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28
gennaio 2011 - 23 Shevat
5771
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Roberto
Colombo,
rabbino
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“Colui
che colpisce un padre e una madre… Colui che rapisce un uomo…
Colui che maledice un padre e una madre…”(Es. XXI, 15-17). Chi
commette queste azioni è colpevole davanti a Dio e davanti
agli uomini. Perché separare i due versetti che parlano del
rapporto figli genitori con il divieto di rapire? Tante
risposte. Propongo quella di Rabbì Halter di Gur: “Chi porta nella
Comunità un’ideologia che allontana anche un solo ebreo dalla
Torà per la quale i padri e le madri di Israele hanno dato la vita, è
colpevole davanti a Dio e davanti agli uomini”.
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Sonia
Brunetti Luzzati,
pedagogista
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“Oggi, Dante.” Timidamente uno
studente chiede “Scusi professore ma oggi è il 27 gennaio, è il Giorno
della Memoria”.“Te lo dò io il Giorno della Memoria!” Dei sei docenti
che si erano alternati alla cattedra quella mattina uno solo,
l’insegnante di ecologia, accenna qualcosa sul tema ai ventuno ragazzi
dell’ultimo anno di superiori. Scandaloso? Deprimente? Normale?
Prevedibile. Da anni i guru dell’educazione si interrogano su “le
difficoltà create dalla scuola” nello studio delle discipline
umanistiche. Si chiedono per quale motivo studenti che
dimostrano interesse per gli argomenti proposti e manifestano un buon
livello di comprensione – intesa come capacità di orientarsi
all’interno di testi o fatti storici - non riescano a mutare
sostanzialmente alcune loro convinzioni palesemente contraddittorie con
ciò che hanno appena studiato. Oppure perché lo stereotipo si riveli
assai più robusto delle informazioni statistiche formali e del pensiero
logico. Nel nostro caso purtroppo non possiamo neppure porci queste
domande perché la chiusura della mente corrisponde alla chiusura dei
“cancelli” con tutte le conseguenze che essa comporta.
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torna su ˄
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Qui Roma
- La parola ai sopravvissuti |
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Sono centinaia le mostre, i
convegni, gli incontri e i dibattiti organizzati in queste ultime
settimane e che si svolgeranno ancora nei prossimi giorni, per
ricordare la Shoah. Diversi fra loro in quanto a ospiti, contenuti e
temi trattati ma tutti ugualmente stimolanti e interessanti, trascinati
da un unico obiettivo: il ricordo di ciò che fu, per tramandare alle
nuove generazioni i valori di chi, pagando di persona, contribuì alla
speranza di un mondo migliore.
E ieri sera finalmente la parola è stata data a loro, ai sopravvissuti
ebrei dei campi di sterminio nazisti. A coloro che in prima persona
hanno subito le leggi razziste, le deportazioni, la fame, le violenze e
sono stati privati di ogni diritto.
Il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, il presidente della
Comunità ebraica della Capitale Riccardo Pacifici, la presidente della
Consulta della Comunità Elvira Di Cave,il presidente Ucei Renzo
Gattegna, il direttore del futuro Museo della Shoah di Roma
Marcello Pezzetti, che ne ha anche coordinato gli interventi, assieme
alle altre autorità, agli studenti e alle persone comuni, li hanno
accolti ieri sera nel Tempio Maggiore di Roma.
E' stato un momento molto atteso, l'evento culmine del Giorno della
Memoria, che la cittadinanza romana partecipando in gran massa
all'evento ha dimostrato di saper apprezzare. Un successo ancora
maggiore di pubblico rispetto allo scorso anno. L'affluenza è stata
difficile, lenta ma il desiderio di entrare nella Sinagoga era tanto e
la gente educatamente ha saputo aspettare e affluire in maniera
ordinata, rispettando gli uomini della sicurezza.
Fra il pubblico esponenti
del mondo della cultura, della politica, ebrei e non ebrei, tutti in
rigoroso silenzio ad ascoltare le parole di quelli che sono fra gli
ultimi testimoni di quel periodo buio della storia.
Sono stati racconti toccanti, drammatici, ci hanno fatto piangere ma
soprattutto riflettere. Ci siamo sentiti vicini, solidali, uniti,
centinaia di persone in una sola che ha trasmesso il calore e la
solidarietà di chi ha capito che quei momenti devono essere ricordati
affinché non si ripetano mai più.
Ognuno a suo modo, ognuno con il suo tremendo
bagaglio di ricordi, molti di loro combattuti fino a pochi anni fa sul
se fosse giusto raccontare o dimenticare, ma ieri sera erano tutti lì,
a parlare con la gente a ricordare con loro e a rispondere alle domande
degli studenti.
Nelle loro storie nessun sentimento di odio, rancore, risentimento,
richiesta di vendetta, ma solo il racconto sofferto di ciò che fu.
E' anche per questo che nei giorni scorsi, intervenendo in un convegno
dell'associazione Hans Jonas sulla proposta di istituire una legge sul
negazionismo il presidente della Comunità, Riccardo Pacifici, aveva
replicato all'invito del ministro della Giustizia, Angelino Alfano, di
partecipare "a un gruppo tecnico di lavoro per valutare la scrittura
materiale di una norma che affermi il reato di negazionismo”,
affermando che "giusto sarebbe far partecipare a questo gruppo di
lavoro i sopravvissuti". Sono loro che hanno subito quelle tremende
atrocità e da loro che traiamo un grande insegnamento: aver messo da
parte l'odio e il rancore, per lavorare sul futuro della Memoria.
Ma c'è una cosa su cui dovremmo tutti riflettere: al Tempio Maggiore
non si è svolta una manifestazione per gli ebrei romani, che vivono
quotidianamente e in maniera diretta dai racconti dei propri familiari
il ricordo della Shoah, ma per tutta la cittadinanza. Eppure a
differenza di tanti altri raduni fuori dall'edificio decine di uomini
in divisa dovevano difendere la sicurezza dei partecipanti. Nel giorno
del ricordo tutti avrebbero preferito cancellare i simboli di una
cautela ancora necessaria per combattere l'odio e l'intolleranza.
