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1 dicembre 2010 - 24 Kislev 5771
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova

Nei sevivon (le trottole che regaliamo ai nostri bambini) sono incise le lettere iniziali della frase nes gadol haya sham - un grande miracolo avvenne lì. Il miracolo di Hanukkah (l’olio sacro che dura per otto giorni e la vittoria dei “pochi contro i molti”) è l’oggetto del pensiero di uno scrittore israeliano (Yehudà Haezrachì,1920-1974): ...Un miracolo solamente nel senso che tutta la vita del nostro popolo, attraverso i secoli, è stato un miracolo; ed ogni volta che i nostri nemici si gettano contro di noi per annientarci, noi troviamo una forza sconosciuta per combattere per la nostra rinascita…la meravigliosa rinascita di un popolo sofferente ma immortale. La festa di Hanukkah, non ricorda solo la storia di un miracolo, ma rappresenta il miracolo di tutta la nostra storia... 

Sergio
Minerbi,
diplomatico


Sergio Minerbi
Il presidente israeliano, Shimon Peres, ha rilasciato un’intervista al mensile cattolico “30 Giorni” che lascia rende difficile capire i suoi motivi. Egli dice all'intervistatore: “Come ripeto spesso, i rapporti sono i migliori possibili da duemila anni a questa parte. Dai tempi di Gesù a oggi non abbiamo mai mantenuto relazioni migliori “. Mi chiedo cosa abbia spinto il Presidente a rilasciare un tale certificato di benemerenza alla Santa Sede, del tutto immeritato secondo molti osservatori. Riassumiamo in breve l’atteggiamento di Benedetto XVI.  Anzitutto sussiste una notevole differenza di trattamento degli ebrei da un lato e dello Stato d’Israele dall’altro. Rispetto e dichiarata amicizia nei confronti degli ebrei e solo riprovazione e critiche acerbe nei confronti di Israele. Per far tornare i Lefebvriani in seno alla Chiesa, Benedetto XVI ha rimesso in vigore il Messale Tridentino nel 2007, restaurando la preghiera perché gli ebrei vedano la luce ( e si convertano al Cattolicesimo). Nel 2008 ricevendo le credenziali dell’ambasciatore d’Israele Mordechai Lewy, il Papa aprì il suo discorso ringraziando il Signore per aver esaudito le aspirazioni del popolo ebraico per una dimora nella terra dei loro padri. Ottimo, ma subito dopo incluse nel discorso quattro pagine di lamentele contro Israele: l’allarmante declino della popolazione Cristiana nel Medio Oriente e le sofferenze della popolazione palestinese, ricordò che il negoziato per le esenzioni fiscali non è ancora terminato e non è risolta la questione dei visti al personale ecclesiastico. Nel gennaio 2009 durante l’operazione militare israeliana “Piombo Fuso” il Papa parlò cinque volte in sette giorni in favore dei Palestinesi, senza mai dire una parola di solidarietà per la popolazione civile israeliana che subì attacchi missilistici pluriennali. Durante la sua visita in Israele nel maggio 2009 egli osservò “E’ tragico constatare che ancor oggi vengono innalzati muri”. Nessuna comprensione per le ragioni di Israele nel costruire la barriera che ha salvato numerose vite umane impedendo l’accesso dei terroristi palestinesi. Durante la stessa visita il 13 maggio parlando ai profughi palestinesi Benedetto XVI li paragonò alla Sacra Famiglia. Secondo il Vangelo di Matteo la Sacra Famiglia fu costretta a fuggire in Egitto poiché Erode, re degli ebrei, voleva uccidere il bambino. Egli conferisce così ai palestinesi una dimensione teologica. Il recente sinodo dei vescovi del Medio Oriente ha offerto l’occasione alla chiesa per un ulteriore attacco contro Israele. Il sinodo si è concluso nell’ottobre scorso con un messaggio finale con cui si accusa Israele di agire con ingiustizia nei confronti dei palestinesi i quali soffrono “le conseguenze dell’occupazione israeliana: la mancanza di libertà, di movimento, il muro di separazione e le barriere militari, i prigionieri politici, la demolizione delle case, la perturbazione della vita economica e sociale e le migliaia di rifugiati”. Insomma la chiesa ha finalmente trovato la causa di tutti i mali del Medio Oriente, cioè Israele.

