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 25 febbraio 2011 - 21 Adar 5771
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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adolfo locci
Adolfo Locci,
rabbino capo
di Padova

Riguardo le offerte necessarie per la costruzione del Tabernacolo, è richiesto che il popolo d’Israele offra con cuore. Nella parashà di Vayakel la parola lev-cuore appare sette volte, a sottolineare il fatto che agli occhi del Signore non conta “quello” che si offre ma “come” lo si offre. Il fatto che sia Moshè e non gli anziani (come accaduto nel caso delle mitzvot relative al sacrificio di Pesach e all’uscita dall’Egitto) a chiedere al popolo la terumà (offerta) per il Tabernacolo, insegna che per ottenere la giusta “qualità” d’animo da parte dell’offerente, una guida deve saper essere in prima fila... (Rav Moshè Zvi Neria; 1913-1995).
Guido
Vitale,
giornalista


guido vitale



L'umorismo non è un gioco. (Zohar)

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davar
Scuola - Il Forum dei direttori chiede impegni concreti
forum direttoriAttenzione ai reali problemi della scuola e dell'educazione e convergenza sui fatti concreti. E' l'istanza articolata in sette punti rivolta agli organismi che governano le istituzioni della minoranza ebraica in Italia espressa in una nota emessa a conclusione della propria recente sessione di lavoro da parte del Forum dei dirigenti delle Scuole ebraiche italiane.
"Il quattordicesimo Forum dei direttori e dei presidi delle scuole ebraiche italiane tra loro consorziate nella rete Galgal – si legge nella nota - sulla base del percorso pluriennale svolto, delle competenze acquisite e delle riflessioni sullo stato attuale delle istituzioni scolastiche e formative, identifica nei punti che seguono gli elementi qualificanti del lavoro futuro, su cui chiede la convergenza concreta degli organi comunitari nazionali (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) e locali (Comunità ebraiche).
1. Realizzazione del progetto Arevut, già presentato e accolto dalla Comunità ebraica di Roma, ideato dal Forum dei direttori in collaborazione con l'Università di Herzlia. Il progetto, fondato su assunti teorici precisi ed esplicitati in un'ampia letteratura scientifica, intende dare alle scuole il ruolo di guida, in collaborazione con le famiglie e la Comunità, per un profondo cambiamento di mentalità e di clima relazionale nella società ebraica del nostro paese.
2. Somministrazione nelle scuole di una batteria di test finalizzati al monitoraggio delle conoscenze, abilità e competenze per promuovere una continuità didattico - educativa nelle scuole ebraiche italiane. Il progetto, elaborato dalle insegnanti Bonato e Leo della scuola di Torino, è stato presentato al Forum dei direttori, che lo ha recepito come di estrema importanza strategica. La sperimentazione di tale modalità di indagine, applicata anche agli studi ebraici, potrà diventare la base di lavoro del forum dei responsabili dell'insegnamento delle materie ebraiche di cui al punto seguente.
3. Organizzazione di due giornate di studio annuali aperte su temi specifici di educazione e formazione. In queste giornate di studio saranno chiamati a intervenire, insieme ai direttori delle scuole ebraiche, esperti del settore.
4. Partecipazione di un rappresentante del Forum all'incontro tra scuole ebraiche, promosso dalla Alliance Israelite Universelle a Barcellona, con il mandato di invitare i presidi di tali scuole a una riunione aperta del Forum destinata allo scambio di esperienze ed al confronto degli obiettivi formativi ebraici in un'ottica europea.
5. Costituzione di un forum dei responsabili dell'insegnamento dell'ebraismo e della lingua nelle scuole delle Comunità. Questo nuovo forum dovrebbe definire un curricolo scolastico ebraico nazionale di conoscenze, competenze e abilità integrato tra i diversi ordini di istruzione.
6. Integrazione nel Forum, come consulenti per progetti specifici e speciali, dei presidi che abbiano terminato il loro mandato per raggiunti limiti di servizio.
7. Identificazione di uno spazio fisso, destinato al Forum dei direttori, sul giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche e su Moked, il Portale dell'ebraismo italiano. Tale spazio permetterà di far conoscere le attività del forum stesso, le problematiche teoriche affrontate in relazione alla educazione ebraica, le questioni concrete con cui i direttori delle scuole si confrontano quotidianamente. Il forum ha già attivato una piattaforma di comunicazione interna tra presidi e direttori volta allo scambio di informazioni e alla condivisione delle esperienze e delle criticità.