Valerio
Mieli
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Qui Torino - Dal
ricordo alla Memoria
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“E’ tempo da neve. E’ un
tempo di solitudine e malinconia” commenta a denti stretti in
piemontese un anziano partigiano mentre tiene saldo fra le mani il
proprio gonfalone con il tricolore impresso. Fa freddo e la città è
avvolta dal grigiore austero, solenne e malinconicamente luminoso del
tempo da neve. A fianco al partigiano scorrono, nel viale centrale del
Cimitero Monumentale di Torino, i compagni di Resistenza, i
rappresentati della Comunità ebraica torinese, le autorità locali;
ciascuno con il proprio gonfalone. E’ il corteo che da anni apre
ufficialmente la celebrazione del Giorno della Memoria della città di
Torino, ricordando le vittime della Shoah e del nazifascismo.
Ultima tappa del corteo, la lapide dei deportati ebrei torinesi. “Ebrei
– afferma il presidente della Comunità di Torino Tullio Levi - che
furono traditi dall’Italia; traditi dal Paese per cui diedero la vita,
per cui combatterono in prima persona, come testimonia la lapide qui
vicino dedicata ai caduti di origine ebraica della Prima Guerra
Mondiale. Oggi ricordiamo i nostri deportati come ricordiamo tutte le
altre vittime del nazifascismo, dagli zingari ai deportati politici”.
Per i fratelli, figli di Israele, caduti per mano degli assassini ad
Auschwitz, Majdanek, Treblinka, il vice rabbino Avraham de Wolff intona
la preghiera “El male’ rachamim” e, assieme agli ebrei presenti, il
Kaddish.
Prima che il corteo si dissolva e, in parte, si ricomponga alla Sala
Rossa del Palazzo Civico di Torino, c’è il tempo di ascoltare la
testimonianza di Ferruccio Maruffi, deportato nel 1944 a Mauthausen. In
particolare Maruffi ricorda che “nonostante l’abominio, la violenza
anche nei lager siamo riusciti a creare una rete di solidarietà, di
amicizia. Non siamo stati cancellati e questa è la maggior rivincita
contro il nazismo e il fascismo”.
Si sofferma sul legame tra le donne e la Shoah, la storica Anna Bravo
durante il suo discorso in Sala Rossa, sede del consiglio comunale
torinese. “I discorso sulle donne rappresenta uno sguardo lungo sulla
Shoah – riflette la Bravo – racconta le esperienze diverse della
guerra, della violenza, del massacro, distinguendole senza separarle.
Da esempi di vita, in cui le persone non sono solo vittime sono anche
soggetti; soggetti che cercano di migliorare la propria condizione, non
importa quale sia il risultato almeno si sforzano di tentare”. Come le
donne partigiane che cercano di passare i blocchi dei soldati fascisti,
fingendosi ragazzine sciocche e superficiali, per portare viveri o
notizie ai compagni resistenti; donne che usano la propria femminilità
come arma. “L’eroismo non è solo imbracciare le armi – spiega la
storica – possono essere eroici anche gesti apparentemente semplici”.
Anche la ricerca di mantenere un barlume di femminilità nel lager è un
gesto eroico. “Avere cura del corpo, per quanto le condizioni della
deportazione potessero permettere, era un aspetto tipico delle donne –
afferma la Bravo, di cui è uscita recentemente la riedizione del libro
Intervista a Primo Levi ex deportato, curata assieme Federico Cereja –
conservare la propria femminilità era un modo per lanciare un ponte con
la realtà, un momento di forza e fatica, l’espressione della propria
dignità ancora viva. Alcune donne crearono rudimentali rossetti con
pasta per le macchine e polvere di mattoni, altre utilizzavano la poca
margarina per inumidirsi le labbra o curare le guance bruciate dal
freddo. Gesti che guardati da fuori possono apparire frivoli ma che in
realtà celano un grande insegnamento di dignità, di eroismo”.
Corre, invece, tra Primo Levi, Bauman e Yerushalmi la riflessione del
presidente Tullio Levi, preoccupato per il riemergere di un clima di
tensione e discriminazione in particolare nel nostro Paese. “Il
pregiudizio nei confronti di chi è o è ritenuto straniero o “diverso” –
spiega Levi - non solo crea le premesse per la sua emarginazione ma può
portare a scorgere in lui il “nemico” da combattere e da distruggere.
La storia del popolo ebraico e della sua presenza in Europa,
caratterizzata da secoli di antisemitismo di matrice cristiana
culminati con la Shoah, non solo risulta essere l’esempio più calzante
per l’asserzione di Primo Levi (riferimento alla prefazione della prima
edizione di Se questo è un uomo, in cui lo scrittore spiega il rischio
che il concetto “ogni straniero è nemico” culmini con la cancellazione,
con il Lager), ma costituisce un monito della massima attualità e
coerenza nei confronti della nostra società che si trova a dover
affrontare il fenomeno dell’immigrazione di massa dai paesi disagiati”.
Il presidente Levi poi ammonisce, attraverso Bauman, da considerare la
Shoah come il prodotto della follia nazista. Tutt’altro, la Shoah è il
risultato della modernità e della sua razionalità spinta all’eccesso.
Ultima conclusione di Levi si lega alla frase di Yerushalmi, in Zachor:
“Il vero pericolo non è che si possa dimenticare quel che è accaduto
nel passato, ma che si trascuri un aspetto molto più importante, ovvero
il modo in cui quegli eventi si sono verificati”. Per Levi il messaggio
di Yerushalmi si traduce nella differenza fra ricordo e memoria.“Il
ricordo è rivolto al passato –sostiene il presidente della Comunità
torinese - la memoria serve a proiettarsi nel presente e ancor più
verso il futuro ed è essenziale per poterlo correttamente affrontare
Daniel Reichel
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Qui Roma - Arte in
Memoria alla sinagoga di Ostia
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Jannis Kounellis, massimo
esponente dell’Arte povera, l’ha popolata di pavoni e miriadi d’altri
uccelli immersi in una grande voliera di ferro così da simboleggiare la
grande vitalità della Diaspora. L’americano Sol Le Witt ne ha
ricostruito in un muro curvo il cuore più sacro, quello che custodisce
i rotoli della Torah, mentre Daniel Buren l’ha pavimentata di un nuovo
tappeto a mosaico, bianco e nero come quello originale ma di gusto
squisitamente contemporaneo.
