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 27 gennaio 2011 - 22 Shevat 5771
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Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

Non basta dire "Giornata della Memoria". Quando si parla di memoria bisogna specificare chi ricorda e cosa ricorda. Nel calendario ebraico la prima giornata della memoria - yom hazikkaron- è il Capodanno, quando il Signore ricorda tutte le sue creature e speriamo che lo faccia con misericordia. Poi c'è il nostro ricordo dell'uscita dall'Egitto, che facciamo a Pesach, di Sabato e anche in tutti giorni. E ancora, alla vigilia di Purim, il ricordo di Amalek, nello Shabbat Zakhor, il Sabato in cui "ricorda" è un imperativo (Devarim 25:17). E ancora il ricordo della distruzione del Tempio e di tutto il resto, nei giorni di digiuno appositi, in cui siamo noi a ricordare ma anche a chiedere al Signore di ricordare cosa c'è successo (Ekha 5:1). Possiamo aggiungere il ricordo della resistenza al nazismo e delle guerre recenti di Israele e delle loro vittime. Ma in questa giornata della memoria, per essere chiari, sono gli "altri" che devono ricordare cosa è stato.
Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme

Della Pergola
Nel Giorno della Memoria. Il nuovo importante libro di Manuela Consonni, pubblicato dalla Magnes Press, la prestigiosa casa editrice dell'Università di Gerusalemme, si intitola in ebraico "Resistenza o Shoah". Alquanto agevole, dunque, la traduzione del titolo in italiano. Il sottotitolo, invece, è più complesso: "Zikaròn hagherúsh vehahashmadàh beItàliah 1945-1985". Il senso della traduzione in italiano è: "La memoria della deportazione e dello sterminio in Italia, 1945-1985". E qui emerge un serio problema semantico sul quale sarebbe opportuno discutere in ebraico ma del quale è bene che anche i lettori italiani siano al corrente.
La parola "gherúsh" in ebraico vuol dire "espulsione", come nel caso di "gherúsh Yehudé Sefaràd", l'espulsione degli ebrei dalla Spagna. L'espulsione è un'azione coercitiva con la quale l'autorità esecutrice si libera della presenza non desiderata di una persona, senza preoccuparsi del destino di tale persona oltre i confini della sovranità territoriale. La parola "gherúsh" è effettivamente divenuta parte integrante del lessico ebraico israeliano, forse sotto l'impressione delle vicende degli ebrei in Europa orientale, molti dei quali furono effettivamente espulsi dalle loro residenze e abbandonati al loro casuale e drammatico destino di fronte a un ambiente fisico e umano ostile alla sopravvivenza. Ma la parola "deportazione", certo adatta non solo alle condizioni degli ebrei in Europa occidentale ma anche a quelle di moltissimi ebrei in Europa orientale, e di quelli che la subirono in Nord Africa, ha un significato completamente diverso. Non si trattò di un'operazione di casuale violenza dall'esito incerto, ma di un'azione politica e logistica meticolosamente meditata, pianificata ed eseguita e dai fini ben precisi. "De-portare" non vuol dire grossolanamente e genericamente scacciare verso destinazione ignota, ma attentamente accompagnare da un certo luogo specifico verso destinazione nota. L'ebraico "gherúsh" è quindi completamente inadeguato alla bisogna e andrebbe sostituito da un termine più pertinente, basato sulla parola "portare" (la cui radice ebraica sarebbe "nas'à" con le consonanti "sin" e "alef"). Si potrebbe allora proporre il termine "hasa'ah" che vorrebbe dire "il far portare", oppure perfino con un gioco di parole, "hassa'ah" (con le consonanti "samech" e "'ain") che vorrebbe dire "il far viaggiare".
Tutto questo nulla toglie all'eccellente analisi di Manuela Consonni, il cui pregio principale è quello di orientare i riflettori su quello che nel dopoguerra è stato il fenomeno inquietante dell'appropriazione della specificità della storia, della memoria e dell'identità, e quindi della Shoah, ebraica da parte dei molti che – forse con le migliori intenzioni – nel mondo della cultura, delle arti e della politica erano preoccupati dall'urgenza di assemblarsi attorno a una storia, una memoria, un'identità nuova e differente – quella della Resistenza. Era finita la guerra mondiale con il fascismo, stava cominciando la democrazia con la guerra fredda, e in un paese in cui in definitiva la continuità fra i regimi prevaleva sulla discontinuità, la recita passava fulmineamente da un vecchio a un nuovo copione. La parola "Shoah", che è soprattutto sterminio, nel 1945 non esisteva e si cominciava a parlare, erroneamente, di Olocausto. La Shoah degli ebrei italiani veniva rappresentata con il termine "deportazione", che è soprattutto ma non solo il portare verso l'ultimo viaggio. Il fato oscuro, particolare, parrocchiale della minoranza ebraica fu a lungo derubricato a sotto-categoria dell'ethos più generale, pubblicamente rilevante, ed eroico della Resistenza, non importa se autentico o meno. Ma è anche vero che nel corso degli anni, soprattutto dopo gli anni '80, la memoria della Shoah degli ebrei italiani assumeva un ruolo a volte davvero ipertrofico nella memoria pubblica dell'Italia, mentre le deportazioni dei militari e dei politici – ben più numerose e certo non meno significative di quelle degli ebrei per la storia d'Italia – venivano quasi dimenticate sul sottofondo della ricostruzione della compagine nazionale. Se poi la lezione morale e storica della Shoah sia stata realmente metabolizzata nel profondo della cultura e della politica italiana è domanda aperta a cui una risposta potrà essere data solamente nei tempi lunghi.
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Memoria - Napolitano: "Vigilare contro nuova intolleranza"
Napolitano con studentiUn pensiero “affettuoso e riverente” è quello che Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, rivolge a Tullia Zevi, scomparsa qualche giorno fa, nella cerimonia che si è svolta al Quirinale alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, del ministro della Pubblica Istruzione Mariastella Gelmini e del professor Giuseppe Galasso per celebrare il Giorno della Memoria.
Gattegna, ha invitato a riflettere sul particolare significato di questo giorno, nell’anno in cui si celebra il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. “E’ un evento diverso e speciale che ci offre l’occasione per capire il ruolo svolto e l’apporto dato dagli ebrei alla nascita dello Stato Italiano”, ha detto Gattegna ricordando che “l’adesione degli ebrei italiani al Risorgimento fu convinta e largamente diffusa. Vi parteciparono, passando dall’attività cospirativa mazziniana, alla Repubblica Romana del 1848, alla spedizione dei Mille, sino alla conquista di Roma del 20 settembre 1870″. Ma resta una domanda “che non trova risposta” e “ancora ci assilla. Come è potuto accadere – ha sottolineato Gattegna – che la stessa piccola, civile, pacifica minoranza ebraica, che dette un così alto contributo all’unità della Patria, possa essere stata, solo pochi decenni dopo, tradita, discriminata e perseguitata”. E, dopo aver ringraziato il presidente Napolitano, per aver ospitato al Quirinale il Giorno della Memoria, il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha ribadito che “il nostro Paese sarà più libero e migliore solo se, attraverso la conoscenza e la comprensione della propria storia, rimarrà consapevole che la conquista della democrazia costituisce un passo fondamentale ed un bene prezioso da consegnare con orgoglio alle nuove generazioni”.