davar
Fermo no al boicottaggio degli atenei israeliani
onorevoliIn occasione dell'esame della riforma dell'ordinamento universitario è stato presentato e accolto dal Governo un ordine del giorno contro il boicottaggio delle università israeliane firmato dagli onorevoli Emanuele Fiano, Fiamma Nirenstein e Alessandro Ruben, oltre che da Piero Fassino, Walter Veltroni e Dario Franceschini. Ecco il testo del documento: La Camera, esaminato il disegno di legge n. 3687-A, recante norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario; premesso che: l'articolo 33 della Costituzione riconosce la libertà dell'insegnamento dell'arte e della scienza e l'autonomia delle università; l'articolo 1 del disegno di legge definisce le università «sede primaria di libera ricerca e di libera formazione», nonché «luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze» e riconosce loro il compito di operare «per il progresso culturale, civile ed economico della Repubblica»; da alcuni anni a questa parte si succedono iniziative ed appelli al boicottaggio delle università e degli accademici israeliani da parte delle università italiane; all'inizio di marzo di quest'anno tre università italiane (Pisa, Roma «'La Sapienza» e Bologna) hanno aderito con proprie iniziative alla «Israeli Apartheid Week», che aveva per tema «Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni», con l'idea di promuovere contro Israele misure punitive come quelle che colpirono a suo tempo l'Africa dell'apartheid; le azioni di boicottaggio - rivolte unicamente contro l'unico Stato democratico dell'area medio-orientale - confliggono con il principio costituzionale della libertà dell'insegnamento; già il 12 maggio 2005 il Senato della Repubblica approvò una mozione, a prima firma del senatore Compagna, che impegnava il Governo ad adottare una serie di misure per fronteggiare il fenomeno, impegna il Governo ad assumere tutte le iniziative in suo potere - riaffermando quei valori di libertà intellettuale irrinunciabili nella vita universitaria e anche sollecitando i massimi organi dell'autonomia universitaria (Consiglio Universitario Nazionale e Conferenza dei Rettori) - per scongiurare il ripetersi di iniziative di boicottaggio che calpestano la libertà di esprimersi nei nostri atenei in maniera unidirezionale.

Luci d’autore a Hanukkah
HannukkahDai lumi di Hanukkah si sprigiona ogni anno un’emozione irresistibile. L’accensione delle fiammelle ci riporta, per otto sere, all’antico racconto dei Maccabei, al miracolo dell’olio, alla vittoria della luce sul buio dell’idolatria, alla gioia della libertà ritrovata. È una festa allegra, amatissima dai più piccoli per i doni, le frittelle e i giochi, che per i suoi valori universali e la sua carica simbolica da sempre stimola la creatività. La Hanukkiah - il candelabro a otto bracci più lo shammash, il servitore - è infatti da secoli uno degli oggetti su cui si cimentano la fantasia e la perizia di artisti e maestri artigiani. Non a caso il Museum of Israel nei padiglioni appena rinnovati ha fatto omaggio a quest’antica tradizione dedicando alla sua collezione di lumi delle meravigliose pareti, in un allestimento di grande impatto tutto giocato sull’illuminazione, che evoca le finestre vicino a cui si pongono i candelabri.
E proprio in questi giorni, in cui si accendono le fiammelle, la lampada di Hanukkah torna a far parlare di sé con una bella esposizione che fino al 16 gennaio vede in mostra a Parigi, nella prestigiosa sede del Musée d’art e d’histoire du judaisme, le Hanukkiot del Museo dei lumi di Casale Monferrato. Qui, accanto a una delle più belle sinagoghe italiane, nel sotterraneo un tempo adibito a forno per le matzot si raccolgono da quasi vent’anni le interpretazioni di artisti e designer del nostro tempo in una carrellata unica al mondo. La raccolta di Casale Monferrato, di cui si ammira una selezione anche nei giorni del Congresso UCEI a Roma, include infatti opere di Antonio Recalcati, Antonio Mondino, Arman, Roland Topor, Mimmo Paladino, Elio Carmi, Georges Jeanclos, Beatrice Caracciolo, Emanuele Luzzati, Claude Lalanne, Paolo Moroni e tanti altri in una collezione in continuo divenire che si snoda tra arte e design.
Realizzata in collaborazione con la Fondazione Arte, storia e cultura ebraica di Casale Monferrato, l’esposizione parigina mette in scena una grande varietà di creazioni, alcune kasher altre no, che utilizzano materiali preziosi e altri poverissimi come nella lampada composta da pezzi di recupero o quella fatta di pane. Ad accomunare queste Hanukkiot d’autore, una riflessione sulla luce e sulla sua moltiplicazione, sul destino del popolo ebraico, i simboli e le forme, che si snoda fra tradizione e futuro. La mostra è accompagnata da un bel volume intitolato Cento lumi per Casale Monferrato – Lampade di Chanukkah tra storia, arte e design curato da Elio Carmi, vicepresidente della Comunità ebraica di Casale, tra gli artefici del Museo dei lumi insieme a Maria Luisa Caffarello (Skira, 176 pp.). L’ampia sezione introduttiva raccoglie contributi a carattere ermeneutico, storico e artistico a firma, tra gli altri, del rabbino Giuseppe Laras, del professor Arturo Schwarz, della curatrice Maria Luisa Caffarelli e dei designer Elio Carmi e Moreno Gentili. Il nucleo centrale è costituito dal catalogo ragionato di tutti i lumi (con riproduzione fotografica e scheda tecnico- critica).
Completano il repertorio una serie di “dichiarazioni di poetica”, rese da alcuni degli autori delle lampade che ne raccontano le motivazioni ideali ed espressive, i profili biografici degli artisti e un glossario sui termini ebraici di più frequente utilizzo. Insomma, un modo nuovo per accostarsi al miracolo di Hanukkah attraverso la sua secolare magia artistica.