A riprendere vita grazie alla poesia di queste visioni è la sinagoga di
Ostia, una delle più antiche testimonianze dell’ebraismo diasporico,
che dal 2002, in occasione del Giorno della Memoria, diviene teatro
della manifestazione Arte in memoria. L'inaugurazione della sesta
edizione è per questa domenica, 30 gennaio, alle 12, ma l'iniziativa
resterà aperta fino al prossimo 3 aprile.
Ogni due anni l’iniziativa,
a cura di Adachiara Zevi, chiama a raccolta
artisti internazionali più e meno noti perché si confrontino con il
tema della Memoria creando lavori appositamente per la sinagoga. Al
termine di ogni edizione, alcuni di essi rimangono in loco a ricordare
l’esperienza, primo embrione di museo di arte contemporanea in un sito
archeologico.
“L’idea – racconta Adachiara Zevi – è nata dall’esperienza della
sinagoga tedesca di Stommeln. Costruita nel 1882 in austero stile
neo-romanico, è sopravvissuta in modo rocambolesco alla sua comunità.
Riaperta al pubblico nel 1983 dopo un lungo e laborioso restauro, dal
1991 è divenuta un luogo espositivo che ogni anno, una volta l’anno,
richiama un artista diverso”. Nella sinagoga di Ostia la manifestazione
assume un intento differente. Gli artisti sono infatti chiamati ad
animare e far rivivere questo luogo, così carico di memorie, attraverso
una creazione radicata al tempo stesso nella storia e nell’attualità.
Le opere sono dunque frutto di un percorso complesso e mai eguale che
prevede una visita preventiva al sito, la scelta dello spazio su cui
intervenire, l’elaborazione di un progetto, la sua realizzazione,
l’esposizione e la convivenza con altri artisti e le loro opere, anche
di segno diverso. “La richiesta – dice Zevi – non è quella di creare
un’opera a tema o in memoria, ma di dare vita a un corto circuito tra
il loro linguaggio e la sinagoga, concentrato di storia, memoria, arte
e cultura. Ogni artista utilizza il suo linguaggio, che in quel luogo
assume però un significato che altrove non potrebbe avere. E al tempo
stesso si crea una simbiosi tra la sinagoga e l’arte contemporanea che
restituisce alla vita questo spazio antichissimo”.
La Memoria diviene in questo modo parte integrante dell’ambiente ed
evita di cristallizzarsi in una dimensione astratta o meramente
cerimoniale. Così sollecitati gli artisti, tra cui in ogni edizione
figurano alcuni giovani, mettono in scena un ventaglio ampissimo di
suggestioni. C’è chi assume temi specifici a partire dallo spazio della
sinagoga, come nel caso del tappeto a mosaico di Daniel Buren o della
spagnola Susanna Solana che trae ispirazione dall’antico pozzo. E chi
lavora sul simbolico, come Marco Bagnoli che nel 2009 ha proposto una
lunga scala di Giacobbe levata in diagonale al centro della sinagoga
istoriata dai nomi degli angeli. Insomma, una sorpresa costante per il
visitatore che quest’anno a Ostia potrà ammirare le opere di Richard
Long, esponente di primo piano della Land art; di Giuseppe Penone, noto
per i suoi lavori con materiali presi dalla natura e di Liliana Moro.
Daniela Gross
(nelle immagini: in alto Spazio di luce di
Daniele Penone, al centro Stella polare di Liliana Moro).
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Qui Trieste - Con i
bambini alla Risiera
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“Francesco, 10 anni, entra
per la prima volta tra le mura di grigio cemento che sovrastano ilrosso
mattone della Risiera di San Sabba, l'unico campo di sterminio nazista
in Italia. Bloc notes in una mano, penna nell'altra, ha un compito
speciale nel Giorno della Memoria: scrivere un tema. Il piccolo
cronista è affiancato da una schiera di compagni di classe, tutti
armati di carta e penna, tutti con gli occhi vispi. Nel grande piazzale
della Risiera si vedono ancora i segni del grande forno crematorio che
i nazisti in fuga cercarono di eliminare nella notte tra il 29 e 30
aprile 1945. Nelle celle, che ancora oggi si possono vedere, sono
passati migliaia di deportati, soprattutto prigionieri politici: in
pochi mesi, tra queste mura, tra le tre e cinquemila persone hanno
perso la vita. Per Francesco e i compagni della scuola Anton Lazzaro
Moro il viaggio è cominciato stamattina da San Vito al Tagliamento
(Pordenone). Per molti non è la prima volta a Trieste, ma sicuramente
la prima in un campo di concentramento. Basta avvicinarsi un attimo ai
piccoli reporter per capire che pensano. "Ci viene un po' di rabbia",
dice Francesco. In classe la Shoah e le leggi razziali sono state già
affrontate. Ma da vicino è diverso, e alla rabbia di Francesco si
aggiunge la "malinconia, e anche tristezza" di un compagno di scuola
conßla pelle scura. "Però questi fatti sono accaduti davvero", insiste
un terzo. La cerimonia prosegue con i discorsi delle autorità, e con
ingenua ironia i bimbi sottolineano: "Dicono sempre le stesse cose". Ma
oltre al tema, dove finirà l'esperienza di oggi? "La racconteremo ai
nostri amici, a chi non c'era", rispondono in
coro. La presenza di tanti studenti,
piccoli e grandi, ha contraddistinto la cerimonia di Trieste. Il
discorso del sindaco Roberto Dipiazza ha posto l'accento sull'
"elemento meno perseguito, quella specie di indifferenza o, peggio,
disinteresse, di buona parte della popolazione civile che conosceva
quanto di tremendo accadeva. L'indifferenza - ha detto Dipiazza - è
stata la forma di complicità più perfida. Per questo motivo è bisogna
sempre tenere alta la guardia". Le
preghiere, con il canto del rabbino di Trieste Itzhak David Margalit,
che ha ricordato che "la cattiveria non può mai vincere", hanno
concluso la giornata a cui ha voluto partecipare anche Giuseppe
Sincich, 84 anni, che fu internato in vari campi tra cui quello di
Trieste. Ad appena 14 anni fu arrestato vicino ad Abbazia, ora Croazia:
"Mi hanno caricato e portato diritto qua - ha raccontato -, per tre
mesi e mezzo ho visto e saputo tutto quello che accadeva".