Quirinale Napolitano e GattegnaPronta la risposta del Presidente Napolitano che ha dichiarato “Nulla poteva motivare, se non un cieco razzismo persecutorio, la espulsione decretata dal fascismo degli ebrei e delle loro Comunità dal consorzio civile italiano” e proprio ricordando la persecuzione e lo sterminio ebraico, Giorgio Napolitano ha chiesto “attenzione, vigilanza e pronte reazioni, dovunque quel germe dell’intolleranza si manifesti, in qualsiasi forma, anche in paesi che si sono dati dichiarazioni di principi e Costituzioni democratiche”. Poi anche il Presidente ha rivolto un pensiero commosso a Tullia Zevi ricordandone la personalità, la storia, l’ impegno “ Valgano queste mie parole come omaggio alla cara e grande amica che abbiamo perdute e che non dimenticheremo” ha concluso Napolitano con la voce incrinata dall’emozione.
Poco prima il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Mariastella Gelmini., aveva sottolineato : “Negli ebrei io penso si sia depositata l’essenza dell’essere uomini, che è quell’insieme di cose che sentiamo dentro il petto e che possiamo definire con le parole libertà, speranza, non però astratte ma connesse a una Terra, a una fraternità. Il popolo ebraico ha un compito, una missione e con cià dice ad ogni uomo questa stessa verità”. La Gelmini ha poi annunciato che presto in qualità di ministro dell’istruzione si recherà ad Auschwitz ” ll male di Auschwitz è unico, indicibile. Ma esiste un bene, un richiamo potentissimo alla fraternità e alla pace che viene da Auschwitz e che dobbiamo raccogliere in lacrime”, ha sottolineato il ministro dell’istruzione annunciando anche il “Progetto Talmud’, ovvero la traduzione integrale in italiano di questo testo testo fondamentale dell’ebraismo.
Al discorso della Gelmini hanno fatto seguito le testimonianze di alcuni studenti di scuole che hanno partecipato a progetti di studio sulla Memoria. Subito dopo il professor Giuseppe Galasso ha svolto una prolusione sull’apporto degli ebrei all’Unità d’Italia.
Nel corso della cerimonia è stato proiettato il filmato “Memory day: 10 anni” sulla deportazione nazista in Italia e sono stati premiate dal Capo dello Stato le scuole vincitrici della IX edizione del concorso “I giovani incontrano la Shoah”. Erano presenti la vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti, i consiglieri Victor Magiar, Sandro Di Castro, Vittorio Pavoncello, Riccardo Hofmann, il presidente della Comunità Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, la vicepresidente della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (Cdec) Raffaella Mortara, il presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma, Leone Paserman, e Marcello Pezzetti direttore del Museo della Shoah di Roma, Elvira Di Cave presidente della Consulta della Comunità Ebraica di Roma oltre a molte altre cariche istituzionali fra cui il presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, il presidente della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, la senatrice Simona Vicari in rappresentanza del Senato della Repubblica, l’onorevole Rosy Bindi, vice presidente della Camera dei Deputati, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianni Letta, il presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, rappresentanti delle Associazioni degli ex internati e deportati della Comunità ebraica e numerose autorità politiche, civili e militari.

l.e.

