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25 gennaio 2010 - 20 Shevat 5771
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moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Roberto Della Rocca
Roberto
Della Rocca,
rabbino

Moshè impone al suo primo figlio il nome di Ghershòm, che significa “straniero là” e dice: “perché straniero ero in una terra straniera..” (Esodo; 18, 3). Ma dove era straniero Moshè? A Midian, emigrato rispetto all’Egitto, o in Egitto rispetto a una Terra a cui lui non avrà mai accesso e che non esisteva se non nella memoria e nei sogni dei suoi antenati, tra l’altro a lui completamente ignoti? Moshè probabilmente è uno straniero dentro se stesso, e in un certo senso il nome che mette al figlio è l’indice che bisogna sentirsi sempre e dovunque stranieri, per comprendere la condizione dell’essere straniero, come del resto è ribadito anche nel Salmo 119  “…straniero sono sulla terra....”.  
  

Vittorio Dan Segre,
pensionato



vittorio dan segre

Con Tullia Zevi il Medio Oriente ha perso una grande giornalista. L'ebraismo una regina scomoda per chi non era d'accordo con lei, ma sempre regina. Ha lasciato un vuoto in ambo i campi, chi sarà capace di riempirlo?

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davar
Memoria - Informazione, mistificazione falsi storici:
Il pregiudizio antiebraico all'epoca di internet
pezzetti

Memoria - Perché non accada mai più
Giovedì sera, Giorno della Memoria, le porte del Tempio Maggiore di Roma, si aprono per il secondo anno consecutivo, per un incontro con i sopravvissuti ebrei ai campi di sterminio nazisti, un evento fortemente voluto dalla Consulta della Comunità Ebraica di Roma, presieduta da Elvira Di Cave e moderato dal direttore del futuro Museo della Shoah della Capitale, Marcello Pezzetti, intervistato sul numero in uscita di Pagine Ebraiche.

pezzetti“Come diceva Bauman, la Shoah è simile a una finestra. Spingendo lo sguardo attraverso quella finestra è possibile cogliere una rara immagine di cose altrimenti invisibili”, spiega Marcello Pezzetti, direttore del futuro Museo della Shoah di Roma ed esperto del Centro di documentazione ebraica contemporanea. Secondo Pezzetti, il nostro dovere è proprio quello di portare il nostro sguardo al di là della finestra: solo così potremo comprendere a pieno la realtà. E occasioni come la serata del 27 gennaio al Tempio Maggiore di Roma ci consentono di farlo nel modo migliore. “Il dono del racconto” dei testimoni, dunque, deve essere visto anche in quest’ottica.
Professor Pezzetti, lei sta portando avanti un’approfondita ricerca sui sopravvissuti, cercando di recuperare la storia di ciascuno di loro. Per anni, però, molti testimoni hanno preferito tacere e fra le motivazioni c’era la paura di non essere compresi. Cos’è cambiato da allora? La società ora è più pronta di prima?
 In parte, anche se continuano a non esserci le condizioni migliori. È vero che viviamo in una società che complessivamente è più capace di ascoltare ma molti testimoni hanno deciso di rompere il silenzio indipendentemente da fattori esterni. Diciamo che hanno cambiato tattica. I sopravvissuti hanno deciso di donare i loro racconti.
E la società li ha recepiti?
Per adesso siamo ancora lontani; la sordità è ancora diffusa. Da una parte perché manca una presa di coscienza di massa del passato, in particolare da noi in Italia. Altrimenti non si spiegherebbe perché nel nostro Paese ancora non è stato creato un museo sul fascismo. Cosa che sarebbe impensabile in Germania. Dall’altra, la nostra società ha una soglia di sopportazione delle tragedie troppo elevato: guardi quanto è accaduto nei Balcani, siamo già riusciti a digerire o peggio dimenticare quanto è accaduto pochi anni fa.
“Il loro ieri non sarà il nostro domani”, recita il sottotitolo dell’evento. Un auspicio o un’affermazione che rappresenta la realtà?
In generale credo sia vero. Insomma, viviamo in un’Europa democratica, in cui vigono costituzioni a tutela dei cittadini e trattati internazionali che proteggono i diritti dell’uomo. La mia preoccupazione però è per le minoranze: non dobbiamo sopportare alcuna violazione nei loro confronti, di qualsiasi minoranza si tratti. Il nostro limite di sopportazione deve essere bassissimo. Ricordo ancora le parole della sopravvissuta Goti Bauer, per cui uno dei momenti di più difficili e dolorosi della sua vita fu scoprire cosa aveva fatto Pol Pot. Il racconto dei testimoni ci insegna a continuare a vigilare perché queste tragedie non accadano più; ci insegnano a impegnarci in prima persona per evitarle. Loro ci danno le chiavi e noi dobbiamo imparare a usarle.
E’ questo il significato di iniziative come quella del Tempio Maggiore di Roma?
Sì e l’attenzione deve essere in particolare diretta ai giovani. Devono recepire questo messaggio, perché possono ancora cambiare le cose. Gli altri oramai sono persi, sono indifferenti a quanto gli sta intorno. La scommessa sono le future generazioni. A loro, però, è necessario rivolgersi con un linguaggio chiaro, semplice, diretto e che al tempo stesso non faccia sconti, come del resto fanno i testimoni che raccontano le proprie esperienze nude e crude, non hanno peli sulla lingua e dicono esattamente cosa pensano.