Jewboxradio fra poche ore online
artom, toaff, padoaDomani sera, alla mezzanotte tra il 26 e il 27 febbraio, durante una grande festa di inaugurazione, sarà online JewBox, la prima web radio ebraica italiana. JewBox (www.jewbox.it) potrà essere ascoltata anche attraverso il sito di Radio 105, che ha sponsorizzato l’iniziativa e attraverso diversi siti ebraici italiani.
Il giornale dell'ebraismo italiano  Pagine Ebraiche, nel suo numero di marzo attualmente in distribuzione, dedica all'avvenimento questo articolo di Rossella Tercatin. A tutti gli amici che intraprendono questa nuova esperienza un caloroso augurio di buon lavoro dalla redazione del Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it


JewBoxRadio, parole e musica per raccontarsi al mondo

radio jewboxDa fine febbraio è online JewBoxRadio. La Comunità ebraica di Milano diventa così promotrice di una radio a tutti gli effetti, che potrà essere ascoltata 24 ore al giorno, attraverso il suo sito e quello di Radio 105, che ha sponsorizzato il progetto fornendo strumentazione e consulenza tecnica. Per scoprire il mondo di JewBoxRadio, Pagine Ebraiche varca una porta rossa. Dietro a quella porta ci sono conduttori, ospiti, autori, tecnici. Ma anche chi si occupa dei dettagli amministrativi: i diritti discografici, quelli fonografici, le liberatorie… Così circondati da microfoni, cuffie, mixer, pannelli per insonorizzare, i ragazzi di JewBoxRadio hanno fatto in modo che un progetto con grande potenziale, ma anche numerosi ostacoli da superare, diventasse realtà. “Questa radio, come suggerisce il nome, vuole essere un contenitore in cui i membri della Comunità possono diventare protagonisti, raccontando il loro modo di vivere l’ebraismo in tutte le sfaccettature - spiega Simone Mortara, consigliere della Comunità che insieme a Gad Lazarov ha seguito la realizzazione di JewBoxRadio - Il nostro motto è: tutti possono essere spettacolo”. E in effetti sono oltre sessanta le persone coinvolte, con sei redazioni tematiche, dall’intrattenimento all’attualità, dall’ebraismo alla musica, una decina di programmi originali, un gruppo di tecnici diciottenni formati “in casa”, una campagna pubblicitaria di lancio e molto altro. “Quando abbiamo cominciato a lavorare alla radio - racconta Ruben Gorjan, responsabile del progetto - avevamo tre obiettivi: diventare un gruppo, dare a dei ragazzi la possibilità di coltivare le proprie passioni sviluppando delle competenze professionali, raccontare la nostra Comunità e l’ebraismo alla società civile. I primi due obiettivi si sono realizzati, ora è arrivato il momento di scoprire come andrà con l’ultimo!”. Già perché JewBox si propone di essere un’emittente della Comunità per la Comunità, ma anche per chiunque provi interesse per la cultura ebraica. “Ora che la radio va online, la sfida sarà quella di migliorarne sempre più il contenuto, e magari studiare qualche collaborazione con iniziative analoghe, in Italia e all’estero” conclude Mortara. E chissà che in futuro non arrivi anche il brivido della diretta…

Rossella Tercatin, Pagine Ebraiche, marzo 2011


La Chiesa e gli estremismi
sergio minerbiSono stato spesso costretto ad essere critico della politica mediorientale della Santa Sede. Proprio per questo sono lieto di dar atto che anche all’interno della Chiesa c’è chi è pronto ad alzare la voce contro gli estremismi, le ingiustizie e le violenze del fondamentalismo islamico. Né possiamo dimenticare che nel 2006 fu proprio Papa Benedetto XVI ad assumere una posizione simile nella sua lezione magistrale di Regensburg. Eccovi l’intervista con l’arcivescovo emerito di Mosul dei Siri, monsignor Michael Al Jamil pubblicata dal sito Terra Santa.

Sergio Minerbi, diplomatico



«In Iraq i musulmani devono fare di più per isolare i terroristi»

