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28 novembre
2010 - 21 Kislev 5771 |
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Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino
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"C'è
chi pensa che i tesori debbano essere protetti da cani da guardia.
Penso invece che i tesori debbano essere mesi a disposizione di tutti".
Così ieri sera rav Steinszaltz, che ha terminato la sua monumentale e
quarantennale opera di traduzione e commento del Talmud babilonese, mi
ha spiegato il senso della sua attività.
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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Giovedì scorso è uscito un
volume, a cura di Marco Belpoliti e Enrico Manera, (si tratta del n. 31
della rivista “Riga”, edita da Marcos y Marcos) dedicato a Furio Jesi
(1941-1980), uno degli studiosi italiani più innovativi del secondo
dopoguerra. Un intellettuale che ha intuito con intelligenza e acutezza
straordinaria la necessità che si lavorasse sul mito, più che come
racconto, soprattutto come macchina narrativa che genera desiderio,
entusiasmo, eccitazione e, soprattutto, determinazione “a fare”. Una
condizione, emozionale e mentale, che nel passato ha indotto milioni di
individui a “fare” misfatti enormi (compreso dare e darsi la morte) con
serenità, talora con gaiezza, sulla base della identificazione con il
mito e con un “capo” che si riteneva che quel mito incarnasse. Ho
scritto passato?
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Dossier - Speciale Talmud |
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Qui Roma - Talmud, dal rogo alla rinascita
Ultima
giornata della visita del rav Adin Steinsalz a Roma. Anche oggi per lui
un agenda fitta di incontri. Stamane, fra le altre cose, ha
inaugurato il nuovo anno accademico del Collegio rabbino italiano. Ma
l'evento culmine, fortemente voluto dal rav, per celebrare la chiusura
del suo quarantennale lavoro di traduzione del Talmud babilonese, avrà
luogo alle 17 in piazza Campo de' Fiori, dove assieme al rabbino capo
di Roma, Riccardo Di Segni, al presidente della Comunità ebraica,
Riccardo Pacifici e alla presenza del sindaco della Capitale Gianni
Alemanno, avverrà una cerimonia di commemorazione del rogo del Talmud
del 1553. A questo evento seguirà poi, all'istituto Pitigliani alle
20.30, un incontro dibattito fra il rav Steinsalz e il giornalista Gad
Lerner.
Pagine
Ebraiche di dicembre in distribuzione questa settimana dedica
proprio al Talmud e alla sua secolare tradizione un dossier che nella
sua costruzione grafica riproduce in parte la complessità delle pagine
di un testo che continua a stupire per la sua profonda attualità e
costituisce il punto di riferimento per la definizione dell’identità
ebraica contemporanea.
LEGGI IN ANTEPRIMA DAL NUMERO DI DICEMBRE DI PAGINE EBRAICHE IL DOSSIER DEDICATO AL TALMUD
Speciale Talmud - Legge scritta, legge orale
Il
Talmud costituisce propriamente l’insieme di due testi: la Mishnah e la
Ghemarà. La Mishnah è un libro di regole, messe insieme da rav Yehudah
ha-Nasì (il Principe), capo degli ebrei nella terra d’Israele, intorno
all’anno 200 dell’e.v. Consiste di sei parti maggiori, ordini, che in
ebraico si chiamano sedarim. Ognuna di queste parti è divisa in grandi
trattati, detti in ebraico massekhtòt, e ogni trattato è diviso in
capitoli, detti in ebraico peraqim. Dal tempo in cui rabbi Yehudah
ha-Nasì pubblicò la Mishnah fino ad oggi, noi ebrei l’abbiamo
considerata un libro sacro, e cioè un libro che contiene le cose che D.
desidera che sappiamo. Infatti abbiamo chiamato la Mishnah Torah (Avot
1,1) e riteniamo che essa è parte della Torah di Mosè, data da D. sul
monte Sinai. Quando studiamo la Mishnah, perciò, apprendiamo cose che
D. vuole che sappiamo, nello stesso modo in cui, quando studiamo la
Bibbia, impariamo ciò che D. vuole da Israele. La Mishnah è metà della
Torah ricevuta da Mosè sul Monte Sinai, e l’altra metà è la Torah
scritta che chiamiamo Tanakh. Fino all’epoca di rabbi Yehudah ha- Nasì
il contenuto della Mishnah era stato trasmesso oralmente (Torah orale).