Daniel Reichel

Piero Terracina

piero terracinaSono stato in silenzio, per parlare ci voleva qualcuno che ascoltasse. Non c'era. La gente non voleva sapere. La fame è fame, ma la fame ad Auschwitz non la si poteva descrivere, perché lì mancava la speranza di poter placare la fame, mentre quelli che si erano salvati dai campi di concentramento, magari un giorno non mangiavano, ma avevano la speranza che il giorno dopo sarebbe andata meglio. Quando siamo tornati, la gente voleva tornare a vivere e non pensarci più tanto. Io sono stato uno degli ultimi a rientrare a Roma, nel dicembre 1945, anche se ero stato liberato a gennaio, e ricordo che quando venivamo fermati dai parenti di quelli che non erano tornati e che volevano sapere, questi colloqui terminavano sempre con la frase: “ma tu come ti sei salvato?” Questa per me era una frase agghiacciante che mi paralizzava.  Come si faceva a spiegare perché io mi ero salvato e tutti gli altri no? Poi siamo arrivati agli anni '80 Primo Levi che ci aveva rappresentato in tutti quegli anni ci aveva lasciato e i primi rigurgiti di antisemitismo, la bara lasciata davanti al Tempio maggiore e la profanazione del cimitero francese di  C. è stato quello il momento in cui ho capito che non potevo più tacere. Ogni volta è assolutamente lacerante, però questa commozione che indubbiamente c'è, si trasmette e crea questo circuito. Io credo che anche questo serva alla Memoria. Nell'ultimo anno ho parlato in 71 scuole in tutta Italia, al Forum Mandela di Firenze ho parlato davanti ad undicimila giovani insieme al Premio Nobel Imre Kertesz, Amos Oz, mentre Boris Paor ha fatto giungere un contributo registrato. Oggi credo che la testimonianza sia determinante perché i giovani rappresentano il nostro futuro, con molti di quelli che ho conosciuto sono rimasto in contatto, rispondo alle loro email, è faticoso a volte, ma non si possono deludere i giovani...

