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11 gennaio 2011 - 6 Shevat 5771
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Roberto Della Rocca Roberto
Della Rocca,
rabbino

Il precetto di raccontare ai propri figli l'uscita dall'Egitto è ripetuto quattro volte nella Torah in termini differenti. I Maestri hanno dedotto da ciò che la Torah si riferisce a quattro tipi di figli per ognuno dei quali è importante usare un linguaggio diverso e consono alla sensibilità di ciascuno. Nel testo della Torah questi quattro approcci si rappresentano attraverso modalità di interazione differenti nei confronti dell'uscita dall'Egitto e dell'ebraismo in generale. E' curioso che il primo figlio che incontriamo nel testo della Torah sia il malvagio, il quale, nella parashà letta sabato scorso, si presenta come qualcuno che dice qualcosa ai genitori: ".... quando i vostri figli vi diranno... cosa significa per voi questo atto di culto?..." (Esodo, 12; 26).  E' proprio questo il primo figlio con cui dobbiamo rapportarci e fare i conti e non il figlio saggio che comparirà solo più avanti, introdotto invece dall'espressione  "...quando domani tuo figlio ti domanderà...che cosa significano queste leggi.....? " ( Deuteronomio, 6; 20). Il saggio nel testo della Torah è l'ultimo dei quattro  figli e non il primo come nell'ordine dell'Haggadah di Pesakh. La sua saggezza non è commisurata alla sua sapienza ma, piuttosto, alla sua capacità di porsi in modo interrogativo e in un tempo futuro, domani.  Uno sguardo, non limitato al solo istante. La differenza tra il  saggio e il malvagio consiste nel fatto che il malvagio dice e afferma, in modo assertivo e apodittico ciò che sa, un saggio, viceversa, sa cio che dice e soprattutto sa riconoscere di non sapere mai abbastanza. In un mondo che fatica a trovare risposte c'è chi continua a porre domande!      
Gadi
Luzzatto Voghera,
storico,



voghera
Si avviano le celebrazioni del 150° anniversario dell’unità nazionale e veniamo coinvolti in iniziative pubbliche di ogni tipo, commemorative e di studio. La sfida è nuovamente lanciata a chi sul territorio
rappresenta le comunità ebraiche e si deve barcamenare fra retorica risorgimentale e realtà  presente. I testi su cui documentarsi non mancano e sono in progettazione buone e interessanti iniziative di divulgazione (mostre, libri, numeri di riviste) su come gli ebrei hanno partecipato al processo di nazionalizzazione della società italiana. A me pare che, al di là dei troppi impegni pubblici cui saremo invitati a presenziare, questa sia una buona occasione per riflettere sulle nostre plurime identità (politica, etnica, geografica, religiosa, di genere). Propongo qualche punto da cui partire, senza pretesa di essere esaustivo:
1) Non credo sia corretto affermare che sia troppo debole e indefinita l’espressione “ebrei italiani”, a volte presentata nella forma sarcastica di “ebrei all’italiana”. Esiste una secolare e storicamente riconoscibile tradizione che mi pare ingiusto disconoscere, che fa dell’essere ebrei “in Italia” un’esperienza specifica della quale si può a ragione andare orgogliosi: un particolare rapporto con la civiltà italiana (cultura, lingua, tradizione gastronomica, mentalità) sono parte integrante della nostra storia che non merita di essere rinnegata.
2) Gli ebrei hanno salutato generalmente con gioia e partecipazione l’emancipazione civile ottocentesca (ricordiamolo, però, concessa sempre dall’alto), e ne hanno constatato con amarezza il repentino fallimento nel 1938 e poi con maggior durezza hanno affrontato la prova della persecuzione dopo il 1943: questi fatti non possono non aver inciso nel loro modo di essere oggi da un lato “comunità di minoranza”, e nel contempo parte di una “comunità nazionale allargata”. In questa prospettiva l’interrogarsi oggi sul significato di appartenenza nazionale e su cosa intendiamo quando ragioniamo attorno a un nuovo patto di cittadinanza non sarà inutile. Sicuramente porterà a risposte diverse da quella proposta da Arnaldo Momigliano che ancora nel 1933 affermava che “la formazione della coscienza nazionale italiana degli ebrei è parallela alla formazione della coscienza nazionale nei piemontesi o nei napoletani o nei siciliani: è un momento dello stesso processo e vale a caratterizzarlo”.
3) La demografia ci dice che gli ebrei del secondo dopoguerra in Italia sono diversi da quelli del 1861 o del 1945: in decrescita quelli italiani, numerosi quelli immigrati dal bacino del Mediterraneo (Libia, Egitto, Turchia, Libano e in seguito dalla Persia). A lungo ufficialmente “apolidi”, sono tutti portatori di esperienze storiche spesso dure, di sradicamento e spaesamento, e hanno vissuto in Italia la stessa sorte fatta di diffidenza e di relativamente non amichevole accoglienza che troppo spesso questo paese riserva agli immigrati. Soprattutto, sono figli di un vissuto differente: ragionare insieme della memoria del Risorgimento, della Resistenza antifascista, a volte della stessa Shoà può essere molto impegnativo e costituisce un terreno di sfida aperta per la costruzione di un’identità nazionale riconoscibile e, nuovamente, di un condivisibile concetto di cittadinanza.

