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30 gennaio 2011 - 25 Shevat 5771 |
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Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino
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Rabbi
Shlomo di Karlin disse una volta a una persona: "Io non ho chiave per
aprirti". Quello allora gli gridò: "E allora forzatemi con un chiodo".
Da allora il Rabbi lodò molto quell'uomo. |
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David
Bidussa,
storico sociale delle idee
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Chi se ne va lascia un vuoto,
non sempre un'eredità. Ci ho pensato a lungo nei giorni successivi alla
morte di Tullia Zevi. Non so se nell'immediato ci sia un futuro per
l'ebraismo laico in Italia. Forse non dipende solo dai singoli
individui, ma anche dai cicli storici in cui si vive. Indubbiamente chi
resta ha il diritto di tentare. A tutti coloro che restano, invece,
compete l'onere di trovare le parole migliori nel momento dell'addio.
Condizione imprescindibile per trovarle è essere consapevoli dei propri
limiti. Quando non accade si recitano addii dettati dall'orgoglio o
dalla presunzione. Di solito sono i più rancorosi.
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Qui Ferrara - Il Museo
dell'ebraismo prende forma |
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Il progetto di quattro
architetti italiani, Alessandro Cambi, Paolo Mezzalama, Ludovica Di
Falco e Francesco Marinelli si è affermato sugli altri 52 concorrenti
al concorso per la realizzazione del Museo dell'ebraismo e della Shoah
che sorgerà a Ferrara nell'area delle vecchie carceri. Lo ha annunciato
ieri in serata il Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it che
pubblica anche alcune immagini delle proposte avanzate dai
professionisti per conferire al grande complesso architettonico
ferrarese l'assetto definitivo.
Il consorzio che ha vinto la competizione (capogruppo Arco coordinata
dall'ingegner Mauro Checcoli), si è avvalso fra gli altri della
consulenza di grandi nomi dell'architettura, come il tedesco Michael
Gruber il thailandese Kulapat Yantra e del professor Ariel Toaff,
docente di storia all'Università Bar Ilan di Tel Aviv.
Fra i consulenti erano presenti anche Maricetta Parlatore, esperta di
recupero e restauro dei Beni Architettonici, e Luca Scarzella dello
studio Vertov, esperto di allestimenti museografici.
Il concorso era stato bandito dalla Direzione dei Beni Culturali
dell'Emilia Romagna, dal Comune di Ferrara e dalla Fondazione del Museo
Nazionale dell'Ebraismo e della Shoah di Ferrara.
Proprio riguardo alla
consulenza fornita dal professor Toaff, autore del discusso saggio
“Pasque di sangue”, e dalla interpretazione che a questo contributo
attribuisce la stampa nazionale di questa mattina, interviene ora con
decisione il Presidente della Fondazione Riccardo Calimani. “E'
necessario – afferma Calimani - fare chiarezza. Come è ben noto
l'autorevole Commissione (per parte ebraica era componente lo storico
Roberto Bonfil) ha esaminato i progetti in maniera totalmente
trasparente e senza conoscere prioritariamente i nomi degli autori e
dei loro consulenti al fine di assegnare la realizzazione all'ipotesi
più idonea. Proprio l'assegnazione dei lavori a un consorzio che si è
avvalso della consulenza di una figura ben nota e discussa come il
professor Toaff dimostra come la Commissione abbia agito esclusivamente
sulla base del massimo rigore scientifico. Gli elaborati, del resto,
dovevano necessariamente rispondere al progetto culturale elaborato
dalla Fondazione e il ruolo del consulente culturale di ogni progetto,
certo molto importante, non poteva comunque andare al di là di questi
contorni. Di qui ad adombrare che il consulente di uno specifico
progetto sia l'ideatore del museo e il responsabile, il direttore
scientifico dell'iniziativa, ce ne corre. In particolare un articolo
apparso sul Corriere della Sera di stamane suscita enormi perplessità e
ragionevole curiosità e il suo titolo (“Torna Toaff: il mio museo degli
ebrei”)ancora di più”.
