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29 novembre 2010 - 22 Kislev 5771
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Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Circolano idee strane sugli ebrei romani, oggetto di un'ipertrofica attenzione mediatica e da qualche tempo anche caso letterario. Un noto scrittore ha spiegato che dopo lo sterminio nazista si è sviluppato un complesso di inferiorità nelle famiglie romane più religiose che le ha spinte a emulare modelli di osservanza estranei, importando "divieti da secoli scomparsi dalla nostra tradizione": si parla delle regole alimentari, del Sabato, del Kippur, della lacerazione per il lutto. E questa "radicalizzazione" produce "nelle anime più laiche e illuministe della Comunità un moto di irrisione e insofferenza". Bisognerebbe meglio riflettere sul semplicismo di queste analisi. Perché se è vero che a Roma (come nel resto del mondo) c'è stata una fuga in massa dall'osservanza, questo fenomeno corrisponde a un periodo storico ben preciso, la seconda metà dell'ottocento, in cui anime belle e meno belle si sono scrollate di dosso il "giudaismo tribale". Ed è anche vero che insieme alla fuga c'è stato un distacco dalla cultura tradizionale, che ha portato alla nascita di un mito, quello di un ebraismo romano staccato dal resto del mondo ebraico dai tempi di Tito, con una sua Torah, o un suo pallido residuo, tutta speciale, chissà in cosa consistente, che per secoli non avrebbe osservato neppure il Kippur. Non c'è bisogno di essere illuminati, ma solo un po' lucidi, per riconoscere in questa grande bufala mitica il prodotto di una singolare commistione di ignoranza e spocchia classista.


Anna
Foa,
storica
   

Anna Foa
In piazza Campo de' Fiori ieri, sotto una pioggia battente, è stato commemorato, alla presenza di rav Riccardo Di Segni e rav Adin Steinshaltz, il rogo del Talmud, avvenuto a Roma il 9 settembre 1553, regnante Giulio III. Non immaginatevi una copia solitaria del Talmud data simbolicamente alle fiamme. Le copie del Talmud erano state sequestrate ovunque, e furono portate tutte al rogo, carrettate e carrettate di libri dati alle fiamme. L'accusa contro il Talmud era quella di essere un testo blasfemo ed eretico. I frati avevano discusso tre secoli per decidere se fosse più blasfemo o eretico, e alla fine era prevalsa l'idea di usare ambedue le accuse. La piazza in cui fu bruciato il Talmud era riservata principalmente, fra i molti luoghi di esecuzione della Roma del tempo, ai roghi. Vi venivano bruciati i libri, come appunto il Talmud, ma anche gli eretici, in effigie e in carne ed ossa. Ce lo ricorda la statua a Giordano Bruno, bruciato vivo in quella piazza il 17 febbraio del 1600.

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davar
Talmud - I giorni del rav Steinsaltz
SteinsaltzEra venuto a Roma innanzi tutto per insegnare e ha certamente mantenuto le attese, rav Adin Steinsaltz che ieri ha compiuto un vero tour de force dell’insegnamento, dalla mattina quando ha tenuto al Collegio Rabbinico una lezione su un Daf del trattato di Avodà Zarà, alla sera quando al Pitigliani ha voluto simbolicamente concludere l’opera di traduzione del Talmud spiegando una pagina del Masseket Taanit, il tutto dopo aver partecipato nel pomeriggio a Campo de' Fiori alla cerimonia in ricordo del rogo del Talmud del lontano 9 settembre del 1553.
Non a caso nella derashà tenuta al tempio dopo Musaf prendendo spunto dalla Parashà di Vaieshev aveva detto di non considerare neppure l’ipotesi della pensione perché ci sarà tempo di riposare nell’olam-abà.
Ieri mattina ha dapprima affrontato il senso generale del trattato poi si è concentrato sul singolo daf davanti a un folto gruppo di studenti, che ogni domenica si riuniscono per studiare con il rav Riccardo Di Segni il trattato di Avodà Zarà, spesso sui testi dello stesso rav Steinsaltz presenti nella biblioteca del Collegio.
Il trattato di Avodà Zarà come spiegato da rav Steinsaltz si occupa dei culti idolatri che son identificati soprattutto in culti greco-romani e babilonesi.