Quando furono date a Mosè la Torah e le Mitzvot, gli furono consegnate
tutte quante con le rispettive spiegazioni. Come illustrano i
Maestri: “Ti darò le tavole di pietra con la Torah e la Mitzvah” (Es.
24,12): la Torah è la Torah Scritta, la Mitzvah è la Torah Orale
(Berakhot 5a), ovvero la spiegazione della Mitzvah e le sue regole. Per
esempio: la Netilat Lulav di Sukkot è una Mitzvah scritta nella Torah,
ma le questioni riguardanti le sue misure e i difetti invalidanti non
sono scritti nella Torah, bensì sono trasmessi oralmente. E così è per
tutte le Mitzvot della Torah: non solo quelle che regolano i rapporti
fra l’uomo e la Divinità, ma anche quelle che relative ai rapporti fra
uomo e uomo. Vivere con gli altri, infatti, può essere causa di
conflitti. Poiché desideriamo qualcosa, e qualcun altro, per la stessa
buona ragione, la desidera pure, abbiamo delle discussioni. Poche
semplici regole di vita (“sii cortese con gli altri”, “sta attento a
non danneggiarli né con ciò che fai, né con ciò che non fai”) non sono
sufficienti. La vita è troppo complicata perché ci si prenda cura di
essa per mezzo di poche semplici regole… La Torah Orale ci vuole
aiutare a scoprire ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, sia verso gli
altri che verso noi stessi. Non sappiamo automaticamente né
naturalmente come essere buoni e come vivere nel modo in cui D.
desidera che viviamo. Dobbiamo impararlo. Rabbi Yehudah ha-Nasì
visse in un’epoca storica travagliata. Da circa un secolo i romani
avevano ormai distrutto il Santuario di Gerusalemme, che per secoli
aveva costituito il centro spirituale e ideale della nazione ebraica,
ed era cominciata una diaspora dalla durata che si annunciava
imprevedibile. La rivolta di Bar Kochbah del 133 era finita molto male
e tramontava il sogno della ricostituzione di un focolare nazionale in
tempi brevi. Le stesse tradizioni trasmesse oralmente nelle Accademie
per secoli rischiavano di andar perdute. Rabbi Yehudah prese allora la
decisione coraggiosa di “agire per D., altrimenti si sarebbe infranta
la Sua Torah” (Salmo 119, 126). Raccolse quegli insegnamenti, li
riordinò in modo sistematico e promosse la redazione scritta della
Mishnah. La pubblicazione della Mishnah segnò una svolta negli studi e
nella vita ebraica, nel senso che chiuse un’epoca, ma ne aprì
immediatamente un’altra. Infatti, invece di riportare solo quelle
opinioni o tradizioni che riteneva più autorevoli, nonché le decisioni
che i dotti avevano già assunto secondo il criterio della maggioranza
in merito ad osservanze e procedure, rav Yehudah ha-Nasì registrò anche
i punti di vista minoritari, in genere accompagnandoli con i nomi dei
Maestri che li avevano formulati (‘Eduyyot 1, 5- 6). In questo modo si
teneva costantemente aperta la discussione, al di là del fatto che una
sola di queste opinioni fosse diventata legge. La Mishnah stessa, del
resto, necessita di chiarimenti. Talvolta vi sono contraddizioni fra un
passo e l’altro. In questi casi o si riesce a dimostrare che il testo
riflette l’opinione di due Maestri diversi, ancorché non menzionati, o
che l’affinità dei casi cui si riferisce la differente disposizione è
solo apparente. In altri casi ancora si può persino dimostrare
l’esistenza di lacune nel testo della Mishnah (chassore michassera).
