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23 febbraio 2011 - 19 Adar 5771
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l'Unione informa
ucei 
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Adolfo Locci
Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova

“Si fece la conca di rame...con gli specchi delle donne...”  (Shemot 38:8). La conca di rame era posta all’esterno dell’Ekhal, la sala dove si trovavano la menorà, il tavolo dei pani perenni e, nel kodesh hakodashim, l’arca dell’alleanza. Era fatto con gli specchi che le donne usavano per il trucco, e serviva per le abluzioni dei sacerdoti prima di iniziare il servizio e anche per prendere l’acqua che la sotà, la donna sospettata di adulterio, avrebbe dovuto bere. E’ chiaro che la conca di rame esprima il concetto di kedushà-santità, in particolare quella della famiglia. Il Kohen, con l’abluzione nella conca, non solo si preparava al servizio sacro che doveva espletare, ma si poneva davanti a uno “specchio” che simbolicamente gli rifletteva il senso sacro della famiglia. Per questo la Torà nomina la conca come l’ultimo degli oggetti costruiti del Tabernacolo, per sottolineare che la sacralità della famiglia è basilare senza la quale, persino il culto nel Tebernacolo/Tempio, non può sussistere.

Vittorio Dan
 Segre,
pensionato


Vittorio Dan Segre



Ricordati sempre che il meglio deve ancora venire.

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davar
Qui Roma - Il canale satellitare Rai Italia raggiunge Israele
Relatori_presentazioneSbarca in Israele il canale satellitare Rai Italia. Lo prevede l’accordo New Co. Rai International i cui particolari sono stati presentati a viale Mazzini in una conferenza stampa alla quale era presente il ministro degli Esteri Franco Frattini, insieme al presidente della Rai Paolo Garimberti, l’ambasciatore israeliano in Italia Gideon Meir, e l’ amministratore delegato di Rai New Co. Claudio Cappon, moderati dal direttore generale di Rai New Co. Mario Benotti. Fra il pubblico in sala il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, e quello della Comunità Ebraica Di Roma, Riccardo Pacifici, la vicepresidente Ucei Claudia De Benedetti e il Consiglere Ucei Sandro Di Castro oltre alla presidente della Consulta della Comunità di Roma Elvira Di Cave e a Leone Paserman presidente della Fondazione Museo della Shoah.
Pubblico_presentazione“Questo accordo si fonda su valori condivisi”, ha dichiarato il ministro degli Esteri Frattini, sottolineando quanto sia stato importante per l'Italia nel corso di questi anni attestarsi come il miglior amico di Israele in Europa, che è l'unica democrazia del Medioriente. “Agli amici israeliani dico che questo accordo pur essendo di grande importanza è solo uno dei tanti che ci vede amici”, ha concluso il ministro riferendosi subito dopo ai delicati momenti che stanno vivendo molti stati mediorientali in questi giorni.
In base all'accordo stipulato il primo febbraio scorso fra New Co. Rai International (Rai World nella denominazione appena approvata) e Yes DBS, l'operatore della tv satellitare a pagamento in Israele, gli italiani che vivono in Israele e quanti interessati a Raitalia, potranno abbonarsi al canale e vedere le trasmissioni con il meglio della televisione italiana e con tutto il campionato di calcio di Serie A e B in diretta.