collegio rabbinicoLo scopo della lezione del rav è stato, partendo dalla pagina di Talmud, individuare la ricaduta e la rilevanza attuale di queste tematiche affrontando argomenti Halachici anche spinosi, spesso sollecitato in questo anche dalle domande interessate degli studenti.
Fra le domande a cui il rav ha risposto, molte quelle riguardanti il ghiur, il cambiamento di status da esso derivante e se possibile il suo annullamento (che il rav, salvo casi specifici, ha praticamente escluso visto l’impossibilità di una dimostrazione sulla volontà in un momento preciso).
Rav Steinsaltz ha parlato in ebraico dimostrando una straordinaria capacità comunicativa e ha catturato l’attenzione del pubblico anche attraverso divertenti aneddoti e curiosi paragoni.
Nel pomeriggio ai piedi della statua di Giordano Bruno posta a Campo de' Fiori rav Steinsaltz ha partecipato, nonostante la pioggia battente, alla cerimonia in ricordo del rogo del Talmud del 9 settembre del 1553, quando il Talmud insieme a numerosi altri libri ebraici fu bruciato pubblicamente per ordine di quello stesso Cardinale Carafa che, una volta nominato pontefice, avrebbe istituito con la bolla cum nimis absurdum il ghetto di Roma.
Di fronte all’ambasciatore israeliano Ghideon Meir, al Sindaco di Roma Gianni Alemanno il quale ha proposto al rabbino Capo della Comunità di Roma, rav Riccardo Di Segni, di intervenire nella seduta del Consiglio comunale del prossimo 20 settembre, nell’ambito delle celebrazioni dell’Unità italiana, al Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Sandro Di Castro e al presidente della Comunità di Roma Riccardo Pacifici, rav Steinsaltz ha parlato del fuoco sotto una duplice prospettiva.
Da un lato ha detto che il fuoco ha la capacità di distruggere e trasformare la materia, come accaduto in questa piazza, dall’altro lato ha ricordato che delle stesse parole di Torah è detto che esse sono scritte “fuoco nero su fuoco bianco” e quindi il fuoco rappresenta qualcosa di positivo che può e deve accendersi nell’animo dell’uomo spingendolo a compiere il bene.
Dopo la cerimonia infine rav Steinsaltz, al centro Pitigliani, ha tenuto il syyum della sua monumentale opera di spiegazione del Talmud tenendo una lezione, stavolta tradotto in italiano da rav Gianfranco Di Segni, che ha avuto come argomento fondamentale il sentimento religioso, partendo dal trattato di Taanit.
Il trattato di Taanit , è quello che si occupa dei digiuni che vengono stabiliti quando un avvenimento negativo come ad esempio una epidemia o la mancanza di pioggia colpiscono la collettività. Rav Steinsaltz ha spiegato che in realtà il tema sottostante al trattato è la differenza fra il sentimento religioso e l’ortodossia.
Lo scopo dichiarato del rav al termine della lezione tenuta è stato quello di destare l’attenzione sullo studio del Talmud sollecitando i presenti a non limitarsi a possedere i libri, ma a utilizzarli concretamente nello studio.

