Sergio
Della Pergola
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Questa
settimana abbiamo avuto l'eclissi di sole, ma per inevitabile
associazione viene in mente l'eclissi della politica. In Italia come in
Israele, nel campo generale come nel campo ebraico. In un mondo ideale
la politica dovrebbe svolgere una funzione di alta mediazione fra
interessi contrapposti, di integrazione fra diverse e conflittuali
correnti, di soluzione dei grandi problemi del momento e di anticipo di
quelli del futuro. Ma nel tempo contemporaneo, la cura politica delle
complesse esigenze del collettivo sembra voler nascondere più di quanto
non voglia rivelare, sembra scomparire nell'ombra dei personalismi, dei
settarismi, e degli estremismi. La politica, sia delle persone sia
delle istituzioni, sembra imprigionata nella zona d'ombra dell'eclissi.
Non sempre ma sovente, la politica offre vecchie problematiche, vecchi
concetti, vecchie tecniche, vecchi contratti sociali, vecchie
nostalgie. Le realtà si modificano invece a velocità vertiginosa,
scorrono alla luce del sole sotto i nostri piedi, accanto e sopra di
noi, e creano un mondo fluido che opera con regole diverse da quelle a
lungo cristallizzate. Nuove problematiche, nuovi concetti, nuove
tecniche, nuovi contratti sociali, nuove nostalgie emergono alla luce
del sole con un'impensata massa critica. Non contestiamo le grandi idee
che possiedono la forza della validità permanente. Lamentiamo la
capacità della politica di voler vedere e capire veramente quello che
avviene nella zona di luce e di calore della società vera invece di
nascondersi nella zona d'ombra e di freddo dell'eclissi.
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La
sua relazione è stata votata pressoché all’unanimità dal Congresso. E
la nomina alla presidenza dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
ha strappato anch’essa un consenso sostanzialmente unanime, con 17
consensi e un’unica scheda bianca. Renzo Gattegna, che già aveva retto
il timone dell’ebraismo italiano negli ultimi quattro anni, si appresta
così a un ulteriore mandato che sarà contrassegnato dalla profonda
riforma sancita dal nuovo Statuto che rivoluzionerà l’assetto
tradizionale delle istituzioni ebraiche. E in questa delicata fase
rinnova con forza l’impegno a essere il presidente di tutti.
“In
quest’incarico voglio spogliarmi di qualunque appartenenza di
schieramento e chiederei ai Consiglieri di fare altrettanto. Il
Consiglio appartiene a tutto l’ebraismo italiano, la Giunta lavora per
tutto l’ebraismo italiano. Lavoriamo per la concordia interna, perché
tutti ne avvertiamo il bisogno. Solo un atteggiamento unitario - spiega
- può infatti consentire al mondo ebraico italiano di affrontare le
sfide del contemporaneo, in direzione di un nuovo patto civile capace
di coniugare identità, dialogo e confronto”.
Presidente
Gattegna, in questi ultimi anni si è parlato spesso della necessità,
per l’ebraismo italiano, di superare un atteggiamento di chiusura e di
aprirsi alla società. Su quali basi?
Dobbiamo prendere
coscienza del fatto che negli ultimi cinquant’anni l’ebraismo mondiale
è entrato in una nuova era, si è profondamente trasformato e non può
più applicare gli stessi schemi di ragionamento e le stesse categorie
del passato.
Le condizioni delle comunità ebraiche si sono
evolute verso una maggiore libertà di vita, di espressione e di
organizzazione così da rendere superate, inutili e forse persino
dannose tutte quelle forme di autodifesa e di ripiegamento in se stesse
che da secoli erano state costrette ad adottare. Certo sopravvivono
ancora nel mondo molte forme di antisemitismo ma quasi tutte le
comunità hanno abbandonato i paesi retti da regimi totalitari dov’erano
assenti garanzie di tutela dei diritti.
Cosa comporta
questa libertà nel rapporto con il mondo esterno?
È
un cambiamento grazie a cui siamo diventati pienamente consapevoli dei
nostri diritti trovando la forza e la determinazione per pretenderne il
rispetto. Sviluppando disponibilità, prontezza, capacità di comunicare
e, finalmente, di rompere la secolare spirale negativa che, partendo
dall’isolamento fisico e culturale dei ghetti, creava terreno fertile
per preconcetti, pregiudizi, diffidenze, odio, persecuzioni.
