se
non visualizzi correttamente questo messaggio, fai click qui
|
21 febbraio
2010 - 17 Adar 5771 |
 |
|
 |
|
|
|
|
 |
 |
Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
|
Mentre continua l'interessante
discussione sull'opportunità di usare un'espressione ebraica ("Se non
ora quando?") come slogan di una manifestazione antigovernativa, viene
in mente un'altra espressione entrata nel linguaggio comune e di
origine ebraica, questa volta dalla Torah stessa (Lev. 19:35-36); la
Torah dice "non fate iniquità nella giustizia, nelle varie misure... ma
dovrete avere bilance giuste, pesi giusti....". L'espressione che ne
deriva è quella di "due pesi e due misure". L'espressione c'è ma
l'applicazione è difficile. I due pesi e le due misure sono ad esempio
quelli che si adottano per valutare il valore della vita umana e dei
morti nelle repressioni, a seconda dell'area geopolitica, del dittatore
di turno che ordina di sparare, e della ispirazione della folla che
protesta.
|
|
 |
Anna
Foa,
storica
|
|
Sul Sole 24 Ore Sergio Luzzatto
definisce Primo Levi "lo scrittore della dignità". E' una bella parola
e una bella definizione. Mi piacerebbe anche parlare,
pensando a lui, di "rigore", di "misura", di "riserbo", tutti
termini che alludono ad uno stile, fatto anche di torinesità,
che ritroviamo assai difficilmente, non solo nella politica, ça va sans
dire, ma anche nel dibattito culturale, dove vince chi urla di più, chi
tira ogni cosa alle sue estreme conseguenze, chi insomma non conosce o
dimentica che per farsi ascoltare è meglio abbassare la voce, non
alzarla. Almeno, con gli studenti indisciplinati funziona. Provate per
credere. E direi che Primo Levi, scrittore della dignità, scrittore dai
toni sommessi, a farsi ascoltare c'è proprio riuscito!
|
|
 |
torna su ˄
|
|
 |
Risorgimento
e identità ebraica
|
 |
Al vivace dibattito
identitario delle ultime settimane su questa pagina andrebbero aggiunti
due elementi significativi.
Il primo è che al di là della causa occasionale - il
centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia - il discorso
sull'essenza dell'identità ebraica non può essere limitato a una
circoscrizione territoriale ma è, per definizione, globale. L'ambito
territoriale snatura il problema e lo svilisce a una competizione
gerarchica fra il bene dell'essere ebreo e il bene dell'essere
italiano. Più importante è capire se l'emancipazione, l'integrazione, e
l'assimilazione degli ebrei in Italia abbiano avuto caratteri propri e
differenti da quelli di altri paesi. Lo stesso discorso può essere
fatto in un contesto francese, tedesco, americano, o israeliano (temi
ampiamente discussi da Anna Foa nei suoi scritti). Anzi,
proprio perché è essenziale capire quali siano gli apporti delle
diverse culture regionali all'identità ebraica e quali siano gli
apporti della cultura ebraica alle diverse realtà regionali, e in che
misura gli uni siano diversi dagli altri, il limitarsi alle modalità in
un paese (in questo caso l'Italia) finisce per creare un discorso non
sull'identità ebraica ma su quella italiana. Discorso certo attuale,
importante e non meno avvincente, ma diverso (e sul quale Gadi Luzzatto Voghera lancia
un'emblematico segnale quando scrive della "povera Italia che abbiamo
la ventura di vivere". Ma attenzione: vivere in Italia è un privilegio,
non un obbligo).
Il secondo elemento è quello della trasmissione dell'identità da una
generazione all'altra. Molti interventi nel dibattito sembrano
orientati sul diritto e sulla capacità dell'individuo di trovare la
propria matura e soddisfacente espressione identitaria ebraica, nel
contesto societario generale, e al di là di supposte influenze ebraiche
più integrali (per usare il termine che fu caro a Alfonso Pacifici). In
questa riflessione critica, il rischio che la manifestazione
identitaria dopo aver raggiunto il momento ritenuto ottimale per la
persona, sia anche il punto terminale di una lunga sequela storica non
mi sembra sia stato sufficientemente chiarito. Pensiamo alla vecchia
metafora dell'albero: il tronco produce rami che sono più sottili,
dunque un po' diversi, ma hanno circa la stessa consistenza di corpo
legnoso percorso da linfe vitali; e i rami producono foglie che nel
creare una brillante sintesi ecologica con l'ambiente circostante sono
ancora percorse dalle stesse linfe vitali e fanno sempre parte del
fenomeno albero; ma le foglie non producono nulla, anzi cadono quando
diventano secche. Il tronco produrrà sempre foglie, le foglie non
produrranno mai tronco (per lo meno nel ciclo naturale di un anno).
