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30 gennaio 2011 - 25 Shevat 5771
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino 


Rabbi Shlomo di Karlin disse una volta a una persona: "Io non ho chiave per aprirti". Quello allora gli gridò: "E allora forzatemi con un chiodo". Da allora il Rabbi lodò molto quell'uomo. 

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Chi se ne va lascia un vuoto, non sempre un'eredità. Ci ho pensato a lungo nei giorni successivi alla morte di Tullia Zevi. Non so se nell'immediato ci sia un futuro per l'ebraismo laico in Italia. Forse non dipende solo dai singoli individui, ma anche dai cicli storici in cui si vive. Indubbiamente chi resta ha il diritto di tentare. A tutti coloro che restano, invece, compete l'onere di trovare le parole migliori nel momento dell'addio. Condizione imprescindibile per trovarle è essere consapevoli dei propri limiti. Quando non accade si recitano addii dettati dall'orgoglio o dalla presunzione. Di solito sono i più rancorosi.

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davar
Qui Ferrara - Il Museo dell'ebraismo prende forma
Museo di FerraraIl progetto di quattro architetti italiani, Alessandro Cambi, Paolo Mezzalama, Ludovica Di Falco e Francesco Marinelli si è affermato sugli altri 52 concorrenti al concorso per la realizzazione del Museo dell'ebraismo e della Shoah che sorgerà a Ferrara nell'area delle vecchie carceri. Lo ha annunciato ieri in serata il Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it che pubblica anche alcune immagini delle proposte avanzate dai professionisti per conferire al grande complesso architettonico ferrarese l'assetto definitivo.
Il consorzio che ha vinto la competizione (capogruppo Arco coordinata dall'ingegner Mauro Checcoli), si è avvalso fra gli altri della consulenza di grandi nomi dell'architettura, come il tedesco Michael Gruber il thailandese Kulapat Yantra e del professor Ariel Toaff, docente di storia all'Università Bar Ilan di Tel Aviv.
Fra i consulenti erano presenti anche Maricetta Parlatore, esperta di recupero e restauro dei Beni Architettonici, e Luca Scarzella dello studio Vertov, esperto di allestimenti museografici.
Il concorso era stato bandito dalla Direzione dei Beni Culturali dell'Emilia Romagna, dal Comune di Ferrara e dalla Fondazione del Museo Nazionale dell'Ebraismo e della Shoah di Ferrara.
Museo di FerraraProprio riguardo alla consulenza fornita dal professor Toaff, autore del discusso saggio “Pasque di sangue”, e dalla interpretazione che a questo contributo attribuisce la stampa nazionale di questa mattina, interviene ora con decisione il Presidente della Fondazione Riccardo Calimani. “E' necessario – afferma Calimani - fare chiarezza. Come è ben noto l'autorevole Commissione (per parte ebraica era componente lo storico Roberto Bonfil) ha esaminato i progetti in maniera totalmente trasparente e senza conoscere prioritariamente i nomi degli autori e dei loro consulenti al fine di assegnare la realizzazione all'ipotesi più idonea. Proprio l'assegnazione dei lavori a un consorzio che si è avvalso della consulenza di una figura ben nota e discussa come il professor Toaff dimostra come la Commissione abbia agito esclusivamente sulla base del massimo rigore scientifico. Gli elaborati, del resto, dovevano necessariamente rispondere al progetto culturale elaborato dalla Fondazione e il ruolo del consulente culturale di ogni progetto, certo molto importante, non poteva comunque andare al di là di questi contorni. Di qui ad adombrare che il consulente di uno specifico progetto sia l'ideatore del museo e il responsabile, il direttore scientifico dell'iniziativa, ce ne corre. In particolare un articolo apparso sul Corriere della Sera di stamane suscita enormi perplessità e ragionevole curiosità e il suo titolo (“Torna Toaff: il mio museo degli ebrei”)ancora di più”.
“Chi ha offerto – aggiunge Calimani - la propria qualificata consulenza culturale ai progettisti non può pretendere che il Museo sia cosa sua, a meno di non prestarsi a un grande bluff. Il Museo non può essere suo, né mio, ma si tratta di un'iniziativa che dipende al ministero dei Beni culturali. Sarà il museo di tutti gli italiani, ebrei e non ebrei e il frutto di un progetto a più voci di un gruppo scientifico altamente qualificato.
Il Consiglio d'amministrazione, convocato entro il termine di febbraio, procederà peraltro nelle prossime sedute alla nomina del nuovo direttore scientifico”.  


