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29 novembre
2010 - 22 Kislev 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Circolano idee strane sugli
ebrei romani, oggetto di un'ipertrofica attenzione mediatica e da
qualche tempo anche caso letterario. Un noto scrittore ha spiegato che
dopo lo sterminio nazista si è sviluppato un complesso di inferiorità
nelle famiglie romane più religiose che le ha spinte a emulare modelli
di osservanza estranei, importando "divieti da secoli scomparsi dalla
nostra tradizione": si parla delle regole alimentari, del Sabato, del
Kippur, della lacerazione per il lutto. E questa "radicalizzazione"
produce "nelle anime più laiche e illuministe della Comunità un moto di
irrisione e insofferenza". Bisognerebbe meglio riflettere sul
semplicismo di queste analisi. Perché se è vero che a Roma (come nel
resto del mondo) c'è stata una fuga in massa dall'osservanza, questo
fenomeno corrisponde a un periodo storico ben preciso, la seconda metà
dell'ottocento, in cui anime belle e meno belle si sono scrollate di
dosso il "giudaismo tribale". Ed è anche vero che insieme alla fuga c'è
stato un distacco dalla cultura tradizionale, che ha portato alla
nascita di un mito, quello di un ebraismo romano staccato dal resto del
mondo ebraico dai tempi di Tito, con una sua Torah, o un suo pallido
residuo, tutta speciale, chissà in cosa consistente, che per secoli non
avrebbe osservato neppure il Kippur. Non c'è bisogno di essere
illuminati, ma solo un po' lucidi, per riconoscere in questa grande
bufala mitica il prodotto di una singolare commistione di ignoranza e
spocchia classista.
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Anna
Foa,
storica
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In piazza Campo de' Fiori
ieri, sotto una pioggia battente, è stato commemorato, alla presenza di
rav Riccardo Di Segni e rav Adin Steinshaltz, il rogo del Talmud,
avvenuto a Roma il 9 settembre 1553, regnante Giulio III. Non
immaginatevi una copia solitaria del Talmud data simbolicamente alle
fiamme. Le copie del Talmud erano state sequestrate ovunque, e furono
portate tutte al rogo, carrettate e carrettate di libri dati alle
fiamme. L'accusa contro il Talmud era quella di essere un testo
blasfemo ed eretico. I frati avevano discusso tre secoli per decidere
se fosse più blasfemo o eretico, e alla fine era prevalsa l'idea di
usare ambedue le accuse. La piazza in cui fu bruciato il Talmud era
riservata principalmente, fra i molti luoghi di esecuzione della Roma
del tempo, ai roghi. Vi venivano bruciati i libri, come appunto il
Talmud, ma anche gli eretici, in effigie e in carne ed ossa. Ce lo
ricorda la statua a Giordano Bruno, bruciato vivo in quella piazza il
17 febbraio del 1600.
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Talmud -
I giorni del rav Steinsaltz
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Era venuto a Roma innanzi
tutto per insegnare e ha certamente mantenuto le attese, rav Adin
Steinsaltz che ieri ha compiuto un vero tour de force
dell’insegnamento, dalla mattina quando ha tenuto al Collegio Rabbinico
una lezione su un Daf del trattato di Avodà Zarà, alla sera quando al
Pitigliani ha voluto simbolicamente concludere l’opera di traduzione
del Talmud spiegando una pagina del Masseket Taanit, il tutto dopo aver
partecipato nel pomeriggio a Campo de' Fiori alla cerimonia in ricordo
del rogo del Talmud del lontano 9 settembre del 1553.
Non a caso nella derashà tenuta al tempio dopo Musaf prendendo spunto
dalla Parashà di Vaieshev aveva detto di non considerare neppure
l’ipotesi della pensione perché ci sarà tempo di riposare nell’olam-abà.
Ieri mattina ha dapprima affrontato il senso generale del trattato poi
si è concentrato sul singolo daf davanti a un folto gruppo di studenti,
che ogni domenica si riuniscono per studiare con il rav Riccardo Di
Segni il trattato di Avodà Zarà, spesso sui testi dello stesso rav
Steinsaltz presenti nella biblioteca del Collegio.
Il trattato di Avodà Zarà come spiegato da rav Steinsaltz si occupa dei
culti idolatri che son identificati soprattutto in culti greco-romani e
babilonesi.