testimonianza raccolta da Lucilla Efrati


Combattere il negazionismo. Strumenti e strategie
hans jonasIstituire una legge sul negazionismo. Professori universitari ed esponenti politici si sono confrontati ieri su invito dell'associazione di cultura ebraica Hans Jonas, nella sala del Capranichetta di Piazza Montecitorio, sulla proposta. Posizioni diverse e contrastanti sull'iniziativa giuridica ma concordi nel dichiarare guerra ai negazionisti e nel ribadire l'importanza della memoria. Il convegno, che ha tentato di chiarire i termini del confronto fra favorevoli e contrari alla legge, dal titolo “La Shoah e la sua negazione - Il futuro della Memoria in Italia” è stato presentato e coordinato da Tobia Zevi, dell'Hans Jonas, che ha deciso di partecipare al dibattito nonostante la scomparsa, questo sabato, della nonna Tulia Zevi, ex presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, proprio per onorarne il suo impegno civile.
Il dibattito si articolava in due sessioni: alla prima hanno preso la parola esponenti del mondo scientifico e culturale (Fulco Lanchester, dell'Università La Sapienza di Roma, Andrea Graziosi, dell'Università di Napoli, Simon Levi Sullam, dell'Università di Oxford e Saul Meghnagi dell'Istituto superiore per la formazione) e alla seconda è stato dato invece spazio agli esponenti politici italiani (con gli interventi del ministro della Giustizia Angelino Alfano, del presidente dell'Unione di Centro Pierferdinando Casini, di Benedetto Della Vedova di Futuro e Libertà per l'Italia e di Emanuele Fiano del Partito Democratico).
A chiudere le sessioni, dopo averne attentamente ascoltato i contenuti, è stato un convito sostenitore della legge sul negazionismo, il Presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, che ha ribadito la sua posizione chiarendo prima di tutto la necessaria distinzione fra diritto dell'opinione e negazionismo. “Affermare privatamente che la Shoah non sia mai esistita è un gesto riprovevole ma non è questo che ci interessa cogliere, bisogna combattere perché nel mondo accademico e nelle istituzioni pubbliche, questo diritto non venga permesso, è su questo ambito che si deve muovere la legge - ha spiegato il presidente della Comunità Ebraica di Roma. “C'è da dire - ha aggiunto Pacifici - che sarebbe necessaria una riflessione sugli errori di comunicazione commessi da noi ebrei: abbiamo spiegato chi siamo per mezzo della Memoria è stato un errore. Oltre alla legge bisogna prevenire l'ignoranza e spostare l'attenzione su altri aspetti dell'ebraismo italiano, che non è solo Shoah. Noi non siamo solo delle vittime, abbiamo una cultura e una storia molto più ampia che va recuperata”.
E' stato il docente di Diritto costituzionale comparato alla facoltà di Scienze politiche della Sapienza, Fulvo Lanchester, ad aprire gli interventi della prima sessione, chiarendo per iniziare i contorni giuridici e lo stato della legislazione non solo italiana sul tema. Dopo questa dettagliata rassegna è passato ad esaminare nello specifico il caso italiano per giungere alla conclusione che nella nostra Costituzione sono già presenti delle leggi che contrastano la discriminazione razziale e le manifestazioni di intolleranza. Motivo per cui si è detto contrario all'istituzione di una legge ad hoc, il cui rischio per altro “è quello di portare l'attenzione dell'opinione pubblica verso persone che altrimenti non l'avrebbero” (timore questo portato alla luce anche in alcuni degli altri interventi che hanno caratterizzato la giornata).
A Lanchaster è seguito l'intervento del professore Andrea Graziosi, anche lui contrario a una legge sul negazionismo, che ha voluto sottolineare come questi fenomeni siano limitati, marginalizzati e già screditati dal mondo scientifico, prima di concentrarsi sul rapporto fra Storia e Diritto e in particolare sul rischio di una contaminazione dei due campi.
“Se il diritto dovesse dettare legge sulla Storia ne sarebbe inevitabilmente schiacciato e la politica rischierebbe di divenire solo un polemica basata sulla memoria”. La politica, secondo Graziosi, deve guardare al futuro e non al passato. “Certo - chiarisce Graziosi - è necessario continuare a studiare la Shoah come esempio di ciò che non deve più accadere e sui cui bisogna vigilare perché non accada mai più”.