Daniele Ascarelli

Talmud - Il rabbino e il giornalista
Pubblico_pitiglianiCon l'incontro all'istituto Pitigliani e quindi il dibattito fra il rav Adin Steinsaltz e il giornalista Gad Lerner si sono chiuse le celebrazioni per la conclusione dell'opera monumentale di traduzione del Talmud babilonese, dall'aramaico antico all'ebraico moderno. Il rav Steinsaltz ha impiegato quarant'anni alla realizzazione di questo lavoro e grazie a lui molti potranno studiarne e capirne meglio la struttura, i valori e i principi ebraici in esso contenuti.
Il confronto fra il giornalista e il rabbino proveniente da Gerusalemme è stato organizzato dal  rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni. Il suo obiettivo era mettere in luce e confrontare due modi diversi di interpretare il legame con l'ebraismo. In realtà a prevalere sono state le idee e le origini in comune fra i due, che si sono scambiati opinioni con toni pacati e gioiosi, mai veramente in contrasto fra loro. A moderare l'incontro è stata Simonetta Della Seta, addetta culturale all'ambasciata italiana di Tel Aviv e a fare da traduttore per il rav Steinsaltz ci ha pensato il direttore del Collegio rabbinico italiano, il rav Gianfranco Di Segni.
“Le due persone che sono al mio fianco qui stasera sono entrambi grandi comunicatori: Steinsaltz ha permesso l'accesso al Talmud a tutti e Gad Lerner si occupa, dal canto suo, di una comunicazione più attuale”, così la moderatrice ha presentato gli ospiti della serata e al tempo stesso trovato un punto di contatto fra il rabbino e il giornalista.
Il rav Steinsaltz è stato il primo a prendere la parola e rivolgendosi al suo avversario dialettico ha ironicamente affermato: “La mia famiglia era molto più a sinistra di Gad Lerner, erano in Spagna nella lotta contro Franco, forse avremmo dovuto discutere di marxismo, ma il marxismo oramai è una materia di studio solo per gli storici, neanche in Cina se ne parla più”.
Alla domanda di Simonetta Della Seta su quale fosse il rapporto dei due con il Talmud il rav ha risposto: “Io amo questo libro e su questo non possono esserci spiegazioni, un amore non si può spiegare, se fosse spiegato non sarebbe più amore”. Gad Lerner, dal canto suo, dopo aver ammesso di non aver studiato mai in profondità questo testo ne ha evidenziato il punto centrale e ciò che lo attrae, lo ha fatto citando una frase dello stesso Steinsalz: “Nessuno può studiare il Talmud senza diventare un eterno scettico”. “Utilizzare la parola scettico fa sembrare la cosa negativa ma non è così - ha affermato Lerner - Lo scetticismo di cui parla il rav è da intendere come lo sviluppo di un senso critico”. Il confronto appunto, opinioni diverse che si accavallano fra loro, ma che danno vita a un unico testo sacro. E' questo “senso critico” l'insegnamento che il giornalista ha tratto da questo testo.
Fra gli argomenti che si sono susseguiti nel dibattito si è parlato anche di Shoah e il rav a tale proposito ha affermato che “la religione della Shoah è una religione immorale, essere perseguitato non mi rende né più giusto né sapiente, voglio essere ebreo grazie al Signore e non perché sono stato perseguitato”. 