“Chi ha offerto – aggiunge Calimani - la propria qualificata consulenza
culturale ai progettisti non può pretendere che il Museo sia cosa sua,
a meno di non prestarsi a un grande bluff. Il Museo non può essere suo,
né mio, ma si tratta di un'iniziativa che dipende al ministero dei Beni
culturali. Sarà il museo di tutti gli italiani, ebrei e non ebrei e il
frutto di un progetto a più voci di un gruppo scientifico altamente
qualificato.
Il Consiglio d'amministrazione, convocato entro il termine di febbraio,
procederà peraltro nelle prossime sedute alla nomina del nuovo
direttore
scientifico”.
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Qui
Firenze - Memoria, un convegno su Nathan Cassuto
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È stato il rabbino capo di
Firenze nei mesi del dramma, guida spirituale di una Comunità oppressa
che pagò pegno all’infamia delle persecuzioni nazifasciste con
centinaia di vite innocenti. Ed è stato anche protagonista di una
straordinaria vicenda di soccorso umano nella rete di assistenza che
contribuì a mettere in salvo almeno altrettanti correligionari dai
campi di sterminio. Una rete affiliata alla Delasem di cui facevano
parte grandi ebrei italiani come Raffaele Cantoni, Matilde Cassin e
Piero Nissim oltre ad autorevoli esponenti del clero toscano e
staffette clandestine che si muovevano indiscrete tra mille pericoli
per la libertà e la dignità dell’uomo. Il nome di rav Nathan
Cassuto, rabbino e medico oculista, evoca da sempre un
significato speciale nella sua Firenze, la città che tanto amava e
dalla quale fu ripagato con l’arresto insieme ai suoi compagni di lotta
in seguito alla soffiata vigliacca di un infame vendutosi al bieco
offerente. Un convegno declinato in due parti, la prima dedicata alla
vicenda personale di rav Cassuto e alle persecuzioni nazifasciste a
Firenze, la seconda in cui verrà analizzato lo strettissimo rapporto
tra ebraismo e medicina, le due passioni di Nathan, rende oggi
nuovamente onore a un grande ebreo del Novecento, un uomo che perfino
nel lager di Auschwitz non si perse d’animo assolvendo fino all’ultimo
il suo compito di Maestro. Su tutte vale la testimonianza del dottor De
Benedetti, compagno di tragedia nelle baracche della morte. Le sue sono
parole che descrivono la straordinaria indole di Cassuto: “Conobbi il
povero Nathan – dice De Benedetti – nel campo di Monowitz-Auschwitz
dove ebbi l’onore di cattivarmi la sua simpatia e la sua amicizia.
Mercé sua, trascorsi al suo fianco ore di serenità, realmente oasi di
pace in mezzo ad un ambiente infernale”. Da quel dramma Nathan non
avrebbe fatto ritorno ma il suo insegnamento, la sua statura morale, la
sua bontà d’animo, unite al coraggio della moglie Anna, sopravvissuta
ad Auschwitz per essere barbaramente uccisa da una banda di arabi sulle
colline di Gerusalemme nell’aprile del 1948, sono oggi un modello per
le nuove generazioni. Il convegno, organizzato dalla Comunità ebraica
di Firenze in collaborazione con il gruppo di Studi Storici nell’ambito
delle iniziative per il Giorno della Memoria, ha preso il via questa
mattina nelle sale comunitarie di via Farini. Ad aprire la prima parte
del convegno, moderata dallo storico Sandro Servi e arricchita dalle
preziose testimonianze dei figli di Nathan, David e Susanna, è stato il
presidente della Comunità ebraica Guidobaldo Passigli (che ha
raccontato di aver scoperto il proprio nome ebraico leggendo proprio il