Beniamino Pagliaro
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Qui Roma - Mai più? Chi
progetta lo sterminio degli ebrei
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Anche il vicepresidente
della Commissione affari esteri e presidente del Comitato di indagine
conoscitiva sull’antisemitismo della Camera, l'onorevole Fiamma
Nirenstein, ha voluto celebrare il Giorno della Memoria. Lo ha fatto a
suo modo, in una maniera originale, diversa dalle altre manifestazioni
susseguitesi nell'arco della giornata, privilegiando non solo il
ricordo di ciò che è stato e non deve mai più ripetersi ma ponendo al
centro dell'attenzione la realtà, o meglio la minaccia contemporanea.
"Ci sono state un'enorme quantità di manifestazioni nel segno del never
again - ha affermato la Nirenstein - ma il nostro never again non è una
constatazione ma una battaglia contro l'antisemitismo contemporaneo che
è in aumento. Sentiamo in continuazione affermazioni eliminazioniste
come quelle di Ahmadinejad, pronunciate persino dal podio delle Nazioni
Unite, l’organismo nato dalle ceneri della Shoah per garantire che ciò
non avvenisse più".
Fra i relatori del convegno, tenutosi nella Sala delle Colonne della
Camera dei Deputati, dal titolo “Mai più? Chi progetta lo sterminio
degli ebrei oggi”, oltre a Fiamma Nirenstein, Dan Diker, segretario
generale del World Jewish Congress, il presidente della Comunità
Ebraica di Roma Riccardo Pacifici, i giornalisti Piero Ostellino e
Carlo Panella, il professore Giorgio Israel, gli onorevoli Emanuele
Fiano, Rocco Buttiglione, Enrico Pianetta e Olga D’Antona.
Tutti in maniera unanime hanno riconosciuto che la minaccia genocida
verso gli ebrei è ancora attuale ed è quindi necessario concentrarsi
anche sul presente.
"Israele è un albero ammarcito da sradicare"; "Israele deve essere
cancellata dalla carta geografica"; "Dopo la Seconda Guerra Mondiale
gli ebrei stabilirono uno Stato artificiale, falso e fittizio", sono
solo alcune delle atroci esternazioni che la Nirenstein ha voluto
ricordare e che circolano quotidianamente incitando all'odio e alla
distruzione, volte anche a negare la stessa esistenza della Shoah,
uscite da bocce di leader, immam e militanti del terrorismo.
Un saluto rapido ma ricco di spunti di riflessione è stato portato
anche dall'ambasciatore israeliano Gideon Meir: “Il 27 gennaio del 1945
i russi liberavano i prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz,
nel 1948 nasceva lo Stato d'Israele - ha ricordato l'ambasciatore - ma
non per la Shoah o per i sensi di colpa degli occidentali bensì per la
determinazione del popolo ebraico, che non voleva più restare disperso.
L'ideale sionista risale a fine Ottocento e dopo la Shoah si è solo
rafforzato. Gli ebrei hanno reagito alla rovina e alla distruzione non
con la disperazione ma con una spinta e una volontà di risorgere e
rinascere”. In conclusione del suo intervento Meir ha invitato a dare
“il giusto peso alle parole del presidente iraniano, rese ancora più
feroci e pericolose dal momento in cui il suo Paese si sta dotando di
armi nucleari”.
Da qui nasce l'esigenza condivisa di combinare la memoria del passato
con una riflessione su quanto sta accadendo.
“Non deve essere dimenticata la volontà dello sterminio dei regimi
nazisti aiutati dai regimi fascisti perché oggi questi programmi
esistono ancora, soprattutto nel regime iraniano nei gruppi come Hamas
ed Hezbollah” è il messaggio lanciato dall'onorevole Fiano.
Il presidente della Comunità, sulla stessa linea, dopo aver ricordato
le recenti dichiarazioni di un noto politico olandese, secondo il quale
gli ebrei dovrebbero consigliare ai propri figli di emigrare negli
Stati Uniti o in Israele, perché potrebbero essere vittime potenziali
dei numerosi musulmani non integrati in Olanda ha affermato: “Non c’è
Giornata della Memoria se non si riflette su quello che accade oggi”. E
ha sottolineato come la Memoria “non è per noi ebrei bensì un dono che
facciamo all'umanità che dovrebbe ragionare sul perché dopo la Shoah
genocidi si siano ripetuti nel mondo”.
Giorgio Israel, costatato il forte aumento dell'antisemitismo
nonostante tanti anni e tante manifestazioni, ha lanciato una proposta:
“Propongo un rovesciamento dell'approccio alla memoria: far comprendere
il passato attraverso le minacce di oggi”.
Ostellino, dal canto suo, ricordando che storicamente “ogni volta che è
comparso l’antisemitismo è stato l’anticamera per la tirannia e
l’abominio in tutto il mondo”, ha incentrato il suo intervento sul
“richiamo alle responsabilità della comunità internazionale” e a
proposito del nuovo antisemitismo ha ironizzato su coloro che si
dichiarano contro il sionismo ma non contro gli ebrei e affermato: “E'
come dire sono favorevole all'Unità d'Italia ma non al Risorgimento, è
un paradosso, che però circola frequentemente”.