"Noi ebrei italiani. La nostra Memoria"
GattegnaIl Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha pronunciato in occasione del Giorno della Memoria 2011 il seguente intervento:

“Illustre e caro Presidente Napolitano, illustri autorità civili, militari e religiose, cari amici, carissimi ragazzi
Il Giorno della Memoria di questo 2011, anno durante il quale celebriamo il 150° anniversario dell’unità d’Italia, è un evento diverso e speciale che ci offre l’occasione per capire il ruolo svolto e l’apporto dato dagli ebrei alla nascita dello Stato Italiano.
L’adesione degli ebrei italiani al Risorgimento fu convinta e largamente diffusa. Vi parteciparono, passando dall’attività cospirativa mazziniana, alla Repubblica Romana del 1848, alla spedizione dei Mille, sino alla conquista di Roma del 20 settembre 1870.
Con l’unità della nazione, dopo molti secoli, tutti gli ebrei italiani vedevano riconosciuto il loro diritto ad una cittadinanza piena ed essi, divenuti uomini liberi, sprigionarono una grande forza creativa e parteciparono alla vita culturale, spirituale, politica ed economica distinguendosi anche nelle forze armate durante il primo conflitto mondiale.
Ma una domanda che non trova risposta ancora ci assilla.
Come è potuto accadere che la stessa piccola, civile, pacifica minoranza ebraica, che dette un così alto contributo all’unità della Patria, possa essere stata, solo pochi decenni dopo, tradita, discriminata e perseguitata.
Il regime fascista, con l’emanazione delle leggi antiebraiche sulla razza del 1938, sancì il definitivo discostamento dell’Italia dalle idee di libertà, uguaglianza e democrazia fondative della Nazione.
Quelle leggi che fecero precipitare gli ebrei in una condizione di disumana discriminazione furono al tempo stesso la dimostrazione della fragilità politica dello stato monarchico che, dopo aver abolito nel 1925 la democrazia parlamentare, giunse a violare per la prima volta nella sua storia i propri princìpi fondanti.
Si trattò di un’involuzione e di un regresso per il quale gli ebrei per primi pagarono il prezzo più alto, ma che costò sofferenze e sangue a tutti gli italiani che furono trascinati in rovinose sconfitte militari e furono costretti a subire la feroce occupazione nazista fino all’aprile del 1945.
L’Italia iniziò a risorgere nel 1946, con due eventi di grande valore istituzionale, politico e simbolico: la trasformazione da monarchia in repubblica e la creazione e promulgazione, nel 1948, di una Costituzione di altissimo livello civile, giuridico e sociale, fatti questi che le permisero di riconquistare la concordia interna e quella credibilità internazionale che le garantì un posto tra le grandi democrazie occidentali.
Ma che cosa accadde nel frattempo alle vittime delle persecuzioni e delle deportazioni nei campi di sterminio nazisti, a quei pochi che riuscirono a sopravvivere e a tornare nelle loro case?
Nel dopoguerra, per anni, la Shoah non fu raccontata, spesso neanche all’interno delle famiglie.
I pochi sopravvissuti, i testimoni diretti, prima di riuscire a parlare attraversarono un lungo periodo di tragica solitudine, di incomunicabilità, a volte di vergogna, presi da assurdi, ma umanamente e psicologicamente comprensibili, sensi di colpa per essersi salvati, a volte per paura di non essere creduti.
L’istituzione del “Giorno della Memoria” trova la sua ragion d’essere nella necessità di colmare il grave deficit di conoscenza dovuto al ritardo con il quale la Shoah è stata raccontata e studiata.
La Shoah è stata un’immensa tragedia che ha colpito il popolo ebraico con un tentativo di distruzione totale. I princìpi ideologici che ne furono alla base causarono la persecuzione anche di altri gruppi e categorie; si trattò di una barbarie che agì contro la “diversità” in generale.
Solo quando i crimini commessi emersero in tutta la loro enormità, la Shoah divenne un parametro di riferimento per giudicare il comportamento del genere umano tenuto da persone, gruppi e nazioni negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
Auschwitz divenne lo spartiacque simbolico tra civiltà e barbarie al punto che, da alcuni storici, il Ventesimo secolo è stato denominato il “Secolo di Auschwitz”.
La Shoah avvenne nel cuore dell’Europa, il continente, allora, più moderno sul piano tecnologico e più avanzato culturalmente. Non sempre i passi in avanti della scienza e della tecnologia vanno in parallelo con il progresso civile e morale dell’uomo e dei popoli.
Il Giorno della Memoria non è un’iniziativa finalizzata a perpetuare conflitti e rancori, ma a formare la coscienza civile delle giovani generazioni. Questa fu la finalità principale che anche Tullia Zevi, alla guida dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane fino al 1999, enunciò chiaramente. Oggi ancor più sentiamo il vuoto da lei lasciato, venendo a mancare solo pochi giorni fa. Rivolgo alla sua memoria un pensiero affettuoso e riverente.
Questo è il modo migliore per ricordare e onorare milioni di vittime, facendo sì che il loro sacrificio non resti vano, ma diventi un monito che contribuisca al progresso dell'umanità.
Caro Presidente Napolitano, la ringrazio per aver ospitato anche quest’anno al Quirinale il Giorno della Memoria, la cui celebrazione ci consente di esprimere il sentimento di unità che viene rinsaldato con questo contributo offerto dagli ebrei italiani a tutti i loro connazionali.
Crediamo, infatti, che il nostro Paese sarà più libero e migliore solo se, attraverso la conoscenza e la comprensione della propria storia, rimarrà consapevole che la conquista della democrazia costituisce un passo fondamentale ed un bene prezioso da consegnare con orgoglio alle nuove generazioni”.