taccuino di moel conservato dal rav Cassuto) a cui hanno fatto seguito
gli interventi di Marta Baiardi (La persecuzione anti-ebraica a
Firenze), Anna Pizzuti (I rifugiati ebrei stranieri in Italia e
l’attività della Delasem), rav Joseph Levi (I rabbini-capo di Firenze
nel Novecento), Chiara Sciunnach (Cenni biografici su Nathan Cassuto),
David Cassuto (Nathan Cassuto: tarde testimonianze raccolte dal
figlio), Susanna Cassuto (Storia di una bimba nascosta in Italia e
rinata nel gran tumulto di Israele) e Lionella Viterbo, che ha
recuperato alcuni frammenti dai ricordi di Serena Della Pergola,
memoria storica della Comunità recentemente scomparsa a cui è stato
dedicato nelle scorse ore un limmud a cui hanno partecipato tra gli
altri i fratelli Cassuto. Oratori della seconda parte del convegno, che
inizierà dopo la pausa pranzo e sarà moderata dal consigliere della
Comunità ebraica con delega alla cultura Renzo Bandinelli, saranno
invece Clara Mucci (L’impatto psicologico della Shoah nella seconda e
terza generazione), rav Gianfranco Di Segni (Isacco Lampronti, medico e
rabbino nell’Italia del Settecento, rav Riccardo Di Segni (L’obiezione
di coscienza del medico nella prospettiva ebraica) e il vicepresidente
della Comunità ebraica Franco Ventura (Dottor Elio Servadio: dispensato
dal servizio). Medicina ed ebraismo, due mondi strettamente legati da
un filo religioso e culturale, due mondi che Nathan Cassuto sceglie di
abbracciare con passione e coraggio. A Firenze come nel lager. “Mio
padre era un uomo straordinario. Una persona capace di infondere
serenità e speranza anche nell’inferno di Auschwitz”, racconta commosso
David.
Adam Smulevich
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Qui
Venezia - Luzzatto con Zaia: "Convivenza e dialogo" |
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Nella
mattinata del Giorno della Memoria, il governatore del Veneto, Luca
Zaia, accompagnato dal presidente del Consiglio regionale del Veneto,
Clodovaldo Ruffato, ha deposto una corona d’alloro al Monumento in
onore dei deportati nel campo del Ghetto Nuovo. Nel corso della
cerimonia a cui erano presenti gli esponenti della Comunità Ebraica di
Venezia e tra questi il presidente, Amos Luzzatto e il rabbino capo di
Venezia, Gili Benyamin, il Governatore ha portato il suo saluto alla
Comunità esprimendo il suo cordoglio per le vittime, ma sottolineando
altresì come il Giorno della Memoria sia anche un momento di
riflessione profonda: “Quando ogni anno veniamo chiamati a partecipare
alla commemorazione della apertura dei cancelli di Auschwitz è normale
pensare che si debba ricordare affinché non accada mai più. La Giornata
della Memoria è però soprattutto un’occasione per formulare un’analisi
su quello che è accaduto. L’antisemitismo è un elemento reale, esistono
centinaia di Band musicali che si ispirano a principi neonazisti, 1200
sono gli assalti a Sinagoghe, a Cimiteri ebraici e abitazioni, quasi
2000 i siti nella rete che professano e divulgano idee antisemite.
Questo è il contesto nel quale ci muoviamo e questo giorno non
dev’essere solo una giornata per ricordare le vittime, ma per ricordare
che ancora oggi qualcuno usa la svastica senza conoscerne il
significato. Dobbiamo parlare ai giovani perché si rendano conto della
realtà, ma dobbiamo parlare anche a quei docenti che professano il
negazionismo e che parlano ai nostri ragazzi, questa deve essere la
nostra preoccupazione”.