Daniela Gross, Pagine Ebraiche, dicembre 2010  


Israele, la demografia e la pace
Sergio Della PergolaRoma. "Dal Mediterraneo al Giordano, gli ebrei sono minoranza". L'annuncio choc proviene dal più famoso demografo israeliano, Sergio Della Pergola, studioso di fama mondiale all'Università ebraica di Gerusalemme. Della Pergola è noto per aver introdotto il tema della demografia nell'analisi del conflitto israelo-palestinese. I giornali israeliani hanno dedicato alla sua ricerca ampi servizi di copertina. Un "pareggio demografico" tra ebrei e arabi su tutto il territorio dal Mediterraneo al Giordano era atteso per il 2015. "Ci siamo già", fa sapere Della Pergola al Foglio. Un sondaggio del Ma'ariv rivela che per gli israeliani il problema demografico è "la minaccia", quasi quanto i missili sulle rampe di lancio di Teheran. Della Pergola sottolinea che la popolazione ebraica d'Israele cresce poco, ma costantemente: 80 mila l'anno. Tuttavia non basta a pareggiare la demografia araba. "C'è una domanda che assilla Israele dalla guerra del 1967: quando verrà la data in cui gli ebrei non saranno più maggioranza su tutto il territorio? Con questo rapporto diciamo che è già successo. Gli ebrei sono oggi il 49,8 per cento fra il fiume Giordano e il Mediterraneo. Sarebbero appena il 50,8 se anche non considerassimo i lavoratori stranieri, che comunque sono persone vive che abitano da anni in Israele. Ciò che diciamo ha implicazioni politiche. Abbiamo studiato tutto quello che è 'contenzioso', scontro politico. Mettiamo insieme Israele, West Bank, Gaza, Gerusalemme est, il Golan, i 200 mila lavoratori stranieri, i non ebrei in Israele. Più di due milioni di palestinesi in Cisgiordania, 270 mila a Gerusalemme est, un milione e mezzo a Gaza; 1,2 milioni gli arabi cittadini d'Israele. Mettendo assieme Israele più l'entità autonoma palestinese, che sia governata da Hamas o da Fatah, emerge un quadro in cui gli ebrei sono diventati minoranza. E' la prima volta". Il professore considera tre parametri: ebraicità, democrazia, territorialità. Di questi parametri - la grande Israele, l'Israele ebraica e l'Israele democratica - se ne possono avere al massimo due: il grande stato ebraico, ma non democratico; la grande Israele democratica, ma non ebraica, oppure uno stato ebraico e democratico, ma non grande. Della Pergola spiega così l'impossibilità di uno stato binazionale unico di ebrei e arabi. "Chi parla di binazionalità è stupido o violento. Non si negano le identità nazionali. Guardiamo al Belgio, che si sta disgregando, o alla Cecoslovacchia. O al bagno di sangue in Jugoslavia; a Cipro greci e turchi si sono scissi su linee geografiche".
Della Pergola non si fa illusioni ireniste: crede che il processo di pace debba concludersi col riconoscimento della natura ebraica di Israele. E questo potrà avvenire soltanto con la separazione fisica e politica di arabi ed ebrei. La proiezione demografica impone a Israele una scelta dolorosa: meno territori per garantire un futuro ebraico dello stato, come aveva capito nel 2005 Ariel Sharon. "Da mezzo secolo faccio il demografo. Senza soluzione politica, i dati che portiamo ci metterebbero di fronte a una situazione drammatica. Gli arabi aumentano sempre più, sia dentro a Israele, sia nei Territori palestinesi. Senza i Territori palestinesi, Israele avrebbe l'80 per cento di popolazione ebraica. Con i Territori palestinesi si scende al 50 per cento. Senza Gaza ma con la Cisgiordania, gli ebrei sono fra il 60 e il 62 per cento. Questo è oggi. Domani queste cifre andranno ridimensionate in modo inesorabile, togliendo uno o due punti assoluti per ogni decennio. Se teniamo il West Bank, fra circa un ventennio saremmo 54 a 46. E non avremo avuto certo altre ondate di emigrazione di massa come dall'Unione sovietica. Sopravviverà allora lo stato ebraico?". Della Pergola sa bene tuttavia che, oltre ai suoi numeri, c'è anche un grave problema di sicurezza. "Oggi per atterrare a Tel Aviv l'aereo fa un gomito sopra i Territori palestinesi. Se Hamas governasse anche lì, con una fionda abbatterebbero un velivolo".

