se non visualizzi correttamente questo messaggio, fai  click qui

7 febbraio 2010 - 3 Adar 5771
linea
l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
linea
Riccardo Di Segni
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma

E' iniziato il mese di Adar Rishon, e un po' di leggerezza ce la possiamo concedere, anche davanti ad eventi problematici che sollevano amarezza e scandalo. Il Talmud ('AZ 70a) racconta la storia di una partita di vino che era stata trafugata a Pumbedita, una città babilonese, e che le botti furono trovate aperte, con il rischio che qualche pagano avesse dedicato quel vino a culti idolatrici (con conseguente divieto di utilizzo). Non vi preoccupate, disse con una certa ironia Ravà, il Maestro della regione interpellato, "la maggioranza dei ladri sono ebrei". Commentando questa frase rav Steinsaltz mi disse una volta, anche lui con una certa ironia, che questo non vuol dire che la maggioranza degli ebrei siano dei ladri.

Anna
Foa,
storica

   
Anna Foa
Il personaggio della Stampa di oggi è un arzillo centenario agli arresti domiciliari a Roma di cui l'autore dell'articolo ci descrive la vita serena e operosa, nonostante l'età. Si tratta di Erich Priebke, condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse ardeatine, agli arresti domiciliari grazie all'età, e ancora in grado di scrivere lettere ai suoi amici nazisti, ricevere le svastiche che gli mandano in dono, passeggiare al sole. Poi, ci dice l'articolo, ci sono anche gli "antipatizzanti", che lo vedono come il simbolo del male. A rischio di passare per antipatizzante, vorrei pregare i giornalisti di lasciar calare il silenzio su questo assassino. Nulla da obiettare al suo regime di arresti domiciliari, un atto dovuto per un condannato della sua età. Ma perfavore, non facciamone un personaggio. Raccontarlo in questa chiave non è, naturalmente, segno di antisemitismo o di filonazismo. Vuol dire solo che pur di scrivere un articolo ad effetto si è pronti a tutto, anche al ridicolo.

torna su ˄
davar
Qui Firenze - Bartali, una nuova testimonianza
Vignetta BartaliCampione sui pedali e nella vita, Gino Bartali fu corriere clandestino di una rete della Delasem che mise in salvo centinaia di ebrei dai nazifascisti. Recentemente è emerso che andò perfino oltre, nascondendo insieme a suo cugino Armandino Sizzi, come racconta l’ebreo di origine fiumana Giorgio Goldenberg su Pagine Ebraiche di gennaio, una famiglia di perseguitati (Giorgio, la sorella e i genitori) in uno stabile di sua proprietà in via del Bandino a Firenze. Sono arrivate nelle ultime ore, dalla viva voce di Aurelio Klein, cugino primo di Goldenberg, conferme e inediti dettagli su questa straordinaria vicenda di umana solidarietà. Elementi che si accavallano agli altri frammenti di eroismo raccolti nei mesi passati e che dovrebbero portare a piantare presto un albero nel Giardino dei Giusti dello Yad Vashem in onore del grande ciclista toscano, obiettivo a cui lavorano da tempo il giornale dell’ebraismo italiano e la psicologa Sara Funaro. Nel salotto fiorentino di Aurelio, distinto novantenne raffinato nei modi e nella parlata, vanno in scena ricordi commossi e rievocazioni di quel drammatico periodo di storia italiana. Chiamato in causa da Giorgio nel corso della trasmissione La vita in diretta del 27 gennaio, Aurelio apre il forziere del passato e racconta: “Anch’io sono stato salvato da Bartali”. Per due mesi infatti Aurelio divide con la famiglia Goldenberg l’appartamento citato nella testimonianza di suo cugino. Il periodo a cui Klein fa riferimento va dal novembre del 1943 al gennaio del 1944: due mesi di angoscia e di speranza, due mesi di con l’incubo costante dell’arresto mentre in tutta Italia si susseguono retate e delazioni che portano migliaia di ebrei nei campi di sterminio. All’appello in quei giorni manca soltanto Giorgio, temporaneamente ospitato nel convento delle suore di Santa Marta a Settignano dove resta fino a inizio primavera. “Dormivamo tutti e quattro nel letto matrimoniale”, dice Aurelio.
Aurelio Klein arriva a Firenze da Fiume dove scampa miracolosamente alle retate dei fascisti che sono invece fatali ai genitori e al fratello. Il suo punto di riferimento in Toscana sono i Goldenberg, legati da un solido rapporto di amicizia con Bartali e Sizzi. “Intrapresi il viaggio - spiega Aurelio - perché mi era stato detto che a Firenze sarebbe stato più facile ottenere documenti con false generalità per sconfinare in Svizzera”. Il documento gli viene consegnato nel gennaio del 1944 dagli uomini del Comitato di Liberazione. Ottenuta la nuova identità, Aurelio prende un treno dalla stazione di Santa Maria Novella e si dirige verso nord per oltrepassare il confine insieme a un gruppo di contrabbandieri di sigarette che incontra nei pressi del Lago Maggiore. Una volta entrato in territorio elvetico, ripara prima a Sion e poi a Losanna dove trova lavoro come orologiaio. Nei mesi di clandestinità fiorentina, scanditi da momenti di terrore e ansia (“Trascorrevo il mio tempo nell’attesa, spesso stavo seduto o sdraiato sul divano senza far niente”), Aurelio e la famiglia Goldenberg sono protagonisti di un episodio di grande tensione che si risolve senza conseguenze negative. “Un giorno – racconta Aurelio – un uomo viene ad avvisarci che i fascisti sono in zona così siamo costretti a scappare avventurosamente per i tetti di Firenze. Nell’occasione vengo mandato a dormire nella casa di un importante membro del Partito d’Azione sul viale Michelangiolo. Ci resto una notte, rientrato il pericolo torno in via del Bandino fino al giorno della partenza per la Svizzera”. Al pari di Goldenberg, che ha depositato la propria testimonianza nelle mani dei funzionari dello Yad Vashem in data 6 gennaio, anche Aurelio ha voluto certificare l’eroismo di Bartali con una deposizione scritta in cui gli riconosce il merito di essersi prodigato per la sua salvezza. Nelle scorse ore il rabbino capo di Firenze Joseph Levi, accompagnato dallo storico Nardo Bonomi, autore di un delicato lavoro di ricerca sulle proprie origini familiari che ha permesso di rintracciare Goldenberg e Klein, si è recato da Aurelio per sottoscrivere la testimonianza e dare così il via alla procedura di invio a Gerusalemme di un nuovo e prezioso tassello di Memoria sul campionissimo di Ponte a Ema.