Qui Milano - Ripensare la Memoria
PubblicoIl Giorno della Memoria è stato istituito dal Parlamento con la legge 211 del 2000. Sin dal primo momento un ampio dibattito ha attraversato il mondo ebraico italiano circa il ruolo da assumere nei confronti di questa ricorrenza, e sul significato da attribuirle. Domande che dopo un’esperienza ormai decennale l’ebraismo italiano continua a porsi. E, se l’incontro di ieri organizzato dalla Comunità ebraica di Milano e dal Dipartimento educazione e cultura dell’UCEI con la collaborazione di Kesher, non pretendeva di dare delle risposte, come ha sottolineato l’assessore alla cultura della Comunità Daniele Cohen in apertura, sicuramente ha fornito importanti spunti di riflessione, sotto punti di vista differenti, data la diversa esperienza degli oratori, rav Roberto Della Rocca, direttore del Dec, David Bidussa, storico e saggista, Michele Sarfatti, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea, Sonia Brunetti Luzzati, vicepreside della scuola ebraica di Torino e pedagogista, Haim Baharier, studioso del pensiero ebraico.
Davanti a una platea completamente gremita, rav Della Rocca ha introdotto la serata ‘Luoghi della Memoria e Percorsi di identità’ parlando di uno dei pilastri su cui si è costituita la religione ebraica, la centralità della vita, prendendo le mosse da uno degli episodi più drammatici della Torah, il sacrificio di Isacco. “Se Abramo avesse portato a termine il sacrificio di suo figlio sarebbe diventato il più grande degli eroi, ma D-o non lo permise. Nell’ebraismo non c’è la vocazione al martirio, per quanto catastrofica possa essere, è necessario scegliere la vita”. Il rav ha concluso soffermandosi su un altro fondamento dell’ebraismo, l’attitudine a ricordare il passato, senza una dimensione istituzionalizzata “perché per noi ogni giorno è il Giorno della Memoria, perché quando recitiamo lo Shemah e mettiamo i teffillim, ricordiamo a noi stessi e al mondo chi siamo e da dove veniamo”. Dalla straordinaria capacità di ricordare “un altro tentativo di etnocidio, sistematico e progettuale, avvenuto in una terra chiamata Mizraim (Egitto), quaranta secoli fa” ha preso le mosse anche l’intervento di Haim Baharier, che, come figlio di due sopravvissuti ad Auschwitz, ha però esortato a trovare “un nuovo linguaggio e un nuovo approccio per ricordare, smettendo di essere ossessionati dai fatti e dalle immagini”.
I contributi di David Bidussa e Michele Sarfatti si sono concentrati su una differente prospettiva, e in particolare sul ruolo che il Giorno della Memoria ha assunto nella società civile del nostro paese, e sul contributo che gli ebrei italiani possono dare in questa prospettiva. “L’ebraismo ha già il suo Giorno della Memoria, Yom Ha Shoah, che coincide con l’insurrezione nel Ghetto di Varsavia – ha ricordato il professor Bidussa - Il 27 gennaio si dovrebbe riflettere su ciò che accade quando le ideologie diventano potere pubblico. L’Italia sulla Shoah non fa analisi, la guarda come qualcosa di altro da sè, pur se avvenuta sul proprio territorio. Per questo si è scelta una data non italiana. E oggi sembra che ci sia sempre più urgenza di riempire il calendario con giorni dedicati alla memoria di qualcuno, perché altrimenti il paese pare privo della capacità di ricordare. Ma la cosa grave è che tutto questo non si traduce nella creazione di un’etica pubblica. Se l’ebraismo può assumere un ruolo in questo Giorno della Memoria è quello di domandare la nascita di una morale pubblica, non solo per noi stessi, ma anche per tutti coloro che sono accanto a noi”. Un’esortazione condivisa da Michele Sarfatti che come direttore del Cdec ha raccontato alcuni dettagli sulla genesi del Giorno della Memoria. “Furono presi in considerazione diversi momenti, ma alla fine fu scelto il 27 gennaio perché la si considerava una data che riguardava tutta Italia, e non una singola città e perché si riteneva necessario che la ricorrenza fosse legata all’aspetto più terribile della tragedia che colpì gli ebrei, la deportazione nei campi di sterminio – ha spiegato il professore – A distanza di alcuni anni non sono sicuro che sia stato un ragionamento giusto. Soprattutto penso che sia pericoloso l’assunto che l’unicità della Shoah riesca ad emergere nella maniera corretta con l’unicità del Giorno della Memoria, che assume nei confronti delle altre date commemorative un peso preponderante. E allora rischia di passare un messaggio sbagliato, quello di un ‘privilegio’ concesso agli ebrei. Per evitarlo è molto importante che ci facciamo carico di tante Memorie, di quello che accadde a noi e quello che accadde agli altri. Questa deve essere oggi la nostra sfida”.
Ma la forte attenzione alla Memoria della Shoah può essere rischiosa se non affrontata nel modo giusto, specie quando si tratta il tema nelle scuole, come ammonisce Sonia Brunetti “Il problema di fronte a cui ci troviamo è che è impossibile capire cos’è stata la Shoah partendo dai campi di sterminio – ha evidenziato – perché non si può capire una storia, la Storia, partendo dalla sua conclusione. Per un percorso didattico serio servono tempo e impegno, che purtroppo non sempre gli insegnanti hanno la possibilità o la volontà di mettere in campo. E d’altra parte, senza un’adeguata preparazione, persino le visite ad Auschwitz, i viaggi della Memoria, che pure possono essere esperienze importanti, rischiano di diventare una semplice gita scolastica”.
A concludere l’incontro è stato un intervento del rabbino capo di Milano Alfonso Arbib “Penso che questa serata sia stata interessante perché capita raramente di riflettere in questo modo sulla Memoria. Vorrei aggiungere solo una considerazione: come dobbiamo stare attenti a non trasformare il Giorno della Memoria in un surrogato di identità nazionale, dobbiamo evitare che lo stesso meccanismo si produca con l’identità ebraica”.


