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23 gennaio 2011 - 18 Shevat 5771
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino 

"Il Signore parlò tutte queste parole, dicendo". In  questa introduzione ai dieci comandamenti è ripetuta due volte, sebbene con verbi diversi, l'idea del parlare: secondo Chizkuni solo il secondo verbo si riferisce alle parole pronunciate dai Dio al popolo di Israele. Il primo dà conto del discorso che Dio ha fatto dentro di Sé: un preparazione per aver chiaro ciò che avrebbe detto agli uomini accampati ai piedi del monte. Chi vuole comunicare ad altri, deve prima ripetersi e chiarirsi il messaggio; e deve farlo proprio. 

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
C’è una stanchezza della memoria e anche un suo appannamento. Dopo un decennio, come altre scadenze del calendario pubblico, il giorno della memoria è in affanno. Il senso comune dirà che esagero e che stando al calendario delle iniziative, alla mobilitazione nelle scuole, ai “viaggi della memoria” non si potrebbe pensare che a un futuro radioso. Non ne sono convinto. L’Italia adotta il 27 gennaio come giorno della memoria, ma non si dota di una data che fa parte della propria storia nazionale (come in Francia). Perché? Perché ritiene che la Shoah non sia parte della sua storia (al massimo ritiene che sia accaduta nel suo territorio) e perché non vuol fare i conti con la propria storia.
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davar
Tullia Calabi Zevi (1919-2011)
tullia zeviTullia Calabi Zevi, uno degli esponenti più autorevoli e rispettati del mondo ebraico italiano, è scomparsa sul finire del sabato 22 gennaio. I funerali si terranno al cimitero ebraico del Verano lunedì, 24 gennaio, alle 12.30. In queste ore l'Italia ebraica rende omaggio alla sua figura, mentre i sentimenti di tutto il paese sono stati interpretati dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha lasciato il Quirinale per unirsi ai familiari colpiti dal lutto. Reagendo alla dolorosa notizia, il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha dichiarato: “Voglio esprimere profondo dolore mio e di tutto il Consiglio dell'Unione per la scomparsa di Tullia Zevi, una cara amica e una figura di alto livello umano e culturale. L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane è stata da lei presieduta nel periodo dal 1983 al 1998 e noi tutti ricordiamo la profondità e la dignità di tanti interventi che furono da lei compiuti in difesa dei diritti degli ebrei e di tutte le minoranze e che le valsero il generale rispetto e la stima in particolare di coloro che poterono conoscerla personalmente”. La redazione del Portale dell'ebraismo italiano, del notiziario quotidiano "l'Unione informa" e del giornale dell'ebraismo italiano "Pagine Ebraiche" è accanto ai familiari. Che il suo ricordo sia di benedizione.