Qui Firenze - Memoria, un convegno su Nathan Cassuto
Qui Venezia - Luzzatto con Zaia: "Convivenza e dialogo"
Qui Milano - La terza generazione per la Memoria 
Qui Roma - La Guardia di Finanza per la Memoria 
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pilpul
È giusto gioire quando il nemico cade?
Tempio MaggioreL’altra sera, nel Tempio Maggiore di Roma, a conclusione delle manifestazioni del Giorno della Memoria, si è tenuto un incontro con i sopravvissuti ai Lager nazisti. Uno degli ex-deportati ha raccontato dell’immensa gioia che provò nel vedere le decine di sentinelle tedesche morte nelle torrette attorno al campo di Dachau, appena liberato dalle truppe anglo-americane. Ovviamente, la riflessione che qui propongo non è un giudizio su questo episodio, né sull’averlo raccontato davanti a migliaia di persone. Nessuno si può permettere di giudicare gli atti, i pensieri, i sentimenti di chi è sopravvissuto all’inferno, né durante la permanenza nei campi né dopo. Neanche chi nei campi c’è stato può parlare riguardo ad altri che hanno vissuto esperienze simili, perché ogni caso è sempre un caso a sé. Tuttavia, ci si può chiedere se l’applauso che ha fragorosamente accompagnato le parole dell’ex-deportato fosse appropriato. La Bibbia scrive: “Non gioire mentre il tuo nemico cade e quando egli inciampa il tuo cuore non si rallegri” (Proverbi 24, 17).
Si potrebbe obiettare che nel calendario ebraico ci sono, apparentemente, diverse feste a ricordo della sconfitta dei nemici del popolo d’Israele. In realtà, spiega Rabbi Meir Simcha Hakohen (1843-1926) nel commento “Meshekh Chokhmà”, non è affatto così. Il settimo giorno di Pesach è festa solenne e in questo giorno in effetti avvenne il passaggio degli ebrei nel Mar Rosso con conseguente sconfitta dei soldati egiziani che affogarono fra i flutti. Ma, scrive il Meshekh Chokhma, la festa fu comandata ben prima dell’uscita dall’Egitto (vedi Esodo 12, 16), proprio per insegnarci che il motivo della festa non è la sconfitta del nemico. Dopo tutto, poteva anche darsi che il Faraone decidesse di non ordinare al proprio esercito di inseguire gli ebrei che fuggivano. In questo caso gli ebrei sarebbero usciti in pace, gli egiziani non sarebbero morti, e il settimo giorno sarebbe comunque stato un giorno festivo. Aggiunge il Meshekh Chokhma che a causa della morte degli egiziani non si recita in forma completa l’Hallel (i salmi di lode) negli ultimi giorni di Pesach, e cita il noto midrash secondo cui D-o dice agli angeli (che avrebbero voluto fare grande festa): “Le Mie creature affogano nel mare e voi cantate?” (Talmud bavlì, Meghillà 10b). Discorso analogo si può fare per le feste di Chanukkà e Purim, in cui non si festeggia la sconfitta dei nostri nemici ma la riconsacrazione del Santuario di Gerusalemme e il raggiungimento della pace e della salvezza.
D-o non gioisce quando i malvagi soccombono (e i nazisti non c’è dubbio che fossero dei resha’im assoluti). Tanto meno lo dobbiamo fare noi, anche quando assistiamo alla loro morte. Chi ha commesso colpe, deve essere giudicato dai tribunali (e da D-o nell’aldilà). Se il nemico muore in battaglia o per qualsiasi altro motivo, però, non possiamo gioirne. Uno dei motivi per cui gli ebrei sono stati in esilio in Egitto è per insegnarci tutta una serie di norme che concernono il rapporto con gli altri uomini e affinché impariamo a tenere un comportamento corretto.