Valerio Mieli

Qui Venezia - “Gli ebrei e l'unità d'Italia"
Pubblico“Gli ebrei e l’unità d’Italia”, questo il titolo della trentacinquesima giornata di studio svoltasi ieri a Venezia, promossa dalla Comunità ebraica di Venezia nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. In apertura della giornata l’intervento introduttivo del presidente della comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto, che ha espresso la sua soddisfazione per la prosecuzione di una tradizione così importante per la Comunità ebraica lagunare: “Siamo alla trentacinquesima ricorrenza della giornata di studio, una tradizione relativamente nuova che ha messo ormai radici e che rappresenta un elemento prezioso per la cultura ebraica veneziana. Il tema di quest’anno è decisamente adeguato ai tempi che corrono. Noi ebrei italiani proveniamo da esperienze e paesi diversi, con usanze e lingue diverse. Siamo giunti qui in Italia alla ricerca di orizzonti migliori portando con noi un bagaglio di esperienze spesso penose. Nel breve periodo del risorgimento italiano abbiamo saputo trovare una prospettiva per le nostre speranze. Il processo di formazione, non sempre semplice, dell’unità d’Italia è stato per noi un periodo nel quale si sono aperte porte e finestre alla partecipazione, alla collaborazione e alla presenza ebraica nella società italiana in termini moderni, più liberali, più tolleranti e aperti al dialogo. Gli ebrei sono entrati con entusiasmo nel processo di unificazione d’Italia e credo che in pochi paesi come in Italia gli ebrei abbiano trovato una spinta tale per impegnarsi nella vita pubblica del paese su vari livelli e con diversi incarichi. La questione dell’unità d’Italia rappresenta per noi la continuazione di quella lotta con la quale siamo arrivati alla parità dei diritti, di doveri e di cittadinanza in questo paese”.
Il moderatore Riccardo Calimani, storico e scrittore, ha dato poi il via ufficiale alla giornata, in una sala Montefiore gremita, introducendo in breve i relatori e il primo intervento dedicato all’immagine ebraica della nazione italiana a cura di Francesca Sofia, professoressa di storia delle istituzioni politiche all’Università di Bologna.
Nel suo intervento la professoressa Sofia ha posto l’attenzione su un’interpretazione del concetto di nazione come costruzione culturale basata su modelli oppositivi: la stirpe, la santità e l’onore. Partendo da questi tre concetti chiave difficilmente si sarebbe potuto comprendere il processo di integrazione ebraica, presentato oggi come un modello riscontrabile a livello Europeo. Sembra che i materiali letterari e ideologici prodotti all’interno del movimento risorgimentale attingano esclusivamente alla religione cattolica, quando in realtà si rifanno a temi di carattere biblico riconducibili all’antico testamento e quindi condivisi con la religione ebraica. Dal concetto di esodo quale nazione per antonomasia al Mosè come guida per un popolo in marcia verso un ipotetico progresso, mediatore tra Dio e il suo popolo. Tale parallelismo rispecchia inoltre lo stato della maggior parte dei patrioti italiani costretti loro malgrado all’esilio.
Degli ebrei italiani e il 1848 ha parlato poi Tullia Catalan, ricercatrice di storia contemporanea all’università di Trieste, mettendo a confronto la generazione dei giovani del ‘48 e la generazione dei padri. La svolta del ’48 si esemplifica nella possibilità di dare finalmente un contributo ed essere attivi condividendo allo stesso tempo aspettative comuni. Accanto ai 220 volontari aderenti al movimento in armi vi erano inoltre tutti gli ebrei che aderirono mettendo a disposizione il proprio intelletto, la propria personalità e le proprie disponibilità economiche. Le parole d’ordine erano uguaglianza, universalità, progresso, libertà e fratellanza.  Accanto a chi sfoderava la spada c’era poi chi imbracciava invece la penna: una gruppo di giornalisti ebrei, che non scrivevano nelle riviste ebraiche, ma sulla stampa liberale e di scrittori e poeti come Giuseppe Revere. Anche la fede riveste un ruolo essenziale, in particolare alcuni rabbini provenienti dai collegi influenzarono con i loro sermoni i loro correligionari, portando avanti tematiche di natura politica e sociale come l’emancipazione. Elemento negativo identificabile in questa fase storica cruciale è la paura delle vecchie generazioni che le nuove abbandonassero le tradizioni, timore che si concretizzerà poi nell’indifferentismo religioso, l’allontanamento dei giovani da qualsivoglia pratica cultuale.
