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19 gennaio 2011 - 14 Shevat 5771
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Adolfo Locci
Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova

E disse a lui il Signore: Vai! Scendi! (Shemot 19:24)
Il Midrash racconta che i figli d’Israele stanno per violare la zona interdetta a loro proibita e Moshè, in un primo momento, si rifiuta di credere questo perché riteneva impossibile che il popolo trasgredisse un ordine chiaro ed esplicito. Moshè necessita allora di un doppio imperativo (LEKH- RED) per staccarsi dalla Shekhinà e ritornare a vedere la realtà con occhi più umani, quantomeno con gli occhi del suo popolo tra i quali non “sorgerà più un profeta come Moshè”. L’essere attaccati alla Shekhinà può rappresentare una tentazione alquanto forte, per questo un maestro ha bisogno di porsi degli imperativi che lo facciano sempre stare a contatto con la realtà dei propri allievi; è così che i suoi insegnamenti possono essere recepiti e osservati al meglio.

Anna
Foa,
storica


Anna Foa
Lo so che è una notiziola piccola piccola, la riporta Europa di ieri. In una chiesa a Sud di Parigi nel 1941, cioè sotto occupazione nazista, è stata realizzata e esposta al pubblico una vetrata con Erode rappresentato con le fattezze di Hitler. Erode il grande, re di Giudea, colui a cui il Vangelo secondo Matteo attribuisce la strage degli innocenti, è qui raffigurato con i baffetti e il volto di Hitler mentre ordina l'uccisione dei neonati ebrei. Certo, tecnicamente parlando, è un ebreo che fa uccidere altri ebrei. Ma credo che l'autore della vetrata abbia voluto semplicemente attribuire ad un demoniaco Erode, noto per la strage degli innocenti, le stragi degli innocenti che insanguinavano l'Europa sotto l'occupazione nazista. Lo strano è che nessuno sembra essersene accorto, certamente non i nazisti, che pure qualche volta davanti a quella vetrata devono pure esserci passati. Un Hitler sulla vetrata, nell'indifferenza generale, la notizia è davvero strana. Adesso, dopo settant'anni, il parroco della chiesa ne ha parlato con un giornalista, e tutti finalmente lo hanno notato.     

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davar
Qui Roma - Per Settimia e per la Memoria. Pedalando
locandinaUna pedalata nei luoghi della Memoria di Roma, dalle Fosse Ardeatine al Museo della Liberazione di via Tasso fino al Portico d’Ottavia. Una pedalata in ricordo di Settimia Spizzichino, unica donna romana tra quelle deportate il famigerato 16 ottobre del 1943, a essere sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz e Bergen Belsen oltre che alle atrocità del dottor Mengele nel terribile blocco 10. È giunta alla settima edizione l’iniziativa Pedalando nella Memoria, promossa da Provincia di Roma, Municipi IX e XI con il supporto tecnico della Uisp Roma. L’appuntamento è per domenica 23 gennaio alle ore 9, con raduno dei partecipanti e successiva partenza in due sedi distinte, nel cortile del Municipio IX a Villa Lazzeroni e alla fermata Circo Massimo della metro B. Hanno confermato la propria presenza alla manifestazione il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il presidente della Provincia Nicola Zingaretti e il presidente della Comunità ebraica Riccardo Pacifici. I ciclisti convoglieranno inizialmente al Largo Martiri della Fosse Ardeatine con visita al mausoleo che commemora l’eccidio del 24 marzo del 1944 quando i nazisti fucilarono 335 civili inermi come rappresaglia all’azione partigiana di via Rastella. Seguirà una sosta in via Licia 56, nella casa che fu di Giacchino Gesmundo, professore del Liceo Cavour morto in quella drammatica circostanza. Poi le biciclette si dirigeranno in via Tasso dove ha sede il Museo della Liberazione. Nell’occasione il direttore del Museo Giuseppe Mogavero ricorderà la figura di Elvira Sabbatini Palladini, a lungo direttrice del Museo e moglie di Arrigo Palladini, partigiano duramente provato dalle torture subite in quella che fu la sede della Gestapo durante l’occupazione nazista. Ultima tappa al Portico d’Ottavia, in Largo 16 Ottobre, dove verrà ricordata la deportazione degli ebrei romani iniziata proprio in quel tragico giorno del 1943. Durante la retata furono catturati 1022 ebrei. Tornarono in 16, nessun bambino, 15 uomini e una sola donna: Settimia Spizzichino, che passò la vita a raccontare alle nuove generazioni l’orrore dei campi di sterminio anche grazie al suo libro di memorie Gli anni rubati. “L’iniziativa - spiegano gli organizzatori di Pedalando per la Memoria - vuole ricordare la figura straordinaria di Settimia Spizzichino e farsi promotrice di un messaggio di speranza per il futuro. Che sulla spensieratezza e sulle ali di una pedalata in bicicletta possa emergere la convinzione e la fiducia di poter uscire da tutti i tunnel del nostro mondo, quali la miseria, il razzismo, la violenza e il terrorismo”.