Dello stesso avviso anche il presidente
del Consiglio regionale del Veneto, Clodovaldo Ruffato che oltre a
ricordare Tullia Zevi e il suo contributo fondamentale alla cultura
italiana, ha auspicato che in futuro si vengano a istituire altri
momenti di confronto e riflessione come il giorno della memoria:
“Ancora oggi ci si domanda come degli uomini abbiano potuto non solo
pensare ma mettere in atto una strategia di sterminio nei confronti di
propri simili, ciò però deve essere da monito per tutti affinché fatti
del genere non si ripetano creando una cultura civica nei nostri
giovani e promuovendo iniziative come il Giorno della Memoria non solo
per ricordare il passato ma per costruire un futuro di pace per tutti”.
Il
presidente Amos Luzzatto ha sottolineato invece la sua soddisfazione
per il grande interesse dimostrato in questi giorni dalle istituzioni
cittadine, provinciali e regionali: “Ci sentiamo accolti, presenti, ci
sentiamo parte della comunità veneziana, parte della comunità veneta e
tali vogliamo rimanere continuando a dare il nostro contributo alla
cultura generale e allo spirito di democrazia affinché si possa
convivere con tradizioni diverse, ma nel rispetto reciproco. Come dice
il profeta Michà - alla fine dei giorni quando ci sarà la pace, la
fratellanza e la democrazia, tutti i popoli cammineranno nel nome
ciascuno del proprio dio e noi continueremo a seguire la strada del
nostro - una formula di piena convivenza fraterna, una convivenza
attiva, che possa produrre libertà, democrazia e lavoro comune”.
Michael Calimani
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Qui
Milano - La terza generazione per la Memoria
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Continua
il contributo dei giovani ebrei d'Italia al Giorno della Memoria.
Nell’incontro “Testimoni e alla terza generazione” organizzato
dall’Ugei in collaborazione con la Comunità ebraica di Milano al
circolo della stampa, Sharon Reichel, membro del Consiglio Ugei, rav
Giuseppe Laras, e Riccardo Hofmann, consigliere UCEI, davanti a una
platea composta in maggioranza da studenti liceali, hanno discusso a
proposito del ruolo che figli e nipoti di chi ha vissuto la Shoah sulla
propria pelle, devono assumersi nel portare avanti il ricordo.
Senza
dimenticare che il passato deve costituire una lezione per il presente,
e deve rappresentare un monito a combattere i mali della società. Così
la mattinata é proseguita con una tavola rotonda dedicata al tema del
“Razzismo oggi”, moderata da Paola D’Amico, giornalista del Corriere
della Sera, con la partecipazione di Daniele Nahum, vicepresidente
della Comunità ebraica di Milano, Bruno Dapei, presidente del Consiglio
provinciale, Manfredi Palmeri, e Pierfrancesco Majorino,
rispettivamente presidente e capogruppo del Partito democratico del
Consiglio comunale di Milano, Dounia Ettaib dell’Associazione donne
arabe d’Italia e don Roberto Davanzo, direttore della Caritas
ambrosiana. “Quale e quanti razzismi oggi in Italia? Quali gli
strumenti per combatterli?” Queste le difficili domande cui trovare una
risposta, tenendo sempre a mente le conseguenze che il razzismo portò
in Italia e nel resto d’Europa solo pochi decenni fa. Tanti i temi
affrontati, dalla necessità di non sottovalutare il fenomeno e di
essere a pronti a riconoscere in se stessi l’esistenza della paura del
diverso, per evitare di farsene condizionare, all’importanza
dell’educazione, e del non voltarsi dall’altra parte nel momento in cui
si assiste ad atti di intolleranza. Chiudendo con la proposta formulata
da Manfredi Palmeri “che il rifermimento alle ‘razze’ scompaia anche
quando si tratta di parlare della necessità di non discriminazione
delle stesse, perché il mero uso del termine implica un riconoscimento
della loro esistenza, idea che invece dobbiamo contrastare con tutte le
forze”.
rt
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Qui
Roma - La Guardia
di Finanza per la Memoria |
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Il Comando generale della
Guardia di Finanza ha celebrato il sessantesimo anniversario della
liberazione di Auschwitz.
