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18 gennaio
2010 - 13 Shevat 5771 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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“.....non è stata data la Torah
altro che a coloro che mangiano la Manna....”. Rabbi
Shimòn ben Yehoshua attraverso questo insegnamento ci indica come la
dimensione della Manna è una condizione esistenziale e necessaria per
sintonizzarsi con la Torah. La Manna è quel cibo gratuito che scende
ogni giorno dal Cielo che accompagna il dono della Torah. E’ un cibo
per il quale non ci si deve preoccupare per procurarselo, viene
digerito completamente, non ne avanza mai niente, ciò che avanza va a
male e fa vermi. Oggi non possiamo più avere la Manna e benediciamo
invece per un pane che esce dalla Terra, che è il cibo per cui si suda.
La parola “lekhem” pane, è contenuta infatti nella parola “milkhamah”
guerra. La vera guerra dell’uomo è quasi sempre per il pane. Ma della
Manna ci resta soprattutto l’insegnamento a prendere le distanze
dall’accaparramento e dall’avidità, caratteristiche inconciliabili con
la dimensione della Torah. Difficile di questi tempi riuscire ad
addormentarsi sereni e fiduciosi che il giorno successivo troveremo
nuovamente cibo sufficiente! Ma la smania di riempire frigoriferi e
dispense solo per tentare di placare le nostre angosce quotidiane è ciò
che continua a restare incompatibile con la pedagogia della Torah. La
Manna infatti è anche quel cibo intorno al quale ci viene dato lo
Shabbàt, ancor prima del Decalogo, quella dimensione nella quale, più
di ogni altra, dovremmo rallegrarci di ciò che abbiamo evitando di
guardare nel piatto degli altri, imparando che ogni uomo non ottiene
nulla di più o di meno di quanto Ha Shem gli ha destinato.
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Alberto
Cavaglion,
storico
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Si avvicina il Giorno della
Memoria. Prima del 27 gennaio vorrei lanciare un accorato appello,
perché si ponga fine alla guerra dei poveri che divide da qualche anno
la memoria dei deportati in Italia. Deportati razziali contro deportati
politici: una malinconico tenzone, caratterizzata da colpi bassi e
piccole insinuazioni. In uno dei saggi ora raccolti in volume da Anna
Rossi Doria si legge: “Non serve a niente invitare alla magnanimità le
memorie ebraiche oggi egemoniche se le memorie resistenti, antifasciste
e patriottiche non sono disposte dal canto loro a riconoscere gli
errori e le colpe commessi quando erano loro a dominare” (Sul ricordo
della Shoah, Zamorani, 2010, pp. 50-51). A testimonianza di questa
lacerazione Rossi Doria opportunamente ricorda la vicenda del Blocco
21, il Memoriale italiano di Auschwitz (sull’intera vicenda, da
segnalare adesso il numero monografico, a cura di Elisabetta Ruffini,
di “Studi e ricerche di storia contemporanea”, 74, 2010). Si potrebbero
aggiungere che anche il campo di Fossoli, di cui si tende a
settorializzare il ricordo, è stato toccato dall’assurda contesa.
Dovremo tenerne conto senza fare finta che il problema non esista. La
memoria dei Lager nazisti non può conoscere la lottizzazione. In questi
tre anni molte cose sono cambiate o stanno per cambiare, in
conseguenza, mi sembra, della grave crisi economica, che avendo
tagliato molti finanziamenti potrebbe trasformarsi in una opportunità
per quanti, come me, da tempo auspicano che si ponga fine a questa
penosa guerra dei poveri di una smemoratissima Italia.
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Memoria - Perché ricordare, perché insegnare
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Perché insegnare
la persecuzione e la Shoah ai ragazzi? E come lo si può fare?
Parte da queste difficili domande il secondo giorno del seminario
intensivo di formazione per gli insegnanti della rete delle Scuole
ebraiche, organizzato da Odelia Liberanome, coordinatrice del Centro
Pedagogico, che da quattro anni segue questo progetto realizzato in
collaborazione con la Scuola internazionale di Yad Vashem e che,
lasciata la parte di approfondimento riguardante la vita nei
ghetti e in particolare quella nel Ghetto di Varsavia, che ha
caratterizzato la prima giornata dei lavori, intraprende la difficile
parte della “soluzione finale”
e il modo in cui essa può essere spiegata e trasmessa agli studenti.