Michael Al JamilL’islam «migliore» non è riuscito fino ad oggi «né a deplorare a sufficienza l’aberrazione della violenza in nome di Dio, né a mettere fine» all’estremismo che si va diffondendo «come un cancro» tra i seguaci di Maometto, mentre i leader musulmani dovrebbero essere «più decisi nel proteggere la loro etica civile e religiosa». È la denuncia dell’arcivescovo emerito di Mosul dei Siri e dal 1997 procuratore siro-antiocheno in Vaticano, monsignor Michael Al Jamil, 71 anni, a margine di una Messa celebrata in rito orientale ieri a Novara, su invito del vescovo monsignor Renato Corti, per sensibilizzare i fedeli sul dramma dei cristiani iracheni.
Eccellenza, lei è visitatore apostolico per i siri residenti in Europa occidentale e viaggia spesso in Italia e in Francia. Che cosa chiede in particolare ai fedeli in Occidente?
Chiediamo ai cittadini né più né meno di quanto chiediamo ai governanti e cioè di restare fisicamente e spiritualmente, con una solidarietà concreta, al fianco dei cristiani iracheni, che sono diventati da anni bersaglio di attacchi atroci: preti uccisi, vescovi rapiti e uccisi, famiglie trucidate dentro le loro case, pullmini di studenti assaltati mentre andavano all’università, con morti e centinaia di feriti… L’ultima strage del 31 ottobre nella nostra chiesa siro-cattolica di Baghdad, con 55 morti e oltre 100 feriti fra le persone riunite in preghiera, è stata di una ferocia senza precedenti. La situazione è diventata sempre più difficile, tanto che molti si vedono costretti a fuggire.
Pensa che sia possibile – e giusto – fermare l’emigrazione?
Quel che penso è che per i cristiani iracheni emigrare porta una morte peggiore di quella che può venire dal terrorismo: perché in Iraq muoiono da martiri, mentre per molti di loro venire a vivere in Occidente significa voltare le spalle alla propria fede, alla propria tradizione e cultura, dimenticare la propria identità fino ad abbracciare costumi immorali. E questo è peggio della morte. Perciò esorto tutti a fare quanto possono per proteggere la presenza dei cristiani in patria, in Iraq e nel resto del Medio Oriente, e a fare pressione sui governi perché portino avanti con tutti i mezzi possibili la tutela delle minoranze non musulmane.
Lo scorso gennaio il Parlamento europeo aveva approvato il testo di una risoluzione che è stata poi ritirata per la mancata menzione delle minoranze cristiane invece dell’espressione «minoranze religiose». Che ne pensa?
Credo che fosse comunque un passo avanti, e che nella drammatica situazione in cui versiamo non è il caso di attaccarsi a dei cavilli. Però al di là di questo episodio, quel che vedo è che le democrazie occidentali, così sollecite a difendere i diritti umani a parole, non riescono a capire la mentalità orientale e soprattutto il pensiero politico di alcune correnti fanatiche dell’islam che considerano i loro concittadini cristiani come una estensione dell’Occidente colonialista, se non gli eredi delle Crociate. Perciò, come cristiani d’Oriente, quello che chiediamo all’Occidente è di osservare in profondità la situazione attuale e, anziché appoggiare con le armi e dando la priorità agli interessi economici il fanatismo tra le varie comunità religiose in Oriente, di alzare piuttosto la voce contro ogni estremismo, ingiustizia e violenza, in difesa della convivenza tra le varie componenti di ognuno dei nostri Paesi del Medio Oriente.
Cosa fa il governo iracheno per prevenire e punire queste stragi?
La risposta del governo è che i cristiani sono vittime del clima di violenza nel Paese, come lo sono gli altri cittadini. Ma in realtà non è così: i cristiani non appartengono ad alcuna delle fazioni in lotta fra sunniti e sciiti, non prendono parte ai conflitti interni e non hanno armi, neppure per difendersi. I cristiani non hanno obiettivi politici: vogliono soltanto continuare a vivere in pace nel loro Paese, con i loro concittadini musulmani. Chiedono perciò il rispetto dei diritti umani fondamentali e dei diritti di cittadinanza.
Molti cristiani già si sono rifugiati in Kurdistan: il cosiddetto «Piano di Ninive» potrebbe dare più sicurezza ai cristiani?
Assolutamente no: si tratta di un piano pericolosissimo, che potrebbe anche rivelarsi una trappola, e del tutto anacronistico: i cristiani non vogliono rinchiudersi in un ghetto: sia il clero iracheno sia la Santa Sede hanno sempre contrastato questa ipotesi.
Quali azioni porta avanti il Vaticano a tutela dei cristiani?
