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25 gennaio
2010 - 20 Shevat 5771 |
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Roberto
Della Rocca,
rabbino
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Moshè
impone al suo primo figlio il nome di Ghershòm, che
significa “straniero là”
e dice:
“perché straniero ero in una terra straniera..” (Esodo; 18, 3). Ma
dove era straniero Moshè? A Midian, emigrato rispetto all’Egitto, o in
Egitto rispetto a una Terra a cui lui non avrà mai accesso e
che non esisteva se non nella memoria e nei sogni dei suoi antenati,
tra l’altro a lui completamente ignoti? Moshè probabilmente è uno
straniero dentro se stesso, e in un certo senso il nome che mette al
figlio è l’indice che bisogna sentirsi sempre e dovunque stranieri, per
comprendere la condizione dell’essere straniero, come del resto è
ribadito anche nel Salmo 119 “…straniero sono sulla
terra....”.
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Vittorio
Dan Segre,
pensionato
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Con Tullia Zevi il Medio Oriente ha perso una grande giornalista.
L'ebraismo una regina scomoda per chi non era d'accordo con lei, ma
sempre regina. Ha lasciato un vuoto in ambo i campi, chi sarà capace di
riempirlo?
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Memoria - Informazione, mistificazione falsi
storici:
Il pregiudizio antiebraico all'epoca di internet
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Memoria - Perché non accada mai più
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Giovedì sera, Giorno della
Memoria, le porte del Tempio Maggiore di Roma, si aprono per il secondo
anno consecutivo, per un incontro con i sopravvissuti ebrei ai
campi di sterminio nazisti, un evento fortemente voluto dalla Consulta
della Comunità Ebraica di Roma, presieduta da Elvira Di Cave e
moderato dal direttore del futuro Museo della Shoah della Capitale,
Marcello Pezzetti, intervistato sul numero in uscita di Pagine
Ebraiche.
“Come diceva Bauman, la
Shoah è simile a una finestra. Spingendo lo sguardo attraverso quella
finestra è possibile cogliere una rara immagine di cose altrimenti
invisibili”, spiega Marcello Pezzetti, direttore del futuro Museo della
Shoah di Roma ed esperto del Centro di documentazione ebraica
contemporanea. Secondo Pezzetti, il nostro dovere è proprio quello di
portare il nostro sguardo al di là della finestra: solo così potremo
comprendere a pieno la realtà. E occasioni come la serata del 27
gennaio al Tempio Maggiore di Roma ci consentono di farlo nel modo
migliore. “Il dono del racconto” dei testimoni, dunque, deve essere
visto anche in quest’ottica.
Professor
Pezzetti, lei sta portando avanti un’approfondita ricerca sui
sopravvissuti, cercando di recuperare la storia di ciascuno di loro.
Per anni, però, molti testimoni hanno preferito tacere e fra le
motivazioni c’era la paura di non essere compresi. Cos’è cambiato da
allora? La società ora è più pronta di prima?
In parte, anche se continuano a non esserci le condizioni
migliori. È vero che viviamo in una società che complessivamente è più
capace di ascoltare ma molti testimoni hanno deciso di rompere il
silenzio indipendentemente da fattori esterni. Diciamo che hanno
cambiato tattica. I sopravvissuti hanno deciso di donare i loro
racconti.
E la società
li ha recepiti?
Per adesso siamo ancora lontani; la sordità è ancora diffusa. Da una
parte perché manca una presa di coscienza di massa del passato, in
particolare da noi in Italia. Altrimenti non si spiegherebbe perché nel
nostro Paese ancora non è stato creato un museo sul fascismo. Cosa che
sarebbe impensabile in Germania. Dall’altra, la nostra società ha una
soglia di sopportazione delle tragedie troppo elevato: guardi quanto è
accaduto nei Balcani, siamo già riusciti a digerire o peggio
dimenticare quanto è accaduto pochi anni fa.
“Il loro ieri
non sarà il nostro domani”, recita il sottotitolo dell’evento. Un
auspicio o un’affermazione che rappresenta la realtà?
