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23 gennaio 2011 - 18 Shevat 5771 |
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Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino
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"Il
Signore parlò tutte queste parole, dicendo". In questa
introduzione ai dieci comandamenti è ripetuta due volte, sebbene con
verbi diversi, l'idea del parlare: secondo Chizkuni solo il secondo
verbo si riferisce alle parole pronunciate dai Dio al popolo di
Israele. Il primo dà conto del discorso che Dio ha fatto dentro di Sé:
un preparazione per aver chiaro ciò che avrebbe detto agli uomini
accampati ai piedi del monte. Chi vuole comunicare ad altri, deve prima
ripetersi e chiarirsi il messaggio; e deve farlo proprio. |
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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C’è una stanchezza della
memoria e anche un suo appannamento. Dopo un decennio, come altre
scadenze del calendario pubblico, il giorno della memoria è in affanno.
Il senso comune dirà che esagero e che stando al calendario delle
iniziative, alla mobilitazione nelle scuole, ai “viaggi della memoria”
non si potrebbe pensare che a un futuro radioso. Non ne sono convinto.
L’Italia adotta il 27 gennaio come giorno della memoria, ma non si dota
di una data che fa parte della propria storia nazionale (come in
Francia). Perché? Perché ritiene che la Shoah non sia parte della sua
storia (al massimo ritiene che sia accaduta nel suo territorio) e
perché non vuol fare i conti con la propria storia.
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Tullia Calabi Zevi (1919-2011) |
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Tullia
Calabi Zevi, uno degli esponenti più autorevoli e rispettati del mondo
ebraico italiano, è scomparsa sul finire del sabato 22 gennaio. I
funerali si terranno al cimitero ebraico del Verano lunedì, 24 gennaio,
alle 12.30. In queste ore l'Italia ebraica rende omaggio alla sua
figura, mentre i sentimenti di tutto il paese sono stati interpretati
dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha lasciato il
Quirinale per unirsi ai familiari colpiti dal lutto. Reagendo alla
dolorosa notizia, il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato: “Voglio esprimere profondo
dolore mio e di tutto il Consiglio dell'Unione per la scomparsa di
Tullia Zevi, una cara amica e una figura di alto livello umano e
culturale. L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è stata da lei
presieduta nel periodo dal 1983 al 1998 e noi tutti ricordiamo la
profondità e la dignità di tanti interventi che furono da lei compiuti
in difesa dei diritti degli ebrei e di tutte le minoranze e che le
valsero il generale rispetto e la stima in particolare di coloro che
poterono conoscerla personalmente”. La redazione del Portale
dell'ebraismo italiano, del notiziario quotidiano "l'Unione informa" e
del giornale dell'ebraismo italiano "Pagine Ebraiche" è accanto ai
familiari. Che il suo ricordo sia di benedizione.
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Tullia Calabi Zevi -
"Donna e leader" |
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Il verbo corretto credo sia:
“ha rappresentato”. O per dire con maggior precisione: “ci ha ben
rappresentati”. Non sarà inutile, al di là del sentito ricordo e della
sincera commozione che suscita la scomparsa di Tullia Calabi Zevi,
provare a compiere un primo sommario bilancio sul significato che la
sua personalità ha assunto nella storia dell’ebraismo italiano e il
paese. Per farlo, dobbiamo far ricorso a un lemmario che oggi appare
tristemente e pericolosamente superato in un paese sempre più involuto
e affaticato. Le parole chiave (almeno quelle che possiamo scegliere a
caldo e che vengono spontanee nel ripensare alla nobile figura della
signora Zevi) potrebbero essere donna, antifascismo, ebraismo plurale,
rinnovamento, tradizione, partecipazione. E, naturalmente e prima di
tutto, “rappresentanza”.
L’ebraismo italiano è stato guidato e per l’appunto rappresentato per
oltre tre lustri in un momento di passaggio cruciale nella recente
storia italiana da una donna che ha saputo trasformare la stessa
immagine pubblica degli ebrei in Italia. In un paese che su diversi
piani (culturale, religioso, politico e giuridico) cominciava a
chiedere con sempre maggior insistenza alle nostre comunità di aprirsi
e di riconnettere finalmente un filo che poteva apparire spezzato e
lacerato in più punti dopo la tragedia delle leggi razziali, Tullia
Zevi è sembrata a molti e per lungo tratto la figura ideale per
ricucire quel filo.