davar
Italia e Israele in comune problemi di identità irrisolti
vittorio dan segreLo scorso 7 gennaio, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, ha aperto ufficialmente le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, con un viaggio nel Risorgimento italiano in terra di Emilia Romagna, con un “no a visione acritica  e idilliaca del Risorgimento”.
Vittorio Dan Segre, classe 1922, piemontese di Torino, diplomatico, giornalista, docente universitario da Haifa a Tel Aviv, a Oxford, a Stanford, ma anche a Torino e Milano, è stato tra i protagonisti della nascita dello Stato d’Israele, nel 1998 ha creato l’Istituto di Studi Mediterranei presso l’Università della Svizzera Italiana a Lugano, e oggi, all’Università di Tel Aviv, è responsabile di un corso sui rapporti fra Risorgimento italiano e Risorgimento ebraico, e resta, in Italia, una delle voci più carismatiche del sionismo dialogante e moderato.
Professore, dunque siamo entrati nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Lei, da piemontese e italiano, come vive questo anniversario?
Le date che terminano con degli zeri hanno sempre qualche cosa di speciale, di magico di cui il passare del tempo diminuisce l’impatto. A me ricorda quanto fallaci siano le previsioni soprattutto politiche. Nel 1911, nel cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia la stampa di Vienna sosteneva che una delle poche cose prevedibili fosse il fato che il nuovo stato italiano non sarebbe stato in grado di arrivare a festeggiare il suo primo centenario di esistenza. Oggi l’Austria Ungheria non c’è più mentre l’Italia, viva e vegeta,  è paese membro e fondatore della Comunità europea.
La sua italianità come ha influito, nel bene e nel male, nella sua partecipazione alla creazione dello Stato d’Israele?
Ho lasciato l’Italia nel 1939 a causa delle leggi razziali e una delle ragioni che mi ha spinto ad andare in Palestina, al tempo mandato britannico, era il desiderio di partecipale nella creazione del nuovo -allora molto dubitabile- stato come gli uomini e le donne del Risorgimento avevano partecipato alla creazione dell’Italia. In questo momento insegno un corso universitario sponsorizzato dall’Ambasciata d’Italia a Tel Aviv, sui rapporti fra Risorgimento italiano e Risorgimento ebraico. Debbo dire che c’è molto interesse da parte di studenti che della storia d’Italia sanno poco.
In questi 150 anni, quali le tracce e i contributi dell’ebraismo?
I contributi degli ebrei italiani al Risorgimento sono stati enormi e sproporzionati al loro numero. Basta sfogliare le pagine del Dizionario del Risorgimento per rendersene conto. Per questo il tradimento monarchico di Vittorio Emanuele III dei suoi più fedeli cittadini è stato percepito dagli ebrei italiani più penoso e indecente di quello del fascismo. Mussolini, nonostante la sua passione per le donne ebree e le pubbliche dichiarazioni di “protettore degli ebrei” non ha mai abbandonato le sue posizioni anti semite di anarchico.
I padri fondatori di Israle, come hanno interagito con l’Italia e quale opinione ne avevano?
I padri fondatori del Sionismo, il risorgimento politico ebraico, salvo qualcuno come il leader dello sionismo revisionista Zeev Jabotinsky non sono stati influenzati dalle idee risorgimentali in maniera particolare. Anche perché quando il movimento sionista è nato con Theodor Herzl nel 1896, il Risorgimento italiano era terminato.
E il mondo arabo?
L’impatto del Risorgimento sul mondo arabo e non arabo è stato significativo soprattutto per l’opera di diffusione delle idee e la presenza fisica di molti patrioti italiani, perseguitati dalle polizie dei vecchi stati italiaci, in Tunisia, Egitto, Persia e persino India e Cina. Ma questo succedeva molto prima di Arafat che delle idee e soprattutto della morale politica mazziniana era totalmente ignorante.Il movimento nazionale palestinese -contrariamente al movimento nazionale arabo- non ha le sue radici in quello italiano ma paradossalmente in quello ebraico. I palestinesi sono dei “sionisti” arabi.