Dan Diker riprendendo il discorso sulle Nazioni Unite ha ricordato che
esiste la convenzione per la prevenzione e la repressione del
genocidio, del 1948, e quindi abbiano il dovere di contrastare ogni
forma anche solo di incitamento all’eliminazione.
Fiamma Nirenstein nel chiudere il convegno si è detta esterrefatta di
come fra i tanti incontri istituzionali susseguitesi in questi giorni,
dove tutti si sono dichiarati solidali con gli ebrei, nessuno abbiano
avuto “nemmeno una parola di denuncia nei confronti della minaccia che
incombe”. “L'insegnamento del Giorno della Memoria - ha aggiunto - è il
coraggio di denunciare lo stato dei fatti”.
“Che fine ha fatto - si è chiesta ancora l'onorevole - la Carta delle
Nazioni Unite che dovrebbe combattere non solo il genocidio ma anche
l'incitamento allo sterminio?”.
E con una promessa ha chiuso il convegno: “Ci muoveremo per promuovere
un’azione a livello legislativo volta a riportarla in vita”.
V.M.
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Qui Firenze - Franco Ventura: "Il dovere di ricordare"
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Consiglio
Regionale riunito in seduta solenne per ricordare gli orrori della
Shoah. Il Giorno della Memoria ha portato alcuni protagonisti della
vita istituzionale toscana a riflettere sull’orrore delle persecuzioni
nazifasciste e dei campi di sterminio nella sala consiliare di Palazzo
Panciatichi. Tra i relatori, oltre al presidente dell’assemblea toscana
Alberto Monaci, al vicesindaco di Firenze Dario Nardella, al presidente
della Provincia Andrea Barducci, al governatore della Toscana Enrico
Rossi e allo storico Brunello Mantelli, anche il vicepresidente della
Comunità ebraica di Firenze Franco Ventura. Di seguito pubblichiamo
integralmente il testo del suo intervento in cui si ricorda tra gli
altri il dramma di Fiorella Calò, la più giovane vittima fiorentina
della Shoah. "La mattina di Lunedì 24 Gennaio 1944, Luigi
Magnasciutti, brigadiere della stazione dei Carabinieri dell’Impruneta
si presentò con alcuni militi in una modesta casa in località Il
Ferrone. Il brigadiere aveva l’ordine di procedere alla cattura della
famiglia di Fernando Calò (venditore ambulante), moglie e figli piccoli
compresi. Ma, dopo aver accertato la presenza di altri ebrei “puri”,
gli Spizzichino, non esitò ad arrestare tutti i componenti di entrambe
le famiglie e a caricarli su un automezzo capiente, alla cui guida si
trovava un certo Landucci, guardia comunale del Comune di Impruneta. Nel
pomeriggio i Carabinieri Casci e Magnasciutti procedettero al
sequestro, presso la casa in località Il Ferrone, dei beni mobili
dell’ebreo Fernando Calò coadiuvati dal segretario capo del Comune di
Impruneta. L’oggetto di maggior valore requisito fu una macchina da
cucire Singer oltre a “cinque federe, tre lenzuola, due cuscini, tre
coperte di lana, una carrozzina per bambini, due secchi per l’acqua,
quattordici piatti sia fondi che piani, una insalatiera di terra cotta,
una bottiglia d’olio, due asciugamani, una sveglia, quattro lenzuola
piccole per lettino …”. Le due famiglie furono trasferite a
Firenze e successivamente a Milano da dove la mattina del 30 Gennaio
1944, dal binario 21 della Stazione, partirono alla volta di Auschwitz
dove tutti gli arrestati trovarono la morte. Si trattò di 8 persone fra le quali i 3 figli di Fernando Calò: Mario di anni 6, Sara di anni 3, Fiorella di mesi 4. Fiorella Calò era nata il primo settembre 1943. Risulta deceduta ad Auschwitz il 6 Febbraio 1944. È stata la più piccola vittima della Shoah della Comunità Ebraica di Firenze. Il
18 Novembre 1951 quando fu scoperta la lapide nel giardino della
Sinagoga di Firenze in ricordo dei nostri fratelli ebrei deportati e
caduti, l’oratore ufficiale lesse i nomi dei 23 bambini e si rivolse ai
presenti con queste parole: “Sono i bambini: sono i nostri bambini
uccisi. Altre creature della loro età in questi anni sono state
ugualmente travolte e straziate dalla guerra. Sono state ugualmente
vittime della guerra. Ma nessuna di esse ha trovato, come le nostre,
degli uomini che le abbiano guardate in viso e ne abbiano deciso la
morte. Che le abbiano guardate in viso ed abbiano eseguito la condanna,
come le nostre.” È stato scritto che il “troppo grande” ci lascia
freddi o addirittura indifferenti. Quando ci troviamo davanti ad un
evento smisurato diventiamo degli analfabeti emotivi. Sei milioni
possono rimanere una cifra mentre se si parla di 10 assassinati
qualcosa in noi in qualche maniera riecheggia. Un solo assassinato ci
riempie di orrore. L’uccisione di un bambino è insopportabile. La tragedia di Fiorella Calò ci riempie di orrore. Il racconto è insopportabile. In
Europa un milione e mezzo di bambini come Fiorella sono scomparsi. Un
milione e mezzo di singole storie di inaudita barbarie e violenza. Raccontare
la Shoah, un orrore che per dimensioni e natura appare incredibile,
inimmaginabile, non può non suscitare reazioni emotive forti. Ma l’emozione rischia di rimanere un moto dell’anima che può essere cancellato rapidamente se non apre al ragionamento. È
con la formazione del ragionamento che riusciamo a dotarci di strumenti
per resistere a qualsiasi forma di barbarie e per lottare contro
l’oblio. In una società multiculturale l’insegnamento della Shoah,
dei meccanismi che l’hanno resa possibile, della sua dimensione, della
frattura di civiltà che si è determinata nel cuore della civiltà