Adam Smulevich

Tuvia Friedman (1922-2011)
Tuvia FriedmanTutti i suoi giorni li ha dedicati a una missione, o, come sosteneva sua moglie Anna Gutman, a un'ossessione: prendere i nazisti, fargliela pagare.
Tuvia Friedman era nato nel 1922 a Radom, in Polonia. Dopo l'invasione del suo paese fu catturato dai tedeschi e rinchiuso in un campo di concentramento nei pressi di Radom, dal quale riuscì a fuggire nel 1944. Tutta la sua famiglia, eccezion fatta per la sorella, Bella Friedman, fu sterminata.
Prima e dopo la fine del Secondo conflitto mondiale non si stancò di dare la caccia ai nazisti. Il suo nome di battaglia, nelle milizie semiufficiali della Polonia liberata, era Lo spietato. Col pensiero fisso di vendicare la morte dei suoi familiari, girò per tutta la Polonia, cacciando e talvolta liquididando i nazisti.
Nel 1945, dopo la liberazione della Polonia, fu protagonista di un episodio che ben esemplifica la profonda dedizione alla sua missione: al fine di acciuffare personalmente la SS Konrad Buchmayer, catturato e detenuto in un campo di prigionia, si finse a sua volta un ufficiale nazista per essere portato anch'egli nello stesso campo. Non voleva rischiare che il gerarca la passasse liscia.
Non passò molto tempo dalla fine della guerra perché Friedman si associasse con l'altro grande cacciatore di nazisti, Simon Wiesenthal. Dalla loro base viennese i due impostarono insieme un'attività che nel corso degli anni contribuì alla cattura di oltre duecentocinquanta nazisti responsabili di crimini di guerra. È stato proprio il Centro Simon Wiesenthal a dare la notizia della sua morte.
La loro azione era così strutturata: da una parte raccoglievano indizi e facevano le ricerche per rintracciare gli ex gerarchi ai quattro angoli del pianeta, dall'altra si impegnavano a tenere alta l'attenzione dei governi e dell'opinione pubblica sul perseguimento dei criminali di guerra. “Si assicurò che il nome di Eichmann comparisse spesso sulle prima pagine dei giornali”, scrive lo storico Tom Segev nel suo recente libro Simon Wiesenthal, the life and legends.
Dopo il 1950 Tuviah Friedman si trasferì in Israele, dove, mentre collaborava all'istituto Yad Vashem, continuò autonomamente a Haifa la sua missione e fondò l'Istituto per la documentazione dei crimini di guerra nazisti.
La sua attività non fu sempre ben vista in Israele: fu perlopiù ignorato dalle autorità e dalla gente, la quale condivideva grosso modo l'opinione della moglie di Friedman. Suo marito, sosteneva Anna Gutman, era ormai vittima di una psicosi. Cercò spesso di farlo desistere, di fargli abbandonare la sua “ossessione”. Gli diceva che ormai la gente cercava di dimenticare i nazisti, ma lui non voleva sentir ragioni. Solo un nome, ormai, gli ronzava per la testa: Adolf Eichmann, lo stratega della soluzione finale.
Un giorno ricevette una telefonata dall'Argentina: un uomo, interessato alla ricompensa di diecimila dollari promessa da Friedman e dal suo Istituto, si dichiarava in grado di fornire informazioni sul luogo in cui si trovava Eichmann.
Friedman rese pubblica la notizia ma non godendo di molto credito presso le autorità israeliane, fu quasi del tutto ignorato. Almeno pubblicamente. Era il 1960. Sappiamo come è andata a finire. L'uomo che si era messo in contatto con Friedman si chiamava Lothar Hermann, un ebreo sopravvissuto allo sterminio e trasferitosi a Buenos Aires. Sua figlia aveva una relazione sentimentale col giovane figlio di Eichmann, il quale le si era rivelato con il suo vero cognome. Il signor Hermann fu colui che passò le informazioni sulla base delle quali il Mossad organizzò il famoso rapimento. Ai servizi segreti, dunque, non era sfuggito l'allarme lanciato da Friedman, ma ufficialmente non gli venne riconosciuto nessun ruolo nella vicenda.
“Per tutti questi anni sono stato ignorato e offeso”, dichiarò una volta, amareggiato, alla stampa israeliana, “ma ho la dote della pazienza”. Come ogni buon predatore.