Lucilla Efrati 


Ridere nel nome di Isacco
Pagina Osservatore RomanoBenvenuti nell’isola di Pesach, un’isola di Pasqua in cui anche le misteriose figure scolpite nella pietra portano la kippah. La visita guidata al mondo alla rovescia di «Pagine Ebbraiche » - con due b: non è un errore di stampa, è la versione tutta da ridere contenuta nel prossimo numero del mensile dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane diretto da Guido Vitale - continua a Torino, all’interno in una Mole Antonelliana riportata alla sua destinazione originaria di sinagoga, come testimonia la prima pagina del locale «Corriere della Sara» (sic).
A fondo pagina i lettori più attenti alle nuove risorse della tecnologia possono trovare un articolo dedicato alla Buber app: «iPhone you- Phone. Una nuova application ebraica consente ormai a tutti i devoti del grande pensatore Martin Buber di portare sempre nel taschino la sua filosofia dell’interrelazione fra l’Io e il Tu». Semel in anno - in questo caso per
Pagine EbraichePurim, la festa ebraica delle sorti che quest’anno cade domenica 20 marzo - licet insanire, e può accadere di scoprire, nell’editoriale del «Corriere» riveduto e corretto dai redattori di «Pagine Ebraiche», il contenuto del prezioso rotolo delle Micra- è Immaot («Minime delle Madri») - un rarissimo testo speculare alle Massime dei Padri rinvenuto nel deserto di Giuditta durante una campagna di scavi archeologici - composto da detti sapienziali in cui una mesta saggezza si fonde a uno spiccato senso pratico («Lei diceva anche: se non sono io per me, chi è per me? E se a casa questa faccenda non la sbrigo io, chi lo farà? E se non ora, quando?»).
Un testo affascinante, chiosano i redattori del «Corriere» al femminile, ma dall’autenticità controversa: per l’ebraismo ultraortodosso «è certamente un falso frutto di una cultura edonistica, perché le madri dell’epoca non avrebbero potuto avere il tempo libero per scriverlo».
In un altro intervento, semiserio ma non per questo meno acuto, si sottolinea il nesso tra l’umorismo e l’immensa misericordia di Dio, come dimostrano le Scritture. «Quanto tutto questo sia antico - si legge nell’editoriale, firmato rav Raggy Ics, rabbino capo e scienziato - lo dimostra il nome del secondo dei tre nostri patriarchi, Izchaq, che deriva dalla radice di ridere. La risata è quella della madre a cui viene annunciata una gravidanza a novant’anni. Avrebbe riso chiunque, anche se quella risata è un segno di poca fede davanti all’annuncio solenne di un miracolo. Ma l’incredulità anziché essere condannata si trasforma in un nome».
La scommessa del prossimo numero di «Pagine Ebraiche» è scherzare «a templio perso» su se stessi e sul mondo per strappare un sorriso ai lettori, affiancando al vastissimo repertorio del cabaret yiddish la difficile arte della parodia: accanto ai cloni parodistici «Corriere della Sara» e «Ragazzetta Ufficiale», c’è pure «L’Osservatore Nostrano» che commenta il festival di Sanremo in un latino maccheronico esilarante, e «la Ripubblica » in versione enogastronomica in cui si citano le più importanti regole alimentari dell’ebraismo per ricordare che «non tutto il maiale viene per cuocere».