Non concorda sulla “marginalità del fenomeno” Riccardo Pacifici che nel suo intervento conclusivo ha affermato: “Al professore Graziosi basterebbe dare uno sguardo in Internet per capire che il fenomeno non è poi così marginale”.
Il professor Simon Levi Sullam, dal canto suo, è dello stesso avviso del professor Graziosi, ritiene rischiosa l'idea di imporre delle verità di Stato, anche perché ciò sarebbe in linea con quanto fatto nella storia dai regimi totalitari. A riassumere l'intervento del professor Sullam le esplicative citazioni utilizzate per chiudere il suo intervento. Qualcuno ha detto “Il contrario dell'oblio non è Memoria ma Giustizia” Sullam non è d'accordo essendo dell'idea che “il contrario dell'oblio non è ne Memoria ne giustizia ma storia e ricerca”.
Ha concluso la prima sessione dell'incontro il professore Saul Meghnagi, che dopo aver costatato l'evidente preoccupazione sul tema, ha posto l'accento sulla formazione, necessaria per combattere il fenomeno alla radice, “la cultura e la conoscenza costituiscono il principio cardine di una democrazia - ha affermato - Bisogna riflettere oggi sulla macchina che produce l'intolleranza e non sui carnefici”.
“Negare la verità significa uccidere una seconda volta le vittime”, è con questa frase che il ministro della Giustizia Angelino Alfano, ha aperto la seconda sessione del convegno. La negazione della Shoah non è una mera opinione - ha poi spiegato il Guardasigilli - ma è il risultato di una operazione che si colloca all’opposto dei valori delle nostre democrazie”. A giudizio di Alfano quindi usare il diritto penale per combattere il negazionismo non è in contrasto con la Costituzione.
Per questo, ha offerto la sua disponibilità ad avviare ”un gruppo tecnico di lavoro” a cui ha invitato i promotori del convegno a partecipare per “valutare tecnicamente la scrittura materiale di una norma che affermi il reato di negazionismo”.
“Quello italiano è un lavoro serio di educazione, nessun Paese dedica una mole di iniziative così vaste al 27 gennaio e sono contento che possiamo discutere, seppur con posizioni differenti, sul tema di questa manifestazione”, con queste note di orgoglio il leader dell'UdC Pierferdinando Casini ha voluto salutare il pubblico e ringraziare per l'invito. “Le tesi giuridiche del ministro Alfano sono inattaccabili, sono certo che il nostro impianto giuridico sia conforme alla realizzazione di una legge contro il negazionismo, ma ritengo che una legge possa essere inefficace ed esprimo la mia preoccupazione per un simile provvedimento legislativo”. “Temo - ha spiegato Casini - la verità imposta dallo Stato, credo che tale verità possa creare un alibi proprio per quelle persone che vogliamo combattere, che se ne potrebbero servire come pretesto per affermare che vietiamo la ricerca storiografica, anche se di storiografico non c'è nulla ovvio”. “Sarebbe paradossale - prosegue il leader dell'UdC - che tali individui possano fare appello ai principi democratici chiedendo di stimolare la dialettica” .
“Vedo il caso Moffa - aggiunge - come un esempio terribile del decadimento delle nostre università è per questo che ritengo che vadano creati degli anticorpi culturali e sociali piuttosto che ricadere sulla scelta giuridica”.
Anche per Benedetto Della Vedova i rischi di una legge sono troppi alti e l'attenzione andrebbe spostata invece sulla presa di coscienza del ruolo ricoperto dall'Italia nella Shoah.
Emanule Fiano, peraltro figlio di sopravvissuti ad Auschwitz, nel suo intervento, invita a fare una valutazione di costi e dei benefici che una legge sul negazionismo apporterebbe. E lo fa invitando a ricordare ciò che accadde durante il processo allo storico britannico David Irving: “La Causa contro di lui gli ha procurato molti anni di palcoscenico, le tesi accusatorie e difensive si sono mosse su: conta di morti e metodi utilizzati, tutte questioni che hanno degradato, chi per un fine chi per l'altro il fenomeno. Trovo giusto aprire il dibattito come proposto dal ministro Alfano ma ritengo che una legge possa essere controproducente”. In conclusione Fiano vorrebbe che l'accento fosse invece posto sul fatto che “la Memoria non è una questione ebraica bensì italiana”. “Dobbiamo impegnarci - ha concluso - affinché la Memoria sia un patrimonio di tutti”.