occidentale moderna con i mezzi e le procedure tipiche della civiltà
occidentale moderna può rappresentare un antidoto contro l’intolleranza
e il razzismo. Chi è sopravvissuto alla terribile esperienza del
lager aveva ed ha il diritto di tacere. Qualcuno non ha taciuto ed è
grazie ai loro racconti, alle loro testimonianze, che l’inimmaginabile,
è diventato verosimile. Che l’indicibile ha superato le barriere
lessicali, rendendo possibile raccontare di esperimenti su bambini. Di
bambini torturati, fucilati, affogati, bruciati vivi, sepolti vivi. Raccontare
la Shoah da parte di chi non l’ha subita, col passare del tempo diventa
sempre più un obbligo. Un dovere morale e necessario per non perdere
quella memoria che se ne sta andando con i testimoni. Raccontare che la
Shoah non fu possibile solo per la follia e la crudeltà di alcuni ma
anche e soprattutto per la complicità e l’indifferenza di molti. Anche
di molti italiani. Raccontare e poi riflettere su quali siano gli
strumenti che abbiamo per evitare che insorgano nuovi stermini perché,
come diceva Primo Levi: è accaduto, quindi può accadere di nuovo. Può
accadere e dappertutto. Quest’anno, come noto, celebriamo i 150 anni dell’Unità di Italia. È
doveroso ricordare il contributo ed il sangue versato da molti ebrei
italiani che parteciparono in prima fila alle lotte per l’indipendenza
del paese. Per la costruzione dello stato unitario ma anche e
soprattutto per la conquista dell’emancipazione. Dell’estensione cioè
alla minoranza ebraica della cittadinanza e di pari diritti civili e
politici con gli altri cittadini. Di quei diritti che erano loro
preclusi dal 1500 quando, con l’obbligo di vivere all’interno dei
ghetti, gli ebrei vennero umiliati e privati di libertà fondamentali. Gli
ebrei italiani parteciparono alla Prima Guerra Mondiale, con profondo
spirito patriottico, anche con la consapevolezza che tale adesione
avrebbe finalmente consacrato il loro processo di integrazione
nazionale. Elevatissimo fu il numero dei combattenti ebrei, molti dei
quali volontari, nella grande guerra. Una lapide nella nostra Sinagoga
ricorda i 27 ebrei fiorentini “caduti per la grandezza della Patria”. E così per la resistenza al fascismo ed al nazismo. Ancor prima del 1938 molti ebrei decisero di impegnarsi concretamente nelle attività antifasciste. Ma
anche dopo, nonostante le condizioni in cui erano costretti dalle leggi
razziste e dall’occupante tedesco, circa 3.000 ebrei italiani, su una
popolazione ebraica di 45.000 persone, presero le armi per combattere
nella resistenza. Almeno 100 di loro caddero in combattimento. Hanno sacrificato la propria vita per conservare la dignità di uomini liberi e per la libertà del proprio paese. Era ebreo il più giovane partigiano d’Italia, Franco Cesana, stroncato da una mitragliatrice a soli 13 anni. E
come non ricordare il contributo della Brigata Ebraica composta di
5.000 volontari ebrei provenienti dalla Palestina, e da grandi comunità
ebraiche polacche e russe, che combatterono anche sul fronte italiano
contro i nazi-fascisti contribuendo così alla liberazione del paese. Alla
liberazione di questo paese nel quale gli ebrei vivono da 2.000 anni e
nel quale continuano a impegnare le proprie risorse con la tenace
speranza in un futuro in cui ci sia sempre chi, narrando e ricordando,
sappia suscitare indignazione contro tutte le forme di razzismo e
discriminazione e sappia alzare la voce a difesa dei diritti umani
universali e inalienabili".
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Qui Livorno - Ricordare
tutti i nomi
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Iniziative in contemporanea
a Livorno, Cecina, Piombino e Portoferraio per ricordare ,uno
per uno ,tutti gli ebrei deportati e morti nei campi di sterminio
nazisti attraverso la lettura dei loro nomi.
Il 27 gennaio la Provincia ha celebrato il Giorno della Memoria con un’
iniziativa che ha coinvolto tanti cittadini che si sono
iscritti,attendendo in fila ancora nel tardo pomeriggio, per
contribuire alla lettura dei nomi iniziata dal Presidente Giorgio
Kutufà.
Il programma della giornata era stato presentato a Palazzo Granducale
dal presidente del Consiglio Provinciale Fabio Di Bonito. “Non è mai
abbastanza e non è mai superfluo ricordare e celebrare ogni anno la
Shoa – ha affermato – E’ importante farlo soprattutto per i giovani,
per tramandare il ricordo di quegli orrori perché non si ripetano mai,
da nessuna parte del mondo, a nessun uomo, gruppo, etnia”.
La celebrazione del Giorno della Memoria, organizzata in collaborazione
con la Comunità Ebraica livornese e l’Ufficio Scolastico Provinciale,
(unitamente alla Amaranta Service) ha preso il via alle 10
.00 nel portico di ingresso della Provincia, con l'intervento
del Coro ebraico "Ernesto Ventura" (diretto dal maestro Paolo Filidei)
ed alcuni strumentisti dell'Istituto Mascagni di Livorno.
Ragazzi e ragazze, rappresentanti delle Istituzioni, sportivi,
personaggi dello spettacolo e cittadini, si sono alternati nella
lettura dei nomi e delle note biografiche degli ebrei livornesi e
italiani sterminati nei lager nazisti.
Si è poi svolta una seduta commemorativa aperta del Consiglio
Provinciale, con il saluto per la Comunità Ebraica della vicepresidente
Margherita Ascarelli e l'intervento di approfondimento affidato
all'onorevole
Enrico Modigliani, Consigliere del CDEC e curatore a Roma del progetto
Memoria.