Qui Torino - Emanuele Artom, ebreo e antifascista
Un film ne racconta ora il coraggioso itinerario 
Relatori“Bisogna scrivere questi fatti, perché fra qualche decennio una nuova retorica patriottarda o pseudoliberale non venga a esaltare le formazioni dei purissimi eroi: siamo quello che siamo: un complesso di individui in parte disinteressati e in buona fede, in parte arrivisti politici, in parte soldati sbandati che temono la deportazione in Germania, in parte spinti dal desiderio di avventura, in parte da quello di rapina. Gli uomini sono uomini”. Senza miti, senza ritualizzazioni, Emanuele Artom racconta la sua esperienza di commissario partigiano di Giustizia e Libertà, di “bandito”, ma ancor più spiega puntuale, lucido, a tratti severo, la realtà italiana dell’epoca. Nel suo Diario troviamo il vivido racconto dell’Italia fascista, dell’Italia in guerra con sé stessa , degli ebrei traditi dal proprio Paese.
A lui, ebreo torinese simbolo della resistenza civile, dell’orgoglio intellettuale che sposa la libertà contro i crimini del fascismo, è dedicato il film “Emanuele Artom, il ragazzo di via Sacchi” del regista Francesco Momberti, presentato giovedì sera al centro sociale della Comunità ebraica di Torino. Davanti a una sala gremita scorrevano le immagini, le parole, i ricordi dei testimoni e degli amici di Artom in una ricostruzione sobriamente celebrativa della storia di un grande personaggio dell’900 italiano. Il lungo e sincero applauso dei presenti, una volta terminata la proiezione, è stata non solo la dimostrazione dell’apprezzamento del grande lavoro di Momberti e dei suoi collaboratori ma anche un affettuoso quanto orgoglioso saluto dell’ebraismo torinese a Emanuele Artom.
“Questo lavoro – ha sottolineato in apertura di serata il presidente della Comunità torinese Tullio Levi – è importante per la nostra realtà quanto e soprattutto per il mondo esterno. Il merito di Momberti è di aver creato un documentario prezioso per le giovani generazioni, che potranno conoscere il profondo impegno di Artom a favore della patria e il modo in cui seppe coniugarlo alle sue radici ebraiche”.
Lo scorrere del Sangone, il verde silenzioso delle montagne piemontesi, le celle delle Carceri Nuove di Torino, sono lo sfondo dei racconti di amici, compagni di scuola e di Resistenza, di chi ne ha studiato la storia e gli insegnamenti. “Il film si apre con l’immagine di una chiave che apre la cella di Artom – spiega il regista Momberti – un modo simbolico per iniziare un racconto che non ha una chiusura: la porta della cella rimane aperta perché la storia di Artom deve continuare, deve essere raccontata ancora e ancora”.
Tre anni di lavoro hanno dato vita ad un documentario che rende omaggio alla persona Emanuele Artom, al suo valore umano quanto politico, un intellettuale combattente con lo sguardo rivolto al futuro. “Attraverso i Diari, attraverso i materiali che abbiamo raccolto, abbiamo cercato di ricostruire la vita di Artom, dando anche un quadro più generale del contesto storico dell’epoca. Per questo abbiamo ad esempio inserito i discorsi di Mussolini e Badoglio, per collegare la Grande Storia alla storia di un uomo. Così come, attraverso l’espediente teatrale e grazie alla collaborazione del Gruppo Teatro Angrogna, abbiamo ricordato la follia e stupidità delle leggi razziali”.
Il film si articola in quattro filoni principali: il rapporto di Artom con la famiglia e l'ebraismo (vissuto ed elaborato negli anni in modo molto personale e critico); l’evoluzione politica e spirituale; il momento della scelta partigiana, quando il giovane Emanuele decide di non scappare o rimanere nascosto ma di andare a combattere in montagna; il percorso da commissario politico.
Senza mitizzare o scadere nell’esasperazione dei sentimenti, il documentario sobriamente presenta la forza d’animo, la volontà di cambiare la società, di combattere per il prossimo di Emanuele Artom. Per comprendere la grandezza dell’uomo, morto per le sevizie subite dai nazifascisti e sepolto sulla riva del Sangone, basta guardare sul video il profondo rispetto con cui i diversi oratori lo ricordano. Da Ugo Sacerdote a Paola De Benedetti, da Giulio Giodano a Silvia Finzi e ancora Massimo Ottolenghi, Bianca Guidetti Serra, Tullio Levi, Sergio Coalova, Felice Burdino, Alberto Cavaglion e Guri Schwartz.
“Siamo molto soddisfatti – afferma il regista – di essere riusciti a ottenere questo risultato. E pensare che inizialmente, nel nostro ambiente, in molti ci avevano sconsigliato di cominciare questa avventura. ‘Non è artisticamente valida’ dicevano ma noi abbiamo perseverato. E una delle cose più emozionanti è stato ricevere un ‘grazie’ da una delle signore presenti nel pubblico del centro sociale della Comunità. Nel nostro lavoro – continua Momberti- spesso il giudizio è o brutto o bello ma capita raramente di essere ringraziati; il grazie penso sia la dimostrazione che abbiamo lavorato nella direzione giusta, rendendo omaggio ad un giovane coraggioso come Artom, un esempio per le future generazioni”.
Unica nota amara, nelle parole di Momberti, il rifiuto ricevuto dal programma della rai la Storia siamo noi di Giovanni Minoli. “Avevamo proposto il film alla direzione del programma – sostiene il regista – ma ci hanno risposto picche. Il motivo? Artom secondo loro non è abbastanza famoso. Come se questo fosse il punto”.

