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22 dicembre 2010 - 15 Tevet 5771
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Adolfo Locci, rabbino capo di Padova
Adolfo
Locci,
rabbino capo
di Padova

Yochèved, per salvare il figlio dal decreto del faraone (i maschi saranno gettati nel Nilo), lo affida lei stessa al Nilo. Questa madre era sicuramente consapevole che il figlio avrebbe comunque corso un grande pericolo, tuttavia questo era quello che poteva fare: evitare un pericolo certo e affidarlo, nella speranza che il Signore intervenisse per proteggerlo, ad un pericolo incerto. La madre di Moshè Rabbenu insegna un grande fondamento per la Gheullà-redenzione avvenuta in Egitto e per quella che avverrà in futuro: il rifiuto della disperazione e una profonda fiducia che, anche nei momenti più difficili, abbiamo il dovere/potere di agire direttamente al massimo delle nostre facoltà e, solo dopo avere agito, auspicare al Syy‘ata dishmaya, al sostegno del Cielo...


Vittorio Dan
Segre,
pensionato


Vittorio Dan Segre



La domanda più difficile che Dio pone all'essere umano è quella della esistenza.
 


davar
Qui Roma - La Cultura del Coraggio
davarSala gremita all'Istituto Pitigliani di Roma in occasione della tavola rotonda La Cultura del Coraggio - Memoria, identità, comportamento: individuare e trasmettere il coraggio,
primo di una serie di eventi sui comportamenti possibili davanti alle ingiustizie o alle tragedie umanitarie. Un'iniziativa organizzata da Robert Hassan esperto di comunicazione e senior partner di Alè comunicazione, con il patrocinio della Comunità Ebraica di Roma, della Fondazione Museo della Shoah, dell'Istituto Pitigliani, del Centro di Cultura, della Camera dei Deputati, della Rai, del Comune e della Provincia di Roma. A discuterne il Presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, il giornalista e saggista  Gabriele Nissim, gli storici Marcello Pezzetti e Amedeo Osti Guerrazzi , e l'Assessore alla Cultura del Comune di Roma Umberto Croppi,  la sopravvissuta al genocidio dei Rwanda e candidata Premio Nobel Yolande Mukagasana. moderati da  Claudio Fico, vice direttore del TG1.
Fra il pubblico in sala, il presidente della Fondazione Museo della Shoah, Leone Paserman, la dottoressa Elvira Di Cave, primario ortopedico dell'Ospedale Israelitico e presidente uscente della Consulta della Comunità Ebraica di Roma, Giancarlo Di Castro consigliere del consiglio di amministrazione dell'Ospedale Israelitico e tantissimi ragazzi provenienti dal Liceo  Renzo Levi, dalle associazioni giovanili ebraiche Hashomer Hatzair e Bené Akiva  e dal Liceo Classico Manara di Roma.
Dopo una breve derashà del rav Ariel Di Porto che si è soffermato sulla figura di Abramo emblema stesso della cultura del coraggio e sul senso religioso del termine, la parola è passata ai relatori che hanno analizzato il significato della parola nel tentativo di trasmettere ai giovani liceali il valore del coraggio ripercorrendo la vicenda di chi ha subito, con i silenzi e la complicità, la persecuzione razzista e quella di chi non piegando la testa ai soprusi ha deciso di intervenire manifestando la propria identità. Gabriele Nissim pone quattro domande a risposta aperta: perché dopo la Shoah i genocidi non sono terminati? Per essere “Giusti” bisogna avere il coraggio di rischiare la vita? Una persona merita di essere nominata “Giusto fra le Nazioni” perché ha mostrato uno spirito altruista? Perché accade nella Storia che tante persone non siano in grado di comportarsi in maniera umana?
Subito dopo Amedeo Osti Guerrazzi si sofferma sul ruolo dei delatori,  coloro che durante l'occupazione nazista denunciavano i propri vicini di casa, il collega di ufficio, il conoscente antipatico. “Decine, centinaia di romani denunciarono gli ebrei che furono poi portati nei campi di concentramento. Chi sono questi romani?” Si chiede  lo storico. “E perché lo fecero? Per ideologia, per soldi, per obbedienza alle leggi?”
E' Marcello Pezzetti a parlare della resistenza ebraica nel periodo delle Leggi razziste, a rifiutare il concetto che gli ebrei abbiano accettato passivamente il proprio destino e il presidente della Comunità Riccardo Pacifici, ponendosi sulla stessa linea, parla del ruolo della Brigata Ebraica e spiega quanto sia importante per gli ebrei di oggi non essere più avvertiti come vittime, ma come persone capaci di difendersi e anche di combattere per salvaguardare i propri diritti e la propria identità. Pacifici ha dedicato la serata alla memoria della partigiana ebrea del Ghetto di Varsavia, ex reduce dei campi di concentramento Miriam Novich e di Pacifico Di Consiglio (Moretto) simbolo di una resistenza ebraica particolare, quando ancora non erano chiari i programmi di sterminio nazisti, una resistenza “civile”, di autodifesa, legata prima di tutto al desiderio di evitare l’umiliazione e i soprusi.

l.e.


pilpul
l'Unione in forma - Proteste (s)posate
Gadi Polacco
Pacifico con Costanza Calò in Piazza

