Giorgione ebreo? O
perlomeno, se non di stirpe ebraica lui stesso, talmente vicino
all’ebraismo da conoscerne lingua, cultura e studi, le cui tracce,
opportunamente dissimulate, si troverebbero quasi dappertutto nei suoi
meravigliosi ed ermetici dipinti? Una grande mostra, aperta a Padova
fino al 16 gennaio, porta nuova linfa a questa tesi già tradizionale,
sostenuta in passato da uno dei massimi esperti e studiosi di
Giorgione, Enrico Guidoni, e oggi ripresa con convinzione dal curatore
della rassegna Ugo Soragni. Una convinzione suffragata dalle relazioni e amicizie
padovane dell’artista di Castelfranco, che la mostra indaga con
speciale attenzione e metodologia innovativa, volta cioè non tanto a
ricercare i “maestri” di Giorgione quanto a ricostruirne gli interessi,
gli incontri e, genericamente, la cultura. E, a questo riguardo, la
scoperta più importante che emerge dai nuovi studi è quella di un
misterioso, giovane amico di Giorgione, fine erudito, ispiratore,
pittore e dotato collaboratore delle prime imprese decorative affidate
al maestro di Castelfranco. Il suo nome è Giulio Campagnola
(1480/82-1516/17), figlio, naturale o adottivo, di Girolamo Campagnola,
stimato uomo di legge padovano, e di un’ebrea tedesca da cui avrebbe
appreso l’ebraico e un legame forte col proprio popolo (benché con ogni
probabilità fosse stato battezzato), tanto da raffigurarsi anni dopo
(nel 1506) nell’affresco che rappresenta lo Sposalizio della Vergine
nella Scuola del Carmine di Padova, biondissimo, massiccio ed elegante
ma “mezzo ebreo”, contraddistinto cioè da un
vistoso mezzo disco arancione bordato di giallo (il contrassegno
obbligatorio a quell’epoca) che fa bella mostra di sé sotto al mantello
bordato di ermellino. Campagnola, che aveva completato la sua
formazione a Ferrara a fianco di Andrea Mantegna e Pietro Bembo ed era
considerato quasi un ragazzo prodigio, avrebbe intrattenuto con
Giorgione, poco più vecchio di lui (nato nel 1478 e morto nel 1510) un
legame strettissimo, di natura intellettuale e personale, aprendogli le
porte dei circoli intellettuali veneziani e iniziandolo alla filosofia
naturale, al neoplatonismo, all’alchimia e alla Cabbala, in cui i due
cercavano “una via di salvezza difficile nella complessa situazione
storica del primo decennio del Cinquecento”, come scrive Franca
Pellegrini in catalogo. Il riflesso di questa frequentazione è evidente
nelle opere di Giorgione: a cominciare da quel Saturno in esilio
(National Gallery, Londra - non esposto in mostra) in cui la critica
riconosce la sua prima opera certa. Saturno, che anche Giulio
Campagnola raffigurerà più tardi in una splendida incisione, perché
un’interpretazione eterodossa del mito greco “lo vuole alla testa
dell’ebraismo rifiorente nel suo segno”, sostiene la Pellegrini, “la
figura di Saturno era solitamente collegata alla stirpe israelitica,
sulla cui ammissione nel contesto sociale molto si discuteva all’epoca,
in quanto entrambe defenestrate dai propri figli ed emarginate dalla
relativa comunità”.
Raccontando di questa
divinità malinconica omaggiata da due giovani paggi e dilettata da
libri, musica e animali simbolici che popolano una specie di misterioso
giardino, Giorgione prende implicitamente posizione a favore
dell’ebraismo e del neoplatonismo sincretico. Idee che potevano
comportare anche non pochi rischi, date le recenti persecuzioni che
avevano colpito le comunità della zona in relazione all’uccisione di
Simone Unferdorben (San Simonino) nel 1475. il ricordo delle spietate
persecuzioni messe in atto dal vescovo di Trento Johannes Hinderbach ai
danni della comunità ebraica cittadina (accusata collettivamente
dell’omicidio), delle torture e delle violente esecuzioni sommarie,
doveva essere ancora ben vivo a trent’anni di distanza: specie a
Padova, nella cui cattedrale erano pervenute alcune reliquie di
Simonino e si istituivano processi per attestare l’autenticità dei
miracoli attribuiti al bambino.
Giorgione, che frequentava
Padova, secondo Ugo Soragno si sentiva toccato da tanto odio al punto
da avvertire forse una “possibile identificazione spirituale” con
Israele Meyer, miniatore e rilegatore di codici originario di
Brandeburgo, giustiziato nel gennaio 1476 per aver cercato di
avvelenare, così si dice, Hinderbach, con il realgar, una sostanza
rossa usata comunemente dai pittori.
In questo clima di antisemitismo diffuso e latente c’è però da
segnalare anche la “nuova ondata di studi ebraici di cui Venezia, con
la sua rinomata comunità, fu un centro importante, specie dopo la
cacciata dalla Spagna nel 1492”, scrive Giulio Peruzzi in catalogo.