Rossella Tercatin

Roma abbraccia i suoi sopravvissuti
SopravvissutiIl rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, il presidente della Comunità ebraica della Capitale Riccardo Pacifici e la presidente della Consulta della Comunità Elvira Di Cave apriranno questa sera alle 20 le porte del Tempio Maggiore di Roma per accogliere la cittadinanza venuta ad ascoltare i sopravvissuti che tornarono dai campi di sterminio. Un altissimo momento di confronto e riflessione che si ripete con il racconto in prima persona dei testimoni di ciò che fu la Shoah per tramandare alle nuove generazioni i valori di chi, pagando di persona, contribuì alla speranza di un mondo migliore.

(l'immagine in alto è di Stefano Meloni www.melonifoto.it)

Shlomo Venezia

Shlomo Venezia“Ho iniziato a parlare dopo quarantasette anni, se avessi voluto farlo prima non sarebbe stato possibile: i primi 10 anni dopo l'uscita dal campo di concentramento dove avevo perduto tutta la mia famiglia, sono trascorsi nel tentativo di riprendermi fisicamente e psicologicamente da quello che avevo vissuto. Ho dovuto riprendere gli studi, ho frequentato la scuola alberghiera grazie all'aiuto dell'American Joint che in quegli anni ci aiutava a riprendere una vita normale, fino al 1952. Poi ho cercato un lavoro e mi sono sposato. In quegli anni avrei voluto parlare ma capitò che una volta mentre raccontavo quello che mi era successo ad un amico, mi accorsi che distoglieva lo sguardo e che dietro di me una persona gli faceva cenno che ero pazzo. Decisi di tacere.
Sono trascorsi molti anni nel silenzio, in famiglia non ho mai parlato della mia esperienza per paura di turbare l'infanzia dei miei figli. Poi circa 15 anni fa ricevetti una richiesta dalla Provincia di Roma che mi chiese se ero disposto ad accompagnare una scolaresca, chiamai il mio amico Luigi Saggi e gli dissi che se fosse venuto con me sarei andato. E così è stato. Da allora non ho più smesso di parlare, di raccontare, di testimoniare, perché mi sono reso conto che quello che era accaduto doveva essere ripetuto in continuazione per fare in modo che la gente sapesse che queste cose così tragiche erano accadute davvero. Dopo quella prima volta, ho condotto i miei figli con me ad Auschwitz, ed è lì che hanno saputo veramente cosa era accaduto al loro papà ed a tutta la sua famiglia”.