Iniziato in questi giorni a Roma con due diversi livelli di
approfondimento, il seminario proseguirà a Milano con un diverso step
cofinanziato dalla Fondazione per la Scuola della Comunità Ebraica di
Milano, che coinvolgerà ragazzi di quarta e quinta superiore
in preparazione al viaggio della Memoria , gli insegnanti della scuola
ebraica e gli educatori che accompagneranno gli studenti al viaggio.
“Il Centro pedagogico ha creduto molto nel proseguire
nell'approfondimento dello studio di questo argomento della Shoah, ha
detto il rav Roberto Della Rocca, direttore del dipartimento Educazione
e Cultura nell'accogliere i ventiquattro insegnanti che hanno
partecipato al seminario di livello avanzato che si è svolto al centro
Bibliografico Ucei - perché per molti ebrei l'identità
ebraica è solo questo: è molto più facile sentirsi ebrei per un nonno
deportato che mettersi a studiare la Torah. Altrettanto pericoloso è
però il percorso opposto, - rileva il Rav - che è quello di non parlare
affatto di Shoah e parlare solo di ebraismo. Come affrontare allora
questo argomento? Forse dovremmo domandarci come è
stata tramandata la Torà dentro questa tragedia”.
“Yad vashem non è un luogo sacro, la Shoah non è una cosa sacra, la
Shoah è una parte della nostra storia” ha detto Leah
Roshkowsky responsabile per l'educazione scolastica e
universitaria della Scuola Internazionale di Yad Vashem (ISHS), che ha
condotto l'intero seminario e che ha sollecitato gli insegnanti ad
approfondire il valore pedagogico della tragedia “Bisogna insegnare la
scelta, i dilemmi, spingere gli allievi ha porsi delle domande” ha
chiarito la Roshkowski nel dare il via alla seconda giornata di studio
che partendo dal processo Eichmann, di cui quest'anno ricorre il
cinquantesimo anniversario, ha approfondito il concetto della
“soluzione finale “ ricapitolando le fasi attraverso le quali si è
giunti alla decisione di una soluzione finale alla questione ebraica e
come fu possibile attuarla.
La toccante esposizione della relatrice si è arricchita della
proiezione di vari filmati fra cui Fuga da Sobibor e Ambulance.
Un ultima unità didattica si è basata sulla sull'unica documentazione
fotografica disponibile sul campo di sterminio di Auschwitz.
Il seminario riprende oggi con una nuova fase seminariale di
livello iniziale rivolta all'approfondimento dello studio della
didattica della Shoah con particolare riguardo all'antisemitismo
moderno, alla nascita dell’ideologia nazista e alla figura dei Giusti
fra le Nazioni.
l.e.
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Storia e Memoria
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Le persecuzioni
dalla voce delle vittime
Le
persecuzioni dalla voce delle vittime Smarrimento, incredulità, paura.
E al tempo stesso la ricerca di una ragione e di un’ormai impossibile
normalità di vita. Vista con gli occhi dei protagonisti la drammatica
parabola che dalle leggi razziali conduce alla persecuzione acquista
toni e accenti di straordinaria immediatezza. A restituirci le voci e
le emozioni di quegli anni, nella voce degli stessi ebrei che si
trovarono a subire l’emarginazione sociale, gli arresti e le
deportazioni, è Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia. Diari e
lettere 1938-1945 (Einaudi, 390 pp.) di Mario Avagliano e Marco
Palmieri con prefazione di Michele Sarfatti.