Fra i partecipanti alla cerimonia, in rappresentanza dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, c'era la vicepresidente Claudia De
Benedetti e a rappresentare l'arma, oltre a una folta rappresentanza di
ufficiali, ispettori, sovraintendenti, appuntati e finanzieri diversi
figure istituzionali del Corpo come il presidente della Commissione
permanente di avanzamento, il capo dell’ufficio di collegamento con il
dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia e delle Finanze,
il sottocapo di Stato Maggiore del Comando Generale, i capi reparto del
Comando Generale, il generale dell’esercito addetto al Comando
Generale, il presidente dell’associazione nazionale finanzieri
d’Italia, il presidente del Museo Storico e il comandante del quartier
generale.
Momento culmine dell'incontro, la deposizione di una corona in onore
dei caduti di quel periodo buio della storia.
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È giusto gioire quando il nemico cade?
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L’altra sera, nel Tempio
Maggiore di Roma, a conclusione delle manifestazioni del Giorno della
Memoria, si è tenuto un incontro con i sopravvissuti ai Lager nazisti.
Uno degli ex-deportati ha raccontato dell’immensa gioia che provò nel
vedere le decine di sentinelle tedesche morte nelle torrette attorno al
campo di Dachau, appena liberato dalle truppe anglo-americane.
Ovviamente, la riflessione che qui propongo non è un giudizio su questo
episodio, né sull’averlo raccontato davanti a migliaia di persone.
Nessuno si può permettere di giudicare gli atti, i pensieri, i
sentimenti di chi è sopravvissuto all’inferno, né durante la permanenza
nei campi né dopo. Neanche chi nei campi c’è stato può parlare riguardo
ad altri che hanno vissuto esperienze simili, perché ogni caso è sempre
un caso a sé. Tuttavia, ci si può chiedere se l’applauso che ha
fragorosamente accompagnato le parole dell’ex-deportato fosse
appropriato. La Bibbia scrive: “Non gioire mentre il tuo nemico cade e
quando egli inciampa il tuo cuore non si rallegri” (Proverbi 24, 17).
Si potrebbe obiettare che nel calendario ebraico ci sono,
apparentemente, diverse feste a ricordo della sconfitta dei nemici del
popolo d’Israele. In realtà, spiega Rabbi Meir Simcha Hakohen
(1843-1926) nel commento “Meshekh Chokhmà”, non è affatto così. Il
settimo giorno di Pesach è festa solenne e in questo giorno in effetti
avvenne il passaggio degli ebrei nel Mar Rosso con conseguente
sconfitta dei soldati egiziani che affogarono fra i flutti. Ma, scrive
il Meshekh Chokhma, la festa fu comandata ben prima dell’uscita
dall’Egitto (vedi Esodo 12, 16), proprio per insegnarci che il motivo
della festa non è la sconfitta del nemico. Dopo tutto, poteva anche
darsi che il Faraone decidesse di non ordinare al proprio esercito di
inseguire gli ebrei che fuggivano. In questo caso gli ebrei sarebbero
usciti in pace, gli egiziani non sarebbero morti, e il settimo giorno
sarebbe comunque stato un giorno festivo. Aggiunge il Meshekh Chokhma
che a causa della morte degli egiziani non si recita in forma completa
l’Hallel (i salmi di lode) negli ultimi giorni di Pesach, e cita il
noto midrash secondo cui D-o dice agli angeli (che avrebbero voluto
fare grande festa): “Le Mie creature affogano nel mare e voi cantate?”
(Talmud bavlì, Meghillà 10b). Discorso analogo si può fare per le feste
di Chanukkà e Purim, in cui non si festeggia la sconfitta dei nostri
nemici ma la riconsacrazione del Santuario di Gerusalemme e il
raggiungimento della pace e della salvezza.