Tullia Calabi Zevi - "Donna e leader"
Il verbo corretto credo sia: “ha rappresentato”. O per dire con maggior precisione: “ci ha ben rappresentati”. Non sarà inutile, al di là del sentito ricordo e della sincera commozione che suscita la scomparsa di Tullia Calabi Zevi, provare a compiere un primo sommario bilancio sul significato che la sua personalità ha assunto nella storia dell’ebraismo italiano e il paese. Per farlo, dobbiamo far ricorso a un lemmario che oggi appare tristemente e pericolosamente superato in un paese sempre più involuto e affaticato. Le parole chiave (almeno quelle che possiamo scegliere a caldo e che vengono spontanee nel ripensare alla nobile figura della signora Zevi) potrebbero essere donna, antifascismo, ebraismo plurale, rinnovamento, tradizione, partecipazione. E, naturalmente e prima di tutto, “rappresentanza”.
L’ebraismo italiano è stato guidato e per l’appunto rappresentato per oltre tre lustri in un momento di passaggio cruciale nella recente storia italiana da una donna che ha saputo trasformare la stessa immagine pubblica degli ebrei in Italia. In un paese che su diversi piani (culturale, religioso, politico e giuridico) cominciava a chiedere con sempre maggior insistenza alle nostre comunità di aprirsi e di riconnettere finalmente un filo che poteva apparire spezzato e lacerato in più punti dopo la tragedia delle leggi razziali, Tullia Zevi è sembrata a molti e per lungo tratto la figura ideale per ricucire quel filo.
In lei si concentravano infatti caratteristiche rare e irripetibili. Intanto per il suo essere donna e leader di una comunità religiosa, un binomio di assoluta novità in un paese come l’Italia dove la leadership femminile, per di più di una comunità religiosa, è merce rara quando non introvabile. Poi perché la sua storia personale e famigliare l’avevano portata a contatto diretto con l’intellighentia antifascista che attraverso il Partito d’Azione aveva costituito una delle anime fondative della nostra repubblica costituzionale, e – lo scriveva essa stessa in un ricordo biografico recente – aveva deciso nel 1946 di tornare in Italia per aiutare la comunità a rinascere e “per testimoniare come giornalista e come persona”. Il mestiere di giornalista le aveva permesso di collocarsi in una dimensione decisamente lontana dal provincialismo che ancora attanagliava la comunità ebraica italiana, dolorosamente colpita dalle persecuzioni e faticosamente in ripresa, ed aveva così potuto attivare una corrispondenza da un lato con la realtà israeliana (attraverso la collaborazione pluridecennale con il quotidiano Ma’ariv) e dall’altro con i saldi rapporti con gli Stati Uniti che in gioventù aveva imparato a conoscere bene.
Una prospettiva globale, quindi, che le permetteva di osservare con sguardo lungimirante la realtà ebraica italiana e il suo ruolo fondamentale nella costruzione del paese e nel suo rinnovamento. Che ci fosse una necessità di rinnovamento le era chiaro, un po’ per la sua conoscenza del mondo, un po’ per gli evidenti cambiamenti che la realtà del paese andava manifestando. E quando venne chiamata – dopo un mandato da vice-presidente – a ricoprire la carica di presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, i tempi erano decisamente maturi per mettere mano a importanti trasformazioni che hanno mutato nel profondo il modo degli ebrei di essere sé stessi in Italia. Nel concludere le lunghe trattative che avevano caratterizzato la redazione delle nuove intese con lo Stato e il nuovo Statuto dell’Unione, Tullia Zevi sottolineava un passaggio culturale cruciale quanto attuale: “L’Intesa – scriveva – riconosce la condizione ebraica nei suoi molteplici profili, […] una condizione che rivendica a sé una specificità non solo di ‘fede’ ma di ‘cultura’. Una cultura che si esprime anche in componenti che si sogliono definire ‘laiche’, ma che fluiscono da sempre – diverse ma non conflittuali rispetto a quelle in cui la rigorosa osservanza dei precetti assurge a espressione e regola di vita – nell’alveo profondo della storia e delle tradizioni dell’ebraismo italiano”.
Un ebraismo plurale, appunto, affermato con forza accanto alla fedeltà a una tradizione millenaria con l’intento di spiegarsi e di aprirsi alla realtà italiana. A segnare definitivamente l’importanza del ruolo giocato da Tullia Zevi, prima come Presidente e poi, negli ultimi anni, come impegnata personalità pubblica e – non da ultimo – come nonna affettuosa e dialogante, sta la decisa sottolineatura della necessità di partecipazione alla vita politica e culturale, del rifiuto di chiudersi in una concezione privatistica di comunità, e dell’affermazione del ruolo non solo legato alla “testimonianza” di una tragedia immane come la Shoah. Un ruolo che la signora Zevi descriveva in una bella intervista a Ruth Ellen Gruber come “una funzione che impone nuovi obblighi e responsabilità a proposito di razzismo, xenofobia, rispetto dei diritti umani, porgere la mano ai ‘nuovi’ altri. Non è un ruolo secondario – concludeva – ma lo sapremo onorare solo se sapremo nel contempo approfondire e trasmettere i nostri valori etici e religiosi”.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

Tullia Calabi Zevi - "Testimone e protagonista"
Partecipiamo affettuosamente al dolore della famiglia Zevi per la perdita della cara Tullia. Tullia Zevi ha rappresentato per molti decenni una sintesi unica fra doti di alta cultura, capacità analitica, e leadership pubblica. E' stata testimone e protagonista di alcune delle grandi pagine della storia ebraica del Ventesimo secolo, e lo ha fatto con grande intelligenza, passione e nobiltà. Rimpiangiamo la rappresentante esemplare di una generazione di ebrei italiani che va scomparendo. Min Hashamaim Tenuhamu.