Valerio Mieli

Qui Trieste - La Memoria, nel nome dei bambini 
simcha LelinekSaranno i burattini di Simcha Tomas Jelinek ad aprire, mercoledì 26 gennaio (immagine di Lucio Trizzino, seconda classificata al concorso fotografico Cdec 2010), le manifestazioni organizzate dalla Comunità ebraica di Trieste e dal Museo “Carlo e Vera Wagner” per celebrare il Giorno della Memoria che quest’anno dedicherà uno sguardo particolare al mondo dei bambini anche attraverso la mostra Fiabe dolorose dell’artista triestino Ugo Pierri e la proiezione del film La Rafle di Rose Bosch in uscita proprio il 27 gennaio nelle sale italiane.
I burattini di Jelinek saranno in scena alle 17 di mercoledì 26 gennaio al Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” nello spettacolo di narrazione teatrale “La valigia”, adatto a piccoli e grandi. In questo lavoro Simcha Tomas Jelinek, artista ebreo di origine boema, rilegge la tradizione nel linguaggio fantasioso ed evocativo dei burattini ispirandosi alla tragica sorte dei tanti bambini che negli anni della persecuzione razziale dovettero partire, con la loro valigia, verso destinazioni sconosciute e spesso terribili.
La domanda cui Jelinek cerca di dare risposta nel suo spettacolo è “Cosa si mette nella valigia quando non sappiamo dove stiamo andando, né con chi, né per quanto tempo?”. Nel libro “Kaddish senza figli”, Jelinek immaginava un finale in cui le valigie finiscono accumulate una sopra l’altra in una grande piramide. Ma con i burattini la risposta forse è diversa.
Un bravo burattinaio, come narra lo spettacolo, può mettere nella sua valigia un piccolo teatro, tre grandi burattini e tre strumenti musicali. Con questi preziosi strumenti ci si può rallegrare e stare insieme anche nei luoghi più orribili del mondo. Tra allegria, tenerezza e speranza Simcha Tomas Jelinek propone ai bambini uno spettacolo di grande divertimento che offre importanti spunti di riflessione.
Giovedì 27 gennaio, alle 17.30, si inaugura la mostra Fiabe dolorose di Ugo Pierri. Organizzata con Comunicarte, la rassegna propone una selezione di disegni che alludono al tema della Memoria con tratti delicati e onirici e spesso rimandano al mondo della natura e degli animali.
Alle 18.30 si proietta il film La Rafle di Rose Bosch (Francia/Germania/Ungheria, 2010, 124 min). La pellicola con Jean Reno, in uscita nello stesso giorno nelle sale italiane con il titolo Vento di primavera, è stato uno dei film più commoventi e apprezzati dello scorso anno in Francia dove ha riproposto la vera storia di un’estate, quella del 1942, che ancora non ha smesso di tormentare le coscienze.
Protagonista è il piccolo Joseph, che porta la stella gialla perché è ebreo ma crede di essere al sicuro a Parigi. Fino al 16 luglio, quando i soldati tedeschi lo catturano e lo portano al Velodrome d’Hiver. Da qui prenderà il via il suo viaggio dell’orrore verso Auschwitz insieme a quasi 13 mila uomini, donne e bambini. Il film è in francese con sottotitoli in italiano.
Con La Rafle s’inaugura la rassegna Jewish on screen, realizzata con il patrocinio della Provincia di Trieste, che fino al primo marzo propone al Museo della Comunità ebraica di Trieste “Carlo e Vera Wagner” un ciclo di film a cura di Livia Ponzio dedicati all’immagine del mondo ebraico nella recente cinematografia.
Tre le sezioni: War in the eye of a child, che attraverso gli occhi dei bambini guarda alla tragedia della guerra e della Shoah; Commedie di famiglia, incentrato sul genere della commedia e Peace at heart che getta uno sguardo diverso sul conflitto mediorientale.