Lo scopo della lezione del
rav è stato, partendo dalla pagina di Talmud, individuare la ricaduta e
la rilevanza attuale di queste tematiche affrontando argomenti
Halachici anche spinosi, spesso sollecitato in questo anche dalle
domande interessate degli studenti.
Fra le domande a cui il rav ha risposto, molte quelle riguardanti il
ghiur, il cambiamento di status da esso derivante e se possibile il suo
annullamento (che il rav, salvo casi specifici, ha praticamente escluso
visto l’impossibilità di una dimostrazione sulla volontà in un momento
preciso).
Rav Steinsaltz ha parlato in ebraico dimostrando una straordinaria
capacità comunicativa e ha catturato l’attenzione del pubblico anche
attraverso divertenti aneddoti e curiosi paragoni.
Nel pomeriggio ai piedi
della statua di Giordano Bruno posta a Campo de' Fiori rav Steinsaltz
ha partecipato, nonostante la pioggia battente, alla cerimonia in
ricordo del rogo del Talmud del 9 settembre del 1553, quando il Talmud
insieme a numerosi altri libri ebraici fu bruciato pubblicamente per
ordine di quello stesso Cardinale Carafa che, una volta nominato
pontefice, avrebbe istituito con la bolla cum nimis absurdum il ghetto
di Roma.
Di fronte all’ambasciatore israeliano Ghideon Meir, al Sindaco di Roma
Gianni Alemanno il quale ha proposto al rabbino Capo della Comunità di
Roma, rav Riccardo Di Segni, di intervenire nella seduta del Consiglio
comunale del prossimo 20 settembre, nell’ambito delle celebrazioni
dell’Unità italiana, al Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Sandro Di Castro e al presidente della Comunità di Roma
Riccardo Pacifici, rav Steinsaltz ha parlato del fuoco sotto una
duplice prospettiva.
Da un lato ha detto che il fuoco ha la capacità di distruggere e
trasformare la materia, come accaduto in questa piazza, dall’altro lato
ha ricordato che delle stesse parole di Torah è detto che esse sono
scritte “fuoco nero su fuoco bianco” e quindi il fuoco rappresenta
qualcosa di positivo che può e deve accendersi nell’animo dell’uomo
spingendolo a compiere il bene.
Dopo la cerimonia infine rav Steinsaltz, al centro Pitigliani, ha
tenuto il syyum della sua monumentale opera di spiegazione del Talmud
tenendo una lezione, stavolta tradotto in italiano da rav Gianfranco Di
Segni, che ha avuto come argomento fondamentale il sentimento
religioso, partendo dal trattato di Taanit.
Il trattato di Taanit , è quello che si occupa dei digiuni che vengono
stabiliti quando un avvenimento negativo come ad esempio una epidemia o
la mancanza di pioggia colpiscono la collettività. Rav Steinsaltz ha
spiegato che in realtà il tema sottostante al trattato è la differenza
fra il sentimento religioso e l’ortodossia.
Lo scopo dichiarato del rav al termine della lezione tenuta è stato
quello di destare l’attenzione sullo studio del Talmud sollecitando i
presenti a non limitarsi a possedere i libri, ma a utilizzarli
concretamente nello studio.
Daniele
Ascarelli
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Talmud -
Il rabbino e il giornalista
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Con l'incontro all'istituto
Pitigliani e quindi il dibattito fra il rav Adin Steinsaltz e il
giornalista Gad Lerner si sono chiuse le celebrazioni per la
conclusione dell'opera monumentale di traduzione del Talmud babilonese,
dall'aramaico antico all'ebraico moderno. Il rav Steinsaltz ha
impiegato quarant'anni alla realizzazione di questo lavoro e grazie a
lui molti potranno studiarne e capirne meglio la struttura, i valori e
i principi ebraici in esso contenuti.
Il confronto fra il giornalista e il rabbino proveniente da Gerusalemme
è stato organizzato dal rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di
Segni. Il suo obiettivo era mettere in luce e confrontare due modi
diversi di interpretare il legame con l'ebraismo. In realtà a prevalere
sono state le idee e le origini in comune fra i due, che si sono
scambiati opinioni con toni pacati e gioiosi, mai veramente in
contrasto fra loro. A moderare l'incontro è stata Simonetta Della Seta,
addetta culturale all'ambasciata italiana di Tel Aviv e a fare da
traduttore per il rav Steinsaltz ci ha pensato il direttore del
Collegio rabbinico italiano, il rav Gianfranco Di Segni.