Oggi Israele quando guarda all’Italia cosa si attende e come la giudica?
Il diritto a giudicare un paese appartiene a chi ci vive dentro, non a chi ci vive fuori. Israele guarda oggi all’Italia coi sentimenti di affetto e gratitudine che gli ebrei provavano verso l’Italia  dell’immediato dopo guerra che, nonostante la situazione di protettorato alleato in cui viveva -o forse proprio per questo- comprendeva e aiutava alla realizzazione del sogno nazionale ebraico molto più che i successivi governi. Oggi l’interesse reciproco è molto estero. Ciò che tuttavia più colpisce è la similitudine di problemi di identità irrisolti. Entrambi i paesi hanno capitali -Roma e Gerusalemme- di peso storico e emotivo molto più grande di quello dei reciproci stati; entrambi sono ancora incerti sul cammino politico e culturale futuro: europeo o mediterraneo; in  entrambi lo stato è stato fatto prima di fare i propri cittadini -come diceva Massimo d’Azeglio per l’Italia- gli italiani.  
Cosa c’è da celebrare in questa Unità?
La volontà  -che esiste- di migliorare la società attuale per rispetto al passato e per fiducia nell’avvenire.
Da almeno 2 anni si sta preparando questo grande evento, eppure gli italiani non sembrano così appassionati e informati su questa data. Bisogna, dopo 150 anni, rimboccarsi le maniche per fare gli italiani? o c’è anche altro?
La voglia di spaccare gli stati unitari creati nel passato è diventata una moda più che una intenzione cosciente e ragionata. D’altra parte è inevitabile che quando le città di trasformano in metropoli con popolazione maggiore di quella di molti stati, le questioni di competenza delle autorità locali diventano più importanti e pressanti di quelle politiche e l’incapacità del governo centrale di risolverle è sempre più apparente. C’è dunque bisogno di un migliore equilibrio di autorità e di risorse fra il potere centrale e quello locale. Ma lo stato nelle sue nuove molteplici forme - federative, confederative, comunitarie - resta indispensabile. Il pericolo non è nel cambiamento ma nell’ignoranza.
Il problema dell’identità di questo nostro Paese, Lei come lo decodifica, come lo porrebbe?
E’ un problema reale tanto per l’Italia che per Israele e nasce dal fatto che lo stato e la nazione si identificano sempre di meno e lo stato sovrano, ‘inventato’ alla Pace di Westfalia, nel XVII secolo, è sempre meno sovrano. Il vero problema mi sembra essere quello della “re-codificazione” della sovranità e dei suoi usi interni ed esteri.
Ragionando in termini ragionieristici: le risorse utilizzate per celebrare l’Unità di un Paese sono un investimento o una spesa corrente?
La ragioneria va bene per i conti della spesa, non per quelli dello spirito, tanto individuale quanto collettivo.  Non è questione di risorse materiali ma morali.
In conclusione non posso fare a meno di chiederLe: perchè ha realizzato l’Istituto di Studi Mediterranei in Svizzera e non in Italia?
Ho creato il mio istituto a Lugano, nella Svizzera italiana, perché di istituti di studi mediterranei in  Italia e fuori d’Italia ve ne erano troppi. E nessuno mi sembrava ispirato al principio della neutralità che è anzitutto l’intelligenza politica della moderazione. Una qualità che nel Mediterraneo è ancora poco sviluppata oltre al fatto che in Svizzera ho goduto di un  sostegno finanziario privato che non so se avrei trovato con la stessa facilità altrove. Gli svizzeri, del resto, hanno dimostrato che non occorre vivere sulla sponda del mare per vicere una gara marittima internazionale.