In generale credo sia vero. Insomma, viviamo in un’Europa democratica,
in cui vigono costituzioni a tutela dei cittadini e trattati
internazionali che proteggono i diritti dell’uomo. La mia
preoccupazione però è per le minoranze: non dobbiamo sopportare alcuna
violazione nei loro confronti, di qualsiasi minoranza si tratti. Il
nostro limite di sopportazione deve essere bassissimo. Ricordo ancora
le parole della sopravvissuta Goti Bauer, per cui uno dei momenti di
più difficili e dolorosi della sua vita fu scoprire cosa aveva fatto
Pol Pot. Il racconto dei testimoni ci insegna a continuare a vigilare
perché queste tragedie non accadano più; ci insegnano a impegnarci in
prima persona per evitarle. Loro ci danno le chiavi e noi dobbiamo
imparare a usarle.
E’ questo il
significato di iniziative come quella del Tempio Maggiore di Roma?
Sì e l’attenzione deve essere in particolare diretta ai giovani. Devono
recepire questo messaggio, perché possono ancora cambiare le cose. Gli
altri oramai sono persi, sono indifferenti a quanto gli sta intorno. La
scommessa sono le future generazioni. A loro, però, è necessario
rivolgersi con un linguaggio chiaro, semplice, diretto e che al tempo
stesso non faccia sconti, come del resto fanno i testimoni che
raccontano le proprie esperienze nude e crude, non hanno peli sulla
lingua e dicono esattamente cosa pensano.
Daniel
Reichel
Piero
Terracina
Sono stato in silenzio, per
parlare ci voleva qualcuno che ascoltasse. Non c'era. La gente non
voleva sapere. La fame è fame, ma la fame ad Auschwitz non la si poteva
descrivere, perché lì mancava la speranza di poter placare la fame,
mentre quelli che si erano salvati dai campi di concentramento, magari
un giorno non mangiavano, ma avevano la speranza che il giorno dopo
sarebbe andata meglio. Quando siamo tornati, la gente voleva tornare a
vivere e non pensarci più tanto. Io sono stato uno degli ultimi a
rientrare a Roma, nel dicembre 1945, anche se ero stato liberato a
gennaio, e ricordo che quando venivamo fermati dai parenti di quelli
che non erano tornati e che volevano sapere, questi colloqui
terminavano sempre con la frase: “ma tu come ti sei salvato?” Questa
per me era una frase agghiacciante che mi paralizzava. Come
si faceva a spiegare perché io mi ero salvato e tutti gli altri no? Poi
siamo arrivati agli anni '80 Primo Levi che ci aveva rappresentato in
tutti quegli anni ci aveva lasciato e i primi rigurgiti di
antisemitismo, la bara lasciata davanti al Tempio maggiore e la
profanazione del cimitero francese di C. è stato quello il
momento in cui ho capito che non potevo più tacere. Ogni volta è
assolutamente lacerante, però questa commozione che indubbiamente c'è,
si trasmette e crea questo circuito. Io credo che anche questo serva
alla Memoria. Nell'ultimo anno ho parlato in 71 scuole in tutta Italia,
al Forum Mandela di Firenze ho parlato davanti ad undicimila giovani
insieme al Premio Nobel Imre Kertesz, Amos Oz, mentre Boris Paor ha
fatto giungere un contributo registrato. Oggi credo che la
testimonianza sia determinante perché i giovani rappresentano il nostro
futuro, con molti di quelli che ho conosciuto sono rimasto in contatto,
rispondo alle loro email, è faticoso a volte, ma non si possono
deludere i giovani...
testimonianza
raccolta da Lucilla Efrati
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Combattere il negazionismo. Strumenti e
strategie
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Istituire una legge sul
negazionismo. Professori universitari ed esponenti politici si sono
confrontati ieri su invito dell'associazione di cultura ebraica Hans
Jonas, nella sala del Capranichetta di Piazza Montecitorio, sulla
proposta. Posizioni diverse e contrastanti sull'iniziativa giuridica ma
concordi nel dichiarare guerra ai negazionisti e nel ribadire
l'importanza della memoria. Il convegno, che ha tentato di chiarire i
termini del confronto fra favorevoli e contrari alla legge, dal titolo
“La Shoah e la sua negazione - Il futuro della Memoria in Italia” è
stato presentato e coordinato da Tobia Zevi, dell'Hans Jonas, che ha
deciso di partecipare al dibattito nonostante la scomparsa, questo
sabato, della nonna Tulia Zevi, ex presidente dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, proprio per onorarne il suo impegno civile.