Sulle figure  del mazzinianesimo ebraico tra Ottocento e Novecento ha parlato invece lo storico Alberto Cavaglion analizzando le fonti principali che attestano i rapporti di Mazzini con la realtà ebraica. Tra queste una delle lettere dirette alla madre dove Mazzini, esule a Londra, racconta della famiglia ebraica che lo  ospitava. Per descriverli utilizza l’espressione particolare “Fui ospite in quella famiglia di stolidi buoni dei quali vi ho raccontato il pranzo” un termine inusuale stolidi buoni che potrebbe essere considerato un chiasmo del precedente appellativo in uso: “perfidi ebrei”. Il primo a recuperare questa lettera e a farne oggetto di un’analisi approfondita fu Alessandro Levi che scrisse un articolo sulla rassegna mensile del 1931 intitolato “gli amici israeliti di Giuseppe Mazzini” dove diede notizia per la prima volta delle fonti concrete su cui si sarebbero dovuto fondare il discorso sull’eredità mazziniana nell’ebraismo italiano. Nonostante l’eredità di Mazzini abbia un risvolto negativo, come l’eredità di molti altri personaggi carismatici dell’800 sfruttati dalla propaganda fascista come Nietzsche o D’annunzio, Mazzini in sé non ebbe mai nessun pregiudizio contro gli ebrei mentre dalle parole pregiudiziali della madre riscontrabile nelle lettere di risposta, ci si rende conto di come venissero visti gli ebrei a causa di una non conoscenza dell’ebraismo largamente diffuso prima dell’emancipazione. Mazzini rimane comunque un enigma per l’ebraismo italiano. E’ difficile fingere di non scorgere le colpe degli epigoni che ne hanno dato una visione unilaterale fascista e ipernazionalista, ma è anche difficile non considerare il momento in cui Mazzini è stato un simbolo nei momenti di crisi, di abbandono di difficoltà politica.
Riguardo ai critici e ai nemici dell’emancipazione ebraica nel Risorgimento è poi intervenuto Simon Levis Sullam, Ricercatore dell’Università di Oxford. La madre di Mazzini, citata in precedenza per i suoi pregiudizi contro gli ebrei, non è altro che la rappresentazione di un sentire comune di una parte consistente della società italiana. Di certo gli ebrei hanno avuto un ruolo importante nel risorgimento, ma ciò non toglie che permanessero sospetti e pregiudizi spesso con una radice di tipo religioso, teologico. Anche in ambito laico è riscontrabile la poca conoscenza del mondo ebraico e la tendenza ad avere nei suoi confronti pensieri precostituiti rispetto al ruolo economico degli ebrei e alla loro presenza nella società italiana.
Dopo la pausa pranzo sono ripresi gli interventi, moderati, per la sessione pomeridiana, da Anna Vera Sullam. In questa seconda tranche si è cercato di analizzare alcuni casi particolari come nell’intervento di Maria del Bianco, professoressa di storia delle religioni all’Università di Udine, che ha dato un quadro di quella che è la storia delle scuole rabbiniche in Italia e ha sottolineato il ruolo delle istituzioni educative ebraiche nella promozione degli ideali di unità nazionale.
Proprio degli ideali che caratterizzano il processo di unificazione nazionale si farà portavoce Abraham Lattes, di cui Gadi Luzzatto Voghera, professore della Boston University di Padova, ha disegna un ampio profilo. Abraham Lattes nacque a Savigliano, un piccolo borgo tra Cuneo e Torino, nel 1809. Il giovane Abraham sarà fra i primi studenti del collegio rabbinico di Padova e dal 1839 verrà chiamato a ricoprire la cattedra rabbinica di Venezia per poi trattenersi in Laguna per quasi mezzo secolo. Un rabbino di appena trent’anni capace di impersonare con la sua azione e con una personalità piuttosto spiccata il nuovo ruolo di rabbino del secolo. Durante la repubblica veneta di Manin fu molto attivo spronando i cittadini ebrei a partecipare alla sua difesa. In una sentenza rabbinica da lui redatta troviamo il richiamo esplicito al fondamentale compito di difendere la patria che viene assunto come compito religioso andando a dispensare coloro che avrebbero esercitato tale compito anche durante lo Shabbat.
In chiusura della giornata di studio Bruno di Porto, storico italiano e professore di Storia del Giornalismo e Storia Contemporanea all'Università di Pisa, ha delineato un quadro esemplificativo di Isacco Artom, diplomatico al servizio di Camillo Benso di Cavour. Isacco Artom fu il primo ebreo d'Europa ad occupare un alto incarico diplomatico al di fuori del proprio Paese. Nato da una delle famiglie ebraiche più importanti della città di Asti, intraprese gli studi universitari a Pisa dove venne a contatto con l'ambiente risorgimentale. Per anni collaborò con le testate giornalistiche dell'"Opinione" e del "Crepuscolo". Dopo la sua assunzione presso il ministero degli Esteri, venne chiamato da Cavour, come uomo di fiducia presso la sua segreteria, divenendo a tutti gli effetti il prototipo dell’integrazione ebraica nell’Italia risorgimentale e unita.