“Le due persone che sono al mio fianco qui stasera sono entrambi grandi
comunicatori: Steinsaltz ha permesso l'accesso al Talmud a tutti e Gad
Lerner si occupa, dal canto suo, di una comunicazione più attuale”,
così la moderatrice ha presentato gli ospiti della serata e al tempo
stesso trovato un punto di contatto fra il rabbino e il giornalista.
Il rav Steinsaltz è stato il primo a prendere la parola e rivolgendosi
al suo avversario dialettico ha ironicamente affermato: “La mia
famiglia era molto più a sinistra di Gad Lerner, erano in Spagna nella
lotta contro Franco, forse avremmo dovuto discutere di marxismo, ma il
marxismo oramai è una materia di studio solo per gli storici, neanche
in Cina se ne parla più”.
Alla domanda di Simonetta Della Seta su quale fosse il rapporto dei due
con il Talmud il rav ha risposto: “Io amo questo libro e su questo non
possono esserci spiegazioni, un amore non si può spiegare, se fosse
spiegato non sarebbe più amore”. Gad Lerner, dal canto suo, dopo aver
ammesso di non aver studiato mai in profondità questo testo ne ha
evidenziato il punto centrale e ciò che lo attrae, lo ha fatto citando
una frase dello stesso Steinsalz: “Nessuno può studiare il Talmud senza
diventare un eterno scettico”. “Utilizzare la parola scettico fa
sembrare la cosa negativa ma non è così - ha affermato Lerner - Lo
scetticismo di cui parla il rav è da intendere come lo sviluppo di un
senso critico”. Il confronto appunto, opinioni diverse che si
accavallano fra loro, ma che danno vita a un unico testo sacro. E'
questo “senso critico” l'insegnamento che il giornalista ha tratto da
questo testo.
Fra gli argomenti che si sono susseguiti nel dibattito si è parlato
anche di Shoah e il rav a tale proposito ha affermato che “la religione
della Shoah è una religione immorale, essere perseguitato non mi rende
né più giusto né sapiente, voglio essere ebreo grazie al Signore e non
perché sono stato perseguitato”.
Valerio Mieli
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Qui
Venezia - “Gli ebrei e l'unità d'Italia"
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“Gli ebrei e l’unità
d’Italia”, questo il titolo della trentacinquesima giornata di studio
svoltasi ieri a Venezia, promossa dalla Comunità ebraica di Venezia
nell’ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. In
apertura della giornata l’intervento introduttivo del presidente della
comunità ebraica di Venezia, Amos Luzzatto, che ha espresso la sua
soddisfazione per la prosecuzione di una tradizione così importante per
la Comunità ebraica lagunare: “Siamo alla trentacinquesima ricorrenza
della giornata di studio, una tradizione relativamente nuova che ha
messo ormai radici e che rappresenta un elemento prezioso per la
cultura ebraica veneziana. Il tema di quest’anno è decisamente adeguato
ai tempi che corrono. Noi ebrei italiani proveniamo da esperienze e
paesi diversi, con usanze e lingue diverse. Siamo giunti qui in Italia
alla ricerca di orizzonti migliori portando con noi un bagaglio di
esperienze spesso penose. Nel breve periodo del risorgimento italiano
abbiamo saputo trovare una prospettiva per le nostre speranze. Il
processo di formazione, non sempre semplice, dell’unità d’Italia è
stato per noi un periodo nel quale si sono aperte porte e finestre alla
partecipazione, alla collaborazione e alla presenza ebraica nella
società italiana in termini moderni, più liberali, più tolleranti e
aperti al dialogo. Gli ebrei sono entrati con entusiasmo nel processo
di unificazione d’Italia e credo che in pochi paesi come in Italia gli
ebrei abbiano trovato una spinta tale per impegnarsi nella vita
pubblica del paese su vari livelli e con diversi incarichi. La
questione dell’unità d’Italia rappresenta per noi la continuazione di
quella lotta con la quale siamo arrivati alla parità dei diritti, di
doveri e di cittadinanza in questo paese”.