In lei si concentravano infatti caratteristiche rare e irripetibili.
Intanto per il suo essere donna e leader di una comunità religiosa, un
binomio di assoluta novità in un paese come l’Italia dove la leadership
femminile, per di più di una comunità religiosa, è merce rara quando
non introvabile. Poi perché la sua storia personale e famigliare
l’avevano portata a contatto diretto con l’intellighentia antifascista
che attraverso il Partito d’Azione aveva costituito una delle anime
fondative della nostra repubblica costituzionale, e – lo scriveva essa
stessa in un ricordo biografico recente – aveva deciso nel 1946 di
tornare in Italia per aiutare la comunità a rinascere e “per
testimoniare come giornalista e come persona”. Il mestiere di
giornalista le aveva permesso di collocarsi in una dimensione
decisamente lontana dal provincialismo che ancora attanagliava la
comunità ebraica italiana, dolorosamente colpita dalle persecuzioni e
faticosamente in ripresa, ed aveva così potuto attivare una
corrispondenza da un lato con la realtà israeliana (attraverso la
collaborazione pluridecennale con il quotidiano Ma’ariv) e dall’altro
con i saldi rapporti con gli Stati Uniti che in gioventù aveva imparato
a conoscere bene.
Una prospettiva globale, quindi, che le permetteva di osservare con
sguardo lungimirante la realtà ebraica italiana e il suo ruolo
fondamentale nella costruzione del paese e nel suo rinnovamento. Che ci
fosse una necessità di rinnovamento le era chiaro, un po’ per la sua
conoscenza del mondo, un po’ per gli evidenti cambiamenti che la realtà
del paese andava manifestando. E quando venne chiamata – dopo un
mandato da vice-presidente – a ricoprire la carica di presidente
dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, i tempi erano
decisamente maturi per mettere mano a importanti trasformazioni che
hanno mutato nel profondo il modo degli ebrei di essere sé stessi in
Italia. Nel concludere le lunghe trattative che avevano caratterizzato
la redazione delle nuove intese con lo Stato e il nuovo Statuto
dell’Unione, Tullia Zevi sottolineava un passaggio culturale cruciale
quanto attuale: “L’Intesa – scriveva – riconosce la condizione ebraica
nei suoi molteplici profili, […] una condizione che rivendica a sé una
specificità non solo di ‘fede’ ma di ‘cultura’. Una cultura che si
esprime anche in componenti che si sogliono definire ‘laiche’, ma che
fluiscono da sempre – diverse ma non conflittuali rispetto a quelle in
cui la rigorosa osservanza dei precetti assurge a espressione e regola
di vita – nell’alveo profondo della storia e delle tradizioni
dell’ebraismo italiano”.
Un ebraismo plurale, appunto, affermato con forza accanto alla fedeltà
a una tradizione millenaria con l’intento di spiegarsi e di aprirsi
alla realtà italiana. A segnare definitivamente l’importanza del ruolo
giocato da Tullia Zevi, prima come Presidente e poi, negli ultimi anni,
come impegnata personalità pubblica e – non da ultimo – come nonna
affettuosa e dialogante, sta la decisa sottolineatura della necessità
di partecipazione alla vita politica e culturale, del rifiuto di
chiudersi in una concezione privatistica di comunità, e
dell’affermazione del ruolo non solo legato alla “testimonianza” di una
tragedia immane come la Shoah. Un ruolo che la signora Zevi descriveva
in una bella intervista a Ruth Ellen Gruber come “una funzione che
impone nuovi obblighi e responsabilità a proposito di razzismo,
xenofobia, rispetto dei diritti umani, porgere la mano ai ‘nuovi’
altri. Non è un ruolo secondario – concludeva – ma lo sapremo onorare
solo se sapremo nel contempo approfondire e trasmettere i nostri valori
etici e religiosi”.