Michael Calimani

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pilpul
Un dizionario scomodo
Donatella Di CesareIl dialogo ebraico-cristiano ha subito negli ultimi tempi fasi di arresto. Sembra svanire la speranza che si possa trovare quella condivisione di temi, inquietudini e aspirazioni, che permetta davvero un confronto nel segno del rispetto reciproco. Il «Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento», curato da Alberto Melloni, e uscito per il Mulino in due volumi (di 1814 pagine), apre nuove prospettive, mostra la parte più aperta del mondo cattolico, dà respiro a un dialogo soffocato da posizioni oltranziste.
Il Dizionario è anzitutto uno strumento prezioso che aiuta a orientarsi nel paesaggio religioso oggi sempre più inesplorato. La rapida secolarizzazione e la tendenza ad affinare conoscenze specialistiche hanno contribuito a un pericoloso analfabetismo che porta inevitabilmente alla chiusura dogmatica. Il che è un paradosso se si pensa all’importanza del fenomeno religioso. Su questo paradosso il Dizionario sollecita a riflettere, anche con sguardo retrospettivo, scorgendo nel Novecento un secolo in cui la religione ha avuto sul piano politico un peso maggiore di quel che in genere si crede.
Il merito dell’opera è inoltre quello di offrire un quadro complessivo dei saperi storico-religiosi, una sorta di biblioteca essenziale, mettendo l’accento sui nodi della ricerca e lavorando, grazie ai rinvii trasversali, per gettare ponti e aprire varchi. Anche e soprattutto con l’ebraismo. Si potrebbero fare molti esempi, a cominciare dalla voce dedicata a Gesù. È perciò irritante, ma forse non sorprendente, che l’opera di Melloni sia stata attaccata con veemenza da diversi giornali cattolici, dall’Osservatore romano all’Avvenire. E la voce più incriminata è proprio quella sulla Shoah.
Altrove, negli Stati Uniti, o perfino in Germania, non sarebbe probabilmente successo. Ma nel panorama culturale italiano, dove mancano gli «Holocaust Studies», l’ebraistica è quasi assente nelle università, e il contributo dei filosofi è spesso ignorato, sembra quasi ovvio negare una continuità tra l’antisemitismo cristiano e il nazionalsocialismo. Come se i nazisti fossero stati anticristiani, e poi perciò antiebraici. Un bel modo per mettersi nei panni delle vittime piuttosto che riflettere sulle proprie responsabilità. Finché la Chiesa, anche in Italia, non sarà disposta ad aprire un dibattito su questo punto e a considerare al proprio interno l’impatto della Shoah, ogni dialogo sarà difficile. Anche per questo è importante per il mondo ebraico il contributo di Melloni.