Manuel Disegni

torna su ˄
pilpul
La giustizia deve essere di questo mondo 
Donatella Di CesareLa morale cristiana è permeata da una concezione pessimistica della giustizia. È infatti la grazia che salva, non la legge. Sorta d’altronde sul rifiuto della Legge ebraica, la morale cristiana non pensa nei termini e secondo i criteri del giudizio. La sofferenza diventa segno di moralità e finisce quasi per fondare il diritto.
Da questo dogma religioso, che molti inavvertitamente finiscono per condividere nell’Europa post-cristiana (che dire poi dell’Italia?), derivano conseguenze etiche e politiche molto gravi. Se la giustizia, indubbiamente imperfetta, non può essere realizzata, né resa, allora viene confermata una scissione tra morale e giustizia. E se «la giustizia non è di questo mondo», allora la legge viene sminuita; si tende anzi ad aggirarla e infine ad abolirla. Lo scacco della legge è qui sempre in agguato insieme alla rivincita del colpevole.
Al contrario nell’ebraismo, dove ciascuno è giudicato secondo le proprie azioni, etica e giustizia restano inscindibilmente connesse. La legge mantiene la saldezza di un valore che accomuna e il risarcimento - anche dove il contesto è quello dell’imperdonabile - va considerato ed equamente quantificato. Perché si può e si deve pensare che la giustizia trionfi in questo mondo, non abbandonato al male radicale.

Donatella Di Cesare

torna su ˄
notizieflash   rassegna stampa
Peres: “Urgenti trattative di pace
fra israeliani e palestinesi”
Gerusalemme , 7 febbraio
  Leggi la rassegna

Di fronte all'instabilità pordotta dalle rivolte popolari in Tunisia e in Egitto si rende ancora più urgente un ritorno degli israeliani e dei palestinesi al tavolo delle trattative di pace. A effettuare tale considerazione è stato il presidente israeliano Shimon Peres, che in apertura di una coferenza internazionale sulla sicurezza ha affermato: "Gli avvenimenti drammatici di questi giorni dimostrano la necessità di depennare dall'ordine del giorno il conflitto israelo-palestinese e di farlo il prima possibile perché questa situazione viene strumentalizzata a danno di entrambe le parti".
»
 
linee
Pagine Ebraiche 
è il giornale dell'ebraismo italiano
ucei
linee
Dafdaf
Dafdaf
  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.