Qui Milano - La Memoria e le nuove generazioni
I testimoni della Shoah sono fondamentali, ma purtroppo il tempo passa e si avvicina il momento in cui non potremo più ascoltare la voce di chi quel periodo lo ha vissuto. Per questa ragione è arrivato il momento in cui noi, i nipoti dei sopravvissuti ai campi, ci assumiamo l’impegno di portare avanti il ricordo” così Sharon Reichel, consigliera dell’Unione giovani ebrei d’Italia spiega il motivo per cui l’Ugei ha organizzato, in collaborazione con la Comunità ebraica di Milano, una mattinata di incontro-racconto venerdì 28 gennaio, dedicata ai “Testimoni e alla terza generazione”, in occasione del Giorno della Memoria. A Palazzo Bocconi, sede del circolo della stampa, interverranno insieme a lei, rav Giuseppe Laras, presidente del Tribunale rabbinico del Centro-nord Italia e Riccardo Hoffman consigliere dell’Unione delle Comunità ebraiche. Alla prima parte della mattinata, seguirà una tavola rotonda, che discuterà del razzismo oggi, perché, come ricorda Daniele Nahum, vicepresidente della Comunità di Milano “le manifestazioni di razzismo in Italia e in Europa crescono in questi anni in modo allarmante ed è fondamentale cercare di capire come combatterle”. Al dibattito, moderato da Paola D’Amico del Corriere della Sera, parteciperanno anche Bruno Dapei, presidente del Consiglio provinciale di Milano, Manfredi Palmeri, presidente del Consiglio comunale, Dounia Ettaib dell’Associazione donne arabe d’Italia, Pierfrancesco Majorino, capogruppo del Partito democratico del Consiglio comunale di Milano e don Roberto Davanzo, direttore della Caritas ambrosiana. “Dobbiamo ricordare – sottolinea Sharon - che il razzismo è la base da cui derivano tutte le catastrofi, e che settant’anni fa, con le leggi razziste, l’Italia fece la sua parte. A questo è rivolto il nostro impegno come Unione giovani ebrei d’Italia”.

rt


“Ebrei e neri ricordano insieme l'Europa, la Shoah e l'Africa”
CoroVoci ed espressioni diverse ma unite nel ricordo della Shoah, è quanto si propone di fare la manifestazione “Sulla nota delle razze, ebrei e neri ricordano insieme l'Europa, la Shoah e l'Africa, una maratona culturale organizzata dall'associazione culturale Ebraismo Culture Arti Drammatiche (Ecad ) e per iniziativa del regista Vittorio Pavoncello, con il patrocinio del Dipartimento Cultura della Comunità Ebraica di Roma, di Provincia di Roma, Comune di Roma Assessorato Politiche Culturali, RAI Segretariato Sociale, Nigrizia e Pitigliani, con il sostegno della rivista Confronti e della Fondazione Museo della Shoah. Due i luoghi protagonisti della lunga maratona che ha visto alla casa del Jazz due tavole rotonde, la prima sul tema “Diaspore razzisti schiavitù” cui ha partecipato Anna Foa, Leone Paserman, Alessandro Portelli, Daniele Fiorentino e l'onorevole Jean Leonard Touadi e la seconda “ Rhapsody in giallo e nero  Jazz klezmer, e musica africana oltre il razzismo” con gli studiosi Luigi Onori e Serena Facci insieme al musicista Gabriele Coen e al cantante Harold bradley, alternarsi alla proiezione di film ed a momenti di intrattenimento artistico dedicati alla poesia e alla musica e che vedrà questa sera il Coro ha Kol esibirsi al tempio Valdese di Piazza Cavour dove i canti della tradizione liturgica ebraica si uniranno a quelli gospel del gruppo “The session voices”. Al concerto si alterneranno i poeti Roberto Piperno, Deborah D'Agostino e l'eritrea Ribka Sibhatu con letture dei propri versi.
Abbiamo chiesto a Vittorio Pavoncello di parlarci di questa iniziativa così articolata.
Vittorio quale è il fil rouge di questa iniziativa?
Siamo giunti alla quinta edizione della Memoria degli altri. Precedentemente abbiamo celebrato la memoria con i Rom, con i disabili, con gli omosessuali. Quest'anno ,mancava un tassello che era di unire gli ebrei ed i negri, perché quello che mi premeva mettere in evidenza è che lo stato nazista non era discriminante soltanto nei confronti degli ebrei, tanto è vero che i primi ad essere uccisi nei campi di concentramento sono i disabili.
In che cosa consiste quest'anno la memoria degli altri?
Quest'anno ebrei e neri ricordano l'Europa, la Shoah e l'Africa, ho immaginato un gemellaggio ideale fra il Giorno della memoria, il Giorno dell'Africa e il Giorno dell'abolizione della schiavitù. Il tema scelto consente inoltre di rendere più vivo il discorso sulla Memoria, perché non ci fermeremo agli eventi organizzati il 26 ed il 27 gennaio, ma proseguiremo a febbraio con una conferenza sugli ebrei del Nord Africa e la Shoah e a maggio una mostra che a partire dalla considerazione dell'arte africana da parte delle avanguardie storiche , vedrà un cospicuo numero di artisti riferirsi alla Shoah e all'Africa.. Infine in estate dovrebbe esserci un concerto contro il razzismo che dovrebbe vedere unite le componenti della musica Klezmer con il Jazz.
Che significato ha allora per te la Memoria?
La Memoria si fa anche attraverso quello che non si ricorda o che si è dimenticato o di ciò che si è voluto dimenticare.
Perché mettere insieme ebrei e neri?
Perché nel discorso del lager che c'è la schiavitù, ma c'è anche una differenza perché lo schiavo doveva lavorare, mentre nel lager si lavora per morire.. Un altro punto da focalizzare è quello che vede ebrei e neri uniti nella Diaspora. La cosa che mi ha sempre colpito è questa penosissima situazione di essere immediatamente riconosciuti attraverso il colore della pelle, pensare che per i neri sono stati secoli, secoli e secoli in schiavitù mi sembra terrificante.