Il dibattito si articolava in due sessioni: alla prima hanno preso la
parola esponenti del mondo scientifico e culturale (Fulco Lanchester,
dell'Università La Sapienza di Roma, Andrea Graziosi, dell'Università
di Napoli, Simon Levi Sullam, dell'Università di Oxford e Saul Meghnagi
dell'Istituto superiore per la formazione) e alla seconda è stato dato
invece spazio agli esponenti politici italiani (con gli interventi del
ministro della Giustizia Angelino Alfano, del presidente dell'Unione di
Centro Pierferdinando Casini, di Benedetto Della Vedova di Futuro e
Libertà per l'Italia e di Emanuele Fiano del Partito Democratico).
A chiudere le sessioni, dopo averne attentamente ascoltato i contenuti,
è stato un convito sostenitore della legge sul negazionismo, il
Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che ha
ribadito la sua posizione chiarendo prima di tutto la necessaria
distinzione fra diritto dell'opinione e negazionismo. “Affermare
privatamente che la Shoah non sia mai esistita è un gesto riprovevole
ma non è questo che ci interessa cogliere, bisogna combattere perché
nel mondo accademico e nelle istituzioni pubbliche, questo diritto non
venga permesso, è su questo ambito che si deve muovere la legge - ha
spiegato il presidente della Comunità Ebraica di Roma. “C'è da dire -
ha aggiunto Pacifici - che sarebbe necessaria una riflessione sugli
errori di comunicazione commessi da noi ebrei: abbiamo spiegato chi
siamo per mezzo della Memoria è stato un errore. Oltre alla legge
bisogna prevenire l'ignoranza e spostare l'attenzione su altri aspetti
dell'ebraismo italiano, che non è solo Shoah. Noi non siamo solo delle
vittime, abbiamo una cultura e una storia molto più ampia che va
recuperata”.
E' stato il docente di Diritto costituzionale comparato alla facoltà di
Scienze politiche della Sapienza, Fulvo Lanchester, ad aprire gli
interventi della prima sessione, chiarendo per iniziare i contorni
giuridici e lo stato della legislazione non solo italiana sul tema.
Dopo questa dettagliata rassegna è passato ad esaminare nello specifico
il caso italiano per giungere alla conclusione che nella nostra
Costituzione sono già presenti delle leggi che contrastano la
discriminazione razziale e le manifestazioni di intolleranza. Motivo
per cui si è detto contrario all'istituzione di una legge ad hoc, il
cui rischio per altro “è quello di portare l'attenzione dell'opinione
pubblica verso persone che altrimenti non l'avrebbero” (timore questo
portato alla luce anche in alcuni degli altri interventi che hanno
caratterizzato la giornata).
A Lanchaster è seguito l'intervento del professore Andrea Graziosi,
anche lui contrario a una legge sul negazionismo, che ha voluto
sottolineare come questi fenomeni siano limitati, marginalizzati e già
screditati dal mondo scientifico, prima di concentrarsi sul rapporto
fra Storia e Diritto e in particolare sul rischio di una contaminazione
dei due campi.
“Se il diritto dovesse dettare legge sulla Storia ne sarebbe
inevitabilmente schiacciato e la politica rischierebbe di divenire solo
un polemica basata sulla memoria”. La politica, secondo Graziosi, deve
guardare al futuro e non al passato. “Certo - chiarisce Graziosi - è
necessario continuare a studiare la Shoah come esempio di ciò che non
deve più accadere e sui cui bisogna vigilare perché non accada mai
più”.
Non concorda sulla “marginalità del fenomeno” Riccardo Pacifici che nel
suo intervento conclusivo ha affermato: “Al professore Graziosi
basterebbe dare uno sguardo in Internet per capire che il fenomeno non
è poi così marginale”.