Resh Nullius


Comunicare i valori degli ebrei italiani
francesco lucreziNel rivolgere i più calorosi auguri al nuovo Consiglio dell’UCEI, e al rinnovato Presidente Renzo Gattegna – che certamente traghetteranno l’ebraismo italiano verso sempre più ambizioni traguardi, con grande beneficio dell’intero Paese, che tanto deve a questa sua antichissima comunità -, mi permetto, dall’esterno, di formulare alcune considerazioni riguardo ai possibili modi per far fronte alle pressanti esigenze economiche dell’Unione, a ciò sollecitato da un intervento di Claudio Vercelli pubblicato sull’ultimo numero di Pagine Ebraiche. Si segnala, in tale contributo, che il numero dei contribuenti italiani che, nell’assegnazione dell’Otto per mille, optano per l’UCEI, è considerevolmente superiore al numero degli iscritti alle varie Comunità: un fatto che va interpretato come incoraggiante segnale di attenzione e simpatia verso la realtà ebraica, anche da parte di persone ad essa esterne. Fra l’altro, nota ancora Vercelli, tale “già ragguardevole cifra di contribuenti potrebbe essere ulteriormente aumentata se la comunicazione riuscisse a raggiungere quanti costituiscono potenziali simpatizzanti senza che per questo riescano ancora a cogliere appieno la strategicità di una loro opzione fiscale”.
Tali affermazioni colgono senz’altro del segno. È da ritenere, infatti, che l’alta percentuale di opzioni per l’Otto per mille a favore della Chiesa cattolica non rispecchi né la percentuale dei cattolici osservanti, né quella dei soggetti che nutrono per la Chiesa, al di là della personale fede religiosa, una particolare fiducia e considerazione, ma rifletta, piuttosto, la percentuale – purtroppo molto alta – di persone che hanno assai scarsa fiducia nello stato, e che sono perciò disponibili a optare per chiunque altro, ma non per esso. È molto diffusa nel Paese, infatti, l’associazione – quantunque venata di qualunquismo – tra stato e malversazione, inefficienza, ruberie ecc., tanto che non pochi contribuenti, quantunque non dichiaratamente cattolici, o addirittura atei o anticlericali, preferiscono assegnare l’Otto per mille alla Chiesa cattolica – verso la quale, nel sentire comune, i motivi di critica e insofferenza non sono pochi, ma generalmente non collegati a quest’idea di spreco e disonestà -, pur di non darlo a “Roma ladrona”. Fra questi contribuenti, non cattolici né filo-clericali, ma, per così dire, “anti-stato”, molti sicuramente opterebbero volentieri per l’UCEI, se solo sapessero di essa – della sua storia, della sua realtà, delle sue realizzazioni, dei suoi obiettivi – qualcosa di più rispetto a quel pochissimo che emerge dall’informazione pubblica. Perché, se gli italiani, sanno, più o meno, cos’è l’ebraismo e chi sono gli ebrei (ma, non nascondiamocelo, anche fra gli “addetti ai lavori” le opinioni, al riguardo, non sono certo univoche), dell’UCEI sanno davvero pochissimo. E, in questa non voluta ignoranza, l’Unione viene vista fondamentalmente come un’altra Chiesa, la struttura organizzativa di un diverso culto religioso. E perché finanziare un culto in cui non ci si riconosce? Molto più immediata e istintiva la scelta a favore della Chiesa, che quantunque abbandonata, o lontana, resta comunque la vecchia Chiesa di sempre, dei genitori e dei nonni, ben chiara e riconoscibile nella sua identità.
Un suggerimento, dunque, ai nuovi Consiglieri? Investire in pubblicità riguardo alla realtà dell’UCEI, alla sua dimensione civile, laica, culturale, progettuale. E farlo, soprattutto, con continuità, non solo nell’approssimarsi della scadenza della dichiarazione dei redditi. Sarebbero soldi ben spesi, che, c’è da scommetterci, tornerebbero moltiplicati.

Francesco Lucrezi, storico

Dal fiume al mare 
notizieflash   rassegna stampa
Eritrei rapiti: parla Adam ex ostaggio che ora vive in Israele
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Adam, 22 anni è uno degli ostaggi eritrei liberato dopo quasi un mese d'inferno grazie a 7.000 dollari di riscatto pagati dal fratello Michele, che vive in Toscana, in un'intervista pubblicata sul quotidiano Avvenire testimonia la condizione degli altri prigionieri trattati come bestie, incatenati in container interrati, picchiati a sprangate ogni giorno e minacciati di espianto degli organi per rivenderli nel caso non fosse stato pagato il riscatto, le donne stuprate davanti ai familiari.
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Ma dove devono andare gli ebrei? Ancora una volta questo tragico interrogativo si pone, e sembra che noi tutti dobbiamo chiedercelo. Sono passate poche settimane da quando abbiamo ascoltato vergognose frasi che  chiedevano agli ebrei di abbandonare Eretz Israele e di tornare nella vecchia Europa, ed oggi leggiamo su Italia Oggi che in Olanda, dove vivono circa 30 mila ebrei, l’ex commissario europeo Frits Bolkestein, preoccupato dal pericolo creato dai “musulmani non integrati”...
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Emanuel Segre Amar

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