Non a caso nel 1507 a Venezia arrivò anche Leone l’Ebreo (in realtà
Jehuda Abrabanel, nato a Lisbona nel 1460 e morto a Napoli intorno al
1530), autore di quei Dialoghi d’Amore d’ispirazione neoplatonica che,
pubblicati postumi nel 1535, ebbero un’immensa fortuna nella seconda
metà del Cinquecento.
Forse Giorgione lo conobbe negli anni in cui dipingeva il suo ermetico
capolavoro, La Tempesta ispirata secondo Calvesi, proprio a un passo
dei Dialoghi. Comunque l’artista scomparve poco dopo, nel 1510,
probabilmente contagiato dalla peste che aveva infierito in terraferma
e in laguna in quegli anni.
La sua morte sarebbe stata rappresentata dal suo migliore allievo,
Tiziano Vecellio, nell’affresco della Scuola del Santo, il Miracolo del
piede risanato. “Sotto queste sembianze… Tiziano rappresenta quasi
certamente la morte di Giorgione, ritraendo l’artista agonizzante
…davanti all’ufficiale sanitario… circondato da amici e colleghi”. Fra
cui spicca la chioma biondissima e la massiccia corporatura di Giulio
Campagnola.
Martina
Corgnati, Pagine Ebraiche, gennaio 2011
(Martina Corgnati è docente di Storia dell'arte all'Accademica Albertina di Torino)
Giulio
Campagnola, l’amico del mistero
Giulio Campagnola, nato a
Padova nel 1482 probabilmente da una madre ebrea, è stato un incisore e
pittore di notevole fama ai suoi tempi. Alcuni critici considerano le
sue opere come la trascrizione in incisione del Rinascimento veneziano,
così come espresso nelle opere pittoriche di Giorgione da Padova e del
giovane Tiziano. Alcuni studiosi attribuiscono a lui l’invenzione della
tecnica del punteggiato per attenuare i contorni, che comunque è
riconosciuta da tutti come una caratteristica delle sue opere.
Formatosi prima a Padova, poi a Mantova e a Ferrara, dal 1507 svolse la
sua attività soprattutto a Venezia, divenendo uno dei più fedeli
seguaci di Giorgione e acquistando fama anche per la sua profonda
cultura umanistica e musicale. Più che come pittore, Campagnola è
importante per la sua copiosa produzione di incisore: inizialmente
legato al senso lineare di Mantegna e Durer, si accostò in seguito ai
modi di Giorgione e di Tiziano, scoprendo in una delicata tecnica
puntinista l’equivalente grafico del tonalismo.
Amante anche della scrittura e della poesia, Campagnola si cimentò con
il mondo delle arti in età giovanissima, facendosi ben presto la fama
del bambino prodigio. Fu intimo amico, e spesso ispiratore, del pittore
Giorgione da Padova. Pare che i due fossero entrambi seguaci di una
setta neoplatonica di adoratori del Sole Invitto.
Campagnola muore nel 1515, lasciando dietro di sé un alone di mistero,
oltre a un corpus di incisioni, di cui una quindicina arrivata ai
giorni nostri. Tra questi si ricordano le più celebri: l’Astrologo, Il
Vecchio Pastore e Il Giovane Pastore. Inoltre ha lasciato un figlio
destinato a diventare famoso.
Giulio Campagnola è infatti
anche il padre adottivo del (forse più celebre) pittore Domenico
Campagnola, che con questo nome cominciò a firmare le sue prime opere,
in età giovanile, nel 1517, a soli due anni dalla morte del padre.
Della sua esperienza pittorica giovanile non si conosce molto ma è
accertato che abbia lavorato nella bottega del Tiziano. Inoltre ebbe
modo di conoscere il Romanino ed il Moretto. Nelle prime opere di
Domenico Campagnola, quali l’Incontro tra Anna e Gioacchino l’influenza
tizianesca risulta evidente, mentre del 1532, subito dopo i tondi coi
Profeti, per una decina di anni appare ispirato dal Moretto e dai
maestri bresciani.
Nel 1533 viene affidato a Domenico l’incarico di dipingere l’affresco
raffigurante il Beato Bernardino da Feltre all’interno del Monte di
pietà di Padova. Tra il 1536 e il 1545 lavora presso l’oratorio di San
Rocco a Padova dove realizza un ciclo pittorico che comprende vari
soggetti. Nel 1540 affresca la Sala dei giganti. Dal 1541 le sue opere,
quali il Battesimo di S.Giustina, acquistano una maggiore luminosità,
grazie agli accostamenti a Salviati, operante a Padova in quegli anni.
Di pregevole fattura gli affreschi dell’abside di Praglia e i lavori
presso San Giovanni di Verdara. Muore a Padova il 10 dicembre 1564.
Il
miracolo del piede risanato
Il miracolo del piede
risanato (o La morte di Giorgione), nel celebre affresco di Tiziano.
Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1480 - 1485 - Venezia, 27 agosto
1576) è considerato da molti un allievo di Giorgione da Padova. Secondo
alcuni l’incontro, fondamentale per la formazione del giovane Tiziano,
risale al 1508.
In quell’anno infatti Giorgione realizzò la Venere dormiente per
Girolamo Marcello, un olio su tela dove la dea è colta mentre dorme
rilassata su un prato, inconsapevole della sua bellezza. Si ritiene
probabile che sul dipinto vi sia stato un intervento di Tiziano che,
ancora giovane, avrebbe realizzato il paesaggio sullo sfondo e un
cupido tra le gambe della Venere.
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Un
momento fondamentale nella storia d'Israele, così è stato percepito da
tutta la nazione il verdetto che ieri è stato pronunciato dal tribunale
che ha riconosciuto il presidente della repubblica Moshe Katzav
colpevole di un doppio stupro e di altri crimini sessuali nei confronti
di varie donne capitate nella trappola del suo ufficio nel corso della
sua insospettabile carriera. Benjamin Netanyahu, il primo ministro, ha
espresso in poche parole il senso della percezione che il Paese ha di
questo evento, del terribile shock ma anche del suo orgoglio: «E un
giorno molto triste per Israele, ma anche un giorno in cui si dimostra
che ogni cittadino è eguale di fronte alla legge e ogni donna è la sola
padrona del suo corpo». Il verdetto è arrivato dopo quattro anni di
indagini che hanno portato alla luce dell'informazione una mostruosa
quantità di particolari su come, secondo le testimonianze delle
vittime, un personaggio così simbolico e importante come il Presidente
della Repubblica può approfittarsi del suo ruolo per compiere atti
osceni e di violenza. La loro progressiva rivelazione ha seguitato a
turbare un'opinione pubblica severa e sensibile sia alle regole che al
carisma ormai infranto. Katzav si è difeso ferocemente rifiutando anche
un accordo giudiziario che gli sarebbe stato assai utile, e tuttora si
professa innocente mentre l'intera sua famiglia insiste sull'idea che
si tratti di una montatura di stampa. Ma la fiducia nei giudici in
Israele è incrollabile. La sensazione generale quindi oggi è che
sulla vicenda di Katzav si sia fatta giustizia. Ancora non è stata
stabilita la pena, ma il prezzo minimo per la violenza sessuale è di
quattro anni e di sedici secondo la nuova legge, e quindi Katzav
potrebbe prendere parecchi decenni. Le accusatrici, dal primo momento
in cui comparve una misteriosa "Aleph", sono diventate nove. Katsavè
stato messo nell'angolo di un'umiliazione micidiale dopo aver sostenuto
che le donne implicate nella vicenda erano più che consenzienti, anzi,
innamorate e complici. Molte donne dei movimenti femministi ieri hanno
commentato come si può immaginare lodando l'imparzialità e il coraggio
della corte, ma questo niente sottrae a uno stato di shock che ha due
ragioni principali. La prima riguarda la storia personale di
Katzav, una biografia miracolosa e tipica al contempo; un presidente
che nel 2000, quando è stato eletto, aveva solo 54 anni, nato nel '45 a
Teheran. Dunque, un bambino ebreo iraniano che aveva patito fame e
persecuzioni, che giunto con la famiglia a sei anni da ragazzo aveva
lavorato insieme agli altri poveri immigrati per costruire la nuova
nazione ebraica, letteralmente mettendo in piedi Kiryat Malachi, la
cittadina di cui era diventato sindaco a soli 24 anni. Con sua moglie
Gila, un'insegnante, un tipo modesto e casalingo, avevano formato una
famiglia di ferro. Katzav, che aveva battuto Peres alle elezioni dopo
aver ricoperto svariate cariche ministeriali, ha incarnato il sogno di
emancipazione di tanti ebrei orientali con la sua aria da sefardita
signorile e religioso, quieto e deciso. Una figura che da
tranquillizzante e paterna è divenuta minacciosa e violenta. La
seconda ragione del dolore di Israele è la rinuncia all'idea che il
cursus honorum israeliano sia comunque un premio di assoluta
eccellenza, di cui ci si può fidare a occhi chiusi. Se si pensa ai
presidenti israeliani, subito vengono in mente figure torreggianti,
speciali come Haim Herzog, intellettuali geniali come Yitzchak Ben Zvi
o Zalman Shazar, storici e teorici autori di testi che tutti qui
conoscono. E poi ci sono stati scienziati e politici come Ephraim
Katzir, Yzchak Navon, Ezer Weizman, e oggi Shimon Peres, premio Nobel
per la Pace. Katsav disse quando inizio il suo mandato: «Con l'aiuto di
Dio, spero di influenzare per il bene». Ha fatto il contrario, ma la
decisione della Corte suggerisce un comportamento severo e umanitario
che serve da monito: qui non esistono signori feudali e sovrani
assoluti. L'intoccabilità non è di casa.
Fiamma Nirenstein, Il Giornale, 31 dicembre 2010
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