Lucilla Efrati

Qui Venezia - Luzzatto: "Non solo commemorazione"
VeneziaNelle sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana, si è inaugurata la mostra “1938-1945. La persecuzione degli ebrei in Italia. Documenti per una storia”, sotto l'Alto Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri Comitato di Coordinamento per le Celebrazioni in Ricordo della Shoah. Molte le autorità intervenute all’evento fra cui il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, il presidente della Comunità Ebraica di Venezia, Amos Luzzatto, il prefetto di Venezia, Luciana Lamorgese, il prefetto della Repubblica presso Ministero dell'Interno, Sandra Sarti, il vicepresidente della Provincia, Mario Dalla Tor, il direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Veneto, Ugo Soragni,, il direttore dell’Archivio di Stato di Venezia, Raffaele Santoro e il direttore Biblioteca Nazionale Marciana, Maria Letizia Sebastiani.
Nell’esposizione, la cui ricerca archivistica è stata curata da Patrizia Bortolozzo, Claudia Salmini e Alessandra Schiavon dell’Archivio di Stato di Venezia, con il coordinamento del Direttore Raffaele Santoro e da Renata Segre per la Comunità Ebraica di Venezia, viene presentato al pubblico il materiale documentario inedito, tratto dagli archivi della Biblioteca Nazionale Marciana e dell’Archivio di Stato, a testimonianza di quanto accaduto nella specifica realtà veneziana, con il supporto del materiale espositivo predisposto dal Centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC), costituito da pannelli che raccontano lo svolgersi dell’intera vicenda a livello nazionale. “La mostra documentaria che l’Archivio di Stato di Venezia in collaborazione con la Comunità Ebraica ha allestito - spiega Raffaele Santoro, direttore dell’Archivio di Stato - ha inteso tener fermo un filo conduttore che analizzi la persecuzione antiebraica e l’antisemitismo all’interno di un percorso cronologico”. I documenti esposti illustrano infatti il graduale e sempre più drammatico percorso che porta dall’emarginazione alle vere e proprie persecuzioni, attuate nei confronti di tutti gli ebrei italiani e stranieri, nel nostro territorio, a partire dalle leggi razziali del 1938 fino alla primavera del 1945.
Il presidente della Comunità Ebraica di Venezia, Amos Luzzatto ha espresso il suo apprezzamento per l’interesse della cittadinanza ponendo però un interrogativo fondamentale sul valore che si vuole attribuire a queste celebrazioni: “Credo che in una giornata come questa sia opportuno proprio per l’attenzione che è stata dedicata, porsi una domanda, riteniamo sufficiente continuare a insistere prevalentemente sull’aspetto commemorativo di questa data o non è forse giunto il momento di fare un salto di qualità vero e proprio, organizzando a partire da questa giornata, un progetto di prevenzione su più larga scala?” “Sarebbe un errore profondo - continua Luzzatto - pensare che il passato sia ormai andato e che il futuro non ci possa riservare sorprese sgradite. Vigilanza, analisi, individuazione delle radici che ancora non sono state totalmente estirpate e che sono alla base di quell’atmosfera culturale basata sull’odio, sull’avversione, sul razzismo. Bisogna vigilare su quella capacità che ha avuto la nostra società un tempo e che ha ancora, di autoamputarsi, di tagliare fuori dalla propria sfera di convivenza una parte di se stessa. La stessa società che ha voluto rinunciare al contributo spirituale, culturale, produttivo di una parte di se stessa in nome di una ideologia di odio. Partiamo da questo momento che ci vede tutti uniti in un sincero desiderio di non rivivere quello che è stato per fare un passo avanti, soprattutto per le nuove generazioni. Cerchiamo dovunque esistano, le radici di odio e separazione tra esseri umani sulle quali si è sviluppato e affermato quella civiltà di odio razziale, avversione verso lo straniero, verso chi ha la pelle di un colore diverso, verso chi parla una lingua diversa e verso chi professa una diversa religione”.
Dello stesso avviso il Sindaco Giorgio Orsoni che nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di non ridurre il giorno della memoria a una liturgia formale e polverosa: “Il Giorno della Memoria è da annoverare ormai come uno dei valori della nostra cultura, un simbolo della nostra civiltàti che deve sempre più dare i suoi frutti. Il ricordo di quella drammatica pagina della storia, di quella umanità che aveva perso se stessa, deve rimanere vivo perché non può esistere un avvenire senza la consapevolezza del nostro passato. Venezia è sempre stata la città dell’incontro, del dialogo tra le molteplici componenti della società. E’ cresciuta costruendo ponti reali tra culture diverse in una osmosi permanente anche tra diverse religioni che hanno contribuito a far grande la realtà veneziana. Non possiamo però dimenticarci che anche qui vi furono episodi di intolleranza verso gli ebrei veneziani. Contro ogni revisionismo e ancor più contro ogni forma di indifferenza il nostro compito è di spendere ogni energia per mantenere in qualche modo vivo il ricordo di quegli eventi perché l’indifferenza generata dall’ignoranza, genera a sua volta discriminazione, intolleranza, prevaricazione e violenza. Nelle camere a gas non sono morti solo gli ebrei, i sinti, gli omosessuali e i disabili, ma è il senso stesso di umanità che si è autodistrutto”.