Sergio e Miriam Della Pergola


Tullia Calabi Zevi - "Intelligenza lucida e straordinaria"
La notizia della scomparsa di Tullia mi ha profondamente commosso ed ha risvegliato in me molti ricordi. E’ stata una delle persone più straordinarie che mi sia capitato di conoscere, di un’intelligenza acuta ed immediata, con la capacità di trasformare la sua tenacia in dolce persuasività, ma anche di trasferirla in duri confronti personali. Aver conosciuto Gaetano Salvemini ed aver suonato con Leonard Bernstein durante il suo esilio newyorchese avevano plasmato il suo carattere, mentre le sue opinioni sui rapporti fra l’ebraismo ed il mondo, la sua difesa dei valori ebraici, la sua lotta contro l’ingiustizia derivavano a mio parere direttamente dall’eredità spirituale di Nahum Goldmann.
Epico, voglio ricordare solo quello, il suo violento scontro con Sandro Pertini al Quirinale. Fu un concentrato di queste sue doti, una sintesi delle sue idee. Anche l’unico errore che io possa addebitarle lo fu: la rinuncia alla partecipazione dei proventi dell’appena introdotto 8 per mille fu motivato da una sua energica e pubblica ricusazione di quella che, giustamente, considerava una vera e propria truffa, e da una forte rivendicazione del senso di giustizia e di rispetto dell’uguaglianza a nome degli ebrei.
Quando il neoeletto Consiglio dell’Unione incaricò cinque dei suoi membri di indicare al Consiglio stesso la persona da eleggere come presidente ci riunimmo nella saletta attigua per valutare le candidature. Il nome di Tullia emerse immediatamente e prevalse con il solo parere contrario di rav Toaff, che da quel momento non partecipò più alle riunioni di Consiglio. Fu un trauma per tutti noi, ma sono certo che ognuno di noi riproporrebbe anche a posteriori il nome di Tullia, che ha sempre profuso tutte le sue energie morali, caratteriali e fisiche nella conduzione dell’ebraismo italiano. La ricordo talvolta stremata dalle discussioni e dal suo sforzo di convincere o di risolvere problemi, decisa e lucida nel portare a compimento l’Intesa, sempre di un passo più avanti rispetto a tutti noi.