Perché ci siano sempre foglie, è necessario che ci sia sempre tronco.
Perché l'ebreo possa trovare la sua sintesi ottimale con il contesto
sociale e culturale in cui si trova, ha bisogno della conoscenza
diretta e del riferimento permanente alla cultura di origine. Persa la
quale, interviene l'assimilazione, dopo la quale rimane il
nulla.
Sergio Della
Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
|
|
Qui
Torino - La lezione del rav Artom: ricordare e studiare
|
 |
La tradizione ebraica delle
lezioni commemorative, soprattutto quando sono dedicati al ricordo di
un Maestro, prevede che alla rievocazione della sua figura e alle
testimonianze dirette siano alternati momenti di studio vero e proprio.
Si considera questo, infatti, il modo più adeguato a onorare la memoria
di un rabbino. La seconda sessione del convegno Torath Chajim
organizzato nei locali della Comunità ebraica torinese per ricordare
rav Menachem Emanuele Artom z.l ha rispettato questo segno distintivo,
trovando, fra le dotte lezioni rabbiniche, ampi spazi per soffermarsi
sulla personalità di rav Artom, suo lascito umano e intellettuale.
Presieduta da Dario Disegni, il quale ha voluto ricordare l'impegno di
rav Artom, durante i suoi anni torinesi, a favore della scuola
Margulies Disegni, la seconda sessione del convegno è stata inaugurata
dalla toccante testimonianza di rav Roberto Colombo. “Incontrai per la
prima volta rav Artom a Venezia quando non avevo ancora tredici anni”,
ricorda il rabbino e insegnante. “A quell'epoca ero un ribelle -
confida Colombo -; in poco più di un anno rav Artom mi trasformò in un
giovane studioso”. L'influenza profondissima che Artom sapeva
esercitare, racconta Colombo, passava per un “atteggiamento diretto,
razionale: si comportava senza tante manfrine”. “Dietro la sua scorza
dura - prosegue Colombo - non era difficile intravedere l'affetto del
Maestro nei confronti dell'allievo”.
I torinesi ricordano bene rav Artom. Il periodo in cui fu rabbino capo
della Comunità subalpina (1985-1987) fu breve, ma del tutto sufficiente
a lasciare un ricordo indelebile che le parole commosse di rav Colombo
non fanno che ravvivare: “”un rabbino serio e rigoroso, grammatico
coltissimo, uomo burbero ma capace di essere vicino alla gente, di
trasmettere l'amore per lo studio, il senso di responsabilità
individuale e collettiva”.
Rav Luciano Caro, il rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara,
commentando il racconto personale di rav Colombo, nota come tutte le
caratteristiche del magistero di rav Artom che nel corso della giornata
sono state sottolineate “definiscono l'ideale ebraico del rapporto tra
allievo e Maestro, nel quale la componente affettiva”, così presente
nel ricordo che di questo rapporto si porta dietro rav Colombo, “gioca
un ruolo fondamentale”. L'intervento di rav Caro, che affronta il
chiave filosofica l'argomento della colpa e della pena nel pensiero
ebraico, si sofferma sull'importanza del ruolo del maestro nella
maturazione della coscienza morale dell'allievo. “Il giovane deve
essere sollecitato a riflettere e a formarsi autonomamente le proprie
convinzioni”. Piuttosto che un pacchetto confezionato e dottrinale,
“ciò che il maestro dev'essere capace di offrire sono gli strumenti
critici che consentono di distinguere il bene dal male”. Questo fu uno
dei più grandi meriti di rav Artom.
Altra caratteristica posseduta da rav Artom, rara e preziosa nel
panorama del rabbinato italiano, era la disposizione a partecipare al
dibattito civile e politico, “sempre nel pieno rispetto delle opinioni
di chi non era d'accordo con lui”, come sottolinea Franco Segre nel
ricordare le molteplici discussioni, anche vivaci, intrattenute da rav
Artom con il Gruppo di Studi ebraici (di cui Segre è presidente). “Si
dibatté a lungo sulle questioni politiche che concernevano l'ebraismo
italiano, dell'Intesa e degli organismi centrali”. “La doppia valenza
del contributo intellettuale di rav Artom - prosegue Segre - consisteva
da una parte nel profondissima conoscenza delle fonti ebraiche e nel
rigore halakhico; dall'altra in una radicata coscienza storica e
civile, sempre attenta ai temi della laicità e del difficile rapporto
delle minoranze religiose con lo Stato”.