Una sorta di
rivoluzione copernicana rispetto all’atteggiamento del passato.
I
nostri padri e i nostri nonni si sono trovati a vivere in società
ostili e educate al disprezzo e sono riusciti a reagire e sopravvivere
mantenendo saldi la cultura e i valori ebraici.
Dobbiamo loro il
massimo rispetto e ammirazione, ma i tempi sono cambiati. Dalla metà
del Novecento abbiamo assistito al crollo delle grandi dittature
persecutrici e alla nascita dello Stato d’Israele. Viviamo il periodo
di pace più lungo che sia mai toccato in sorte all’Europa occidentale.
Siamo davanti a un’era nuova, in cui abbiamo la grande occasione di
arrivare a una normalità di rapporti con la società che ci circonda.
Saremmo irresponsabili a non coglierla.
Si è
modificato anche il rapporto con Israele?
Il
nostro legame con Israele è sempre vivo e fortissimo. Ma il nostro modo
di viverlo è diverso da quello che avevamo negli anni Cinquanta e
Sessanta. Il paese è profondamente cambiato: lo Stato si è consolidato
e ha le capacità e i mezzi per influire sugli scenari internazionali,
l’economia cresce a ritmi un tempo impensabili e la capacità
d’innovazione è straordinaria. Non è più quel paese che un tempo aveva
necessità, per sopravvivere, del nostro aiuto. E al tempo stesso è
cambiato il concetto di Diaspora.
In quale
direzione?
La
distanza e la differenza tra Israele e Diaspora si sono attenuate. E le
esperienze di movimento, di emigrazione, di diaspora, sono divenute
esperienze largamente diffuse: non sono più vissute in modo
necessariamente drammatico ma in molti casi come sinonimi di mobilità,
di modernità, di capacità di aggiornamento culturale. Se la diaspora è
cercata e desiderata, allora non esiste più quella Diaspora che gli
ebrei hanno vissuto per secoli. Ma ci riguarda invece da vicino una
nuova idea di diaspora come condizione normale e non traumatica.
La
prospettiva cambia del tutto se la speranza di essere “l’anno prossimo
a Gerusalemme” viene diretta verso una città simbolo, ideale, mitica,
che ognuno può immaginare diversa, seguendo la fantasia, o verso una
località reale, concreta e facilmente raggiungibile in poche ore.
Quali sono le
sollecitazioni che oggi in Italia arrivano al mondo ebraico?
La
società mostra interesse nei confronti della nostra cultura, delle
nostre tradizioni e della nostra religione. Da molte parti ci vengono
forti segnali d’invito a partecipare e confrontarci. Chiedono il nostro
contributo ed è una richiesta di apertura e condivisione alla quale non
è possibile né opportuno sottrarci.
Una richiesta
per molti versi impegnativa.
Senz’altro,
perché significa avere un’adeguata conoscenza di noi stessi e una buona
preparazione. In questo senso è necessario aprire una riflessione
comune con i rabbini, il cui apporto è indispensabile. Sarebbe infatti
sterile parlare di ebraismo senza i nostri Maestri con i quali dobbiamo
riuscire a costruire nuove intese portando alla loro attenzione, con
rispetto e intensità, quelli che sono oggi i problemi degli ebrei
italiani.
In che misura
il quadro dell’ebraismo italiano è destinato a essere modificato dallo
Statuto da poco approvato?
Frutto
di quattro anni di lavoro, lo Statuto apre una nuova fase che vedrà la
partecipazione diretta delle Comunità a livello nazionale. I presidenti
potranno infatti partecipare al parlamentino e far sentire la loro voce
più volte l’anno. Ciò porterà con sé un notevole impegno di lavoro. Ma
la riuscita di questa riforma ci consentirà un risultato di grande
importanza, quello di rivisitare il vecchio modello conciliando
l’autonomia delle singole Comunità con il livello nazionale.
Sembra
un’equazione impossibile.
Niente
affatto. Si tratta di superare l’assetto precedente, che valorizzava
l’autonomia comunitaria relegando in secondo piano il quadro più ampio.