Federico Steinhaus


Tullia Calabi Zevi - Il ricordo dell'Ugei
Qui Milano -3 Cohens, tre fratelli e la passione per il jazz
3 CohensSettimana italiana per il terzetto 3 Cohens che, prima di volare negli Stati Uniti, dove si esibirà al  Portland Jazz Festival, chiude il soggiorno con un concerto che si è tenuto questa mattina al Teatro Manzoni di Milano, nell'ambito dell'iniziativa “Aperitivo in concerto”, dove i tre artisti sono giunti dopo essersi esibiti a Macerata e a Ferrara.
Anat, Avishai e Yuval, tre fratelli, tre musicisti israeliani, che da quasi dieci anni raccolgono consenso fra il pubblico come strumentisti e autori, in grado di articolare un linguaggio in cui la cultura ebraica e mediorientale si unisce all'improvvisazione jazzistica, arricchendosi con musica brasiliana e world music. Di particolare rilievo, inoltre, gli accompagnatori: il pianista israeliano Yonatan Avishai, il contrabbassista Omer Avital e il batterista Johnathan Blake.
I tre fratelli hanno trascorso l'infanzia frequentando le stesse scuole di musica la "Thelma Yelin" High School for the Arts e la Tel Aviv School for the Art  e lo stesso conservatorio il Jaffa Music Conservatory, la loro è una preparazione classica, ma hanno trovato la loro dimensione nell'amore per il jazz. Il loro primo album “One” è l'espressione evidente di un infanzia trascorsa immersi nella musica. Come essi stessi hanno osservato infatti, attraverso la musica riescono a rivivere la propria infanzia, che unitamente alle esperienze ed alle persone con cui ciascuno di loro è venuto in contatto, hanno contribuito a costrire il loro modo adulto di vivere la musica.
Anat Cohen inizia gli studi musicali all’età di dodici anni, esibendosi per la prima volta con il gruppo Dixieland del Jaffa Music Conservatory. A sedici anni entra a far parte dell’orchestra dello stesso conservatorio ed inizia a praticare il sassofono tenore, iscrivendosi alla prestigiosa “Thelma Yelin” High School for the Arts, dove si diploma in studi jazzistici. Dal 1996 al Berklee College of Music di Boston, pratica il clarinetto e studia sotto la guida di musicisti come Phil Wilson, Greg Hopkins, Ed Tomassi, Hal Crook, George Garzone e Bill Pierce, per poi trasferirsi a New York, nel 1999, dove collabora con alcuni gruppi brasiliani ed entra a far parte della Gully Low Jazz Band, guidata da David Ostwald, con la quale esplora la musica di Louis Armstrong, Bix Beiderbecke, Sidney Bechet e Jelly Roll Morton..
Avishai, trombettista di fama internazionale, esordisce all’età di dieci anni, esibendosi poi con la Young Israel Philharmonic Orchestra e diventando un beniamino della scena locale.
Si trasferisce a Boston con una borsa di studio per il Berklee College of Music e nel 1997 si classifica terzo alla prestigiosa Thelonious Monk Jazz Trumpet Competition. Trasferitosi a New York, si fa notare sul palcoscenico dello Smalls. Nel  1993 esce il suo primo album, The Trumpet Player, in cui guida un quartetto di cui fanno parte il contrabbassista John Sullivan, il batterista Jeff Ballard e il tenorista Joel Frahm. Fra le varie esperienze musicali da lui collezionate, vanno ricordate le collaborazioni con la cantante israelo-francese Keren Ann, con il vibrafonista Bobby Hutcherson e il gruppo San Francisco Jazz Collective.
Yuval, compie gli studi musicali al Conservatorio di Tel Aviv e alla “Thelma Yellin” High School for the Arts, ottenendo diverse borse di studio per prestigiose istituzioni musicali statunitensi fra il 1987 e il 1996. Nel 1996 si diploma “summa cum laude” al Berklee College of Music di Boston, perfezionandosi poi alla Manhattan School of Music. Nel 2010 si diploma in composizione alla Rubin Academy for Music and Dance di Gerusalemme, dove attualmente  insegna così come alla Rimon School for Jazz and Contemporary Music e alla “Thelma Yellin” High School of the Arts.
Il suo album di esordio, pubblicato recentemente, si intitola Freedom.

l.e. 