Come si lavora? Tenendo presente che rabbi Yehudah, allorché procedette
a redigere la Mishnah, lavorò su un materiale assai più vasto e fluido,
che sottopose ad una selezione assai serrata. Ma proprio la parte
“rimasta fuori” (in aramaico baraytà, “esterna”) diviene ora
interessante per la ricostruzione del pensiero originario del redattore
e del senso esatto della Mishnah. Un po’, per intenderci, come non si
può prescindere dallo studio del Fermo e Lucia per comprendere a fondo
la genesi dei Promessi sposi! Dal confronto fra la Mishnah e le
Baraytòt con la relativa discussione nasce il Talmud, nella sua duplice
redazione. Quella cosiddetta palestinese (o Talmud Yerushalmi), redatta
in terra d’Israele prima dell’editto di Costantino (311), che pose
virtualmente fine ad ogni produttività accademica nella terra dei
Padri; e quella babilonese (o Talmud Bavlì), portata a termine in
Babilonia entro l’anno 499. Per tutta una serie di ragioni, legati in
parte a fattori interni, in parte alla contingenza storica, fu proprio
il Talmud babilonese (o Talmud per antonomasia) ad assurgere alla
massima autorità. Esso accompagnò il cammino spirituale, morale e
istituzionale di noi ebrei attraverso la diaspora fino ad oggi.
rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, dicembre 2010
Speciale Talmud - Una rete di link
“Gira
e rigira che tutto vi è contenuto” (Trattato Avot). Navigando nel mare
talmudico, si possono trovare risposte a un’infinità di domande.
Migliaia di pagine in cui è trattato praticamente ogni argomento,
attuale o meno, per intero o solo accennato. E In ciascun passo si
possono trovare rimandi ad altri brani, in una rete sconfinata di
intrecci e collegamenti testuali. È un ipertesto. L’analogia,
forse un po’ blasfema, con Internet è chiara. Come il Talmud, la rete
delle reti mette in connessioni centinaia di migliaia di pagine, di
siti, di parole. Un universo linkato in cui ciascuno, come in un mare
immenso, può navigare per ore. “Quando guardo le pagine del Talmud e
vedo tutti questi testi uno vicino all’altro, intimi e invadenti come
bambini di immigrati che devono dormire nello stesso letto - scrive il
giornalista e scrittore Jonathan Rosen nel suo libro Il Talmud e
Internet. Un viaggio tra mondi (Einaudi) - mi viene comunque in mente
la cultura frammentaria e caleidoscopica di Internet”. Il
pilastro della tradizione ebraica, assieme alla Torah ovviamente, e il
figliol prodigo dell’era moderna. Un binomio che, come si è visto, ha
Imprevedibili somiglianze quanto profonde differenze. Internet è il
campione della globalizzazione, attraverso il world wide web le
persone, gli utenti, hanno l’opportunità di raggiungere, nel modo più
semplice possibile, qualsiasi argomento. Tutto è a portata di tutti, in
una semplificazione a larghe spanne. Non ci vuole un esperto di
informatica per poter accedere a un determinato sito. Persino il
linguaggio, in alcuni casi, è semplificato. Un mare, quello virtuale,
decisamente più facile da navigare rispetto all’immenso e complicato
Talmud. Scritto in aramaico, intenzionalmente in maniera sintetica e
criptica, il testo talmudico è tutto fuorché di semplice comprensione o
accesso. Si pensi che, quantomeno nella versione originale, non ci sono
i segni di punteggiatura né delle vocali né i segni d’interpunzione,
per cui spesso non si riesce a comprendere se la frase letta sia una
domanda o un’affermazione. Inoltre, come ricorda rav Gianfranco
Di Segni, “è indispensabile la presenza di un maestro e, ovviamente,
l’ausilio dei commentatori come Rashì, senza il quale sarebbe
praticamente impossibile lavorare”. Tornando alle affinità e al
racconto di Rosen, lo scrittore americano osserva che “il Talmud ha
offerto una casa virtuale a una cultura sradicata ed è nato dalla
necessità del popolo ebraico di confezionare la civiltà in parole e
vagare per il mondo”. E internet, suggerisce Rosen, conferisce un
simile senso di diaspora, “la sensazione di essere ovunque e da nessuna
parte. Dove se non nel mezzo della diaspora hai bisogno di una Home
Page?”. L’intreccio tra il web e l’opera talmudica non è però solo
culturale. Internet, infatti, può essere un utile strumento per
condividere, discutere, confrontarsi. Un luogo virtuale, attuale in cui
anche un trattato di millenni può trovare la propria pagina.