Anche nel campo del dibattito bioetico rav Artom non fece mancare la
sua sapienza. La relazione di rav Gianfranco Di Segni, rabbino e
biologo, ricostruisce le riflessioni di etica medica condotte per molti
anni da rav Artom sulle colonne della rivista Torath Chajim. “Era molto
presente nelle polemiche che negli anni Ottanta coinvolgevano la
società israeliana e l'ebraismo diasporico”. La relazione di rav Di
Segni verte in particolare sulle posizioni assunte da Artom riguardo ai
problemi sollevati dall'autopsia, dall'eutanasia, dalla contraccezione.
Senza mai abbandonare il suo caratteristico rigore halakhico, rav Artom
non esitò a entrare in polemica con quelli che definiva “i faccendieri
religiosi”, coloro che nel dibattito israeliano assumevano posizioni
intransigenti e indisponibili al dialogo.
Tra in numerosi uditori c'è qualcuno che ricorda con ironia il
particolare gusto di rav Artom per i paradossi, caratteristica comune
alle menti più acute. “Ma se uno, il giorno di Kippur, mangia un panino
al prosciutto e formaggio - si divertiva a domandare rav Artom - è
tenuto a recitare la Birchat ha-mazon, la benedizione che segue il
pasto?”.
Manuel Disegni
|
|
Qui Firenze - Sfumature e assaggi di gastronomia kasher
|
 |
“Il mondo ha scoperto il
kosher e la sua affidabilità. Un valore che in una società ossessionata
dal problema della sicurezza alimentare si sta rivelando vincente. Come
prova il successo crescente dei ‘cibi sacri’ negli Stati
Uniti dove attualmente il mercato kosher registra 17 milioni di
consumatori nonostante gli ebrei praticanti siano solo 2 milioni”.
Questo il timbro di qualità del Gambero Rosso, leader nostrano nel
campo della cultura del gusto. Fenomeno di crescente tendenza anche nel
nostro paese, l’alimentazione kosher, con le sue sfumature, i suoi
sapori e le sue peculiarità, sarà protagonista questo pomeriggio al
Lyceum Club Internazionale, struttura storica nel cuore di Firenze dove
dalle 17 in poi verranno presentate le diverse esperienze in merito
della professoressa Dora Liscia Bemporad, che nell’occasione introdurrà
al pubblico il libro scritto da sua madre Jenny Liscia La storia passa
dalla cucina (Pisa Ets 2000), e del rabbino Umberto Piperno (nell'immagine), tra i
massimi esperti al mondo di vino e tradizione religiosa ebraica, che
parlerà di “Lechaim il calice di Salomone, vino kasher per la vita”.
Farà da contorno al dibattito l’esposizione di alcuni disegni e libri
delle donne della famiglia Liscia. Organizzato in collaborazione con le
associazioni Adei–Wizo (Associazione donne ebree d’Italia) e
Italia–Israele di Firenze (il presidente Rodolfo Foti parla di
“occasione unica di conoscenza e approfondimento”), l’incontro si
chiuderà con una degustazione di vini offerti da Genazzani e Silvera e
serviti dai sommelier dell’Enoteca Pinchiorri, locale tra i più
prestigiosi d’Italia che ha nella sua cantina una selezione di
rossi e bianchi kosher.
a.s
|
|
 |
torna su ˄
|
|
 |
Cosa c’è da capire?
|
 |
Noureddine Adnane, il
giovane ambulante marocchino che una settimana fa, a Palermo, si era
dato fuoco, come estrema e disperata protesta contro i ripetuti
sequestri della sua merce e della sua dignità, è morto. Aveva un
regolare permesso di soggiorno e una altrettanto regolare licenza di
vendita. Il regolamento comunale prevede però che gli ambulanti non
possano fermarsi più di un ora in un certo luogo della città, e per
questo una più che meticolosa pattuglia di vigili urbani - sempre gli
stessi, a quanto pare - ha provveduto contro di lui a quattro sequestri
in pochi giorni. All’ultimo, Adnane (da dieci anni in Italia, moglie e
figlia in Marocco) non ha retto più: ha minacciato di darsi fuoco, tra
l’incredulità o l’indifferenza dei presenti, e lo ha fatto.