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pilpul
Davar acher - Memoria e azione
Ugo VolliLa memoria non è un'immagine del mondo, né una collezione oggettiva di fatti e personaggi e neppure un loro innocente racconto: su questo le scienze sociali, dalla psicologia alla sociologia alla semiotica, hanno accumulato molta chiarezza. E neppure la memoria è storia, perché quest'ultima anche etimologicamente è ricerca e narrazione, ricostruzione paziente e accurata. La memoria è piuttosto una pratica, un'azione individuale e sociale che è sempre in relazione con l'identità di un soggetto personale o collettivo e serva a costituirla, rafforzarla, proseguirla, modificarla. Pertanto la memoria anche la più benintenzionata e onesta è sempre pure selezione e oblio di ciò che esce dai suoi limiti e trascende il suo senso.
Questo è vero anche della memoria della Shoà che l'Europa ha scelto di celebrare in questi giorni (mentre, vale la pena di ricordarlo qui, la celebrazione religiosa ebraica si svolge in altre date, principalmente con Iom Hashoà fra Pesach e Iom Haatzmaut, nel digiuno del 9 di Tevet, per alcuni dentro il rituale di Pesach ecc.). La giornata della memoria prende come oggetto in senso stretto il genocidio nazista degli ebrei d'Europa, anzi si concentra sui campi di sterminio e in primo luogo su Auschwitz. Nel farlo, però, lascia ai margini altri campi come ad esempio Belzec (tra le 500 e le 700 mila vittime), Jasenovac (700 mila sterminati) e Chelmno (200 mila uccisi), e ignora quasi del tutto le vittime della prima fase del genocidio, i moltissimi ammazzati nei luoghi dove vivevano; per citare solo un nome Babi Yar, quel fossato nei pressi della città ucraina di Kiev. dove fra il 29 e il 30 settembre del 1941, furono massacrati 33.771 ebrei.
Questa marginalità della memoria delle vittime precedenti al funzionamento delle macchine della morte porta con sé, forse non per caso, l'oblio dei "volonterosi carnefici" delle popolazioni in mezzo a cui gli ebrei vivevano, che a loro volta furono occupate e oppresse dai tedeschi o si allearono loro: polacchi, ucraini, lituani, estoni, croati, in certa misura ungheresi e anche italiani e francesi collaborazionisti, che non mancarono. Quel che si dimentica del tutto, in una memoria focalizzata solo sulla "soluzione finale del problema ebraico", è soprattutto come e chi ha insistentemente montato questo "problema" nel corso del tempo precedente a Auschwitz.
Fino alla rivoluzione francese, discriminazione degli ebrei e stragi ricorrenti (non puramente occasionali) si presentarono nella totalità delle società cristiane ed islamiche – più o meno nella stessa misura, nonostante quel che si ama dire oggi. Dopo l'emancipazione, la maggior parte degli ebrei d'Europa (praticamente tutti gli ebrei italiani, per esempio, ma anche gli ebrei tedeschi da Mendelssohn fino a Hermann Cohen), aveva deciso di inserirsi integralmente nelle società nazionali, aveva partecipato con entusiasmo e sacrificio alle loro vicissitudini, guerre incluse, si era illuso di potersi fondere in quei popoli mantenendo solo una differenza religiosa non diversa da quella fra cattolici e protestanti. C'era stata però una campagna secolare per sottolineare la loro colpevole differenza e indicare in loro (allo stesso tempo capitalisti e rivoluzionari, arcaici e sovvertitori delle tradizioni, nemici della nazione e suoi proprietari) i responsabili di ogni sofferenza popolare e crisi economica; ma inoltre ancora inoltre gli autori di diritti mostruosi, dal "deicidio" agli omicidi di bambini cristiani per trarne il sangue per le azzime eccetera.
In questa azione, (oltre ovviamente ai razzisti alla De Gobineau, Chamberlain e Rosenberg) da un lato si distinsero il Vaticano  con gli ambienti cattolici (ancora nel 1913, vent'anni appena prima dell'inizio della Shoà, la segreteria di Stato respinse sdegnosamente un appello di Lord Rotschild perché prendesse le distanze dalle accuse del sangue emerse in Ucraina e sostenute da tutta la stampa cattolica, "Osservatore Romano" e "Civiltà cattolica" inclusa. Cfr. David Kertzer, "I papi contro gli ebrei", cap. 11). Dall'altro queste accuse e discriminazioni permeavano il movimento operaio internazionale, come ha mostrato di recente ancora una volta libro di Michele Battini ("Il socialismo degli imbecilli"), nonostante il fatto o forse per il fatto che buona parte dei suoi esponenti è di origini ebraiche. L'odio di sé di personaggi come Karl Marx si allinea con il rancore del clero fra le premesse del genocidio.
La memoria europea della Shoà tiene nell'oblio queste posizioni infinitamente ripetute, che rappresentano la paternità più ancora la complicità delle stragi, ignora il legame fra Shoà e rifiuto della società liberale moderna, anzi tende certe volte a rovesciare la realtà facendo del genocidio ebraico un frutto della modernità, del liberalismo e degli stati nazionali invece che anche del rifiuto cattolico, "romantico" o socialista di questa cultura della modernità occidentale.
Che l'Europa abbia deciso di agire sulla propria identità attraverso la memoria della Shoà è certamente una buona cosa. Agli ebrei forse spetta anche il compito di non permettere che il genocidio sia presentato come un atto isolato, frutto della follia o della malvagità di singoli individui o partiti, ma di cercare di obbligare chi vuol ricordare ad allargare il fuoco della memoria, fino a comprendervi le cause e le complicità. E infine e soprattutto di spiegare che la Shoà costituisce l'ultimo (e forse neanche più l'ultimo anello della catena di una storia di stragi e di persecuzioni), sicché non per un'impossibile e storicamente insussistente "compensazione", ma come forma di precauzione e autodifesa, essa giustifica la costituzione di uno stato ebraico e l'attaccamento che gli ebrei nutrono oggi per la sua vita e identità. Bisognerebbe cercare di far sì che tutti capissero, attraverso l'esercizio della memoria, che le stragi degli ebrei sono una tentazione permanente delle società cristiane e musulmane e "socialiste", della cui guarigione ci sono tutte le ragioni per dubitare: l'ultima in ordine di tempo di queste ragioni è l'atteggiamento discriminatorio e razzista che buona parte dell'Europa e tutto il mondo islamico tengono nei confronti dell'ebreo degli stati e del rifugio degli individui ebrei, lo Stato di Israele. La giornata della memoria è retorica se considera solo il fatto dell'omicidio di massa; diventa un compito politico ancora importante e impegnativo se si allarga alla premesse e alle conseguenze, all'antisemitismo di sempre e alla necessità di uno stato ebraico.