D-o non gioisce quando i malvagi soccombono (e i nazisti non c’è dubbio
che fossero dei resha’im assoluti). Tanto meno lo dobbiamo fare noi,
anche quando assistiamo alla loro morte. Chi ha commesso colpe, deve
essere giudicato dai tribunali (e da D-o nell’aldilà). Se il nemico
muore in battaglia o per qualsiasi altro motivo, però, non possiamo
gioirne. Uno dei motivi per cui gli ebrei sono stati in esilio in
Egitto è per insegnarci tutta una serie di norme che concernono il
rapporto con gli altri uomini e affinché impariamo a tenere un
comportamento corretto.
rav
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
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Davar
acher - “Palestine Papers”
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Nella
grande inflazione comunicativa del Giorno della Memoria e naturalmente
anche nell'ombra delle agitazioni politiche e sociali che scuotono in
questi giorni il mondo arabo, pochi in Italia hanno fatto caso ai
"Palestine Papers" pubblicati congiuntamente dalla televisione del
Qatar Al Jazeera e dal quotidiano inglese The Guardian. Si tratta di
1600 documenti sottratti all'Autorità Palestinese, appunti, minute di
riunioni, messaggi diplomatici, che testimoniano, dal punto di vista di
Ramallah il negoziato sul Medio Oriente. Vale la pena di dedicarvi una
riflessione. Sull'onda di Wikileaks i "papers" sono stati presentati
come "rivelazioni esplosive", ma un po' come il loro modello hanno
detto poco di nuovo rispetto a quel già che si sapeva. E cioè che negli
anni scorsi c'è stata una trattativa fra Israele e Autorità
Palestinese, in cui si è discusso di una divisione fra i due stati
pressappoco simile alle linee armistiziali del '49 (quelli che alcuni,
sbagliando, chiamano "i confini del '67"), da correggere con scambi di
territori.
Di queste trattative, condotte durante il governo
Olmert, si sapeva molto, per esempio l'intenzione di dividere
Gerusalemme e i suoi dintorni secondo linee etniche – il che
costituirebbe una grande e difficilissima rinuncia da parte israeliana,
pensando per esempio alla città vecchia. La novità al proposito è
un'imprevista rigidità palestinese sullo scambio: chi pensa che la pace
sia a portata di mano immagina che i palestinesi siano già disposti
all'annessione a Israele dei cosiddetti "grandi blocchi" di
insediamenti ebraici, beninteso in cambio di altri territori, in modo
da limitare il problema dei trasferimenti di popolazione. Ma la
chiusura dell'AP su questi scambi nei "papers" è durissima anche
rispetto a città come Ariel e dunque la lontananza da qualunque
soluzione praticabile è ancora molto grande. Su un altro punto cruciale
come il "rientro dei profughi" invece emerge una maggiore
disponibilità, nel senso che i palestinesi sembrano rendersi conto che,
al di là di ogni questione di principio, Israele non può assorbire un
"rientro" di centinaia di migliaia o milioni di palestinesi. Si vede
infine che l'Autorità Palestinese non esita ad allearsi a Israele
contro i suoi nemici interni, coordinando l'azione contro i terroristi
di Hamas – ma questo era già stato concordato e apparso sul terreno in
diverse circostanze.
Gli aspetti più interessanti riguardano
dunque non le posizioni espresse ma il contesto di queste rivelazioni:
in primo luogo l'idea che ormai il furto di documenti è considerata una
legittima fonte di notizie e nessuna riservatezza privata o pubblica è
più veramente tutelata: il primato del pettegolezzo è un carattere del
nostro tempo su cui vale la pena di riflettere, perché corrisponde a
fatti tecnologici (Facebook), giornalistici politici e perfino
antropologici.