Il volume riunisce
una serie di documenti finora assai poco esplorati, frutto di una
ricerca che ha spaziato dagli archivi ufficiali concentrandosi
soprattutto su quelli familiari. “È la prima volta - spiega Mario
Avagliano, giornalista e studioso di storia contemporanea - che si
raccoglie un materiale di questo tipo”. “Le testimonianze – continua –
sono state raccolte insieme a Marco Palmieri tramite il passaparola,
mettendo annunci sul web o su riviste ebraiche. Il risultato è che sono
arrivati scritti anche da Israele, dalla Francia e da molti altri paesi
oltre che dall’Italia”. Ad affiancare questi testi, stralci di diari o
lettere di personaggi più noti. “In questi anni - dice Avagliano - si è
molto parlato della persecuzione antiebraica e di fascismo, spesso
sulla base di polemiche strumentali. È invece giusto tornare alle
fonti. E lettere e diari sono documenti scritti in quel momento
storico, a differenza di tante testimonianze orali a posteriori che,
pur con tutta la loro forza, sono viziate dalle conoscenze storiche,
dalle opinioni maturate dopo. Il loro pregio sta dunque nella capacità
di descrivere la reazione delle persone a quel determinato momento
storico proprio mentre sta accadendo”. Il volume compone un affresco
che, con filo cronologico e tematico, ricostruisce la triste
involuzione della persecuzione antiebraica. “Da questi brani ci si
rende conto che, salvo poche eccezioni, gli ebrei italiani fino
all’ultimo credettero che alla fine sarebbero stati risparmiati”,
spiega Mario Avagliano. “Le leggi razziali furono accolte con sorpresa
e meraviglia: in tanti avevano creduto nel fascismo e per loro fu un
colpo mortale, anche dal punto di vista morale. Per gli ebrei italiani
il settembre del ‘38 è paragonabile all’8 settembre del ‘43 per gli
italiani: è lì che si crea la cesura col fascismo. Colpisce poi che,
anche dopo l’occupazione tedesca al nord est, una parte notevole di
ebrei s’illuda che in qualche modo sia possibile salvarsi”. Malgrado
ciò è diffuso il senso della responsabilità dell’Italia nelle
persecuzioni. “Davanti alla Shoah troppo spesso si dimentica che in
questo senso c’è una responsabilità autonoma, che riguarda la
persecuzione dei diritti e la collaborazione con i nazisti. Le parole
dei diari degli ebrei che hanno vissuto quel tempo sottolineano con
forza proprio quest’aspetto”.
d.g., Pagine
Ebraiche, gennaio 2011
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“Il
dolore è grande”
“Come
è possibile che non sia più ritenuto degno di essere figlio d’Italia?”
Ada Carpi e Aldo Neppi Modona
Ada al figlio
[Firenze]
Settembre 1938-XVI
Mio
carissimo, ho pensato a te! Sento continuamente la tua angoscia! Ma
conosco il tuo spirito elevato, la tua serena forza d’animo, e sono
sicura che non ti abbatterai, non perderai nulla dei tuoi sentimenti
puri e profondi verso te stesso, verso noi, verso tutti, e ti manterrai
calmo ed equilibrato come sempre. Mandami un rigo per mia tranquillità.
Aldo alla madre
[Roma]
Settembre 1938-XVI
Cara
Mamma, certo il dolore è grande, ma non temere, non mi abbatto; mi hai
educato a sentimenti virili, e l’animo si mantiene alto e lo spirito
sereno. Non mi preoccupa troppo la situazione mutata, l’avvenire
incerto, la impossibilità forse di provvedere economicamente alla mia
famiglia; non ho, spiritualmente, il tempo di fermare il pensiero su
questi lati del problema. La mente si chiede solo: ma è possibile? Con
la fede inalterata nel culto di questa terra che consideravo e
considero la mia patria, con la passione sempre nutrita per questa
bella Italia, con l’ammirazione per il Regime, che abbiamo sempre
avuta, con l’eco delle esclamazioni che ogni mattina, per mezz’ora,
fanno in coro i bimbi fingendo di leggere su libri qualunque (ma fra
poco impareranno davvero!). “Viva il Re! Viva Mussolini! Viva l’Italia!
La bandiera tricolore è la più bella! Viva l’Abissinia italiana!”, coi
ricordi di 4 anni di guerra, come è possibile che non sia più ritenuto
degno di essere figlio d’Italia? Ma non importa, mi sono detto, siamo
soldati come lo eravamo in trincea, e il comandamento è uno solo,
“ubbidire”. Come il soldato ubbidisce al Superiore qualunque cosa gli
venga comandata, senza commenti, così noi, anche se non afferriamo
tutto, dobbiamo ubbidire, mantenere la linea diritta di azione e di
devozione, e solo pensare che se così è vuol dire che così deve essere,
e tutto accettare quando si tratti del bene d’Italia. Stai tranquilla,
Mamma, per il mio stato d’animo.
“Oggi anche
in Italia si è scatenata l’assurda e inumana battaglia della razza”
Luciano Morpurgo
Dicembre
1938 La legge razziale votata dal regime fascista proibisce agli ebrei
lo studio. Sì, lo studio, quella piccola cosa che dà la cultura, che fa
distinguere gli uomini dagli animali, e gli uomini colti da quelli che
non lo sono.