"Il valore della memoria per avere rispetto di sé e degli altri e
costruire un futuro migliore. Questo in sintesi il messaggio a più voci
emerso nella mattinata all'auditorium per la cerimonia promossa dal
Comune di Cecina in collaborazione con l'associazione Aruspicina e le
scuole in occasione della giornata della memoria",scrive Il Tirreno
riferendo dell'iniziativa svoltasi a Cecina. L'Auditorium di via Verdi
è gremito : sono presenti gli alunni più grandi del
Liceo Fermi, Isis Marco Polo e Liceo Artistico Gemelli .-
Molte le autorità e le forze dell'ordine, il sindaco Stefano
Benedetti , l'arciprete monsignor Marco Fabbri, Gadi Polacco
Consigliere della Comunità Ebraica di Livorno e l'artista Daniel
Schinasi.
"Proprio gli studenti sono stati protagonisti del valore della memoria
grazie al progetto "Arte come messaggio" a cura di Elisa Favilli,
alcuni di loro si sono alternati a leggere testimonianze dell'orrore
nazista, mentre gli allievi del "Gemelli" hanno realizzato uno dipinto
di circa due metri per uno e mezzo ispirato al murale di Schinasi alla
stazione, con una parte che riproduceva l'opera dell'artista sefardita
all'epoca della realizzazione (1987) e un'altra con alcuni dei
personaggi raffigurati nel dipinto, tra i quali i familiari
dell'autore", riporta sempre Il Tirreno.
Articolato il lavoro fatto dai liceali cecinesi i quali riescono a
realizzare una proposta diretta e toccante riuscendo ad evitare la
retorica spesso in agguato in simili occasioni. Chiaro l'appello finale
di una studentessa : dateci altre occasioni
come queste per approfondire queste tematiche.
Una mattinata densa e commovente, nella quale è stata ribadita
l'esigenza di preservare la Memoria delle vittime,dei salvati ed anche
dei salvatori.
Sempre a Cecina Guido Servi, in rappresentanza della Comunità Ebraica
livornese, interveniva dialogando con gli altri studenti del
Liceo
Fermi.
(Nella foto il Murale dell'artista Daniel Schinasi visibile presso la
Stazione F.S. di Cecina, dal titolo "Il treno testimone delle vicende
umane")
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Qui Roma - Memoria in
musica
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La Memoria è anche musica,
arte, parole. E' quanto ha fatto la manifestazione “Sulla nota delle
razze, ebrei e neri ricordano insieme l'Europa, la Shoah e l'Africa,
una maratona culturale organizzata dall'associazione Ebraismo
Culture Arti Drammatiche (Ecad ) e per iniziativa del regista Vittorio
Pavoncello, con il patrocinio del Dipartimento Cultura della Comunità
Ebraica di Roma, di Provincia di Roma, Comune di Roma Assessorato
Politiche Culturali, RAI Segretariato Sociale, Nigrizia e Pitigliani,
con il sostegno della rivista Confronti e della Fondazione Museo della
Shoah culminata ieri sera al tempio Valdese di Piazza Cavour luogo in
cui i canti della tradizione liturgica ebraica del Coro ha Kol si sono
uniti
a quelli gospel del gruppo “The session voices” alternandosi
ai versi dei poeti Roberto Piperno, Deborah D'Agostino e l'eritrea
Ribka Sibhatu.
“Siamo stati a chiamati a partecipare ed abbiamo aderito, perché è una
iniziativa innovativa e una testimonianza comune che ebrei e neri
possono fare sul razzismo” dice Riccardo Di Castro presidente
del Coro ha Kol.
“Vittorio Pavoncello è un artista a trecentosessanta gradi” aggiunge
per spiegare Marco Di Porto, cofondatore del Coro e attuale
vicepresidente, “ Mi sono sentito incuriosito da questa proposta perché
la sua associazione si è sempre spesa nella salvaguardia delle
minoranze. Ci piaceva l'idea di cantare in un contesto duplice,
affermare la consistenza dell'identità ebraica, ma unirla con quella
dei neri che, non tutti lo sanno, sono stati anch'essi
sterminati nei campi di concentramento, ne sono stati uccisi circa
trentamila”.
“Adoperiamo la musica come strumento di dialogo, linguaggio comune a
tutti i popoli, sempre salvaguardando la nostra identità ebraica e
facendola conoscere” aggiunge Di Porto.
Il Coro ha Kol, circa trenta elementi diretti dal
maestro Andrea Orlando e accompagnati dal maestro Antonio
Cama ha eseguito cinque brani. Oltre al canto dei
deportati diretti nelle camere a gas, Ani Ma 'amin, anche alcuni brani
della tradizione liturgica ebraica, il salmo 82, Michtam le
David, (musicato dal maestro Gino Modigliani, direttore del coro del
Tempio Maggiore negli anni'40), Adonai maadam (musicato da Salvatore
Saya direttore del coro del Tempio Maggiore negli anni '20), Ashkivenu
(musicato dal maestro Elio Piattelli direttore del coro del Tempio
Maggiore dal 1948 al 1984), mentre il gruppo The Session Voice,
composto da 8 donne, ha eseguito canti gospel. Poi i due cori insieme
hanno intonato Go down Moses.
“La scelta del repertorio dipende dal contesto in cui cantiamo”
chiarisce Di Castro “Il nostro Coro è composto da tre sezioni: c'è il
coro di musica da camera, un coro femminile e il coro
completo . Il nostro compito è diffondere la cultura ebraica non solo
all'esterno ma anche nella Comunità, per cui invito chiunque sia
interessato a farne parte a contattarci”attraverso l'indirizzo di posta
elettronica info@corohakol.it".
l.e.