Il professor Simon Levi Sullam, dal canto suo, è dello stesso avviso
del professor Graziosi, ritiene rischiosa l'idea di imporre delle
verità di Stato, anche perché ciò sarebbe in linea con quanto fatto
nella storia dai regimi totalitari. A riassumere l'intervento del
professor Sullam le esplicative citazioni utilizzate per chiudere il
suo intervento. Qualcuno ha detto “Il contrario dell'oblio non è
Memoria ma Giustizia” Sullam non è d'accordo essendo dell'idea che “il
contrario dell'oblio non è ne Memoria ne giustizia ma storia e ricerca”.
Ha concluso la prima sessione dell'incontro il professore Saul
Meghnagi, che dopo aver costatato l'evidente preoccupazione sul tema,
ha posto l'accento sulla formazione, necessaria per combattere il
fenomeno alla radice, “la cultura e la conoscenza costituiscono il
principio cardine di una democrazia - ha affermato - Bisogna riflettere
oggi sulla macchina che produce l'intolleranza e non sui carnefici”.
“Negare la verità significa uccidere una seconda volta le vittime”, è
con questa frase che il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ha
aperto la seconda sessione del convegno. La negazione della Shoah non è
una mera opinione - ha poi spiegato il Guardasigilli - ma è il
risultato di una operazione che si colloca all’opposto dei valori delle
nostre democrazie”. A giudizio di Alfano quindi usare il diritto penale
per combattere il negazionismo non è in contrasto con la Costituzione.
Per questo, ha offerto la sua disponibilità ad avviare ”un gruppo
tecnico di lavoro” a cui ha invitato i promotori del convegno a
partecipare per “valutare tecnicamente la scrittura materiale di una
norma che affermi il reato di negazionismo”.
“Quello italiano è un lavoro serio di educazione, nessun Paese dedica
una mole di iniziative così vaste al 27 gennaio e sono contento che
possiamo discutere, seppur con posizioni differenti, sul tema di questa
manifestazione”, con queste note di orgoglio il leader dell'UdC
Pierferdinando Casini ha voluto salutare il pubblico e ringraziare per
l'invito. “Le tesi giuridiche del ministro Alfano sono inattaccabili,
sono certo che il nostro impianto giuridico sia conforme alla
realizzazione di una legge contro il negazionismo, ma ritengo che una
legge possa essere inefficace ed esprimo la mia preoccupazione per un
simile provvedimento legislativo”. “Temo - ha spiegato Casini - la
verità imposta dallo Stato, credo che tale verità possa creare un alibi
proprio per quelle persone che vogliamo combattere, che se ne
potrebbero servire come pretesto per affermare che vietiamo la ricerca
storiografica, anche se di storiografico non c'è nulla ovvio”. “Sarebbe
paradossale - prosegue il leader dell'UdC - che tali individui possano
fare appello ai principi democratici chiedendo di stimolare la
dialettica” .
“Vedo il caso Moffa - aggiunge - come un esempio terribile del
decadimento delle nostre università è per questo che ritengo che vadano
creati degli anticorpi culturali e sociali piuttosto che ricadere sulla
scelta giuridica”.
Anche per Benedetto Della Vedova i rischi di una legge sono troppi alti
e l'attenzione andrebbe spostata invece sulla presa di coscienza del
ruolo ricoperto dall'Italia nella Shoah.
Emanule Fiano, peraltro figlio di sopravvissuti ad Auschwitz, nel suo
intervento, invita a fare una valutazione di costi e dei benefici che
una legge sul negazionismo apporterebbe. E lo fa invitando a ricordare
ciò che accadde durante il processo allo storico britannico David
Irving: “La Causa contro di lui gli ha procurato molti anni di
palcoscenico, le tesi accusatorie e difensive si sono mosse su: conta
di morti e metodi utilizzati, tutte questioni che hanno degradato, chi
per un fine chi per l'altro il fenomeno. Trovo giusto aprire il
dibattito come proposto dal ministro Alfano ma ritengo che una legge
possa essere controproducente”. In conclusione Fiano vorrebbe che
l'accento fosse invece posto sul fatto che “la Memoria non è una
questione ebraica bensì italiana”. “Dobbiamo impegnarci - ha concluso -
affinché la Memoria sia un patrimonio di tutti”.