«Non si può vivere di solo umorismo yiddish; di barzellette sugli ebrei - afferma Alberto Cavaglion nell’editoriale che introduce «Pagine Ebbraiche» - s’è scritto (forse) troppo». Ci siamo dimenticati di un genere di scrittura, la parodia, dove la cultura ebraica ha lasciato maestri insigni. La parodia impone un discorso sul concetto di imitazione. Gli ebrei posseggono il genio dell’imitazione, scriveva Ahad Ha-Am: è nota la definizione di uomo come «animale mimetico» data da Disraeli.
In Italia basti fare il nome di Franca Valeri. La verità non si può imitare, dice Mendel di Kotzk nei Racconti dei Chassidim di Martin Buber, tutto il resto sì. I romanzi di Philip Roth e tanto cinema americano sono pieni di ragazzi costretti da genitori assillanti a imitare la voce della zia Rachele o di nonno Moshe. I Promessi sposi di Guido Da Verona, l’Antologia apocrifa di Paolo Vita Finzi hanno avuto vita lunghissima e migliaia di lettori. Guido Almansi e Guido Fink raccolsero il testimone e sempre da Bompiani pubblicarono Quasi come, esempio di parodistica comparata. La profondità della parodia è data dalla contiguità con due problemi interpretativi centrali nell’ebraismo: da un lato la questione dell’imitazione di Dio (Levitico, 11, 44), dall’altro il problema del divieto di farsi immagine. Non ci si fa immagine di nessuno, ma con la parola si può fare quello che con il pennello è proibito fare».
Nel Novecento, spesso il pennello è stato sostituito dalla cinepresa, o dallo story board di una sceneggiatura; la presenza della tradizione ebraica nel cinema americano è nota, ma molto più radicata di quanto non si sia abituati a pensare, basti citare tra i produttori i Mayer, i Goldwyn, tra i registi Ernest Lubitsch, Billy Wilder, Joseph Mankiewicz, Otto Preminger, Steven Spielberg, tra i divi i fratelli Marx, Mel Brooks, Danny Kaye, Jerry Lewis, Joan Crawford, Lauren Bacall.
«Delle varie forme della cultura yiddish, quella che meglio si è trasmessa, meglio ha prolificato è stata proprio la comicità - scriveva Dario Calimani commentando un festival della comicità ebraica che si è svolto qualche anno fa - dagli anonimi creatori di storielle fino ai grandi comici americani di origine ebraica, c’è un filo ininterrotto. Dallo Shlemiel dei villaggi mitteleuropei, lo sciocco protagonista di infinite storielle fino ad arrivare a Woody Allen». E oltre.
La vis comica di Vogliamo vivere (1942) di Lubitsch ha trovato una nuova giovinezza in Train de vie (1998) del regista rumeno di origine ebraica Radu Mihâileanu (suo padre Mordechai Buchman prese il nome Ion Mihâileanu dopo essere fuggito da un campo di concentramento nazista durante la seconda guerra mondiale), ma resta di Jerry Lewis (alias Joseph Levitch) secondo Manuel Disegni, la battuta che meglio simboleggia la comicità ebraica americana, coniugando psicanalisi e nevrosi, incertezza identitaria e irrisione della normalità: «Allo psicanalista che gli ha appena diagnosticato uno sdoppiamento della personalità e presentato la parcella di cento dollari, il paziente risponde: “Gliene do solo cinquanta, gli altri cinquanta li chieda al mio doppio”».
La vita è tutta un witz, scriveva anni fa Ranieri Polese parodiando la sigla della trasmissione Indietro tutta per descrivere il motto di spirito ebraico (witz), la battuta imprevista che se da un lato prende di mira le ingiustizie del mondo, dall’altro offre con la risata che provoca una sorta di compensazione a chi di quella ingiustizia è vittima: «Grazie a Dio, per quest’anno abbiamo già avuto il nostro pogrom » dice il padre del protagonista di Fievel sbarca in America (1986) un raro esempio di witz a cartoni animati.