rav Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano

Davar acher - “Palestine Papers”
Ugo VolliNella grande inflazione comunicativa del Giorno della Memoria e naturalmente anche nell'ombra delle agitazioni politiche e sociali che scuotono in questi giorni il mondo arabo, pochi in Italia hanno fatto caso ai "Palestine Papers" pubblicati congiuntamente dalla televisione del Qatar Al Jazeera e dal quotidiano inglese The Guardian. Si tratta di 1600 documenti sottratti all'Autorità Palestinese, appunti, minute di riunioni, messaggi diplomatici, che testimoniano, dal punto di vista di Ramallah il negoziato sul Medio Oriente. Vale la pena di dedicarvi una riflessione. Sull'onda di Wikileaks i "papers" sono stati presentati come "rivelazioni esplosive", ma un po' come il loro modello hanno detto poco di nuovo rispetto a quel già che si sapeva. E cioè che negli anni scorsi c'è stata una trattativa fra Israele e Autorità Palestinese, in cui si è discusso di una divisione fra i due stati pressappoco simile alle linee armistiziali del '49 (quelli che alcuni, sbagliando, chiamano "i confini del '67"), da correggere con scambi di territori.
Di queste trattative, condotte durante il governo Olmert, si sapeva molto, per esempio l'intenzione di dividere Gerusalemme e i suoi dintorni secondo linee etniche – il che costituirebbe una grande e difficilissima rinuncia da parte israeliana, pensando per esempio alla città vecchia. La novità al proposito è un'imprevista rigidità palestinese sullo scambio: chi pensa che la pace sia a portata di mano immagina che i palestinesi siano già disposti all'annessione a Israele dei cosiddetti "grandi blocchi" di insediamenti ebraici, beninteso in cambio di altri territori, in modo da limitare il problema dei trasferimenti di popolazione. Ma la chiusura dell'AP su questi scambi nei "papers" è durissima anche rispetto a città come Ariel e dunque la lontananza da qualunque soluzione praticabile è ancora molto grande. Su un altro punto cruciale come il "rientro dei profughi" invece emerge una maggiore disponibilità, nel senso che i palestinesi sembrano rendersi conto che, al di là di ogni questione di principio, Israele non può assorbire un "rientro" di centinaia di migliaia o milioni di palestinesi. Si vede infine che l'Autorità Palestinese non esita ad allearsi a Israele contro i suoi nemici interni, coordinando l'azione contro i terroristi di Hamas – ma questo era già stato concordato e apparso sul terreno in diverse circostanze.
Gli aspetti più interessanti riguardano dunque non le posizioni espresse ma il contesto di queste rivelazioni: in primo luogo l'idea che ormai il furto di documenti è considerata una legittima fonte di notizie e nessuna riservatezza privata o pubblica è più veramente tutelata: il primato del pettegolezzo è un carattere del nostro tempo su cui vale la pena di riflettere, perché corrisponde a fatti tecnologici (Facebook), giornalistici politici e perfino antropologici.
In secondo luogo è significativo il fatto che spesso le rivelazioni consistono nello "strillo" di fatti noti: uno strillo che  però ha spesso un forte ed esplicito carattere propagandistico, come in questo caso. Si raccontano dei "segreti" per agire contro il loro depositario, sostenere un'opinione, far passare anche la propaganda come un fatto nascosto dagli avversari e finalmente rivelato. L'appoggio di "Al Jazeera"  al terrorismo di Hamas è stato spesso denunciato non solo da Israele ma anche dall'Autorità Palestinese; quanto al "Guardian", è oggi il giornale più antisraeliano di Inghilterra e forse d'Europa. Nonostante questo schieramento esplicito, parte della campagna permanente di buona parte della stampa per delegittimare Israele e dunque dunque nonostante l'ovvio sospetto che le loro affermazioni siano funzionali a un disegno politico anti-israeliano, le loro "rivelazioni" sulla grandezza delle "concessioni palestinesi" e il "rifiuto israeliano di trattare" sono state prese per buone da tutti i media. Il pettegolezzo legittima l'ideologia.
Infine, bisogna riflettere che in casi del genere, più che i fatti "rivelati" sono interessanti le reazioni alla "rivelazione". Sia l'opposizione che il governo israeliano hanno rifiutato di commentare i "Palestine papers", anche perché le posizioni che vengono loro attribuite dai documenti in sostanza coincidono con quelle sostenute pubblicamente dai diversi attori della politica israeliana. Nei "Papers" come in Wikileaks non vi sono imbarazzi per Livni, Olmert o Netanyahu,  per il semplice fatto che il governo israeliano è democratico e la sua politica non può scostarsi troppo dalle sue affermazioni pubbliche, perché il governo ha un parlamento e un elettorato cui rendere ragione delle proprie azioni.
L'Autorità Palestinese ha invece perso l'occasione per confermare al proprio popolo la semplice verità che anche nella migliore delle ipotesi per le posizioni palestinesi, gli scambi di territorio andranno fatti, almeno parte delle "colonie" dovranno essere annesse a Israele, e il "rientro dei profughi" non potrà avvenire in Israele se non in maniera assolutamente simbolica. Ha invece smentito proprio questo aspetto delle rivelazioni, quel tanto di realismo che aveva mostrato nelle trattative ("mezze verità e menzogne" ha detto il loro negoziatore Erkat), implicitamente confermando così la tesi di Hamas (e di Al Jazeera e del Guardian) che il negoziato e gli inevitabili compromessi necessari per concluderlo sono "vergognosi", che la terra non solo è "palestinese" ma anche "sacra" e intangibile; mostrando insomma di non avere il coraggio di guidare alle proprie posizioni il popolo che governa, insomma di non essere pronta per la pace. Fra l'altro, dai "papers" si vede che i governanti palestinesi hanno mostrato pubblico scandalo e cercato di mobilitare il mondo contro Israele per le costruzioni in territori che essi già consideravano israeliani: un esempio considerevole di demagogia distruttiva.
Il popolo palestinese infine, invitato alla rivolta da Hamas (e da Al Jazeera e dal Guardian), non è affatto sceso per le strade, non ha protestato come calcolavano i nemici di Israele (e della trattativa). Forse non sono meno ipocriti dei loro governanti e meno ideologici e accecati dall'odio dei loro fomentatori. Se c'è una speranza di trattativa coi palestinesi, essa è riposta sul buon senso della popolazione e non in una classe dirigente squalificata, corrotta, senza il coraggio delle scelte che essa stessa considera necessarie.

Ugo Volli


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notizieflash   rassegna stampa
Sorgente di vita: l'omaggio a Tullia Zevi
e gli eventi del Giorno della Memoria
  Leggi la rassegna

La puntata di Sorgente di vita di domenica 30 gennaio apre sulle iniziative del Giorno della Memoria: il 27 gennaio sono stati premiati al Quirinale dal Presidente Napolitano i vincitori del concorso “I giovani ricordano la Shoah”. In viaggio premio a Roma i ragazzi di un liceo scientifico di Torino, gli studenti di una scuola media di Casale Monferrato e i bambini di una scuola elementare di Bari...
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