Pagine Ebraiche, dicembre 2010
Speciale Talmud - Daf Yomi: le pagine, i giorni
Al
ritmo di una pagina al giorno ci vogliono sette anni e mezzo per
concludere la lettura dell’intero Talmud. E proprio con questo passo,
lento ma costante, procede il programma Daf Yomi che attraversa il mare
dell’antico testo leggendo una pagina (daf ) al giorno (yomi). Il
sistema fu ideato da rav Meir Shapiro, rabbino di Pietrkov e Lublino,
che lanciò l’idea al primo congresso mondiale di Agudat Israel a Vienna
nel 1923. L’obiettivo era quello di riunire con cadenza quotidiana gli
ebrei di tutto il mondo nello studio della medesima pagina talmudica
diffondendo così i fondamenti del pensiero ebraico e consentendo anche
ai meno istruiti la possibilità di completare le 2711 pagine. Da allora
i cicli di lettura si sono susseguiti fino a giungere a quello
attualmente in corso, il dodicesimo, avviato il 2 marzo del 2005. La
conclusione, d e n o m i n a t a Siyum HaShas, il completamento dello
Shas, acronimo per Shisha Sidrei, i sei Ordini (sottinteso della
Mishnah), avrà luogo il 2 agosto 2012 e promette di essere un evento
mondiale. Daf Yomi raccoglie infatti l’adesione di migliaia di persone
che ogni giorno, per sette anni e mezzo riescono con ferrea disciplina
a dedicare un’ora alla lettura o allo studio di gruppo del Talmud. È
un’impresa non facile, che in buona parte si svolge fuori delle
classiche yeshivot, nelle case e negli uffici e che è capace di
suscitare grandi entusiasmi, tanto che di solito chi completa un ciclo
intraprende quello successivo.
Pagine Ebraiche, dicembre 2010
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Qui Torino - "I rabbini, le comunità, lo sguardo al futuro" |
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Una
selva di barbe lunghe e cappelli scuri, un vociare confuso in cui si
sovrappongono le lingue più diverse, dall'ebraico al francese, dal
polacco allo spagnolo, dal portoghese all'inglese passando per il
francese e lo svedese. Poi tutti si impegnano a trovare una lingua
comune. Davvero chi è passato per la sinagoga di Torino di piazzetta
Primo Levi in questo Shabbat non ha potuto non sorprendersi
dell'atmosfera intensa e insolitamente internazionale che vi si
respira. Termina oggi il Convegno rabbinico ospitato dalla Comunità
ebraica di Torino: Le comunità europee con lo sguardo al futuro, il
Rabbinato in Europa. L'organizzazione
ha visto coinvolti numerosi enti dediti all'educazione ebraica:
l'Istituto Ethel e Adolf Beren, il Seminario rabbinico Joseph Strauss,
la scuola rabbinica Margulies-Disegni, la Fondazione Marchese De Levy e
l'Organizzazione mondiale sionista. “Si tratta del primo convegno
rabbinico che si tiene a Torino dal 1950”, fa notare qualcuno. Venti
rabbini, accompagnati dalle rispettive famiglie, si sono dati
appuntamento nella comunità subalpina per lo Shabbat appena trascorso.