Qui Napoli - Un Parco della memoria in Campania
napoliC’è tanta parte di storia che non conosciamo, che ci viene tramandata a spizzichi e bocconi dai libri di scuola, spesso tanto imprecisi o che favoriscono, in nome della sintesi, racconti più brevi e concisi, che non riescono a darci il quadro chiaro di quello che veramente è stato.
Alla Comunità Ebraica di Napoli conosciamo bene la storia di Tora Presenzano e Piccilli i due paesini in cui gli ebrei napoletani furono mandati a lavori forzati, e conosciamo la storia di Campagna dove erano internati ebrei per lo più stranieri, ma cosa sappiamo delle stragi di innocenti compiute ad opera dei nazisti? Forse poco, come chiunque non si sia informato oltre e non abbia fatto ricerche.
Ed è proprio a seguito di alcune ricerche ed inchieste, a cura del un gruppo di giornalisti del quotidiano La Repubblica di Napoli (Edoardo Scotti, Paolo de Luca, Ilaria Urbani, Adele Brunetti e Anna Laura de Rosa), che è nata l’idea della creazione in Campania di un Parco della Memoria per le vittime delle stragi naziste. L’idea è stata lanciata dal quotidiano sotto forma di raccolta di adesioni, moltissime le firme pervenute, tra cui quelle di tantissimi intellettuali, rappresentanti delle università della Campania, giornalisti, istituti di cultura. Quello che però serve è soprattutto l’adesione delle istituzioni che dovrebbero rendersi conto dell’importanza della creazione del Parco della Memoria e renderla possibile.
Come ci ha ricordato la storica Gabriella Gribaudi, tra le prime firmatarie dell’appello di Repubblica, durante l’incontro di presentazione del progetto il 2 dicembre scorso presso l’università Suor Orsola, Napoli è stata la città più bombardata d’Italia e i paesini dell’entroterra campano sono quelli che più di tutti hanno pagato in termini di vite umane: Acerra, Bellona, Caiazzo, Mondragone, Conca della Campania, per citare solo alcuni esempi.
Proprio da Conca della Campania viene l’ormai 78enne Graziella di Gasparro, figlia di Giacomo di Gasparro, uno dei trentanove uomini presi a Conca e trucidati, colpevole solo di trovarsi in strada in quel preciso momento. E’ solo grazie a lei, che all’epoca aveva 10 anni, se la memoria di quella strage non è andata perduta e se il tribunale militare è riuscito finalmente a risalire ai nomi di due artefici della strage.
E come a Conca in moltissimi altri luoghi campani accadde la stessa cosa, stragi rimaste nell’oblio, che però hanno avuto il calibro di quelle di Sant’Anna di Stazzema o Marzabotto che tutti conosciamo grazie anche ad alcuni film sull’argomento. In Campania resta qualche piccola testimonianza, qualche targa e nulla più. Solo a San Pietro Infine, nell’alto Casertano, durante la ricostruzione nel 1950 gli amministratori ebbero la lungimiranza di spostare un po’ più a valle il paese, lasciando intatto quello distrutto dai bombardamenti, tanto che Mario Monicelli nel 1959 vi girò “La grande guerra”, senza bisogno di scenografie.
L’istituzione di un parco della memoria serve proprio a questo, a non dimenticare ed a far chiarezza su una parte di storia ai più meno nota. Un parco che possa essere punto di riferimento per gli studenti e punto di partenza per nuove e più approfondite ricerche.
Per questa ragione mi auguro possa nascere presto, con l’aiuto di tutte le persone che hanno aderito all’appello di Repubblica e di quanti vorranno ancora aderire.