Valerio Mieli
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Qui Trieste - La Memoria, nel nome dei
bambini
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Saranno i burattini di
Simcha Tomas Jelinek ad aprire, mercoledì 26 gennaio (immagine di Lucio
Trizzino, seconda classificata al concorso fotografico Cdec 2010), le
manifestazioni organizzate dalla Comunità ebraica di Trieste e dal
Museo “Carlo e Vera Wagner” per celebrare il Giorno della Memoria che
quest’anno dedicherà uno sguardo particolare al mondo dei bambini anche
attraverso la mostra Fiabe dolorose dell’artista triestino Ugo Pierri e
la proiezione del film La Rafle di Rose Bosch in uscita proprio il 27
gennaio nelle sale italiane.
I burattini di Jelinek saranno in scena
alle 17 di mercoledì 26 gennaio al Museo della Comunità ebraica di
Trieste
“Carlo e Vera Wagner” nello spettacolo di narrazione teatrale “La
valigia”, adatto a piccoli e grandi. In questo lavoro Simcha Tomas
Jelinek, artista ebreo di origine boema, rilegge la tradizione nel
linguaggio fantasioso ed evocativo dei burattini ispirandosi alla
tragica sorte dei tanti bambini che negli anni della persecuzione
razziale dovettero partire, con la loro valigia, verso destinazioni
sconosciute e spesso terribili.
La domanda cui Jelinek cerca di dare risposta nel suo spettacolo è
“Cosa si mette nella valigia quando non sappiamo dove stiamo andando,
né con chi, né per quanto tempo?”. Nel libro “Kaddish senza figli”,
Jelinek immaginava un finale in cui le valigie finiscono accumulate una
sopra l’altra in una grande piramide. Ma con i burattini la risposta
forse è diversa.
Un bravo burattinaio, come narra lo spettacolo, può mettere nella sua
valigia un piccolo teatro, tre grandi burattini e tre strumenti
musicali. Con questi preziosi strumenti ci si può rallegrare e stare
insieme anche nei luoghi più orribili del mondo. Tra allegria,
tenerezza e speranza Simcha Tomas Jelinek propone ai bambini uno
spettacolo di grande divertimento che offre importanti spunti di
riflessione.
Giovedì 27 gennaio, alle 17.30, si inaugura la mostra Fiabe dolorose di
Ugo
Pierri. Organizzata con Comunicarte, la rassegna propone una selezione
di disegni che alludono al tema della Memoria con tratti delicati e
onirici e spesso rimandano al mondo della natura e degli animali.
Alle 18.30 si proietta il film La Rafle di Rose Bosch
(Francia/Germania/Ungheria, 2010, 124 min). La pellicola con Jean Reno,
in uscita nello stesso giorno nelle sale italiane con il titolo Vento
di primavera, è stato uno dei film più commoventi e apprezzati dello
scorso anno in Francia dove ha riproposto la vera storia di un’estate,
quella del 1942, che ancora non ha smesso di tormentare le coscienze.
Protagonista è il piccolo Joseph, che porta la stella gialla perché è
ebreo ma crede di essere al sicuro a Parigi. Fino al 16 luglio, quando
i soldati tedeschi lo catturano e lo portano al Velodrome d’Hiver. Da
qui prenderà il via il suo viaggio dell’orrore verso Auschwitz insieme
a quasi 13 mila uomini, donne e bambini. Il film è in francese con
sottotitoli in italiano.
Con La Rafle s’inaugura la rassegna Jewish on screen, realizzata con il
patrocinio della Provincia di Trieste, che fino al primo marzo propone
al Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” un
ciclo di film a cura di Livia Ponzio dedicati all’immagine del mondo
ebraico nella recente cinematografia.
Tre le sezioni: War in the eye of a child, che attraverso gli occhi dei
bambini guarda alla tragedia della guerra e della Shoah; Commedie di
famiglia, incentrato sul genere della commedia e Peace at heart che
getta uno sguardo diverso sul conflitto mediorientale.