Giulio Meotti, Il Foglio, 1 dicembre 2010


Qui Roma - Il Centro Primo Levi premia padre Desbois
Desbois“Peace Trough Culture Award” è il prestigioso riconoscimento conferito dal Centro Primo Levi di New York a coloro che coltivano il dialogo internazionale attraverso azioni diplomatiche basate sulla cultura e sulla conoscenza della storia e che domani alle 18 sarà attribuito  a Pere Patrick Desbois alla Casa delle Letterature a Roma. La serata inizierà con la presentazione di un breve documentario sulla ricerca in Ucraina del religioso francese, seguita da una presentazione di David Meghnagi, direttore del Master internazionale di didattica della Shoah.
Olek Mincer, attore di cinema e di teatro leggerà brani di Aharon Appelfeld e Vassilj Grossman.
Padre Patrick Desbois direttore dell'Ufficio nazionale dei vescovi di Francia per le relazioni con l'ebraismo e consigliere del Vaticano per la religione ebraica ha consacrato la sua vita ad una missione: riportare alla luce le atrocità commesse dalle squadre della morte naziste, le sanguinarie “Einsatzgruppen”, colpevoli di aver massacrato almeno un milione e mezzo di ebrei e zingari nei remoti villaggi dell’ex Unione sovietica tra il 1941 e il 1944.
Nell’ultimo decennio, padre Desbois e il suo team della Yahad-in-Unum, un’organizzazione francese che si occupa dei rapporti tra ebrei e cristiani, hanno raccolto numerose testimonianze dei sopravvissuti allo sterminio di massa nazista sul fronte orientale. L’attività di investigazione storica di Desbois è iniziata nel 2002 in Ucraina nel tentativo di seguire le tracce di suo nonno deportato nel campo di concentramento di Rava-Rus'ka.
Desbois comincia a ripercorrere  i luoghi di questo sterminio ritrovando e intervistando i testimoni di questi massacri di massa, riscopre le fosse comuni,  raccoglie le prove dell'assassinio selvaggio di centinaia di migliaia di ebrei e al tempo stesso indaga sul fenomeno inquietante del collaborazionismo  facendo riemergere dal buio e dal silenzio parole di testimonianza che restituiscono una giusta sepoltura a coloro che furono travolti dalla furia omicida del progetto nazista di conquista dell'Est.
Le sue ricerche sono molto complicate perché, a differenza di quanto è accaduto in Germania e in Polonia dove i campi di concentramento e di sterminio sono testimonianza e simbolo delle atrocità inflitte dai nazisti, in Europa dell’Est non v’è traccia visibile di ciò che è successo  e costringono a rivedere il numero delle vittime della Shoah, ben superiore a quello finora conosciuto approdando nel 2009 nella pubblicazione del libro Fucilateli tutti, pubblicato da Marsilio, nel quale il religioso racconta la sua esperienza di anni di ricerca.