Donatella di Cesare, filosofa

Kakà era della Fiorentina - Lo scoop di Pagine Ebraiche
KakàSono passati otto anni dal crack finanziario di Vittorio Cecchi Gori, dal fallimento della Fiorentina e dal triplice salto all’indietro della squadra viola ai margini del dilettantismo. Stagioni all’insegna della serenità di bilancio come le ultime targate Della Valle hanno in parte obliato il periodo più triste e amaro che i tifosi gigliati ricordino ma la ferita non si è mai rimarginata del tutto e anzi in questi giorni è tornata prepotentemente a riaprirsi. A rievocare gli incubi della gestione VCG è Pagine Ebraiche con un’intervista all’intermediario e talent scout Israel Maoz pubblicata sul numero di dicembre attualmente in distribuzione. L’intervistato è un grande esperto di calcio sudamericano e in Italia ha portato tra gli altri Cafu Zago e Marcos Asuncao. Tra singolari spaccati di vita privata e professionale Maoz rivela ai lettori di Pagine Ebraiche un aneddoto goloso: nel dicembre del 2001 il passaggio di un giovanissimo Kakà alla Fiorentina era cosa fatta. Ai tempi mister Ringo non era ancora un fenomeno di livello mondiale ma tra dribbling e giocate varie lasciava comunque intravedere il suo straordinario potenziale. Maoz era arrivato prima di tanti altri talent scout e letteralmente innamoratosene in occasione di una partita del San Paolo l’aveva proposto all’amico di lunga data Ottavio Bianchi che in quei mesi allenava la Fiorentina.
La trattativa con la società di piazza Savonarola era partita in tutta fretta e col beneplacito del padre-procuratore Kakà aveva accettato l’offerta del direttore sportivo Pavone. Mancava da convincere "solo" il San Paolo che per il suo trasferimento chiedeva cinque milioni di dollari. Una cifra che negli anni aurei Cecchi Gori avrebbe sborsato senza particolari affanni ma che era difficile da sostenere per la Fiorentina finanziariamente disastrata del 2001. Così l’offerta viola si era fermata a tre milioni non negoziabili e il San Paolo dopo averci pensato un attimo aveva gentilmente declinato l’offerta preferendo attendere che il germoglio Kakà sbocciasse del tutto per venderlo qualche tempo dopo al Milan per ben altre cifre. Tra la trattativa con i viola e il passaggio al club rossonero ci sarebbe stata anche una intermediazione andata male tra Maoz e la dirigenza laziale vanificata per una battuta di spirito di Cragnotti junior assai discutibile (“Da quando bisogna pagare per Kakà?”) che tormenta ancora la vecchia dirigenza capitolina. Scurdammoce o passato, dicono a Napoli. Tuttavia qualche domanda viene spontanea. Che squadra sarebbe stata la Fiorentina con Kakà? L’ala brasiliana sarebbe riuscita a salvare il club viola dalla retrocessione? Una sua eventuale cessione a qualche club danaroso a fine stagione avrebbe permesso alla Fiorentina di risanare le proprie casse e scongiurare il fallimento? Domande senza risposte certe ovviamente. Fatto sta che questi interrogativi sono stati in molti a porseli nelle ultime ore, da quando cioè David Guetta ha riportato sul Corriere Fiorentino lo scoop di mercato pubblicato da Pagine Ebraiche. La notizia è rapidamente circolata negli ambienti del tifo viola. In particolare su fiorentina.it, portale con migliaia di contatti unici giornalieri che rappresenta forse il miglior termometro degli umori della curva Fiesole.
A suon di commenti più o meno ironici si sono sfidati da una parte alcuni nostalgici di Cecchi Gori che della vecchia presidenza rimpiangono la passionalità dei suoi dirigenti e un nutrito gruppo di anticecchigoriani che memori dei disastri gestionali del passato preferiscono rinunciare a un briciolo di pazzia pur di vedere la Fiorentina ancora a lungo nella massima serie. Tra chi inveisce contro VCG constatando come “per aggiungere due milioni avrebbe dovuto risparmiare sul parrucchiere e sullo zafferano (il riferimento è ai suoi presunti problemi con la cocaina)” e chi ne sottolinea i meriti ricordando ad esempio come durante la sua presidenza "abbia acquistato Batistuta (che in realtà fu acquistato dal padre) e Rui Costa a due lire per poi rivenderli a 120 miliardi", lo scontro si è protratto a lungo. Sbirciando tra le pagine di commento si intercettano differenti approcci alla notizia. Amareggiato Lucabilly che si chiede “perché su fiorentina.it si debbano leggere notizie dannose come questa visto che già siamo messi male e si torna a parlare del criminale che ci ha assassinati e di un giocatore che poteva essere nostro e non lo è stato”. Sulla stessa lunghezza d’onda stefviola per cui “comunque di li a poco la società sarebbe fallita e quindi potevano comprare non solo Kakà ma anche Messi e Ronaldo tanto li avremmo persi tutti” e Marcos che ispirato da profonda compassione invita a “non sparare sulla Croce Rossa”. Ma c’è anche chi ritiene lo scoop del nostro giornale una “bufala”, chi ne trae invece linfa per dedicarlo “a tutti quelli che infamano Della Valle e rimpiangono Cecchi Gori” e chi ancora si irrita per lo scontro tra le molte fazioni del tifo e supplica gli utenti “di smettere con le bischerate”. Talvolta volano offese pesanti. Ma d’altronde nella città delle lotte infinite tra guelfi e ghibellini mettere d’accordo correnti di pensiero differenti è impresa ardua. Così la palma del commento più efficace va a Marquinos che pone fine alla controversia con una battuta: “Pagine Ebraiche nuova bibbia del calciomercato?”

Adam Smulevich

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Qui Firenze - Giovani
alla scoperta del Tempio
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locandinaIn primo piano Indiana Jones e alcuni protagonisti di uno degli episodi della saga dell’archeologo che non teme niente e nessuno ad eccezione dei serpenti. Sullo sfondo la sinagoga di Firenze con la sua inconfondibile cupola verde. Il richiamo all’avventura era evidente già a partire dalla locandina di presentazione dell’evento. E le emozioni, per i giovani ebrei fiorentini che hanno partecipato all’iniziativa del Centro Giovanile Ebraico CGEF alla scoperta del Tempio, non sono mancate. »
 
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