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Qui Napoli - Un Parco della memoria in Campania
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C’è
tanta parte di storia che non conosciamo, che ci viene tramandata a
spizzichi e bocconi dai libri di scuola, spesso tanto imprecisi o che
favoriscono, in nome della sintesi, racconti più brevi e concisi, che
non riescono a darci il quadro chiaro di quello che veramente è stato. Alla
Comunità Ebraica di Napoli conosciamo bene la storia di Tora Presenzano
e Piccilli i due paesini in cui gli ebrei napoletani furono mandati a
lavori forzati, e conosciamo la storia di Campagna dove erano internati
ebrei per lo più stranieri, ma cosa sappiamo delle stragi di innocenti
compiute ad opera dei nazisti? Forse poco, come chiunque non si sia
informato oltre e non abbia fatto ricerche. Ed è proprio a seguito
di alcune ricerche ed inchieste, a cura del un gruppo di giornalisti
del quotidiano La Repubblica di Napoli (Edoardo Scotti, Paolo de Luca,
Ilaria Urbani, Adele Brunetti e Anna Laura de Rosa), che è nata l’idea
della creazione in Campania di un Parco della Memoria per le vittime
delle stragi naziste. L’idea è stata lanciata dal quotidiano sotto
forma di raccolta di adesioni, moltissime le firme pervenute, tra cui
quelle di tantissimi intellettuali, rappresentanti delle università
della Campania, giornalisti, istituti di cultura. Quello che però serve
è soprattutto l’adesione delle istituzioni che dovrebbero rendersi
conto dell’importanza della creazione del Parco della Memoria e
renderla possibile. Come ci ha ricordato la storica Gabriella
Gribaudi, tra le prime firmatarie dell’appello di Repubblica, durante
l’incontro di presentazione del progetto il 2 dicembre scorso presso
l’università Suor Orsola, Napoli è stata la città più bombardata
d’Italia e i paesini dell’entroterra campano sono quelli che più di
tutti hanno pagato in termini di vite umane: Acerra, Bellona, Caiazzo,
Mondragone, Conca della Campania, per citare solo alcuni esempi. Proprio
da Conca della Campania viene l’ormai 78enne Graziella di Gasparro,
figlia di Giacomo di Gasparro, uno dei trentanove uomini presi a Conca
e trucidati, colpevole solo di trovarsi in strada in quel preciso
momento. E’ solo grazie a lei, che all’epoca aveva 10 anni, se la
memoria di quella strage non è andata perduta e se il tribunale
militare è riuscito finalmente a risalire ai nomi di due artefici della
strage. E come a Conca in moltissimi altri luoghi campani accadde
la stessa cosa, stragi rimaste nell’oblio, che però hanno avuto il
calibro di quelle di Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto che tutti
conosciamo grazie anche ad alcuni film sull’argomento. In Campania
resta qualche piccola testimonianza, qualche targa e nulla più. Solo a
San Pietro Infine, nell’alto Casertano, durante la ricostruzione nel
1950 gli amministratori ebbero la lungimiranza di spostare un po’ più a
valle il paese, lasciando intatto quello distrutto dai bombardamenti,
tanto che Mario Monicelli nel 1959 vi girò “La grande guerra”, senza
bisogno di scenografie. L’istituzione di un parco della memoria
serve proprio a questo, a non dimenticare ed a far chiarezza su una
parte di storia ai più meno nota. Un parco che possa essere punto di
riferimento per gli studenti e punto di partenza per nuove e più
approfondite ricerche. Per questa ragione mi auguro possa nascere
presto, con l’aiuto di tutte le persone che hanno aderito all’appello
di Repubblica e di quanti vorranno ancora aderire.