Daniel Reichel

Al via la sesta edizione del master in Didattica della Shoah
RelatoriGiunge alla sesta edizione il master internazionale di secondo livello in Didattica della Shoah inaugurato questa mattina nella sala dell'auditorium dell'Accademia dei Lincei dove, dopo il saluto del professor Gaetano Medici, preside della Facoltà di Scienza della Formazione di Roma Tre, università in cui l'insegnamento è stato attivato, sono seguiti quelli del sottosegretario del ministero dell'istruzione e ricerca scientifica, Giuseppe Pizza, del consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Victor Magiar, di Sebastiano Fulci, capo della delegazione italiana della task force for international cooperation of Holocaust remembrance, dell'onorevole Letizia De Torre e del professor Roberto Cipriani, direttore del dipartimento di Scienze della Formazione di Roma Tre. Il Master internazionale in Didattica della Shoah intende offrire una specifica occasione di approfondimento interdisciplinare della didattica della Shoah e della trasmissione della memoria e del ricordo attraverso le generazioni e dei processi di elaborazione della tragedia della Shoah nei suoi aspetti psicologici, filosofici, religiosi, letterari, storici e artistici, come ha sottolineato il professor David Meghnagi, che lo ha ideato e che lo dirige da sei anni, periodo nel quale si sono diplomati oltre sessanta studenti, cinque dei quali hanno vinto un dottorato di ricerca presentando un elaborato sui temi della Shoah.
La mattinata si è conclusa con una lectio magistralis del professor Meghnagi dal titolo “Primo Levi e la poetica del silenzio”.
Il master è realizzato con il patrocinio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Comune e Provincia di Roma, Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e della Conferenza dei rettori delle Università italiane (CRUI).


Memoria - Un seminario fra ricordo e insegnamento
Pubblico - seminarioTerzo giorno romano del seminario intensivo per i docenti della rete delle scuole ebraiche organizzato dal Centro pedagogico del dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane in collaborazione con la Scuola internazionale di Yad Vashem (ISHS).
Le giornate di studio romane che si sono svolte al Centro bibliografico Ucei, con il coordinamento di Odelia Liberanome sono state condotte interamente da Leah Roshkowsky responsabile per l’educazione scolastica e universitaria della ISHS. Il seminario di livello iniziale che segue le due giornate full immersion di quello di livello avanzato, è rivolto all’approfondimento dello studio della didattica della Shoah con particolare riguardo all’antisemitismo moderno, alla nascita dell’ideologia nazista, e alla figura dei Giusti fra le Nazioni e al modo in cui la tragedia della Shoah deve essere trasmessa agli studenti. La formazione in Italia degli insegnanti della rete delle scuole ebraiche, da parte della Scuola Internazionale di Yad Vashem prosegue oggi con una fase seminariale a Milano cofinanziata dalla Fondazione per la Scuola della Comunità Ebraica di Milano. Il progetto è stato curato dall’insegnante Ruth Keret, con l’aiuto dei professori Esterina Dana e Mino Chamla, in collaborazione con il Centro Pedagogico.