Ugo Volli

Il Libano alla vigilia di decisioni difficili
Sergio MinerbiIl Tribunale internazionale dell’Aja sta per pubblicare i nomi degli indiziati dell’attentato che uccise tre anni fa Rafik Hariri allora Premier libanese. E’ quasi certo che indicherà gli iraniani e gli accoliti dell’Hizbollah e costoro sono decisi ad evitare che il figlio di Hariri salga nuovamente al potere come futuro Premier.La matassa libanese è sempre più ingarbugliata e sarà molto difficile dipanarla. Il Presidente Michel Sleiman comincia ora le consultazioni al palazzo presidenziale di Baabda. I blocchi in seno al Parlamento di 128 membri, sono tre: quello di Saad Hariri, Sunnita e attuale Premier, con 60 parlamentari; il secondo dell’Hizbollah, sciita con 57 membri, e il terzo di Walid Jumbalat con 11 parlamentari. Jumbalat, leader dei drusi, memore dell’attentato siriano contro suo padre nel 1977, è corso qualche giorno fa a Damasco. La Siria come è noto interviene attivamente nelle questioni interne libanesi ed appoggia l’Hizbollah trasferendo le armi che giungono per loro dall’Iran. Ma cinque parlamentari del blocco di Jumbalat appartengono al suo partito mentre gli altri sei potrebbero votare contro l’Hizbollah. Si verifica dunque una situazione di stallo poiché, come fa notare stamane il quotidiano di Beirut “L’Orient le jour”, il vantaggio dell’opposizione “non proviene dalle urne elettorali, ma dalle sue armi o la minaccia di utilizzare in modo sovversivo le masse umane, potenzialmente violente, per paralizzare il paese”. E’ molto difficile governare un paese in modo democratico quando una parte dei politici dispone di milizie armate decise a prevalere con la forza se necessario. I Maroniti cattolici, che erano una volta la maggioranza del paese, sono oggi relegati ad un ruolo di secondo ordine. Nei prossimi giorni avremo un quadro più chiaro della situazione libanese che interessa gli israeliani poiché l’Hizbollah se ridotto alle corde, potrebbe iniziare una guerra contro Israele come diversivo che richiederebbe l’unione nazionale sotto la sua egida.

Sergio Minerbi, diplomatico

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notizieflash   rassegna stampa
Flottilla: Commissione di inchiesta approva l'operato dell'esecutivo    Leggi la rassegna

La radio pubblica israeliana ha riferito che secondo la Commissione di inchiesta israeliana presieduta dall'ex giudice della Corte suprema Yaacov Tirkel, Israele ha agito nel rispetto della legalità con il blocco navale della striscia di Gaza. Le conclusioni della commissione sono state approvate da tutti i suoi membri, inclusi i due osservatori stranieri che hanno assistito a tutte le sedute.


 
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