Gadi Luzzatto
Voghera, storico
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Tullia Calabi Zevi -
"Testimone e protagonista" |
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Partecipiamo affettuosamente al
dolore della famiglia Zevi per la perdita della cara Tullia. Tullia
Zevi ha rappresentato per molti decenni una sintesi unica fra doti di
alta cultura, capacità analitica, e leadership pubblica. E' stata
testimone e protagonista di alcune delle grandi pagine della storia
ebraica del Ventesimo secolo, e lo ha fatto con grande intelligenza,
passione e nobiltà. Rimpiangiamo la rappresentante esemplare di una
generazione di ebrei italiani che va scomparendo. Min Hashamaim
Tenuhamu.
Sergio e
Miriam Della Pergola
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Tullia Calabi Zevi -
"Intelligenza lucida e straordinaria"
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La notizia della scomparsa di
Tullia mi ha profondamente commosso ed ha risvegliato in me molti
ricordi. E’ stata una delle persone più straordinarie che mi sia
capitato di conoscere, di un’intelligenza acuta ed immediata, con la
capacità di trasformare la sua tenacia in dolce persuasività, ma anche
di trasferirla in duri confronti personali. Aver conosciuto Gaetano
Salvemini ed aver suonato con Leonard Bernstein durante il suo esilio
newyorchese avevano plasmato il suo carattere, mentre le sue opinioni
sui rapporti fra l’ebraismo ed il mondo, la sua difesa dei valori
ebraici, la sua lotta contro l’ingiustizia derivavano a mio parere
direttamente dall’eredità spirituale di Nahum Goldmann.
Epico, voglio ricordare solo quello, il suo violento scontro con Sandro
Pertini al Quirinale. Fu un concentrato di queste sue doti, una sintesi
delle sue idee. Anche l’unico errore che io possa addebitarle lo fu: la
rinuncia alla partecipazione dei proventi dell’appena introdotto 8 per
mille fu motivato da una sua energica e pubblica ricusazione di quella
che, giustamente, considerava una vera e propria truffa, e da una forte
rivendicazione del senso di giustizia e di rispetto dell’uguaglianza a
nome degli ebrei.
Quando il neoeletto Consiglio dell’Unione incaricò cinque dei suoi
membri di indicare al Consiglio stesso la persona da eleggere come
presidente ci riunimmo nella saletta attigua per valutare le
candidature. Il nome di Tullia emerse immediatamente e prevalse con il
solo parere contrario di rav Toaff, che da quel momento non partecipò
più alle riunioni di Consiglio. Fu un trauma per tutti noi, ma sono
certo che ognuno di noi riproporrebbe anche a posteriori il nome di
Tullia, che ha sempre profuso tutte le sue energie morali, caratteriali
e fisiche nella conduzione dell’ebraismo italiano. La ricordo talvolta
stremata dalle discussioni e dal suo sforzo di convincere o di
risolvere problemi, decisa e lucida nel portare a compimento l’Intesa,
sempre di un passo più avanti rispetto a tutti noi.
Federico
Steinhaus
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Tullia
Calabi Zevi - Il ricordo dell'Ugei |
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Qui Milano -3 Cohens,
tre fratelli e la passione per il jazz
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Settimana italiana per il
terzetto 3 Cohens che, prima di volare negli Stati Uniti, dove si
esibirà al Portland Jazz Festival, chiude il soggiorno con un
concerto che si è tenuto questa mattina al Teatro Manzoni di Milano,
nell'ambito dell'iniziativa “Aperitivo in concerto”, dove i tre artisti
sono giunti dopo essersi esibiti a Macerata e a Ferrara.
Anat, Avishai e Yuval, tre fratelli, tre musicisti israeliani, che da
quasi dieci anni raccolgono consenso fra il pubblico come strumentisti
e autori, in grado di articolare un linguaggio in cui la cultura
ebraica e mediorientale si unisce all'improvvisazione jazzistica,
arricchendosi con musica brasiliana e world music. Di particolare
rilievo, inoltre, gli accompagnatori: il pianista israeliano Yonatan
Avishai, il contrabbassista Omer Avital e il batterista Johnathan Blake.
I tre fratelli hanno trascorso l'infanzia frequentando le stesse scuole
di musica la "Thelma Yelin" High School for the Arts e la Tel
Aviv School for the Art e lo stesso conservatorio il Jaffa
Music Conservatory, la loro è una preparazione classica, ma hanno
trovato la loro dimensione nell'amore per il jazz. Il loro primo album
“One” è l'espressione evidente di un infanzia trascorsa immersi nella
musica. Come essi stessi hanno osservato infatti, attraverso la musica
riescono a rivivere la propria infanzia, che unitamente alle
esperienze ed alle persone con cui ciascuno di loro è venuto in
contatto, hanno contribuito a costrire il loro modo adulto di vivere la
musica.