Claudia Campagnano
 


Qui Firenze -Treno della Memoria per 600 studenti
treno della memoriaIn apparenza sembra una gita come tante. Una miriade di adolescenti armati di borse e zanetti arancioni, professori che fanno la conta degli studenti, ragazzi che si scambiano numeri di cellulare e contatto facebook, una coppietta che si bacia. Nell’aria si respirano elettricità e voglia di partire: per qualche giorno gli impegni scolastici disteranno migliaia di chilometri. Nel giro di poche ore invece i volti cambieranno espressione: se ne andranno sorrisi e fondotinta, gote e guance si righeranno di lacrime, l’orrore si sostituirà alla spensieratezza. È quasi ora di pranzo di un lunedì mattina freddissimo e dalla stazione ferroviaria di Santa Maria Novella, struttura che vista dall’alto ricorda un passato spregevole con i suoi binari disposti a forma di fascio littorio, parte un treno speciale diretto in Polonia. È il Treno della Memoria, destinazione finale il campo di sterminio di Auschwitz. Carico di studenti dell’Università e delle scuole superiori (89 gli istituti coinvolti da tutta la Toscana), il Treno è giunto alla settima edizione negli ultimi dieci anni. Ad accompagnare i ragazzi sui luoghi del Male ci sono uomini delle istituzioni tra cui il governatore della Toscana Enrico Rossi, l’assessore regionale Cristina Scaletti, il consigliere Daniela Lastri, rappresentanti dell’ebraismo italiano guidati dal presidente della Comunità ebraica di Firenze Guidobaldo Passigli e da Ugo Caffaz, storico coordinatore delle iniziative della Regione legate al ricordo della Shoah, esponenti di associazioni dei deportati, dai rom a chi fu imprigionato perché oppositore politico e militare o ancora perché omosessuale. E poi ci sono loro, le sorelle fiumane Andra e Tatiana Bucci, giovanissime testimoni dei forni di Auschwitz. Parlano con i ragazzi e raccontano di come siano riuscite a costruirsi una vita dopo il lager, facendo costantemente i conti con quel terribile passato (“A volte i ricordi tornano improvvisi – basta un treno merci, una ciminiera o una qualche marcetta vagamente militare”) ma guardando al futuro senza farsi schiacciare dal macigno della Shoah perché, spiega Tatiana, “la vita riprende il suo corso e bisogna comunque andare avanti”. Intorno a mezzogiorno i ragazzi cominciano a defluire dal punto di raccolta al binario 16, dove una lapide ricorda le deportazioni nazifasciste verso i campi della morte, per salire sul treno che li porterà in terra polacca. Lo speaker della stazione annuncia la partenza del convoglio a minuti, tanti zainetti arancioni salgono rapidi sui vagoni. Ultime foto, ultimi sorrisi. Poi Auschwitz.

Adam Smulevich


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pilpul
Hatzer - Non possiamo tirarci indietro
Gadi Luzzatto VogheraQuesto è un mese degli impegni istituzionali. Giornata del dialogo con l’ebraismo, giorno della memoria. Giorni che durano ormai settimane. Preceduti da settimane e mesi di preparazione e seguiti da altrettanti strascichi. Nel mezzo, i viaggi della memoria. Sono sicuro che tutto questo ha un senso, che la società giustamente richiede di sapere, di conoscere, di sentirci, e che noi non possiamo tirarci indietro. Ne va della funzione di una piccola comunità come la nostra in un paese che ha più che mai bisogno di civiltà e di una cultura di pace. E ne va della nostra stessa sopravvivenza, perché se giustamente viene fatto notare che essere ebrei è impossibile se non in una kehillà, è anche vero che essere comunità umana senza una stretta relazione con le altre comunità significa condannarsi a un isolamento immotivato e contrario ai più elementari insegnamenti della nostra tradizione. Allora, seguendo un’attuale moda televisiva in gran voga, propongo la mia lista.
Lista delle ragioni per cui è importante essere presenti alle giornate che verranno: perché i miei figli devono sapere; perché gli amici dei miei figli devono sapere; perché “ricordare” aiuta a interpretare meglio il presente; perché “ricordare” è una mizvà; perché confrontare le memorie aiuta a comprendersi; perché se io sono vivo e racconto vuol dire che Hitler ha perso; perché per ogni incontro bisogna prepararsi e quindi ogni incontro mi costringe a studiare; perché ho scoperto che a Chelmno, Treblinka, Belzek e Sobibor non ci sono mai state neppure baracche per prigionieri ma solo camere a gas e forni e fosse comuni; perché molti non lo sanno; perché molti lo sanno ma non lo dicono; perché Auschwitz sta diventando memoria universale e io voglio condividerla; perché c’è un mucchio di gente che usa la parola nazista a sproposito; perché c’è altra gente (a volte la stessa) che nega; perché c’è gente che si tatua svastiche e croci celtiche; perché milioni di altre persone con gli avambracci tatuati non sono tornate a raccontare; perché ‘Im ein anì lì, mi li, uksheanì le’atzmì ma anì, ve’im lo achshav, eimattai? (se non sono io per me, chi sarà per me; e quando io sto di per me solo, cosa sono mai; e se non ora, quando? Pirqé Avoth 1,14).