In secondo luogo è significativo il fatto che
spesso le rivelazioni consistono nello "strillo" di fatti noti: uno
strillo che però ha spesso un forte ed esplicito carattere
propagandistico, come in questo caso. Si raccontano dei "segreti" per
agire contro il loro depositario, sostenere un'opinione, far passare
anche la propaganda come un fatto nascosto dagli avversari e finalmente
rivelato. L'appoggio di "Al Jazeera" al terrorismo di Hamas è
stato spesso denunciato non solo da Israele ma anche dall'Autorità
Palestinese; quanto al "Guardian", è oggi il giornale più antisraeliano
di Inghilterra e forse d'Europa. Nonostante questo schieramento
esplicito, parte della campagna permanente di buona parte della stampa
per delegittimare Israele e dunque dunque nonostante l'ovvio sospetto
che le loro affermazioni siano funzionali a un disegno politico
anti-israeliano, le loro "rivelazioni" sulla grandezza delle
"concessioni palestinesi" e il "rifiuto israeliano di trattare" sono
state prese per buone da tutti i media. Il pettegolezzo legittima
l'ideologia.
Infine, bisogna riflettere che in casi del genere,
più che i fatti "rivelati" sono interessanti le reazioni alla
"rivelazione". Sia l'opposizione che il governo israeliano hanno
rifiutato di commentare i "Palestine papers", anche perché le posizioni
che vengono loro attribuite dai documenti in sostanza coincidono con
quelle sostenute pubblicamente dai diversi attori della politica
israeliana. Nei "Papers" come in Wikileaks non vi sono imbarazzi per
Livni, Olmert o Netanyahu, per il semplice fatto che il
governo
israeliano è democratico e la sua politica non può scostarsi troppo
dalle sue affermazioni pubbliche, perché il governo ha un parlamento e
un elettorato cui rendere ragione delle proprie azioni.
L'Autorità
Palestinese ha invece perso l'occasione per confermare al proprio
popolo la semplice verità che anche nella migliore delle ipotesi per le
posizioni palestinesi, gli scambi di territorio andranno fatti, almeno
parte delle "colonie" dovranno essere annesse a Israele, e il "rientro
dei profughi" non potrà avvenire in Israele se non in maniera
assolutamente simbolica. Ha invece smentito proprio questo aspetto
delle rivelazioni, quel tanto di realismo che aveva mostrato nelle
trattative ("mezze verità e menzogne" ha detto il loro negoziatore
Erkat), implicitamente confermando così la tesi di Hamas (e di Al
Jazeera e del Guardian) che il negoziato e gli inevitabili compromessi
necessari per concluderlo sono "vergognosi", che la terra non solo è
"palestinese" ma anche "sacra" e intangibile; mostrando insomma di non
avere il coraggio di guidare alle proprie posizioni il popolo che
governa, insomma di non essere pronta per la pace. Fra l'altro, dai
"papers" si vede che i governanti palestinesi hanno mostrato pubblico
scandalo e cercato di mobilitare il mondo contro Israele per le
costruzioni in territori che essi già consideravano israeliani: un
esempio considerevole di demagogia distruttiva.
Il popolo
palestinese infine, invitato alla rivolta da Hamas (e da Al Jazeera e
dal Guardian), non è affatto sceso per le strade, non ha protestato
come calcolavano i nemici di Israele (e della trattativa). Forse non
sono meno ipocriti dei loro governanti e meno ideologici e accecati
dall'odio dei loro fomentatori. Se c'è una speranza di trattativa coi
palestinesi, essa è riposta sul buon senso della popolazione e non in
una classe dirigente squalificata, corrotta, senza il coraggio delle
scelte che essa stessa considera necessarie.
Ugo
Volli
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Sorgente
di vita: l'omaggio a Tullia Zevi
e gli eventi del Giorno della Memoria
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La
puntata di Sorgente di vita di domenica 30 gennaio apre sulle
iniziative del Giorno della Memoria: il 27 gennaio sono stati premiati
al Quirinale dal Presidente Napolitano i vincitori del concorso “I
giovani ricordano la Shoah”. In viaggio premio a Roma i ragazzi di un
liceo scientifico di Torino, gli studenti di una scuola media di Casale
Monferrato e i bambini di una scuola elementare di Bari...»
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