Anat Cohen inizia gli studi musicali all’età di dodici anni, esibendosi
per la prima volta con il gruppo Dixieland del Jaffa Music
Conservatory. A sedici anni entra a far parte dell’orchestra dello
stesso conservatorio ed inizia a praticare il sassofono tenore,
iscrivendosi alla prestigiosa “Thelma Yelin” High School for the Arts,
dove si diploma in studi jazzistici. Dal 1996 al Berklee College of
Music di Boston, pratica il clarinetto e studia sotto la guida
di musicisti come Phil Wilson, Greg Hopkins, Ed Tomassi, Hal Crook,
George Garzone e Bill Pierce, per poi trasferirsi a New York, nel 1999,
dove collabora con alcuni gruppi brasiliani ed entra a far parte della
Gully Low Jazz Band, guidata da David Ostwald, con la quale esplora la
musica di Louis Armstrong, Bix Beiderbecke, Sidney Bechet e Jelly Roll
Morton..
Avishai, trombettista di fama internazionale, esordisce
all’età di dieci anni, esibendosi poi con la Young Israel Philharmonic
Orchestra e diventando un beniamino della scena locale.
Si trasferisce a Boston con una borsa di studio per il Berklee
College of Music e nel 1997 si classifica terzo alla prestigiosa
Thelonious Monk Jazz Trumpet Competition. Trasferitosi a New York, si
fa notare sul palcoscenico dello Smalls. Nel 1993 esce il suo
primo album, The Trumpet Player, in cui guida un quartetto di cui fanno
parte il contrabbassista John Sullivan, il batterista Jeff Ballard e il
tenorista Joel Frahm. Fra le varie esperienze musicali da lui
collezionate, vanno ricordate le collaborazioni con la cantante
israelo-francese Keren Ann, con il vibrafonista Bobby Hutcherson e il
gruppo San Francisco Jazz Collective.
Yuval, compie gli studi musicali al Conservatorio di Tel Aviv
e alla “Thelma Yellin” High School for the Arts, ottenendo diverse
borse di studio per prestigiose istituzioni musicali statunitensi fra
il 1987 e il 1996. Nel 1996 si diploma “summa cum laude” al Berklee
College of Music di Boston, perfezionandosi poi alla Manhattan School
of Music. Nel 2010 si diploma in composizione alla Rubin Academy for
Music and Dance di Gerusalemme, dove attualmente insegna così
come alla Rimon School for Jazz and Contemporary Music e alla “Thelma
Yellin” High School of the Arts.
Il suo album di esordio, pubblicato recentemente, si intitola Freedom.
l.e.
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Davar acher - Memoria e azione
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La memoria non è un'immagine
del mondo, né una collezione oggettiva di fatti e personaggi e neppure
un loro innocente racconto: su questo le scienze sociali, dalla
psicologia alla sociologia alla semiotica, hanno accumulato molta
chiarezza. E neppure la memoria è storia, perché quest'ultima anche
etimologicamente è ricerca e narrazione, ricostruzione paziente e
accurata. La memoria è piuttosto una pratica, un'azione individuale e
sociale che è sempre in relazione con l'identità di un soggetto
personale o collettivo e serva a costituirla, rafforzarla, proseguirla,
modificarla. Pertanto la memoria anche la più benintenzionata e onesta
è sempre pure selezione e oblio di ciò che esce dai suoi limiti e
trascende il suo senso.
Questo è vero anche della memoria della Shoà che l'Europa ha scelto di
celebrare in questi giorni (mentre, vale la pena di ricordarlo qui, la
celebrazione religiosa ebraica si svolge in altre date, principalmente
con Iom Hashoà fra Pesach e Iom Haatzmaut, nel digiuno del 9 di Tevet,
per alcuni dentro il rituale di Pesach ecc.). La giornata della memoria
prende come oggetto in senso stretto il genocidio nazista degli ebrei
d'Europa, anzi si concentra sui campi di sterminio e in primo luogo su
Auschwitz. Nel farlo, però, lascia ai margini altri campi come ad
esempio Belzec (tra le 500 e le 700 mila vittime), Jasenovac
(700 mila sterminati) e Chelmno (200 mila uccisi), e ignora quasi del
tutto le vittime della prima fase del genocidio, i moltissimi ammazzati
nei luoghi dove vivevano; per citare solo un nome Babi Yar, quel
fossato nei pressi della città ucraina di Kiev. dove fra il 29 e il 30
settembre del 1941, furono massacrati 33.771 ebrei.