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pilpul
Le leggi ad personam e il modello di Israele
Francesco LucreziLa condanna dell’ex presidente di Israele, Moshe Katzav, per svariati crimini sessuali, già adeguatamente commentata da Fiamma Nirenstein su Il Giornale del 31 dicembre (ripreso da Moked dello stesso giorno), sollecita diverse considerazioni.
Innanzitutto, l’idea che chi abbia rappresentato, al massimo livello, lo Stato ebraico venga condannato per delle colpe così infamanti, non può non suscitare profonda amarezza. Come affermato dal premier Benjamin Netanyahu, e da pressoché tutti i commentatori, si tratta certamente di una giornata particolarmente triste e dolorosa per il Paese.
Tutto il Paese appare ferito e mortificato da questa vicenda. Ma, come sempre, quando si tratta di applicare la legge, lo Stato di Israele ha confermato un livello di solidità istituzionale, di civiltà giuridica, di maturità dell’opinione pubblica tali da renderlo degno dell’invidia di qualsiasi altro Paese del mondo. Nessuno ha osato contestare la legittimità della sentenza, nessuno ha dubitato dell’imparzialità dei giudici, nessuno si è azzardato a proporre privilegi di sorta per l’imputato eccellente, “leggi ad personam”, scappatoie giuridiche.
La delusione è accentuata dal ricordo del grande significato simbolico che assunse la nomina di Katzav, nel 2000, all'alta carica. Criticata, ovviamente, dalla gran parte degli opinionisti stranieri, in quanto automaticamente considerata una scelta contraria al dialogo e al processo di pace - solo perché sostenuta dalla destra, mentre il candidato dei laburisti era Shimon Peres, che gli fu poi successore -, l'elezione di Katzav a presidente di Israele rappresentò invece un grande segnale di riscatto e di speranza - paragonabile, in piccolo, alla vittoria di Obama - per quella parte di ebrei sefarditi, di umile estrazione, rimasta fino ad allora, per diverse ragioni, generalmente lontana dai piani alti del potere e dell'amministrazione statale. L'ascesa alla massima carica dello stato di un "selfmade man", nato a Teheran in una famiglia povera, privo di significativi appoggi politici, economici, culturali, inaugurò davvero una pagina nuova nella storia di Israele, segnando il superamento della gloriosa stagione dei padri fondatori di origine mitteleuropea, e dando effettività e concretezza alla natura aperta e democratica della società israeliana. E, durante tutto il suo mandato, Katzav si è dimostrato, nella dimensione pubblica, un ottimo Presidente, coprendo la sua funzione con sobrietà e dignità, e rappresentando il suo Paese nel mondo con autorevolezza e decoro. Se è vero, come pare, che egli abbia abusato, in privato, del suo ruolo, approfittandone per compiere gravi reati, ciò getta una pesante ombra sulla sua persona, ma non scalfisce minimamente il prestigio della carica del Presidente, che, dalla rigorosa applicazione della legge e della giustizia, nei confronti di chiunque, non può che ricevere ulteriore forza: il Presidente di Israele è il Presidente di uno stato di diritto, e, in quanto tale, al diritto risponde e soggiace, come tutti. E chi, come il sottoscritto, ha avuto l'opportunità - con una delegazione della Federazione delle Associazioni Italia-Israele - di essere ricevuto, in visita privata, dal Presidente Katzav, continuerà a considerare tale incontro come un grande onore e privilegio.

Francesco Lucrezi, storico

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notizieflash   rassegna stampa
Editoria - Il tabloid Israel ha-Yom
è il quotidiano più letto dagli israeliani

Tel Aviv, 18 gennaio

  Leggi la rassegna

L'uomo d'affari statunitense Sheldon Adelson, nel 2007, fondò in Israele un nuovo giornale, Israel ha-Yom, con l'obiettivo di fornire al lettore “un'informazione più patriottica”. Il progetto imprenditoriale di Adelson sta dimostrando giorno dopo giorno di essere stata una scelta azzeccata. Il tabloid infatti, distribuito gratuitamente, continua a rafforzarsi e - durante la settimana - allarga il proprio margine di vantaggio rispetto al principale rivale, Yediot Ahronot...
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La settimana scorsa su Repubblica è stato pubblicato un elenco di presunti evasori italiani; purtroppo nell’articolo - che questa rassegna non aveva ragione di esaminare - abbiamo letto parole che ci auguravamo tutti di non dover leggere mai più (e meno che mai in un grande quotidiano italiano): “Tra le famiglie con cognome di origine ebraica: Paserman, Eleonora Sermoneta e Gianfranco Graziadei”. Numerose sono state le indignate lettere di protesta inviate al direttore di Repubblica Ezio Mauro, ma purtroppo non risulta che egli abbia sentito il dovere di rispondere per giustificarsi (se fosse possibile) o per scusarsi...»

Emanuel Segre Amar

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