Provengono, per lo più, da piccole comunità di Norvegia, Svezia,
Polonia, Germania, Inghilterra, Francia, Portogallo, Italia e
Repubblica Ceca. “Abbiamo qui rappresentata una nuova
generazione di rabbini, preparati dall'Istituto Strauss Amiel”, spiega
l'organizzatore e il padrone di casa, il rabbino capo di Torino rav
Eliyahu Birnbaum. “Sono qui
riuniti per discutere diversi argomenti, sempre con lo sguardo rivolto
al futuro”, continua Birnbaum. “Certo è importante conoscere il
passato, la storia e le tradizioni del popolo ebraico, ma il compito
precipuo dei rabbini della nostra epoca è quello di programmare il
futuro delle loro Comunità”. Le tematiche affrontate vertono
intorno alle sfide più attuali, riguardanti soprattutto le realtà
ebraiche europee medie e piccole. Si parla di istruzione, di
avvicinamento degli ebrei lontani dalle comunità, degli strumenti e dei
metodi per migliorare lo studio della Torah nelle comunità. Trovano
spazio anche analisi e confronti su problemi halachici che i Rabbini
devono affrontare. In virtù di un desiderio espresso dal Consiglio, il
programma del fine settimana prevede anche momenti di incontro e
discussione aperti a tutti gli ebrei torinesi. Venerdì, al termine
della preghiera mattutina, rav Daniel Simons ha pronunciato una
derashah. In serata, durante i festeggiamenti dell'accoglienza
dello Shabbat, c'è stata una derashah del rabbino capo di Modena rav
Beniamino Goldstein, seguita da una cena per tutta la comunità e da un
dibattito, animato dai rabbini e dai giovani, sull'identità israeliana
all'estero. Sabato mattina, prima della preghiera, è intervenuto
il rav Alberto Moshe Somekh di Torino a proposito dell'unicità del
metodo di definizione delle decisioni alachiche in Italia. La
consueta derashah, il commento alla parashah della settimana, è stata
tenuta da rav Shlomo Riskin, una delle figure più apprezzate del mondo
rabbinico contemporaneo. Al termine della preghiera la Comunità ha
offerto un pranzo a tutti i suoi membri durante il quale ognuno dei
rabbini ha parlato brevemente di sé e della sua esperienza nella
Comunità di appartenenza, raccontando così ai torinesi realtà
sconosciute come le comunità di Oslo, Lisbona, Cracovia, Hannover...
spiegando le rispettiva difficoltà e illustrando i successi ottenuti. La
serata di ieri è stata nuovamente aperta al pubblico, divisa in due
sessioni: le signore si sono unite al gruppo di studio per un dibattito
sul “ruolo della donna ebrea e la sua religiosità nel mondo
postmoderno”; gli uomini invece hanno studiato insieme ai rabbini
presenti. Oggi la sessione conclusiva del convegno, dopo la quale,
all'aeroporto Sandro Pertini di Caselle, forse tra gli sguardi di
qualche curioso, i numerosi rabbini si saluteranno e torneranno ognuno
alla sua comunità. L'auspicio di molti torinesi è che non passino altri
sessanta anni prima di uno Shabbat così particolare.
Manuel Disegni
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Qui Casale - Al museo dei lumi la mostra di Gerestein |
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Come
ogni anno in occasione della festa di Chanukkah un famoso artista
internazionale sta per arrivare a Casale Monferrato. La sua visita
comincerà stamane con lo scopo di accrescere la già straordinaria
collezione del Museo dei Lumi e regalare insieme a essa anche
l’emozione di una mostra all’interno del complesso della Sinagoga di
via Salomone Olper. L’artista scelto per questa edizione della “Festa
delle luci” è David Gerstein, israeliano (nato a Gerusalemme nel 1944),
famoso per le sue installazioni parietali, costituite da lastre di
acciaio sagomate, dipinte a mano e sovrapposte su due o più livelli per
formare veri e propri bassorilievi. »
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Davar Acher - Il
referendum e le paranoie
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L'articolo 138 della
Costituzione italiana stabilisce che se ne fanno richiesta un congruo
numero di elettori, di parlamentari o di consigli regionali, ogni
proposta di legge costituzionale benché approvata dal Parlamento è
soggetta a referendum, salvo che sia stata approvata da due terzi dei
deputati e dei senatori. Regole referendarie più o meno ampie esistono
in Francia, Svezia, Svizzera, Norvegia, Danimarca, Canada Australia e
molti altri paesi. Anche negli stati più attaccati al principio del
monopolio parlamentare delle decisioni, la scelta popolare diretta è
stata spesso richiesta per cambiamenti costituzionali importanti o
modifiche della sovranità, come l'adesione o l'uscita da comunità
sovranazionali, il cambiamento di forma di governo o la cessione o
l'acquisto di territori. Non è il caso di discutere qui sulla bontà del
principio referendario in sé, che ha avuto un suo ruolo importante
antipartitocratico nella politica italiana degli ultimi decenni per
opera dei radicali, ma è difficile negare che le decisioni più solenni
della vita di un paese acquistano legittimità molto maggiore se sono
approvate direttamente dall'elettorato e che l'istituto del referendum
sia una garanzia democratica. Così è accaduto in Italia per la scelta
fra monarchia e repubblica, per il divorzio e per altri casi centrali
della nostra storia recente; solo i più estremisti fra i perdenti hanno
cercato il pretesto della non chiarezza del quesito per contestare il
risultato. Del resto, chi non ha sentito vantare la democrazia svizzera
proprio per il suo frequente uso di referendum?
