede il biglietto per il viaggio e l’indirizzo di Como dove avremmo dovuto raggiungere il resto della famiglia”. A Como però i Vitale scoprono che i contrabbandieri non sono disposti a portarli tutti e cinque in Svizzera. Uno deve restare indietro e così il piccolo Bruno rimane con la governante, Carlotta Rizzetto. “Una donna speciale, dal valore umano eccezionale, sempre a disposizione degli altri”, rammentava con un sorriso malinconico e commosso Bruno. Una donna che decide di falsificare la sua carta di identità per accompagnare oltre la frontiera il ragazzo di dieci anni. Carlotta aggiunge al proprio documento il nome di Noemi e modifica i dati sulla propria religione, dichiarando di essere di fede ebraica. “Altrimenti – ha spiegato l’altro fratello Vitale, Riccardo - non sarebbe stata accetta in Svizzera. Tra l’altro mantenne sempre, lungo la sua vita, il nome di Noemi che fece scrivere anche sulla sua tomba. Per noi era parte integrante della famiglia, era una seconda madre”.
Carlotta Noemi Rizzetto e Bruno Vitale si mettono, dunque, in cammino. Dopo due giorni estenuanti, attraversando a piedi sentieri scoscesi e con il rigido inverno a complicare le cose, i due arrivano al confine. “I contrabbandieri ci dissero – ha raccontato Bruno - di fare attenzione a non toccare la rete di confine perché altrimenti saremmo stati scoperti. Sopra vi erano posizionati dei campanelli che avrebbero potuto suonare al minimo spostamento. Sentivamo l’abbaiare dei cani dei tedeschi avvicinarsi e la paura saliva. Ci nascondemmo per un po’. Poi dopo ore di ricerca, trovammo un avvallamento e finalmente riuscimmo a passare”. Una volta in Svizzera, Bruno e Carlotta vengono portati davanti al giudice: varcare il confine senza permesso è reato. Il magistrato vuole dividere la tata dal ragazzo a causa dei cognomi diversi ma “forse il mio pianto, la mia solitudine lo convinsero a lasciarmi con Carlotta”. Quattro o cinque giorni e la famiglia è di nuovo riunito, grazie al coraggio di una tata fuori dal comune.
“E’ un piacere immenso – ha affermato commosso Del Piano, nipote della Rizzetto, durante la cerimonia – essere qui e poter ricordare il cuore immenso di mia zia. I suoi figli erano i fratelli Vitale, la sua famiglia era la famiglia Vitale. Sarebbe stata sicuramente felice di ricevere questo grande onore”
In conclusione il sindaco di Biella, Donato Gentile, ha voluto ricordare hai ragazzi presenti la necessità di ricordare la Shoah e, più in generale, di studiare la storia perché è uno strumento indispensabile per la formazione di una coscienza civile. E’ stato, inoltre, rispettato un minuto d silenzio in memoria delle vittime della tragedia della Shoah.