Il moderatore Riccardo Calimani, storico e scrittore, ha dato poi il
via ufficiale alla giornata, in una sala Montefiore gremita,
introducendo in breve i relatori e il primo intervento dedicato
all’immagine ebraica della nazione italiana a cura di Francesca Sofia,
professoressa di storia delle istituzioni politiche all’Università di
Bologna.
Nel suo intervento la professoressa Sofia ha posto l’attenzione su
un’interpretazione del concetto di nazione come costruzione culturale
basata su modelli oppositivi: la stirpe, la santità e l’onore. Partendo
da questi tre concetti chiave difficilmente si sarebbe potuto
comprendere il processo di integrazione ebraica, presentato oggi come
un modello riscontrabile a livello Europeo. Sembra che i materiali
letterari e ideologici prodotti all’interno del movimento
risorgimentale attingano esclusivamente alla religione cattolica,
quando in realtà si rifanno a temi di carattere biblico riconducibili
all’antico testamento e quindi condivisi con la religione ebraica. Dal
concetto di esodo quale nazione per antonomasia al Mosè come guida per
un popolo in marcia verso un ipotetico progresso, mediatore tra Dio e
il suo popolo. Tale parallelismo rispecchia inoltre lo stato della
maggior parte dei patrioti italiani costretti loro malgrado all’esilio.
Degli ebrei italiani e il 1848 ha parlato poi Tullia Catalan,
ricercatrice di storia contemporanea all’università di Trieste,
mettendo a confronto la generazione dei giovani del ‘48 e la
generazione dei padri. La svolta del ’48 si esemplifica nella
possibilità di dare finalmente un contributo ed essere attivi
condividendo allo stesso tempo aspettative comuni. Accanto ai 220
volontari aderenti al movimento in armi vi erano inoltre tutti gli
ebrei che aderirono mettendo a disposizione il proprio intelletto, la
propria personalità e le proprie disponibilità economiche. Le parole
d’ordine erano uguaglianza, universalità, progresso, libertà e
fratellanza. Accanto a chi sfoderava la spada c’era poi chi
imbracciava invece la penna: una gruppo di giornalisti ebrei, che non
scrivevano nelle riviste ebraiche, ma sulla stampa liberale e di
scrittori e poeti come Giuseppe Revere. Anche la fede riveste un ruolo
essenziale, in particolare alcuni rabbini provenienti dai collegi
influenzarono con i loro sermoni i loro correligionari, portando avanti
tematiche di natura politica e sociale come l’emancipazione. Elemento
negativo identificabile in questa fase storica cruciale è la paura
delle vecchie generazioni che le nuove abbandonassero le tradizioni,
timore che si concretizzerà poi nell’indifferentismo religioso,
l’allontanamento dei giovani da qualsivoglia pratica cultuale.
Sulle figure del mazzinianesimo ebraico tra Ottocento e
Novecento ha parlato invece lo storico Alberto Cavaglion analizzando le
fonti principali che attestano i rapporti di Mazzini con la realtà
ebraica. Tra queste una delle lettere dirette alla madre dove Mazzini,
esule a Londra, racconta della famiglia ebraica che lo
ospitava. Per descriverli utilizza l’espressione particolare “Fui
ospite in quella famiglia di stolidi buoni dei quali vi ho raccontato
il pranzo” un termine inusuale stolidi buoni che potrebbe essere
considerato un chiasmo del precedente appellativo in uso: “perfidi
ebrei”. Il primo a recuperare questa lettera e a farne oggetto di
un’analisi approfondita fu Alessandro Levi che scrisse un articolo
sulla rassegna mensile del 1931 intitolato “gli amici israeliti di
Giuseppe Mazzini” dove diede notizia per la prima volta delle fonti
concrete su cui si sarebbero dovuto fondare il discorso sull’eredità
mazziniana nell’ebraismo italiano. Nonostante l’eredità di Mazzini
abbia un risvolto negativo, come l’eredità di molti altri personaggi
carismatici dell’800 sfruttati dalla propaganda fascista come Nietzsche
o D’annunzio, Mazzini in sé non ebbe mai nessun pregiudizio contro gli
ebrei mentre dalle parole pregiudiziali della madre riscontrabile nelle
lettere di risposta, ci si rende conto di come venissero visti gli
ebrei a causa di una non conoscenza dell’ebraismo largamente diffuso
prima dell’emancipazione. Mazzini rimane comunque un enigma per
l’ebraismo italiano. E’ difficile fingere di non scorgere le colpe
degli epigoni che ne hanno dato una visione unilaterale fascista e
ipernazionalista, ma è anche difficile non considerare il momento in
cui Mazzini è stato un simbolo nei momenti di crisi, di abbandono di
difficoltà politica.