Claudia Campagnano
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Qui Firenze -Treno della Memoria
per 600 studenti
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In apparenza sembra una gita
come tante. Una miriade di adolescenti armati di borse e zanetti
arancioni, professori che fanno la conta degli studenti, ragazzi che si
scambiano numeri di cellulare e contatto facebook, una coppietta che si
bacia. Nell’aria si respirano elettricità e voglia di partire: per
qualche giorno gli impegni scolastici disteranno migliaia di
chilometri. Nel giro di poche ore invece i volti cambieranno
espressione: se ne andranno sorrisi e fondotinta, gote e guance si
righeranno di lacrime, l’orrore si sostituirà alla spensieratezza. È
quasi ora di pranzo di un lunedì mattina freddissimo e dalla stazione
ferroviaria di Santa Maria Novella, struttura che vista dall’alto
ricorda un passato spregevole con i suoi binari disposti a forma di
fascio littorio, parte un treno speciale diretto in Polonia. È il Treno
della Memoria, destinazione finale il campo di sterminio di Auschwitz.
Carico di studenti dell’Università e delle scuole superiori (89 gli
istituti coinvolti da tutta la Toscana), il Treno è giunto alla settima
edizione negli ultimi dieci anni. Ad accompagnare i ragazzi sui luoghi
del Male ci sono uomini delle istituzioni tra cui il governatore della
Toscana Enrico Rossi, l’assessore regionale Cristina Scaletti, il
consigliere Daniela Lastri, rappresentanti dell’ebraismo italiano
guidati dal presidente della Comunità ebraica di Firenze Guidobaldo
Passigli e da Ugo Caffaz, storico coordinatore delle iniziative della
Regione legate al ricordo della Shoah, esponenti di associazioni dei
deportati, dai rom a chi fu imprigionato perché oppositore politico e
militare o ancora perché omosessuale. E poi ci sono loro, le sorelle
fiumane Andra e Tatiana Bucci, giovanissime testimoni dei forni di
Auschwitz. Parlano con i ragazzi e raccontano di come siano riuscite a
costruirsi una vita dopo il lager, facendo costantemente i conti con
quel terribile passato (“A volte i ricordi tornano improvvisi – basta
un treno merci, una ciminiera o una qualche marcetta vagamente
militare”) ma guardando al futuro senza farsi schiacciare dal macigno
della Shoah perché, spiega Tatiana, “la vita riprende il suo corso e
bisogna comunque andare avanti”. Intorno a mezzogiorno i ragazzi
cominciano a defluire dal punto di raccolta al binario 16, dove una
lapide ricorda le deportazioni nazifasciste verso i campi della morte,
per salire sul treno che li porterà in terra polacca. Lo speaker della
stazione annuncia la partenza del convoglio a minuti, tanti zainetti
arancioni salgono rapidi sui vagoni. Ultime foto, ultimi sorrisi. Poi
Auschwitz.
Adam Smulevich
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Hatzer - Non possiamo
tirarci indietro
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Questo è un mese degli
impegni istituzionali. Giornata del dialogo con l’ebraismo, giorno
della memoria. Giorni che durano ormai settimane. Preceduti da
settimane e mesi di preparazione e seguiti da altrettanti strascichi.
Nel mezzo, i viaggi della memoria. Sono sicuro che tutto questo ha un
senso, che la società giustamente richiede di sapere, di conoscere, di
sentirci, e che noi non possiamo tirarci indietro. Ne va della funzione
di una piccola comunità come la nostra in un paese che ha più che mai
bisogno di civiltà e di una cultura di pace. E ne va della nostra
stessa sopravvivenza, perché se giustamente viene fatto notare che
essere ebrei è impossibile se non in una kehillà, è anche vero che
essere comunità umana senza una stretta relazione con le altre comunità
significa condannarsi a un isolamento immotivato e contrario ai più
elementari insegnamenti della nostra tradizione. Allora, seguendo
un’attuale moda televisiva in gran voga, propongo la mia lista.