Michael Calimani

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Questo oggi di oggi
Il Tizio della SeraUn mare sotto a noi. Ci viviamo come sopra a un antartide. In superficie, il  ghiaccio, sotto acque pulsanti e invisibili. Viviamo su questo nuovo antartide come in una geografia terrestre comparsa in occasione del passaggio da ù un'era a un'altra - da durante la Shoah a dopo la Shoah. Sciagura comparsa  per sempre, invece di scomparire. Proprio il contrario di quello che successe  con i mostri giurassici che scomparvero per sempre e lasciarono spazio all'uomo. Ma il fatto è che l'uomo venne dopo, senza il ricordo dei loro denti, mentre quando in una vicina era primordiale apparve la Shoah, invece di uscire  dal male e andarcene liberi nei giorni, successe di rimanere in una prigione che si apre e chiude a suo piacimento. Oggi è il 27 gennaio e sotto i nostri piedi  si  spacca la superficie. Il ghiaccio si spalanca. Onde sconosciute si alzano e ricadono - non lasciano nulla intatto, e non c'è scampo al ricordo. Lo sguardo è trascinato giù nei crepacci e quando finalmente raggiunge il punto finale e il tormento  dovrebbe finire, si spalanca un abisso e inizia il male infinito.
Così, ogni anno sale una domanda fatta come il Mannishtannà della tavola di Pesach:  perché questo giorno è diverso dagli altri? Domanda senza melodia, perché non è una  festa di liberazione, ma la contemplazione dell'assenza della speranza. Al tempo di  Mosè non fu mica così, dice il Tizio della Sera a sé stesso, anche per farsi un poco di compagnia. Oggi si è lacerato un pezzo di camicia di nascosto, in modo che quando  va a comprare il pane, il commesso non se ne accorga. Oggi è un giorno che a lui   viene freddo facilmente, il ghiaccio di tutto quel mare si rompe e spunta un freddo  cane. No, dice il Tizio a sé stesso, non fu così al tempo di Mosè. Una simile sciagura  non è mai piombata sul genere umano. Che sono le sferzate sulla schiena davanti alle  piramidi, la fuga dall'Egitto, i carri di quelli che ci inseguono, i quarantanni nel deserto,  rispetto a oltrepassare un cancello con scritto che il lavoro rende liberi? E come mai, si domanda il Tizio, assorto, che senza saperlo è in piedi davanti a un muro, come mai  avviene che a differenza di tutti gli altri giorni dell'anno, oggi siamo schiavi di forze ignote  alla consueta natura, e ciò che gli altri giorni dell'anno è una sensazione allontanabile con  un cenno, oggi è un cataclisma irresistibile? Il cataclisma a un tratto si erge davanti a noi, come un fatto irrevocabile che continua a presentarsi. Come è possibile, ci si domanda ogni volta, che io, tu, noi, a un tratto si contenga una tale, imponderabile quantità di  tristezza, quando gli altri giorni appaiono normali, e viviamo come se non ci fosse  l'abisso? - Mentre l'abisso c'è.   
Itgadal, veitcadash.  

Il Tizio della Sera


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Memoria - Silvio Berlusconi:
“Mai abbassare la guardia”

Roma, 27 gennaio - “Undici anni fa - scrive il premier nella nota diffusa da palazzo Chigi per il Giorno della Memoria -, il Parlamento ha istituito in Italia la ‘Giornata della Memoria’. Da allora, il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ricordiamo solennemente ‘lo sterminio del popolo ebraico (la Shoah)...
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Memoria - Gianfranco Fini

ospite della Comunità ebraica

Roma 27 gennaio - In occasione del Giorno della Memoria, la Comunità ebraica della Capitale, riceve in queste ore il presidente della Camera Gianfranco Fini al Tempio Maggiore. Sono presenti fra gli altri il Riccardo Pacifici, 
presidente della Comunità, e il rabbino capo Riccardo Di Segni.
 
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