Riguardo ai critici e ai nemici dell’emancipazione ebraica nel
Risorgimento è poi intervenuto Simon Levis Sullam, Ricercatore
dell’Università di Oxford. La madre di Mazzini, citata in precedenza
per i suoi pregiudizi contro gli ebrei, non è altro che la
rappresentazione di un sentire comune di una parte consistente della
società italiana. Di certo gli ebrei hanno avuto un ruolo importante
nel risorgimento, ma ciò non toglie che permanessero sospetti e
pregiudizi spesso con una radice di tipo religioso, teologico. Anche in
ambito laico è riscontrabile la poca conoscenza del mondo ebraico e la
tendenza ad avere nei suoi confronti pensieri precostituiti rispetto al
ruolo economico degli ebrei e alla loro presenza nella società
italiana.
Dopo la pausa pranzo sono ripresi gli interventi, moderati, per la
sessione pomeridiana, da Anna Vera Sullam. In questa seconda tranche si
è cercato di analizzare alcuni casi particolari come nell’intervento di
Maria del Bianco, professoressa di storia delle religioni
all’Università di Udine, che ha dato un quadro di quella che è la
storia delle scuole rabbiniche in Italia e ha sottolineato il ruolo
delle istituzioni educative ebraiche nella promozione degli ideali di
unità nazionale.
Proprio degli ideali che caratterizzano il processo di unificazione
nazionale si farà portavoce Abraham Lattes, di cui Gadi Luzzatto
Voghera, professore della Boston University di Padova, ha disegna un
ampio profilo. Abraham Lattes nacque a Savigliano, un piccolo borgo tra
Cuneo e Torino, nel 1809. Il giovane Abraham sarà fra i primi studenti
del collegio rabbinico di Padova e dal 1839 verrà chiamato a ricoprire
la cattedra rabbinica di Venezia per poi trattenersi in Laguna per
quasi mezzo secolo. Un rabbino di appena trent’anni capace di
impersonare con la sua azione e con una personalità piuttosto spiccata
il nuovo ruolo di rabbino del secolo. Durante la repubblica veneta di
Manin fu molto attivo spronando i cittadini ebrei a partecipare alla
sua difesa. In una sentenza rabbinica da lui redatta troviamo il
richiamo esplicito al fondamentale compito di difendere la patria che
viene assunto come compito religioso andando a dispensare coloro che
avrebbero esercitato tale compito anche durante lo Shabbat.
In chiusura della giornata di studio Bruno di Porto, storico italiano e
professore di Storia del Giornalismo e Storia Contemporanea
all'Università di Pisa, ha delineato un quadro esemplificativo di
Isacco Artom, diplomatico al servizio di Camillo Benso di Cavour.
Isacco Artom fu il primo ebreo d'Europa ad occupare un alto incarico
diplomatico al di fuori del proprio Paese. Nato da una delle famiglie
ebraiche più importanti della città di Asti, intraprese gli studi
universitari a Pisa dove venne a contatto con l'ambiente
risorgimentale. Per anni collaborò con le testate giornalistiche
dell'"Opinione" e del "Crepuscolo". Dopo la sua assunzione presso il
ministero degli Esteri, venne chiamato da Cavour, come uomo di fiducia
presso la sua segreteria, divenendo a tutti gli effetti il prototipo
dell’integrazione ebraica nell’Italia risorgimentale e unita.
Michael
Calimani
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Un dizionario scomodo
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Il dialogo ebraico-cristiano ha
subito negli ultimi tempi fasi di arresto. Sembra svanire la speranza
che si possa trovare quella condivisione di temi, inquietudini e
aspirazioni, che permetta davvero un confronto nel segno del rispetto
reciproco. Il «Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento»,
curato da Alberto Melloni, e uscito per il Mulino in due volumi (di
1814 pagine), apre nuove prospettive, mostra la parte più aperta del
mondo cattolico, dà respiro a un dialogo soffocato da posizioni
oltranziste.