Proibire lo studio in Italia, nel paese che diede
al mondo i primi grandi geni, che diede nelle Università del Medio Evo
il più grande esempio di libertà, sembra cosa non vera e impossibile.
Ed è pur vero invece: nel Medio Evo da tutte le parti del mondo
accorrevano qui studiosi a istruirsi, ad abbeverarsi di scienza, ed
erano simpaticamente accolti; oggi, nell’anno 1938 – che, scimmiottando
gli anni della rivoluzione francese e l’inizio di una nuova… era, si
vuol chiamare diciassettesimo – tutto ciò è finito! La cultura deve
esistere solo per gli ariani, possono frequentare le scuole anche i
negri, i cinesi, gli indos, tutte le razze, ma gli ebrei no. […]
Pagine
Ebraiche, gennaio 2011
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Mediterraneo, futuro e
destino
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Ciò che sta accadendo in
Tunisia mi pare molto impressionante. Il Medioriente e il Maghreb, aree
geograficamente molto prossime, sono attraversati da tensioni profonde
e potenzialmente esplosive. Le coste tunisine distano poche decine di
chilometri dalla Sicilia, sono frequentate da molte migliaia di turisti
italiani ogni anno, e hanno rappresentato il volto più tranquillo del
mondo islamico. Certo, tutti conoscevano il prezzo di questa stabilità:
repressione, controllo poliziesco, democrazia solo apparente. E
tuttavia la stabilità di alcuni paesi nordafricani - Marocco, Algeria,
Tunisia - ci faceva sentire più sicuri.
Oggi scopriamo che l’età media di questi paesi si aggira sui 25 anni,
che la gran parte di questi giovani sono disoccupati e teme di
rimanerlo, che aver assorbito modelli di vita occidentali e giuste
aspirazioni ai diritti può spingere masse di persone nell’Islam
integralisti. Questa possibile e pericolosa deriva nasce peraltro da
ragioni solo parzialmente ideologiche: il fatto che in quei paesi
l’opposizione sia spesso incarnata da movimenti fondamentalisti
catalizza tensioni che altrimenti sfocerebbero, come attualmente
sfociano, in rivendicazioni di natura sociale e politica.
Di fronte a tutto questo l’Occidente, e in particolare l’Europa, appare
incerto. Oscillante tra la spinta istintiva ad appoggiare rivolgimenti
democratici e il timore che il ricorso libero agli elettori possa
condurre a situazioni pericolose, come accadde in Algeria all’inizio
degli anni Novanta con il trionfo elettorale del Fis. Questa afasia
nasconde una difficoltà a comprendere un fenomeno di cui l’Europa è
anche parzialmente responsabile, con la chiusura sempre più ermetica
delle frontiere mediterranee.
È difficile proporre soluzioni: un’apertura indiscriminata del
continente non sembra essere una soluzione efficace, poiché
aumenterebbe la xenofobia nelle nostre società e condurrebbe
inevitabilmente a una compressione dei standard sociale e civile cui
siamo giustamente abituati. E però neanche lo status quo può essere
ritenuto ragionevole: sperare che passi la rabbia delle giovani
generazioni di maghrebini mentre il Mediterraneo si trasforma in un
cimitero galleggiante appare una speranza flebile e quantomai incerta.
Tobia
Zevi, Associazione Hans Jonas
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notizieflash |
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rassegna
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Israele:
scissione dei Laburisti,
Barak necessario per fronteggiare l'Iran
Tel
Aviv, 18 gennaio
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Dietro all'improvviso sfaldamento del partito laburista - deciso ieri
dal suo ex leader e ministro della difesa Ehud Barak - potrebbe esserci
la persistente preoccupazione di Israele per i progetti nucleari
iraniani. Lo afferma l'analista politico di Haaretz Aluf Ben. Sarebbe
questo il motivo secondo l'analista che ha mosso l'esigenza del premier
Netanyahu ad avvalersi ancora di Barak, quale ministro della Difesa,
dotato di grande esperienza militare...»
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Due notizie importanti per la
situazione mediorientale oggi spiccano sui giornali: il procuratore del
tribunale internazionale per il Libano ha consegnato al giudice le
richieste di incriminazione degli assassini del primo ministro Hariri,
sei anni fa, e tutti sanno che si tratta di dirigenti di Hizbullah, ma
sembra che la catena dei mandanti si estenda fino alla “guida suprema”
dell’Iran, Ali Khamenei (notizia non firmata sul Corriere)...»
Ugo
Volli
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