Nel suggerire una riflessione su questo avvenimento terribile mi ero
riproposto di superare il livello della cronaca e della denuncia, per
tentarne piuttosto una analisi, per così dire “tecnica”. Dopo tutto, è
quello che più o meno ci si aspetta dal sociologo di professione: avere
elementi per capire “perché” episodi come questo possano accadere. Ma
mi accorgo di avere in mano solo armi spuntate, come in pochi altri
casi. Non vi è nulla da capire, nel caso di Adnane: tutto è chiaro e
ripetuto infinite volte. Si sono stabilizzati nel nostro paese (e,
ovviamente, non solo da noi) meccanismi inerziali di eliminazione dei
più deboli, che procedono con grande efficacia, meccanicamente e
spietatamente. Agiscono nell’indifferenza e nell’impazienza dei più,
tollerati e spesso giustificati da una correlativa ansia di
affermazione e talvolta di prevaricazione. C’è una intolleranza
latente, che cerca ogni occasione per precipitare in gesti di
discriminazione concreta, e tanto più in contesti sociali svantaggiati.
Vi sono pratiche istituzionali incapaci di cogliere con intelligenza
gli obiettivi primari, e comportamenti di ruolo che ne mettono in atto
i tratti più aggressivi e arroganti. Vi sono i segni di un razzismo
“minore” che non ha bisogno di imprenditori politici espliciti, perché
ormai è capace di procedere da sé, burocraticamente e anonimamente,
nelle pieghe della “normalità” dei comportamenti quotidiani. Non
accontentiamoci del cordoglio, neanche di quello sincero: si tratta
piuttosto di ricostruire le condizioni per una nuova (e minima)
coscienza civile.
Enzo
Campelli, sociologo
|
|
I peggiori hanno perso la
paura e i migliori la speranza
|
 |
È un errore considerare la democrazia un risultato stabilmente
acquisito. Al contrario è una forma politica fragile, anzi
fragilissima, che può scadere, degradarsi, precipitare. I confini con
un dominio totalitario sono più labili di quanto non si voglia pensare.
Delegare è giusto, finché si mantenga il diritto di ritirare la delega
e ci si senta rappresentati, finché insomma si resti cittadini.
Le tempeste devastatrici che investono una democrazia non sono
pericolose per quello che creano, dato che, a ben guardare, non creano
nulla. A causa dei germi autodistruttivi che contengono, lasciano anzi
dietro sé solo devastazione. I peggiori governano infondendo paura e
impotenza. Ma paura e impotenza sono principi antipolitici perché
impediscono l’azione, la partecipazione, la responsabilità. L’impotenza
disorganizzata degli individui isolati, ai quali è stata sottratta la
speranza, è l’indice di una democrazia al collasso, è il sintomo di una
convivenza umana difficile.
Che antiche parole ebraiche, riprese nella grande testimonianza di
Primo Levi, parole che, mentre restituiscono la speranza, chiamano alla
risposta responsabile qui e ora, siano comparse nelle piazze italiane
rende orgogliosi e fieri. Ha ragione Anna Segre. Decontestualizzate?
Ignorate nella fonte? Eppure molte pensavano a Primo Levi. Più
importante è che Israele suggerisca la speranza di un nuovo inizio, una
ri-nascita democratica avanzata non per caso dalle donne.
Donatella
Di Cesare, filosofa
|
|
 |
torna su ˄
|
notizieflash |
|
rassegna
stampa |
Qui
Roma - Una serata di studio
in ricordo di Tullia Calabi Zevi
Roma, 21
febbraio 2011
|
|
Leggi la rassegna |
In occasione del trentesimo giorno dalla scomparsa, si svolgerà
questa sera, all'Oratorio Di Castro di via Balbo, una serata di studio
in ricordo di Tullia Zevi, presidente Ucei dal 1983 al 1999,
corrispondente per testate importanti come il quotidiano israeliano
Maariv, il settimanale londinese The Jewish Chronicle e il Jewish
Telegraphic Agency. A ricordarla questa sera saranno il rabbino capo di
Roma, rav Riccardo Di Segni, il rav Roberto Della Rocca, il rav Scialom
Bahbout e il rav Benedetto Carucci Viterbi.
|
|
|
|
|
 |
torna su ˄
|
 |
è il giornale dell'ebraismo
italiano |
 |
|
 |
 |
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
|
L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
Avete ricevuto questo
messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare
con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete
comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it
indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI -
Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo
aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione
informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale
di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.
|
|
|