Maria Margherita Peracchino, Costruendo l'Indro, 10 gennaio 2011 

Qui Roma - Secondo appuntamento con le pietre d'inciampo
pietre d'inciampoSeconda edizione del progetto Memorie d'inciampo a Roma, posto sotto l'Alto patronato del Presidente della Repubblica e promosso dall'Associazione nazionale ex deportati (Aned), dall'Associazione nazionale ex internati (Anei), dal Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec), dalla Federazione delle amicizie ebraico cristiane italiane, dal Museo storico della Liberazione, organizzato da Incontri internazionali d'arte e curato da Adachiara Zevi.
A distanza di un anno domani e dopodomani, l'artista Tedesco Gunter Demnig ideatore degli stolpersteine, le pietre d'inciampo delle dimensioni standard di 10 centimetri per 10, rivestiti di ottone e sulle quali viene inciso il nome il cognome del deportato, anno di nascita, data e luogo di deportazione e, quando nota, data di assassinio nei campi di concentramento nazisti, sarà a Roma per partecipare alla lunga cerimonia di posizionamento di 54 nuovi stolpersteine che si aggiungono ai 30 che sono stati installati nel 2010.
Alla conferenza stampa che si è svolta questa mattina alla Casa della Memoria e della Storia,il progetto è stato presentato al numeroso pubblico che affollava la sala dalla curatrice Adachiara Zevi, seguita degli interventi degli storici Bruno Tobia e Alessandro Portelli, Paola Corcos moderati da Annabella Gioia, mentre Stefano Gambari, responsabile della casa delle Memoria e della Storia, ha parlato dello "sportello" aperto alla casa della Memoria e della Storia per facilitare quanti intendono ricordare familiari o amici deportati attraverso la collocazione di uno stelpersteine davanti alla loro abitazione. "Nell'ultimo anno, ha spiegato Gambari, sono pervenute 88 richieste, ma di esse 34 risultavano incomplete o mal compilate, mentre 54 schede erano state compilate correttamente e saranno queste le nuove pietre d'inciampo che saranno posizionate nei prossimi due giorni". Domani mattina, quindi, a partire dalle 9.30 le 54 pietre d'inciampo saranno installate via via, in un lungo percorso che si snoderà lungo cinque Municipi romani, partendo da Trastevere in via Goffredo Mameli, 47 per ricordare Eugenio e Giacomo Spizzichino per concludersi giovedì sera alle 19 in via Germanico, 96 nel XVII Municipio, in memoria di Giuseppe Efrati, Clara Baroccio Efrati e Augusto Efrati.
All'iniziativa "Memorie d'inciampo" è affiancato un progetto didattico: ogni Municipio, coadiuvato dal Progetto Memoria della Fondazione Cdec e dal Centro di Cultura della Comunità Ebraica di Roma, dalla Federazione nazionale insegnanti, dall'Istituto romano per la Storia d'Italia dal fascismo alla Resistenza e dal Museo storico della Liberazione di via Tasso, sceglie alcune scuole affidando loro la ricerca storica sui deportati alla cui memoria sono dedicate le pietre d'inciampo.
Per maggiori informazioni sul progetto si può consultare il sito www.memoriedinciampo.it

Lucilla Efrati

"Aron Cohen, il mio ricordo"
Chavàl al deavdin velo mishtakehìn - peccato per coloro che sono scomparsi e che non si trovano più - perché è difficile trovare oggi persone dell’entusiasmo e della dedizione di Aron Cohen.
Parlare di Aron non è facile per chi ha condiviso con lui quasi tutto: gli anni della shelichut in Italia per il Benè Akivà, il periodo in cui scherzosamente si dichiarava RE d’Italia, cioè rabbino estivo e collaborava con le attività del DAC e delle piccole Comunità, gli anni della Mishmereth hazeirò, gli anni trascorsi a Gerusalemme, quando ci si incontrava spesso o a casa sua o al Beth hamidràash italiano in rehov Betzalel, oppure al Centro per la diffusione della lingua e della cultura Judeo spagnola - la madre era di origine della ex jugoslavia - di cui è stato per anni direttore e grande animatore.
Al di là delle sue doti di educatore e organizzatore, Aron era veramente un amico pronto a criticare, ma anche a dare i suoi preziosi consigli che sarebbero ancora utili a molti rabbini per la sua grande esperienza nei rapporti umani.
Ma Aron aveva anche un grande senso umoristico e spesso scherzava. Di se stesso (che non era mai riuscito a essere eletto alla Keneseth, anche se per un pelo) diceva che “in tutto il mondo sono conosciuto come il fratello di Gheùlla, ma in Italia è Gheùlla che è conosciuta come sorella di Aron”. Dei rabbini italiani diceva che avevano un modo proprio di interpretare il senso della frase che si dice nella Birkàt hamazon (benedizione dopo il pasto): “Il Signore ci alimenti con kavòd” che in quel contesto significa “con dignità” ma che egli, applicandola ai rabbini italiani in cerca di onori, traduceva “con onore”.
Ci sono molti modi per ricordare Aron, intanto lo faremo martedì pomeriggio 18 gennaio alle 18.30 a Milano alla Fondazione Maimonide (via Dezza), dedicando a lui lo studio del testo talmudico (“I tre giuramenti”), il brano alla base della discussione - e poi della divisione - nel mondo ebraico dell’Europa orientale tra i religiosi che accettarono il Sionismo e quelli che lo rifiutarono.
La sua opera in Italia, sia come shaliach che come RE, meriterebbe di essere ricordata e rivisitata: penso che oggi avremmo ancora molto da imparare dal suo modo di operare.
Lehì zikhrò barùkh.