Silvia Guidi, L'Osservatore Romano, 23 febbraio 2011

L'Osservatore nostrano - Ulla televisio in paradiso
Osservatore Nostrano_PagineEbraicheIstum successum festivalorum Sanctiremi misterium est gigantem: habet fortunam etiam cum schifum facit. In anno presente Sanctusremus veramens discretum fuit. Sed non intelligo quid est sic favorevolis in Sanctoremo certamine: horridum aut pulchrum, est grossum successum. Absurdum fenomenum. Deinde cogito: si Sanctusremus immensum miraculum esset? Calmi stamus. Non perdemus discernimentum, non cademus in trebisonda. Non affogamus in acquae calice. Sanctusremus aut miraculum est, aut fortunellus. Semper reminisco illo tempore, puerus erat et auscultabam sagram canzonis melodicae: Modugnum, Villam, Nilla Pizzam. Nilla enim pizza erat et faciebat duos cocomeros sicut astronaves. Hodie, video televisorem, bollettam abbonamenti Raiorum, et cogito: ubi celatus est autenticus sanctus Remus, qui mortus est in ligure terra in quinto speculo? Vescovus erat, non chitarristus elettricus! Certe, Remus non est in palcoscenico Aristonis. In hoc loco est gens seminormalis, magno cum silicone, plasticato pectore, terga in inoxidabile ferro ac polistirolo. Et personae septuagintorum annorum quae tria milia annos demostrant, sicut illa Venetiae figliola a sepulcro rescuscitata qui tirabit totam pellem ultra auricola et nunc est reducta sine nasum: Patta Pravam. Est sanctus Remus in hoc miraculo? Boh. In edizione MMXI mihi venit augusta idea: controllare si sanctus Remus celatus esset sub vestes qualcunaltri. Erat magarus sanctus liguris celatus sub specie Iohanni Morandi? Impossibile. Cognosco Morandum sicut tascas meas. Certe non sanctus est, sed iuvenilis tipus qui sempre tenebat giaccam super spallam, et canebat: “Erat puerus qui sicut me Scarafaggios amabat et Paetras Rotolantes”. Et aliam canzonem: “Face mittere te ab matre ad lactem capiendum”. Possibilis, sanctus Remus celatus est sub Albani occhiales qui sunt sicut televisorem magno cum schermo 54 polliciorum? Non scherzamus, pueri: Albanus non est santus, ille divorziatus est. Vidiste sua giacchettam paonazzam? Ille est sanctus sicut ego sum aeroplanus. Vedemus, vedemus, dixi mihi, ubi celatus est sanctus Remus. Et scrutabam videum per cinquem noctes. Erat sanctus Remus celatus sub vestes terrificantes Annae Ossae, quae manducat solam insalatam et spaventat pueros ? No. Illa Ossa erat, pettinata sicut megera et basta. Ad certum punctum, cogitans et cogitans, venit suspicio: sanctus Remus celatus esset cum astutia sub formis puellae argentinae, Belenis, quia ballavit tangum sicut mulus. Hoc reflexione facta, intellexi: Belenis non est sanctum Remum. Haec puella nefasta est in tango, sed cum per viam deambulat, tota gens girat testam et sibilat. Post cogitavi ad totos amicos suos: non stincos sanctorum, sed paparazzos, gnomos et pentasexuales. Rossanum, Coronam, Lelem Moram. Per caritatem! Et impossibile sanctus Remus est Canalis, quae Georgi Clunei pupa est. Si Canalis sanctus Remus est, ego sum ascensoris.
Sanctus Remus fortunatus homo, morti non videunt televisionem.