Daniel Reichel


pilpul
Davar Acher - I ripetitori e noi
Ugo Volli
Per chi  si trova come me a seguire giorno per giorno la stampa e le polemiche politiche intorno all'ebraismo e a Israele, la sensazione dominante, a tratti asfissiante, è la ripetizione: il ritorno ossessivo degli stessi temi, degli stessi argomenti, delle stesse polemiche. Un circolo non nicciano, un ritorno dell'identico che non induce saggezza, ma noia e sconforto.
Vediamo per esempio le ultime note di cronaca. Prima c'è stato quel professore di provincia che non voglio nominare, a ritirar fuori le storie (scipite se non fossero oltraggiose, semplicemente stupide se non riguardassero un lutto così grande) sull'"industria" della Shoà, sul numero dei morti, sull'uso politico di Auschwitz per favorire Israele. Quante volte abbiamo sentito queste cose? Quante volte abbiamo ribattuto, argomentato, spiegato? Abbiamo fatto un appello riguardo a questo stesso personaggio due anni fa, ottenendo – sembrava – la cancellazione del suo master. Invano, a quanto pare, perché l'ha rifatto e certamente lo rifarà, lui come quegli altri Faurisson, Irving  & company, sempre pronti a rifriggerci la stessa canzone. La ripetizione negazionista non argomenta sulle nostre risposte, si limita a riproporre il suo dubbio cinico e vigliacco, ignorando ogni altra voce.
Poi è stata la volta del sinodo dei vescovi, che ha ripreso invece il ritornello dell'"ingiustizia" di Israele, riparazione della Shoà a danno dei poveri innocenti indigeni palestinesi. Quante volte abbiamo dovuto ripetere che gli ebrei non sono mai stati assenti da Eretz Israel negli ultimi tremila anni, né Eretz Israel dai loro cuori? Quante volte abbiamo spiegato che l'impresa sionista precede di mezzo secolo la "soluzione finale", che la dichiarazione Balfour è del '16, ripresa poi nei trattati internazionali che chiusero la prima guerra mondiale; quante volte abbiamo ricordato i pogrom palestinesi del '29 e '36, la collaborazione del Muftì con Hitler, quante volte abbiamo detto che nel '47 Ben Gurion accettò la divisione dell'Onu e invece gli arabi la rifiutarono, che la guerra viene da loro? Invano anche qui. I vescovi ci ricantano la vecchia favola dei palestinesi innocenti e dei cattivi imperialisti israeliani con le loro colonie. In questo caso con un pizzico di teologia popolare: dato che un ebreo di nome Gesù è stato ammazzato dai romani, noi abbiamo perso il diritto a rivendicare la nostra terra. Chiaro, no? Non si discute. Israele non ha diritto di parola, se replica e quando argomentiamo le sue ragioni, è come parlare al muro.
Il capitolo successivo è stato Pio XII e la serie televisiva che lo esalta. Abbiamo avuto cento volte un bel dire che non ce ne importa nulla della beatificazione cattolica, che i ritratti sugli altari delle chiese non ci interessano, e che però avremo bene il diritto di discutere su chi ci ha aiutato nel momento delle stragi e chi non l'ha fatto, di essere grati a chi ci ha salvato e non a chi la Chiesa vuol promuovere per ragioni sue. Abbiamo documentato – non ci voleva molto, in verità -   quell'assordante silenzio di papa Pacelli prima durante e perfino dopo la Shoà, abbiamo chiesto invano di accedere agli archivi per verificare se davvero, come dicono, siano state emanate istruzioni segrete per la solidarietà nonostante l'evidente pubblico distacco; ci ribattono le solite stupidaggini, che dobbiamo pensare di più al rabbino Zolli buonanima, che Golda Meir ha addirittura mandato un telegramma educato in Vaticano in morte di Pio XII, che prima era arrivata perfino un'orchestra a cercare rapporti culturali, come se queste fossero medaglie al valore e non atti di cortesia, e che insomma, faremmo meglio a stare zitti, perché lo sceneggiato Rai era semplicemente ottimo dato che mostrava il grande aiuto che papa Pacelli ci diede, e se non ce n'eravamo accorti prima, peggio per noi, adesso siamo avvertiti e faremmo meglio a conformarci. Ripetizioni arroganti.
E quando il presidente dell'Ucei ha cercato di spostare il discorso sulla famigerata preghiera del Venerdì Santo, la cui nobile richiesta è la conversione degli ebrei, cioè in buona sostanza che gli ebrei finalmente si tolgano dai piedi come entità collettiva, un nuovo grande silenzio segue, un silenzio nobile, solenne, dilatato, in cui si compendia la sovrana sapienza di un regno molto più che millenario, che dei perfidi non cura: un silenzio ripetuto anche lui, "fin de non recevoir", come si dice in diplomazia. Ma il papa invece subito dopo ci assicura che "il dialogo con gli ebrei è prezioso", "nonostante vi siano stati nella storia momenti in cui il rapporto è stato teso". Teso, ecco. "Certo, queste affermazioni non significano misconoscimento delle rotture affermate nel Nuovo Testamento nei confronti delle istituzioni dell'Antico Testamento. [...] Tuttavia questa differenza profonda e radicale non implica affatto ostilità reciproca." (Ansa 11 novembre 2010). Queste sono, badate, le conclusioni del Papa del sinodo dei vescovi, tratte senza nominare Israele e alludendo in maniera criptica alla teoria della "fine del popolo eletto", esposta alla stampa dal presidente della commissione del sinodo. E' la stessa minestrina calda che avevamo sentito durante la sua visita alla sinagoga di Roma, con lo stesso rifiuto di anche solo di nominare Israele e la stessa bizzarra idea della necessità di superare l'"ostilità reciproca", come se noi avessimo chiuso nei ghetti loro, noi bruciato i loro libri e ammazzato allegramente i loro fedeli... Gesti ripetuti nella totale noncuranza dell'altro.
Ripetizioni, ancora ripetizioni... ci sono consolazioni e moralità nella ripetizione, per esempio della preghiera o degli obblighi e degli affetti della famiglia, come scrisse Kierkegaard in uno dei suoi libri più curiosi. Ma nel dialogo, nella discussione politica, la ripetizione è mancanza di ascolto e di considerazione. Essere così circondati da ripetenti dovrebbe farci pensare. Perché noi abbiamo grande accesso alla sfera pubblica, parliamo molto. Ma poi non abbiamo risposte fuori dalle ripetizioni più ostinati che ci ributtano addosso stereotipi millenari. A che serve parlare a chi ci ripete sempre la stessa cosa?

Ugo Volli

Verso il matrimonio civile in Israele?
rabello
Recentemente la Knesset ha approvato "il patto di dualità" (coppia) per due persone "senza religione" onde due persone considerate dal Rabbinato israeliano come non-ebree potranno sposarsi civilmente in Israele; l'ammontare dell'imposta di registrazione è uguale a quello di un matrimonio religioso. Se da un lato si tratta di un provvedimento che risolverà solo pochi problemi personali, dall'altro si è venuto a creare un precedente per un riconoscimento del matrimonio civile per chi lo voglia.

Alfredo Mordechai Rabello Università Ebraica di Gerusalemme

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Netanyahu: "Le proposte Usa
sono in fase di elaborazione"
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Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, aprendo oggi a Gerusalemme la seduta del Consiglio dei ministri ha dichiarato che è ancora in fase di elaborazione il pacchetto di proposte avanzate dagli Stati Uniti a Israele al fine di rilanciare le trattative di pace con i palestinesi. Riferendosi al contenuto del suo recente colloquio con il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, Netanyahu ha detto che "quelle proposte non sono ancora definitive, sono in fase di elaborazione. 
 
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