E però quando il parlamento israeliano ha approvato una disposizione
perfettamente analoga a quella della nostra Costituzione, cioè che
vadano sottoposti a referendum accordi internazionali che modifichino
la sovranità del paese con la cessione di parti integranti del
territorio dello Stato (come Gerusalemme e il Golan, annessi a Israele,
ma non la Cisgiordania) se non sono approvati dal parlamento con una
maggioranza qualificata, si è scatenata una violenta campagna di
denigrazione. Si tratterebbe di una "provocazione" (un portavoce della
Lega araba), di "una violazione della legalità internazionale" e di un
"ostacolo alla pace" (il presidente dell'autorità palestinese Abbas),
"una scusa per negare i diritti dei palestinesi" (Erkat, negoziatore
capo dell'autorità palestinese) "una presa in giro della legge
internazionale" (il ministro degli esteri siriano). (queste espressioni
si trovano qui). La ragione evidente è che si
teme che il popolo israeliano possa essere più resistente alle
pressioni internazionali che si esercitano contro l'establishment,
perché si immagina lo scenario di un governo "illuminato" capace di
fare "dolorosi sacrifici" contro la volontà degli elettori. Lascio il
lettore giudicare sul carattere democratico di tale posizione.
Ma se guardiamo ai modi di questa campagna, è difficile negare che gli
argomenti addotti e le espressioni usate rientrino nell'ambito delle
tre "D" (Doppio standard, Demonizzazione, Delegittimazione) proposte da
Natan Sharanski come
criterio per "distinguere la legittima critica di Israele
dall'antisemitismo". Rifiutare a Israele una forma di consultazione
popolare (il referendum) esaltata per tutti gli altri paesi è
certamente un caso di doppio standard; l'accusa di "prendere in giro"
il mondo è evidentemente demonizzante, e senza dubbio chi fa leggi per
violare la legalità internazionale è delegittimato, non ha diritto di
parlare. Ma questo non fa meraviglia: che la propaganda palestinese e
araba in generale superi spesso i limiti dell'antisemitismo non è certo
una novità.
Stupisce piuttosto che questo tipo di espressione sia fatto proprio da
qualche esponente del mondo ebraico, come ha fatto Tobia Zevi su queste pagine,
definendo la legge "più che un ostacolo alla pace sia una truffa
politica [...] un ricatto inganno" e insinuando che un eventuale
referendum potrebbe essere gestito con domande trappola. E' ovvio che
nel mondo ebraico si possa dichiarare il proprio dissenso su questa
legge come su qualunque altra, per esempio dichiarandola inopportuna,
come ha fatto Tzipi Livni alla Knesset. Ma
partire dall'idea, pur sempre discutibile e populista, che "anche in
Israele i cittadini sono assai più evoluti della classe politica che
hanno eletto" per concluderne acrobaticamente che riservare proprio ai
cittadini (e non alla classe politica) il diritto di dire l'ultima
parola su temi cruciali sia "un inganno", è forse qualcosa di peggio
del generico antisionismo degli arabi e delle sinistre, è sospetto
davvero "paranoico" per il sistema politico israeliano e disprezzo per
il suo popolo. Ma si può dedicarsi all'educazione ebraica dei giovani e
fare convegni sul principio di responsabilità a partire da posizioni
del genere?
Ugo
Volli
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rassegna
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Wikileaks,
cresce l’attesa
Gli Usa avvertono gli alleati
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Cresce l’attesa per l’annunciata pubblicazione da parte di Wikileaks,
il sito specializzato nella diffusione di documenti ufficiali
riservati, di quasi tre milioni di documenti diplomatici riservati.
Washington continua a informare i suoi alleati: ieri l’ambasciata Usa a
Roma ha avvertito il governo italiano e Hillary Clinton ne ha parlato
anche con il collega di Pechino. Ma gli Stati Uniti hanno discretamente
avvertito, fra gli altri, anche il premier israeliano... »
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