Ginus, Pagine Ebbraiche, marzo 2011


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pilpul
Il ruolo degli Usa
Francesco Lucrezi“Mano di budino, in guanto di mozzarella”. Così, con amara ironia, il Tizio della sera ha inteso sintetizzare, su l'Unione informa del 17 febbraio, l’atteggiamento dell’amministrazione americana nei confronti dell’Iran e dei suoi propositi aggressivi. Lo sconfortante giudizio, purtroppo, sembra cogliere nel segno, e pare ben inserirsi in una più generale valutazione dell’attuale capacità di iniziativa e di governo, sul piano mondiale, degli Stati Uniti, di fronte, in particolare, agli imprevedibili sommovimenti in atto in tutto il mondo islamico.    
Personalmente, ho sempre ritenuto che la considerazione dell’influenza, diretta o indiretta, degli Stati Uniti sulle più diverse vicende della politica mondiale sia spesso stata fortemente esagerata dall’opinione pubblica internazionale, per diversi motivi: grossolana semplificazione di situazioni diverse e complesse (l’idea di un unico regista occulto rappresenta un comodo parametro di giudizio comune), gusto di dietrologia (“c’è dietro la CIA”), acritica ammirazione o, più spesso, antipatia per la superpotenza d’oltreoceano (ritenuta capace di tutto, soprattutto di qualsiasi “gioco sporco” a difesa del dominio del “dio dollaro”). Tale sopravvalutazione, ovviamente, non poteva che crescere ulteriormente dopo la caduta del muro e l’implosione, nel 1991, dell’Unione Sovietica, l’altro colosso che, dalla fine della Seconda guerra mondiale, dell’America era stato il tradizionale rivale e avversario.
Al netto di tali esagerazioni, comunque, non c’è dubbio che gli Stati Uniti abbiano costantemente giocato nel Medio Oriente, nel secondo dopoguerra, un ruolo da protagonisti. Basti ricordare la sicurezza e la capacità di leadership dimostrata da Bush senior, nel 1990-91, di fronte alla crisi del Kuwait, quando l’America sembrò, con un capolavoro diplomatico e militare, ergersi con successo a paladina e garante della legalità internazionale, nell’ammirazione di tutti.
I vent’anni trascorsi, da quei giorni, sembrano molti di più, e la capacità di guida e di intervento degli Stati Uniti - e, ancor più, la generale percezione di tale capacità: cosa di massima importanza in politica estera, ove l’apparire conta, spesso, ancor più dell’essere - sembra essere precipitata a picco. Al di là dell’innegabile immagine di impotenza, quello che impressiona, dell’attuale politica internazionale americana, è l’impressione di una totale mancanza di visione, di strategia. Cosa vorrebbero, quale futuro preferirebbe l’America per il Medio Oriente? Mistero. Da quello che appare, Washington assiste ai vari rivolgimenti con un atteggiamento di imbarazzato stupore, e gli improvvisati commenti del Presidente Obama suscitano ormai lo stesso interesse di quelli rilasciati da un tassista, o da un amico al bar.
La superpotenza, evidentemente, è in crisi d’identità. Quanto al suo storico appoggio a Israele (anch’esso, comunque, sopravvalutato: soldati americani sono caduti, negli ultimi settant’anni, a decine di migliaia, in quasi tutti gli angoli del pianeta, ma neanche uno al fianco degli israeliani), è forse presto per dire se, e in che misura, esso appaia in crisi, o indebolito; il sostegno allo Stato ebraico, per fortuna, è ancora sentito come giusto, necessario e importante da una larga maggioranza dell’opinione pubblica statunitense. Ma, certamente, Israele sa che, nel nuovo, sempre più preoccupante scenario, dovrà affidamento, in ogni caso, soprattutto su sé stesso. 


Francesco Lucrezi, storico

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notizieflash   rassegna stampa
Lieberman: “Rispetteremo tutte le leadership
che verranno dopo le rivolte in Medio Oriente"
Bruxelles, 22 febbraio 2011
 
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Israele rispetterà qualsiasi leadership assuma il potere nei paesi arabi vicini, inclusi eventuali movimenti religiosi: quel che conta è che i nuovi governi rispettino i patti assunti in precedenza. Così il ministro degli Esteri israeliano, Avigdor Lieberman, ha risposto a Bruxelles alle domande dei giornalisti sulla possibile presa del potere
nei paesi vicini da parte di movimenti come quello dei Fratelli musulmani in Egitto. "Non interferiamo mai nelle questioni politiche interne dei vicini, si tratta di dispute interne e non internazionali", ha affermato Lieberman. "Spero di vedere maggiore stabilità e sicurezza al più presto: è cruciale per Israele, l'Europa e per il mondo intero, specialmente in una regione così sensibile come il Medio Oriente", ha concluso.
 

Le tante, gravi notizie che ci giungono in questi giorni dal mondo arabo, vanno analizzate con attenzione, e con attenzione si dovrebbero scegliere le parole per descriverle. Non c’è alcun dubbio che la spietata repressione in atto in Libia, che ha già provocato centinaia di morti, si configuri come un vero e proprio massacro, ma che si parli, quasi con ossessione, di “genocidio”, è non solo scorretto (si ha genocidio, secondo l’art. 2 della Convenzione ONU del 1948, quando si ha l’intenzione di distruggere, in tutto o in gran parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, il che non è nelle intenzioni del dittatore libico), ma anche grave perché snatura il significato profondo che questa parola deve mantenere...»

Emanuel Segre Amar











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