In un contesto sempre più globale non possiamo continuare a ragionare
secondo logiche di campanile, pena la scomparsa dell’ebraismo italiano
dagli scenari internazionali. Vanno quindi preservate le specificità e
le autonomie di cui, in nome di un’antica e gloriosa storia, le nostre
Comunità sono giustamente gelose. A questo scopo dobbiamo salvaguardare
il pluralismo attraverso il decentramento. Adottando però una gestione
collegiale delle questioni più importanti e presentandoci al Paese e al
mondo non più in modo frammentario ma in una dimensione nazionale.
Il
terreno su cui la necessità di ragionare in questa dimensione più ampia
e di dialogare con la società s’incontrano e si intrecciano è quello
dell’informazione. Un tema cui il recente Congresso ha dedicato
passaggi di grande importanza.
Il lavoro svolto in questi
quattro anni sull’informazione e sulla comunicazione ha portato con sé
una vera rivoluzione. Oggi proponiamo una rassegna stampa che ogni anno
raccoglie circa centomila schede; il notiziario quotidiano l’Unione
informa che raggiunge regolarmente quasi 5 mila abbonati; il portale
dell’ebraismo italiano Moked che dalla nascita ha richiamato oltre 200
mila visitatori unici; il mensile Pagine Ebraiche che ha una diffusione
di 30 mila copie e nel suo primo anno di vita ha conquistato una
notevole visibilità e un giornale dedicato ai più piccoli, DafDaf, che
rappresenta un punto di riferimento per le famiglia e per quanti sono
impegnati nell’educazione. Va inoltre segnalata l’esperienza dei
praticanti: cinque giovani provenienti dalle Comunità ebraiche che
hanno avuto modo di sperimentarsi nel mondo giornalistico e di
acquisire una preparazione professionale che a breve li porterà a
sostenere l’esame di stato.
Tra
pubblicazioni online e cartacee è una grande mole d’informazioni.
Siamo
davanti a prodotti che ci hanno consentito al tempo stesso di aprire un
fruttuoso confronto con la società e di modificare nel profondo i
nostri comportamenti radicandoli ai dati oggettivi e ai fatti. Nei
prossimi mesi lavoreremo a sviluppare e arricchire ulteriormente queste
iniziative.
Daniela
Gross, Pagine Ebraiche, gennaio 2011
Quei
ragazzi che hanno ricostruito l'Italia ebraica
La
sua tessera di avvocato porta la data del 1967. Ma dietro l’immagine di
un professionista romano esperto, navigato, straordinariamente
discreto, c’è la storia di un uomo che ha dedicato molte energie ai
valori ebraici e alla realtà ebraica romana e italiana. Tra la fine
degli anni ‘50 e l’inizio degli anni ‘60 iniziò il suo impegno
nell’ambito del circolo giovanile Kadimah, che ebbe la sua prima sede
in via del Gesù. Nel 1967, all’indomani della guerra dei Sei giorni, fu
convocato, insieme a Nathan Orvieto, con il quale aveva collaborato
negli anni precedenti, da Gianfranco Tedeschi, all’epoca alla guida
della Comunità di Roma, che gli affidò l’incarico di rilanciare un
circolo giovanile che nel frattempo, trasferitosi in via Balbo, stava
attraversando un periodo di difficoltà. Di lì a poco l’arrivo di
centinaia di giovani figli delle famiglie degli esuli dalla Libia
avrebbe cambiato la storia e la composizione sociale della più antica
realtà della Diaspora. Nuovi ponti da lanciare, nuove amicizie da
costruire e l’idea di rifondare assieme agli ebrei di Libia un circolo
aperto a tutti. Presto cominciarono a essere proposti eventi culturali
e di svago che avrebbero risvegliato il mondo ebraico romano. Segue
l’ingresso nel Consiglio della Comunità ebraica romana con i presidenti
Fernando Piperno e Sergio Frassineti, l’esperienza di Consigliere
dell’Unione con il Presidente Amos Luzzatto e, dal 2006, il primo
mandato alla presidenza dell’UCEI. I delegati al sesto Congresso
dell’Unione, nel dicembre del 2010, dopo aver approvato la sua
relazione lo hanno confermato in Consiglio con un voto quasi unanime.
Il Consiglio gli riaffida infine la presidenza il 19 dicembre con una
larghissima maggioranza di consensi.