Gadi Luzzatto Voghera, storico


Europei Maccabi - Pavoncello: "Un giovane per la scherma"
maccabi 2010Continua sempre più intensamente la marcia di avvicinamento ai Giochi Europei del Maccabi in programma dal 5 al 13 luglio a Vienna. In quei giorni affluiranno nella capitale austriaca, sede della tredicesima edizione dei Giochi (la passata edizione si è svolta a Roma nel 2007), migliaia di giovani atleti ebrei provenienti da tutta Europa, compresa naturalmente una significativa delegazione italiana di cui si sta gradualmente definendo la composizione per arrivare all’appuntamento austriaco con sane ambizioni di medaglia. Le occasioni di scrematura del gruppo che volerà a Vienna si intensificano e da qui a primavera coinvolgeranno in un continuo crescendo le attenzioni dei tecnici del Maccabi. Dal calcio al basket, dall’atletica al nuoto: le discipline in campo alle Maccabiadi sono una quindicina e si adattano a gusti e abilità diverse. Tra gli sport in programma c’è anche una disciplina nobile in cui l’Italia storicamente eccelle: la scherma. Ed è proprio in questa direzione che si indirizzano adesso le attenzioni del Maccabi. Perchè l’Italia, riconosciuta patria di spadaccini, vorrebbe partecipare ai Giochi con un proprio rappresentante. È Vittorio Pavoncello, presidente della Federazione Italiana Maccabi e neo consigliere UCEI a lanciare l’appello: “Nelle edizioni precedenti dei Giochi Maccabi, anche a livello mondiale, la scherma è stata foriera di medaglie. Sono sicuro che i nostri giovani si faranno avanti e coglieranno l'attimo. I Giochi Europei del Maccabi sono infatti una straordinaria occasione di sport ma anche di condivisione dei valori ebraici con migliaia di giovani da tutta Europa. Anche per gli altri sport ci aspettiamo un'adesione massiccia dalle comunità visto che il divertimento è garantito”.

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notizieflash   rassegna stampa
Memoria - Pacifici: "Oltre alla prevenzione bisogna introdurre il reato di negazionismo" 
  Leggi la rassegna

E' la storia che ha ispirato il film premio oscar 'La vita e' bellà di Roberto Benigni e che oggi, a 91 anni, Rubino Romeo Salmonì ha avuto il coraggio di raccontare e di ricordare nel volume 'Ho sconfitto Hitler': otre sette mesi di prigionia nel campo di Auschwitz-Birkenau, altri cinque nei campi di Ullersdorf e Nossen, fino alla fuga e la libertà nell'aprile 1945. Presentato a palazzo Valentini dal presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e da Nicola Zingaretti presidente della Provincia. ietro all'improvviso
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La rassegna è oggi dominata dal tema della giornata della memoria. Fra i molti articoli da leggere certamente l'intervento di Elie Wiesel pubblicato da Avvenire, messo a confronto con pensiero del teologo cattolico Metz, sempre su Avvenire. Importante anche la recensione di Frediano Sessi sul Corriere alla raccolta di diari di ebrei durante la Shoà pubblicati da Einaudi sotto il titolo "Gli ebrei sotto la persecuzione", a cura di Avigliano e Palmieri ..»

Ugo Volli

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