Lista delle ragioni per cui è importante essere presenti alle giornate
che verranno: perché i miei figli devono sapere; perché gli amici dei
miei figli devono sapere; perché “ricordare” aiuta a interpretare
meglio il presente; perché “ricordare” è una mizvà; perché confrontare
le memorie aiuta a comprendersi; perché se io sono vivo e racconto vuol
dire che Hitler ha perso; perché per ogni incontro bisogna prepararsi e
quindi ogni incontro mi costringe a studiare; perché ho scoperto che a
Chelmno, Treblinka, Belzek e Sobibor non ci sono mai state neppure
baracche per prigionieri ma solo camere a gas e forni e fosse comuni;
perché molti non lo sanno; perché molti lo sanno ma non lo dicono;
perché Auschwitz sta diventando memoria universale e io voglio
condividerla; perché c’è un mucchio di gente che usa la parola nazista
a sproposito; perché c’è altra gente (a volte la stessa) che nega;
perché c’è gente che si tatua svastiche e croci celtiche; perché
milioni di altre persone con gli avambracci tatuati non sono tornate a
raccontare; perché ‘Im ein anì lì, mi li, uksheanì le’atzmì ma anì,
ve’im lo achshav, eimattai? (se non sono io per me, chi sarà per me; e
quando io sto di per me solo, cosa sono mai; e se non ora, quando?
Pirqé Avoth 1,14).
Gadi
Luzzatto Voghera, storico
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Europei Maccabi
- Pavoncello: "Un giovane per la scherma"
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Continua sempre più
intensamente la marcia di avvicinamento ai Giochi Europei del Maccabi
in programma dal 5 al 13 luglio a Vienna. In quei giorni affluiranno
nella capitale austriaca, sede della tredicesima edizione dei Giochi
(la passata edizione si è svolta a Roma nel 2007), migliaia di giovani
atleti ebrei provenienti da tutta Europa, compresa naturalmente una
significativa delegazione italiana di cui si sta gradualmente definendo
la composizione per arrivare all’appuntamento austriaco con sane
ambizioni di medaglia. Le occasioni di scrematura del gruppo che volerà
a Vienna si intensificano e da qui a primavera coinvolgeranno in un
continuo crescendo le attenzioni dei tecnici del Maccabi. Dal calcio al
basket, dall’atletica al nuoto: le discipline in campo alle Maccabiadi
sono una quindicina e si adattano a gusti e abilità diverse. Tra gli
sport in programma c’è anche una disciplina nobile in cui l’Italia
storicamente eccelle: la scherma. Ed è proprio in questa direzione che
si indirizzano adesso le attenzioni del Maccabi. Perchè l’Italia,
riconosciuta patria di spadaccini, vorrebbe partecipare ai Giochi con
un proprio rappresentante. È Vittorio Pavoncello, presidente della
Federazione Italiana Maccabi e neo consigliere UCEI a lanciare
l’appello: “Nelle edizioni precedenti dei Giochi Maccabi, anche a
livello mondiale, la scherma è stata foriera di medaglie. Sono sicuro
che i nostri giovani si faranno avanti e coglieranno l'attimo. I Giochi
Europei del Maccabi sono infatti una straordinaria occasione di sport
ma anche di condivisione dei valori ebraici con migliaia di giovani da
tutta Europa. Anche per gli altri sport ci aspettiamo un'adesione
massiccia dalle comunità visto che il divertimento è garantito”.
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notizieflash |
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rassegna
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Memoria - Pacifici: "Oltre alla prevenzione bisogna introdurre il reato di negazionismo"
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Leggi la rassegna |
E' la storia che ha ispirato il film premio oscar 'La vita e' bellà di
Roberto Benigni e che oggi, a 91 anni, Rubino Romeo Salmonì ha avuto il
coraggio di raccontare e di ricordare nel volume 'Ho sconfitto Hitler':
otre sette mesi di prigionia nel campo di Auschwitz-Birkenau, altri
cinque nei campi di Ullersdorf e Nossen, fino alla fuga e la libertà
nell'aprile 1945. Presentato a palazzo Valentini dal presidente della
Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, dal rabbino capo di Roma
Riccardo Di Segni e da Nicola Zingaretti presidente della Provincia.
ietro all'improvviso »
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La rassegna è oggi dominata dal
tema della giornata della memoria. Fra i molti articoli da leggere
certamente l'intervento di Elie Wiesel pubblicato da Avvenire, messo a confronto con
pensiero del teologo cattolico Metz, sempre su Avvenire. Importante anche la
recensione di Frediano Sessi sul Corriere alla raccolta di diari di
ebrei durante la Shoà pubblicati da Einaudi sotto il titolo "Gli ebrei
sotto la persecuzione", a cura di Avigliano e Palmieri ..»
Ugo
Volli
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