rav Scialom Bahbout

pilpul
Ripensare la Memoria
Tobia ZeviSiamo all’undici di gennaio e, come ogni anno, ci accingiamo a tuffarci nella Memoria. Il decimo anniversario dall’istituzione della Giornata, tra l’altro, induce a riflettere sui risultati raggiunti e sui possibili miglioramenti. Un’analisi tanto più utile alla luce dei molti episodi che mostrano un persistere del pregiudizio antisemita e razzista, dell’ignoranza, persino delle teorie revisioniste e negazioniste più becere e screditate. Una serie di sintomi che consiglierebbero di apportare modifiche e migliorie di qualche natura.
Recentemente Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica di Roma, ha rilanciato la proposta di istituire anche in Italia il reato di negazionismo. Questa idea ha innescato un’ampia polemica, soprattutto tra la comunità scientifica, in massima parte sfavorevole, e il mondo politico, in maggioranza d’accordo sulla legge. Sebbene personalmente mi sia espresso contro la proposta, anche su queste colonne, non si può non riconoscere un fatto: il tema sollevato è reale, poiché non è accettabile che sedicenti studiosi neghino l’esistenza delle camere a gas in aule universitarie o di scuola.
La questione va probabilmente affrontata in una dimensione più ampia. Sul piano educativo si ha l’impressione che non esista più in Italia la capacità di creare, a partire dalla scuola, un’identità, un sentimento, un’appartenenza collettiva. Come ricorda spesso David Bidussa, l’Italia manca al giorno d’oggi di un calendario condiviso di ricorrenze, festività e anniversari in grado di formare una coscienza nazionale. Rimangono, dell’impianto culturale della scuola del Dopoguerra, soltanto le giornate del ricordo delle vittime (non solo della Shoah, ma anche delle foibe, delle calamità naturali, del terrorismo), importantissime ma intrinsecamente particolari.
Mentre iniziano le celebrazioni per i 150 anni dall’Unità d’Italia, e mentre ci accingiamo a vivere i prossimi giorni tra un evento e l’altro dedicati alla Memoria, pensiamoci un po’ su.


Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas
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Israele arresta noto esponente
di Hamas

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L'agenzia di stampa palestinese Maan, riferisce che reparti dell'esercito israeliano hanno arrestato la scorsa notte nella cittadina cisgiordana di Salfit un noto esponente locale di Hamas, Omar Abdel Razeqè, la notizia è stata poi confermata dalla radio militare. Secondo Maan, i soldati hanno sequestrato il telefono cellulare e il computer personale di Abdel Razeq, che in passato é stato ministro palestinese della finanze nel primo governo di Ismail Haniyeh. Abdel Razeq era stato già arrestato da Israele nel 2006 e rilasciato due anni dopo.



 

In politica internazionale continua il bizzarro scandalo dell'abbattimento di una palazzina semidistrutta sul terreno di un privato che intende ricostruirvi una casa di appartamenti, in quel quartiere di Gerusalemme che per gli ebrei da un secolo si chiama Shimon Hatzaddik (dalla presunta tomba del saggio che vi sorge) e per gli arabi Sheik Jarrah. »

Ugo Volli



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