Il Dizionario è anzitutto uno strumento prezioso che aiuta a orientarsi
nel paesaggio religioso oggi sempre più inesplorato. La rapida
secolarizzazione e la tendenza ad affinare conoscenze specialistiche
hanno contribuito a un pericoloso analfabetismo che porta
inevitabilmente alla chiusura dogmatica. Il che è un paradosso se si
pensa all’importanza del fenomeno religioso. Su questo paradosso il
Dizionario sollecita a riflettere, anche con sguardo retrospettivo,
scorgendo nel Novecento un secolo in cui la religione ha avuto sul
piano politico un peso maggiore di quel che in genere si crede.
Il merito dell’opera è inoltre quello di offrire un quadro complessivo
dei saperi storico-religiosi, una sorta di biblioteca essenziale,
mettendo l’accento sui nodi della ricerca e lavorando, grazie ai rinvii
trasversali, per gettare ponti e aprire varchi. Anche e soprattutto con
l’ebraismo. Si potrebbero fare molti esempi, a cominciare dalla voce
dedicata a Gesù. È perciò irritante, ma forse non sorprendente, che
l’opera di Melloni sia stata attaccata con veemenza da diversi giornali
cattolici, dall’Osservatore romano all’Avvenire. E la voce più
incriminata è proprio quella sulla Shoah.
Altrove, negli Stati Uniti, o perfino in Germania, non sarebbe
probabilmente successo. Ma nel panorama culturale italiano, dove
mancano gli «Holocaust Studies», l’ebraistica è quasi assente nelle
università, e il contributo dei filosofi è spesso ignorato, sembra
quasi ovvio negare una continuità tra l’antisemitismo cristiano e il
nazionalsocialismo. Come se i nazisti fossero stati anticristiani, e
poi perciò antiebraici. Un bel modo per mettersi nei panni delle
vittime piuttosto che riflettere sulle proprie responsabilità. Finché
la Chiesa, anche in Italia, non sarà disposta ad aprire un dibattito su
questo punto e a considerare al proprio interno l’impatto della Shoah,
ogni dialogo sarà difficile. Anche per questo è importante per il mondo
ebraico il contributo di Melloni.
Donatella
di Cesare, filosofa
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Kakà era della
Fiorentina - Lo scoop di Pagine Ebraiche
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Sono passati otto anni dal
crack finanziario di Vittorio Cecchi Gori,
dal fallimento della Fiorentina e dal triplice salto all’indietro della
squadra viola ai margini del dilettantismo. Stagioni all’insegna della
serenità di bilancio come le ultime targate Della Valle hanno in parte
obliato il periodo più triste e amaro che i tifosi gigliati ricordino
ma la ferita non si è mai rimarginata del tutto e anzi in questi giorni
è tornata prepotentemente a riaprirsi. A rievocare gli incubi della
gestione VCG è Pagine Ebraiche con un’intervista all’intermediario e
talent scout Israel Maoz pubblicata sul numero di dicembre attualmente
in distribuzione. L’intervistato è un grande esperto di calcio
sudamericano e in Italia ha portato tra gli altri Cafu Zago e Marcos
Asuncao. Tra singolari spaccati di vita privata e professionale Maoz
rivela ai lettori di Pagine Ebraiche un aneddoto goloso: nel dicembre
del 2001 il passaggio di un giovanissimo Kakà alla Fiorentina era cosa
fatta. Ai tempi mister Ringo non era ancora un fenomeno di livello
mondiale ma tra dribbling e giocate varie lasciava comunque intravedere
il suo straordinario potenziale. Maoz era arrivato prima di tanti altri
talent scout e letteralmente innamoratosene in occasione di una partita
del San Paolo l’aveva proposto all’amico di lunga data Ottavio
Bianchi che in quei mesi allenava la Fiorentina.