Questa marginalità della memoria delle vittime precedenti al
funzionamento delle macchine della morte porta con sé, forse non per
caso, l'oblio dei "volonterosi carnefici" delle popolazioni in mezzo a
cui gli ebrei vivevano, che a loro volta furono occupate e oppresse dai
tedeschi o si allearono loro: polacchi, ucraini, lituani, estoni,
croati, in certa misura ungheresi e anche italiani e francesi
collaborazionisti, che non mancarono. Quel che si dimentica del tutto,
in una memoria focalizzata solo sulla "soluzione finale del problema
ebraico", è soprattutto come e chi ha insistentemente montato questo
"problema" nel corso del tempo precedente a Auschwitz.
Fino alla rivoluzione francese, discriminazione degli ebrei e stragi
ricorrenti (non puramente occasionali) si presentarono nella totalità
delle società cristiane ed islamiche – più o meno nella stessa misura,
nonostante quel che si ama dire oggi. Dopo l'emancipazione, la maggior
parte degli ebrei d'Europa (praticamente tutti gli ebrei italiani, per
esempio, ma anche gli ebrei tedeschi da Mendelssohn fino a Hermann
Cohen), aveva deciso di inserirsi integralmente nelle società
nazionali, aveva partecipato con entusiasmo e sacrificio alle loro
vicissitudini, guerre incluse, si era illuso di potersi fondere in quei
popoli mantenendo solo una differenza religiosa non diversa da quella
fra cattolici e protestanti. C'era stata però una campagna secolare per
sottolineare la loro colpevole differenza e indicare in loro (allo
stesso tempo capitalisti e rivoluzionari, arcaici e sovvertitori delle
tradizioni, nemici della nazione e suoi proprietari) i responsabili di
ogni sofferenza popolare e crisi economica; ma inoltre ancora inoltre
gli autori di diritti mostruosi, dal "deicidio" agli omicidi di bambini
cristiani per trarne il sangue per le azzime eccetera.
In questa azione, (oltre ovviamente ai razzisti alla De Gobineau,
Chamberlain e Rosenberg) da un lato si distinsero il Vaticano
con gli ambienti cattolici (ancora nel 1913, vent'anni appena prima
dell'inizio della Shoà, la segreteria di Stato respinse sdegnosamente
un appello di Lord Rotschild perché prendesse le distanze dalle accuse
del sangue emerse in Ucraina e sostenute da tutta la stampa cattolica,
"Osservatore Romano" e "Civiltà cattolica" inclusa. Cfr. David Kertzer,
"I papi contro gli ebrei", cap. 11). Dall'altro queste accuse e
discriminazioni permeavano il movimento operaio internazionale, come ha
mostrato di recente ancora una volta libro di Michele Battini ("Il
socialismo degli imbecilli"), nonostante il fatto o forse per il fatto
che buona parte dei suoi esponenti è di origini ebraiche. L'odio di sé
di personaggi come Karl Marx si allinea con il rancore del clero fra le
premesse del genocidio.
La memoria europea della Shoà tiene nell'oblio queste posizioni
infinitamente ripetute, che rappresentano la paternità più ancora la
complicità delle stragi, ignora il legame fra Shoà e rifiuto della
società liberale moderna, anzi tende certe volte a rovesciare la realtà
facendo del genocidio ebraico un frutto della modernità, del
liberalismo e degli stati nazionali invece che anche del rifiuto
cattolico, "romantico" o socialista di questa cultura della modernità
occidentale.