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Qui Torino - Il popolo
del silenzio
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Gremita la piazzetta Primo
Levi antistante la sinagoga torinese in occasione della celebrazione
del Giorno della Memoria. Numerosi i partecipanti alla marcia del
silenzio, la cerimonia con cui viene inaugurata l'installazione
dell'artista potentino Antonio Catalano. Il popolo del silenzio –
questo il titolo dell'opera di Catalano che sarà ospitata nella piazza
della sinagoga per tutto il corso della prossima settimana – consta di
trentasei sculture, “trentasei contenitori di oggetti vari, foglie,
semi, scritti e pensieri”, spiega l'artista. “Custodi silenziosi della
memoria dei Lamed Vav, trentasei giusti tra le nazioni che secondo la
tradizione ebraica sono presenti in ogni generazione”. È questo –
spiega Catalano – il riferimento simbolico dell'opera. I trentasei
giusti della tradizione ebraica rappresentano in realtà le centinaia di
benemeriti che misero a repentaglio la loro vita e quella dei loro
familiari per dare rifugio ai perseguitati. Il Giorno della Memoria è
un occasione per ricordare, insieme alle vittime, anche loro: “quei
giusti per i quali il mondo non è andato in rovina”. La Comunità
ebraica di Torino è impegnata fin dal 1955 nella ricerca di questi
coraggiosi: “finora abbiamo consegnato già quattrocento attestati di
benemerenza”, racconta il consigliere Emanuel Segre Amar. Al termine
della marcia del silenzio il pubblico intervenuto ha potuto ascoltare
alcune letture eseguite dall'attore Bobo Nigrone. Sfidando il freddo
sono rimasti in molti, sulla piazzetta del tempio, ad ascoltare i
saluti delle autorità.. La vicepresidente dell'Unione delle Comunità
ebraiche italiane Claudia De Benedetti ha voluto ricordare Tullia Zevi,
presidente emerita dell'Ucei venuta a mancare sabato scorso. Dopo di
lei hanno preso la parola il presidente della circoscrizione che ospita
la Comunità ebraica Mario Cornelio Levi, l'assessore provinciale alla
cultura Ugo Perone, il suo collega alla Regione Piemonte Michele
Coppola e quello comunale Fiorenzo Alfieri, l'onorevole Gianpiero Leo e
l'onorevole Piero Fassino, all'inizio della sua campagna elettorale per
il Municipio torinese. Le celebrazioni sono proseguite all'interno
della sinagoga, dove sono intervenute tre rappresentanti della comunità
Rom. “Ringrazio di cuore la Comunità ebraica di Torino – ha detto Vesna
Vuletic –. Il mio popolo e quello ebraico sono legati dal comune,
tragico destino che li ha portati nei lager”. Hanno poi parlato due
rappresentanti dei giovani del popolo ebraico e di quello zingaro,
Sharon e Gabriela: “Noi siamo la terza generazione, i nipoti dei
sopravvissuti allo sterminio”. Sono i giovani che, in vista della
scomparsa dell'ultimo testimone diretto, dovranno prendersi carico del
dovere di ricordare, di far capire “quali e quanti pericoli si
nascondano nella mente dell'uomo”, per usare le parole pronunciate
dell'assessore Alfieri. La scrittrice Lia Levi ha infine espresso la
sua soddisfazione per i risultati conseguiti dell'istituzione del
Giorno della memoria: “vedo un moltiplicarsi di iniziative che mi
conforta: corrisponde al moltiplicarsi dei momenti di commozione, è ciò
non può che essere positivo”. Ha pronunciato un breve discorso anche il
rabbino Avraham De Wolff, il quale ha sottolineato l'importanza di
ricordare “i milioni di vittime innocenti, anche se la giornata di oggi
è opportunamente tributata ai Giusti tra le nazioni”. Infine rav
Alberto Somekh ha intonato El male' rachamim, la preghiera che, come
nota De Wolff, “non chiede vendetta, ma pace per le anime delle
vittime”.
Manuel Disegni
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Qui Roma - Arte per non dimenticare
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Perché il 27 gennaio?
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Mi permetto di portare due o
tre considerazioni in favore della data scelta per il Giorno della
Memoria, rafforzate anche dal confronto con i miei studenti a cui ieri
ho provato a porre il problema.
A mio parere non esiste un momento che abbia a che fare specificamente
con l’Italia dotato di altrettanto valore simbolico; il 16 ottobre è
sentito come una data che riguarda esclusivamente gli ebrei romani, e
se pure lo si potesse assumere come simbolo della Shoah italiana
resterebbe comunque legato essenzialmente agli ebrei. Invece credo che
sia importante non dimenticare che la giornata, come recita la legge
211 del 20 luglio 2000, invita a ricordare non solo “la Shoah
(sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione
italiana dei cittadini ebrei” ma anche “gli italiani che hanno subìto
la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in
campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio,
ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i
perseguitati.” Credo che sia un errore gravissimo, soprattutto per noi
insegnanti, dare l’impressione ci interessiamo solo di quello che è
successo agli ebrei. Invece Auschwitz è sentito, a torto o a ragione,
come una cosa di tutti, un luogo dove sono state deportate persone di
diverse provenienze e culture e, proprio per questo, un patrimonio di
memoria collettiva. In fin dei conti, poi, la memoria della liberazione
di Auschwitz è legata nell’immaginario comune alla testimonianza di
Primo Levi, tra i pochi non evacuati e ancora presenti nel campo il 27
gennaio 1945. Credo che questa circostanza contribuisca a far sentire
come propria dagli italiani (e in particolare dagli studenti) una data
così strettamente legata all’opera di uno scrittore italiano.
Infine, credo che sia stata molto opportuna la scelta di una data che
ricorda una liberazione, non l’inizio dell’orrore ma l’inizio della sua
fine. Anche nella cultura ebraica i ricordi tristi non sono mai chiusi
in se stessi: il Messia nascerà proprio il 9 di Av, nell’anniversario
della distruzione del Tempio, e la lettura delle Lamentazioni deve
concludersi con un verso di speranza. Allo stesso modo, pur senza
negare la memoria del passato, il 27 gennaio apre una porta verso il
futuro.
Anna
Segre, insegnante
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Fini
in Sinagoga - Riccardo Pacifici:
"Al presidente un dossier
sul
razzismo nel web"
“Consegniamo ufficialmente al
presidente Fini il dossier che raccoglie fotografie e commenti razzisti
e antisemiti che circolano sul web. C’é anche lui”. Così il presidente
della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici, nel corso della
conferenza stampa che si è svolta durante la visita del presidente
della Camera alla comunità ebraica romana in occasione del Giorno della
Memoria. Pacifici prende una raccolta di fogli e la offre a Fini. »
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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 |
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
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