Pagine Ebraiche, gennaio 2011
La nostra storia, la difesa
della Costituzione
Il
Presidente dei valori che uniscono, del dialogo, del confronto,
dell’apertura alla società. Ma anche quello dell’impegno per una nuova
informazione. (Nel disegno di Giorgio Albertini, Renzo Gattegna con
alcuni giornalisti praticanti della redazione del Portale dell’ebraismo
italiano e con la giornalista Daniela Gross che lo ha intervistato).
“Una
politica per i giovani - ha affermato fra l’altro Gattegna nella sua
relazione al sesto Congresso UCEI - non può ridursi all’organizzazione
di occasioni di incontro e di svago, ma deve creare gli strumenti per
la formazione e l’inserimento nel mondo del lavoro di ebrei italiani
consapevoli e competitivi. L’esperienza di formazione dei praticanti
giornalisti in seno alla redazione del Portale dell’ebraismo italiano,
che porterà cinque giovani appartenenti a diverse comunità a sostenere
in primavera la prova di idoneità professionale e a divenire
giornalisti professionisti, si sta rivelando positiva e merita di
essere seguita con attenzione e ripetuta”.
E un Presidente
attento alle relazioni istituzionali. Il suo discorso per accogliere al
Congresso UCEI Giorgio Napolitano emanava un caldo sentimento di
amicizia. Eccone qui di seguito il testo integrale.
Illustre
e caro Presidente Napolitano, la Sua presenza alla cerimonia di
inaugurazione del nostro Congresso quadriennale è fonte di orgoglio e
di vera gioia. Non voglio usare parole retoriche né voglio rivolgere a
Lei un saluto puramente formale, perché invece sento nel profondo del
mio animo il grande significato del Suo essere oggi qui tra noi.
Giunto
alla scadenza del mandato quadriennale di presidenza dell’Unione,
considero una grande fortuna aver avuto tante occasioni di incontro con
Lei nel corso di eventi più o meno solenni; naturalmente tutto ciò non
è avvenuto per caso e io ho percepito, fin dalle prime occasioni, da
parte Sua grande disponibilità, considerazione e amicizia nei confronti
delle comunità ebraiche e di coloro che le rappresentano.
Sento
di interpretare il sentimento di tutti gli ebrei italiani nel definire
memorabili i Giorni della Memoria che si sono ripetuti il 27 gennaio di
ogni anno e che sono stati trasformati, per Suo merito, in grandi e
significative occasioni di diffusione di cultura, di conoscenza e di
coscienza civile per tutti e in particolare per i giovani e gli
studenti. Non ci è sfuggito il significato della Sua accoglienza, ogni
anno, nelle sale del Quirinale; sono stati momenti nei quali la
solennità non è stata fine a se stessa, ma è servita per incidere nella
memoria e per creare e consolidare una tradizione che pone i valori
fondanti della nostra nazione e della nostra democrazia ai livelli più
alti.
Queste e molte altre sono state le occasioni nelle quali
abbiamo sentito quanto fosse importante che il Presidente della
Repubblica tenesse vicino a sé i rappresentanti dell’ebraismo italiano,
una vicinanza che aveva il significato di esprimere la considerazione
per la partecipazione degli ebrei alla vita nazionale, con la loro
cultura e le loro tradizioni. Questo si ricollega alla bella
definizione delle Comunità Ebraiche che viene data, in quel
fondamentale documento che è l’Intesa con lo Stato Italiano:
“Formazioni sociali originarie”.
Come se queste avessero svolto
la funzione di cellule embrionali dalle quali la nostra nazione e i
suoi valori civili e morali sono nati e si sono formati.
Non è
stato un fatto casuale, per noi è stata una scelta spontanea e naturale
farLe pervenire quell’invito, che Lei ha avuto la cortesia e la
sensibilità di accettare.