Che l'Europa abbia deciso di agire sulla propria identità attraverso la
memoria della Shoà è certamente una buona cosa. Agli ebrei forse spetta
anche il compito di non permettere che il genocidio sia presentato come
un atto isolato, frutto della follia o della malvagità di singoli
individui o partiti, ma di cercare di obbligare chi vuol ricordare ad
allargare il fuoco della memoria, fino a comprendervi le cause e le
complicità. E infine e soprattutto di spiegare che la Shoà costituisce
l'ultimo (e forse neanche più l'ultimo anello della catena di una
storia di stragi e di persecuzioni), sicché non per un'impossibile e
storicamente insussistente "compensazione", ma come forma di
precauzione e autodifesa, essa giustifica la costituzione di uno stato
ebraico e l'attaccamento che gli ebrei nutrono oggi per la sua vita e
identità. Bisognerebbe cercare di far sì che tutti capissero,
attraverso l'esercizio della memoria, che le stragi degli ebrei sono
una tentazione permanente delle società cristiane e musulmane e
"socialiste", della cui guarigione ci sono tutte le ragioni per
dubitare: l'ultima in ordine di tempo di queste ragioni è
l'atteggiamento discriminatorio e razzista che buona parte dell'Europa
e tutto il mondo islamico tengono nei confronti dell'ebreo degli stati
e del rifugio degli individui ebrei, lo Stato di Israele. La giornata
della memoria è retorica se considera solo il fatto dell'omicidio di
massa; diventa un compito politico ancora importante e impegnativo se
si allarga alla premesse e alle conseguenze, all'antisemitismo di
sempre e alla necessità di uno stato ebraico.
Ugo
Volli
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Il Libano alla vigilia di decisioni difficili
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Il Tribunale internazionale
dell’Aja sta per pubblicare i nomi degli indiziati dell’attentato che
uccise tre anni fa Rafik Hariri allora Premier libanese. E’ quasi certo
che indicherà gli iraniani e gli accoliti dell’Hizbollah e costoro sono
decisi ad evitare che il figlio di Hariri salga nuovamente al potere
come futuro Premier.La matassa libanese è sempre più ingarbugliata e
sarà molto difficile dipanarla. Il Presidente Michel Sleiman comincia
ora le consultazioni al palazzo presidenziale di Baabda. I blocchi in
seno al Parlamento di 128 membri, sono tre: quello di Saad Hariri,
Sunnita e attuale Premier, con 60 parlamentari; il secondo
dell’Hizbollah, sciita con 57 membri, e il terzo di Walid Jumbalat con
11 parlamentari. Jumbalat, leader dei drusi, memore dell’attentato
siriano contro suo padre nel 1977, è corso qualche giorno fa a Damasco.
La Siria come è noto interviene attivamente nelle questioni interne
libanesi ed appoggia l’Hizbollah trasferendo le armi che giungono per
loro dall’Iran. Ma cinque parlamentari del blocco di Jumbalat
appartengono al suo partito mentre gli altri sei potrebbero votare
contro l’Hizbollah. Si verifica dunque una situazione di stallo poiché,
come fa notare stamane il quotidiano di Beirut “L’Orient le jour”, il
vantaggio dell’opposizione “non proviene dalle urne elettorali, ma
dalle sue armi o la minaccia di utilizzare in modo sovversivo le masse
umane, potenzialmente violente, per paralizzare il paese”. E’ molto
difficile governare un paese in modo democratico quando una parte dei
politici dispone di milizie armate decise a prevalere con la forza se
necessario. I Maroniti cattolici, che erano una volta la maggioranza
del paese, sono oggi relegati ad un ruolo di secondo ordine. Nei
prossimi giorni avremo un quadro più chiaro della situazione libanese
che interessa gli israeliani poiché l’Hizbollah se ridotto alle corde,
potrebbe iniziare una guerra contro Israele come diversivo che
richiederebbe l’unione nazionale sotto la sua egida.
Sergio
Minerbi, diplomatico
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notizieflash |
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rassegna
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Flottilla: Commissione di inchiesta approva l'operato dell'esecutivo |
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Leggi la rassegna |
La radio pubblica israeliana ha riferito che secondo la Commissione di
inchiesta israeliana presieduta dall'ex giudice della Corte suprema
Yaacov Tirkel, Israele ha agito nel rispetto della legalità con il
blocco navale della striscia di Gaza. Le conclusioni della commissione
sono state approvate da tutti i suoi membri, inclusi i due osservatori
stranieri che hanno assistito a tutte le sedute.
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italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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