Lucilla Efrati

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Maurizio Cattelan e la studiata provocazione
pubblicoLa questione dell’immagine realizzata da Maurizio Cattelan - raffigurante un Hitler genuflesso in preghiera -, inizialmente scelta per pubblicizzare sui muri di Milano la mostra dell’artista inauguratasi lo scorso 24 settembre, ma poi ritirata per le rimostranze sollevata dalla comunità ebraica, e diventata, a quanto pare, un cimelio per collezionisti, solleva diverse considerazioni.
Innanzitutto, un tempi di ripugnanti manifestazioni di negazionismo e odio antisemita, di fronte a un’operazione artistica di ben altro livello, realizzata da un creatore di nome e prestigio internazionale, occorre innanzitutto marcare le evidenti differenze, riconoscendo che l’opera in questione si colloca esclusivamente sul piano dell’arte, della suggestione emotiva e della metafora visiva. E se, pertanto, può suscitare turbamento o sconcerto, tali reazioni vengono sollecitate, appunto, sul peculiare terreno del linguaggio artistico, che, quantunque aspro o urticante, appare comunque lontano anni luce da quello delle volgari provocazioni razziste di cui, purtroppo, è tanto piena la cronaca contemporanea.
Quante volte, nei millenni, l’arte è stata trasgressiva, provocatoria - e, in quanto tale, oggetto di vari tentativi di censura o rimozione da parte dell’opinione pubblica benpensante o del potere costituito -, dalla pittura erotica pompeiana ai nudi di Michelangelo, da Caravaggio a Duchamp, da Fontana a Piero Manzoni? Con buone ragioni, perciò, c’è chi sostiene che, per evitare di apparire arretrati, benpensanti, o scherani del potere, bisognerebbe sempre guardarsi dal cercare di imporre al linguaggio artistico qualsiasi forma di limitazione di carattere etico o educativo, in quanto l’arte o è libera o non è. Tale ragionamento, per quanto valido, lascia tuttavia aperte due domande, non di poco conto: può esistere, in una società articolata e complessa, una libertà ‘assoluta’, una totale ‘irresponsabilità’? E, ammesso che l’arte, e solo essa, possa godere di questo particolare, elevato privilegio, chi decide chi debba essere, in quanto artista – e “nell’esercizio delle sue funzioni” -, a poterlo reclamare? Se Cattelan può raffigurare Hitler, perché non lo può fare anche un neonazista? O, magari, un “neonazista artista”? E siamo sicuri, poi, che tutte le provocazioni artistiche a cui abbiamo assistito, nell’arco del Novecento, meritassero rispetto o ammirazione? Nessuno ricorda quando, alla Biennale di Venezia, una quarantina d’anni fa, fu ‘esposto’, come opera d’arte, un ragazzo down sordo-cieco? O quando, durante una rappresentazione teatrale, ogni sera un cavallo stramazzava a terra sul palcoscenico, abbattuto da un colpo di pistola alla tempia? O quando – ed è cronaca molto recente - un sedicente artista ‘esibiva’ un cane agonizzante, condannato a morire “in diretta” di fame e di sete, innanzi a un pubblico a cui era impedito di intervenire in alcun modo? Insomma, diciamolo: in nome dell’arte, col pretesto dell’arte, si sono fatte passare spesso le peggiori immondizie, che hanno fatto parlare di sé non certo per meriti artistici, ma esclusivamente in quanto “schifezze snob”.
Cattelan resta un artista serio, ma non c’è dubbio che molte delle sue opere hanno attratto l’attenzione soltanto, o principalmente, per il loro carattere ‘scorretto’, sgradevole e sconveniente: come quando, per esempio, volle appendere a un albero, con dei cappi, alcuni manichini in sembianze umane, che, sembrando dei veri uomini impiccati, turbavano e spaventavano i passanti, specialmente i bambini, tanto da suscitare la prevedibile protesta dei genitori (ovviamente, ‘benpensanti’).
Quella ‘scultura’, in realtà, prima che provocatoria, era scontata, inutile, un semplice scherzo di cattivo gusto. Così come banale e di cattivo gusto appare la foto dell’Hitler orante, di cui la storia dell’arte farebbe tranquillamente a meno, e che non sarebbe mai salita agli onori della cronaca, se non per l’unico, discutibile merito della solita, studiata provocazione.

Francesco Lucrezi, storico

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Continuano dappertutto le ricerche del padrone di Wikileaks, ma al momento nessuno ha ancora ben chiaro chi si celi realmente dietro questo personaggio; viene ricercato per una vecchia accusa di stupro, ma, in realtà, si vogliono bloccare le sue rivelazioni che stanno denudando tanti re in giro per il mondo. »

Emanuel Segre Amar

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