Ora che Lei è qui posso esplicitare un
intimo sentimento: speravo ardentemente che Lei accettasse e avevo
dentro di me la solida certezza che, a meno di motivi di forza
maggiore, Lei non avrebbe deluso le nostre aspettative, come mai le ha
deluse in tanti anni. Se sorprese abbiamo avuto da Lei, Illustre
Presidente, sono sempre state eccezionalmente positive; da questo
deriva la nostra ammirazione e la nostra gratitudine per il prestigio
che la Sua opera assicura al nostro Paese. Concludo riconfermando un
impegno che tocca profondamente corde sensibili dell’animo degli ebrei
italiani i quali, quando gli è stato consentito, hanno profuso impegno,
entusiasmo e generosità nel fare dono all’Italia delle proprie risorse
materiali, morali e culturali e anche delle loro vite. Basti ricordare
il grande apporto dato al Risorgimento, all’Unità della Nazione, di cui
iniziamo a festeggiare i 150 anni, alla Prima Guerra mondiale, che ha
visto numerosissimi ebrei arruolati nell’esercito in tutti i gradi, da
generali a semplici soldati, alla Resistenza contro le dittature;
sempre hanno manifestato fedeltà agli ideali, senso di appartenenza e
spirito di sacrificio.
Sappiamo tutti come purtroppo gli ebrei
furono ricambiati dal fascismo, che perpetrò un atroce tradimento,
promulgando le leggi del 1938 e ponendosi al fianco dei nazisti nelle
persecuzioni e nella “soluzione finale”.
Ebbene, anche
fortificati da tragiche esperienze del passato, per la difesa della
libertà, dell’uguaglianza, della democrazia e di tutti i valori
solennemente enunciati nella nostra Costituzione, gli ebrei non hanno
mai smesso di lottare e tengono ben alta la vigilanza.
Sappia
caro e illustre Presidente che, per difendere questi valori, dei quali
Lei è il sommo custode e tutore, gli ebrei italiani saranno sempre al
Suo fianco.
Renzo
Gattegna, Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane,
Pagine Ebraiche, gennaio 2011
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Segreti
pubblici
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Il Tizio della Sera legge su un
forum del mattino di ispirazione glocal che i 23 morti e 70 feriti di
Alessandria d'Egitto sono opera dei servizi segreti israelo-americani.
Il Tizio è sconcertato dall'opera segreta dei servizi segreti
israelo-americani che ufficialmente non esistono, ma è anche vero che
se sono segreti non lo sa nessuno che esistono. E' anzi probabile che
più una cosa è segreta, maggiormente essa esiste. Anche se, pensa il
Tizio, la segreta responsabilità ebraica di tutto è pubblica da mo'.
Per fare un esempio, dice a sé stesso che fa colazione, lo sanno tutti
che la responsabilità della crisi economica nel Peloponneso è dei
sefarditi di Cipro. Ma fino ad oggi era un segreto inviolato che
Israele e Stati Uniti siano un solo Stato velato dall'esistenza di due
parlamenti che sono uno, e da due presidenti che poi sono lo stesso,
anche se per motivi di chiarezza segreta uno è bianco e l'altro nero.
Eppure i glocal hanno intuito tutto, pensa il Tizio: Usa e Israele sono
lo stesso Stato. Ci deve anche essere un tunnel segreto che per
comodità parte dalla Stanza Ovale e siccome a Gerusalemme c'è sempre
traffico, giunge solo alla porta di Giaffa. Obama lo usa sempre perché
la mattina gli piace fare colazione con la pitta imbottita. L'unica
cosa, si domanda il Tizio intingendo tre gocce al cioccolato nella
tazza di latte, è come facciano dei glocal a essere che ne so di Rieti
e sapere tutto del Cairo. Non è mica facile. Una volta all'aeroporto di
Peretola, il Tizio ha conosciuto una di Dallas che sapeva dove fosse il
bagno ma non che esistesse l'Italia.
Il
Tizio della Sera
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notizieflash |
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rassegna
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Egitto:
Incontro
Netanyahu - Mubarak
6
gennaio 2011
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Il premier israeliano Benyamin Netanyahu incontra oggi il presidente
egiziano Hosny Mubarak, in Egitto, a Sharm El-Sheikh. Durante la visita
si parlerà dei modi per sbloccare il processo di pace
israelo-palestinese e di questioni regionali e bilaterali, fa sapere
l'ufficio del premier israeliano. La radio militare israeliana, dal
canto suo, sottolinea che il premier intende pure sollevare con Mubarak
la questione del contrabbando di armi dal Sinai nella striscia di Gaza,
la minaccia derivante dalla presenza di gruppi estremisti islamici nel
Sinai e vedere se sia possibile la ripresa dei negoziati per ottenere
la liberazione del soldato Gilad Shalit, prigioniero di Hamas a
Gaza.
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italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
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