La trattativa con la società di piazza Savonarola era partita in tutta
fretta e col beneplacito del padre-procuratore Kakà aveva accettato
l’offerta del direttore sportivo Pavone. Mancava da convincere
"solo" il San Paolo che per il suo trasferimento chiedeva
cinque milioni di dollari. Una cifra che negli anni aurei Cecchi Gori
avrebbe sborsato senza particolari affanni ma che era difficile da
sostenere per la Fiorentina finanziariamente disastrata del 2001. Così
l’offerta viola si era fermata a tre milioni non negoziabili e il San
Paolo dopo averci pensato un attimo aveva gentilmente declinato
l’offerta preferendo attendere che il germoglio Kakà sbocciasse del
tutto per venderlo qualche tempo dopo al Milan per ben altre
cifre. Tra la trattativa con i viola e il passaggio al club rossonero
ci sarebbe stata anche una intermediazione andata male tra Maoz e la
dirigenza laziale vanificata per una battuta di spirito di Cragnotti
junior assai discutibile (“Da quando bisogna pagare per Kakà?”) che
tormenta ancora la vecchia dirigenza capitolina. Scurdammoce o passato,
dicono a Napoli. Tuttavia qualche domanda viene spontanea. Che squadra
sarebbe stata la Fiorentina con Kakà? L’ala brasiliana sarebbe riuscita
a salvare il club viola dalla retrocessione? Una sua eventuale cessione
a qualche club danaroso a fine stagione avrebbe permesso alla
Fiorentina di risanare le proprie casse e scongiurare il fallimento?
Domande senza risposte certe ovviamente. Fatto sta che questi
interrogativi sono stati in molti a porseli nelle ultime ore, da quando
cioè David Guetta ha riportato sul Corriere Fiorentino lo scoop di
mercato pubblicato da Pagine Ebraiche. La notizia è
rapidamente circolata negli ambienti del tifo viola. In particolare su
fiorentina.it, portale con migliaia di contatti unici giornalieri che
rappresenta forse il miglior termometro degli umori della curva Fiesole.
A suon di commenti più o meno ironici si sono sfidati da una parte
alcuni nostalgici di Cecchi Gori che della vecchia presidenza
rimpiangono la passionalità dei suoi dirigenti e un nutrito gruppo di
anticecchigoriani che memori dei disastri gestionali del passato
preferiscono rinunciare a un briciolo di pazzia pur di vedere la
Fiorentina ancora a lungo nella massima serie. Tra chi inveisce contro
VCG constatando come “per aggiungere due milioni avrebbe dovuto
risparmiare sul parrucchiere e sullo zafferano (il riferimento è ai
suoi presunti problemi con la cocaina)” e chi ne sottolinea i
meriti ricordando ad esempio come durante la sua presidenza "abbia
acquistato Batistuta (che in realtà fu acquistato dal padre) e Rui
Costa a due lire per poi rivenderli a 120 miliardi", lo scontro si è
protratto a lungo. Sbirciando tra le pagine di commento si intercettano
differenti approcci alla notizia. Amareggiato Lucabilly che si chiede
“perché su fiorentina.it si debbano leggere notizie dannose come questa
visto che già siamo messi male e si torna a parlare del criminale che
ci ha assassinati e di un giocatore che poteva essere nostro e non lo è
stato”. Sulla stessa lunghezza d’onda stefviola per cui “comunque di li
a poco la società sarebbe fallita e quindi potevano comprare non solo
Kakà ma anche Messi e Ronaldo tanto li avremmo persi tutti” e Marcos
che ispirato da profonda compassione invita a “non sparare sulla Croce
Rossa”. Ma c’è anche chi ritiene lo scoop del nostro giornale una
“bufala”, chi ne trae invece linfa per dedicarlo “a tutti quelli che
infamano Della Valle e rimpiangono Cecchi Gori” e chi ancora si irrita
per lo scontro tra le molte fazioni del tifo e supplica gli utenti “di
smettere con le bischerate”. Talvolta volano offese pesanti. Ma
d’altronde nella città delle lotte infinite tra guelfi e ghibellini
mettere d’accordo correnti di pensiero differenti è impresa ardua. Così
la palma del commento più efficace va a Marquinos che pone fine alla
controversia con una battuta: “Pagine Ebraiche nuova bibbia del
calciomercato?”
Adam
Smulevich
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Qui
Firenze - Giovani
alla scoperta del Tempio
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In primo piano Indiana Jones
e alcuni protagonisti di uno degli episodi della saga dell’archeologo
che non teme niente e nessuno ad eccezione dei serpenti. Sullo sfondo
la sinagoga di Firenze con la sua inconfondibile cupola verde. Il
richiamo all’avventura era evidente già a partire dalla locandina di
presentazione dell’evento. E le emozioni, per i giovani ebrei
fiorentini che hanno partecipato all’iniziativa del Centro Giovanile
Ebraico CGEF alla scoperta del Tempio, non sono mancate. »
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
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