La Santa Sede, da molti anni, non si stanca di condannare in tutte le sedi diplomatiche e istituzionali questi crimini contro l’umanità, che sono tra l’altro la ragione principale dell’esodo dei cristiani da tutto il Medio Oriente, non solo dall’Iraq: l’emigrazione dalla regione è fonte di grande preoccupazione per tutti. Non stiamo parlando semplicemente di una minoranza religiosa, poiché in gioco c’è qualcosa di molto più grande: si tratta dei luoghi che racchiudono le radici stesse del cristianesimo, radici che costituiscono un lievito per lo sviluppo di una vita di coesistenza pacifica e di fratellanza fra cristianesimo, islam e altre religioni. La nostra paura è che questa cristianofobia si estenda ad altri Paesi, come già accade: l’abbiamo visto anche con la strage di Capodanno ad Alessandria d’Egitto.
Si parla da molti anni dell’ambiguità del rapporto fra islam e violenza. Che riscontri avete all’interno dei fori del dialogo islamo-cristiano sul terrorismo di matrice islamica?
Sappiamo bene che gran parte dei musulmani non sono terroristi, però è un dato di un fatto che finora non si è visto nessun terrorista che non fosse musulmano. Il che vuol dire che sono più inclini alla violenza di quanto ci si aspetterebbe da uomini di preghiera, di fede, dunque di pace. In effetti i cristiani aspettano che l’islam si mostri molto più deciso a recuperare il ruolo che aveva quando cristiani e musulmani, nel decimo secolo, fondarono a Baghdad una delle prime università del mondo e con essa gettarono insieme le radici della cultura araba. I cristiani chiedono ai leader musulmani di non permettere a queste correnti estremistiche di svuotare l’Oriente del cristianesimo e distruggere la convivenza secolare che c’è stata. Purtroppo però l’islam migliore non è riuscito finora né a deplorare a sufficienza l’aberrazione della violenza in nome di Dio, né a mettere fine a tali correnti. La nostra speranza è che i musulmani sappiano essere più decisi nel proteggere la loro etica civile e religiosa, impegnandosi a sostenere la presenza dei cristiani e soprattutto a fermare l’estremismo violento che da diversi anni ormai si sta diffondendo come un cancro all’interno dell’Islam.
È stato il clero iracheno a chiedere la convocazione del Sinodo. Che cosa ha rappresentato questo evento?
Il Sinodo ha segnato innanzitutto per le Chiese d’Oriente la presa di coscienza dell’essenza del loro ruolo, della loro vocazione storica in quella particolarissima area geografica del mondo, e del dovere di vivere la fede in modo esemplare, a dispetto delle difficoltà. Inoltre è stato un’occasione per lanciare l’impegno a essere molto più uniti nella pastorale, nell’apostolato, nella vita della Chiesa: nel mondo globalizzato, e a maggior ragione come minoranze, ha poco senso continuare a sottolineare le proprie differenze fra cattolici orientali. È ora di unirsi. Una terza area di intervento è certamente quella del dialogo con i musulmani, e qui speriamo davvero col tempo di procedere insieme nella costruzione dei nostri Paesi, per il progresso delle nostre società.
Dopo la Tunisia e l’Egitto, i popoli del Nord Africa e del Medio Oriente stanno vivendo una rivoluzione della quale si fa ancora fatica a percepire la portata. È davvero iniziata una nuova stagione per il mondo arabo?
È troppo presto per dirlo. Certamente dopo 30-40 anni era ora che questi tiranni se ne andassero. Ma, come dite in Italia, una rondine non fa primavera. Certi regimi non crollano dall’oggi al domani: ci vogliono anni per instaurare la democrazia in Paesi vissuti lungo tempo sotto il controllo delle Forze armate. E il mio timore è che, nella confusione generale che fa seguito a queste rivolte, i cristiani finiscano ancora di più nel mirino della violenza e del fanatismo.

Manuela Borraccino, Terrasanta.net


Qui Firenze - Valdo Spini: "Israele e Palestina insieme
al Festival dei Popoli"
valdo spiniPromossa dalla rivista di dialogo interreligioso Confronti, l’iniziativa Semi di Pace mette per una settimana a confronto intellettuali israeliani e palestinesi che in tutta Italia si confrontano condividendo con il pubblico le loro esperienze e le loro analisi sul complesso problema mediorientale. Ieri pomeriggio si è svolta la tappa fiorentina dell’iniziativa, non a caso ospitata nella sede della Fondazione La Pira, intitolata a quel Giorgio La Pira “sindaco santo” di Firenze a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta che fu costante promotore della pacificazione tra i due popoli e che da presidente della Federazione Mondiale delle Città Unite lanciò lo slogan "Unire le città per unire le nazioni". Moderato da Valdo Spini, ex ministro dell’Ambiente ai tempi dei governi Amato I e Ciampi, e da Mario Primicerio, sindaco del capoluogo toscano alle porte del Duemila, l’incontro ha coinvolto due esperti di cinema mediorientale: l’israeliano Asher Salah, critico e docente di cinema alla Bezalel University di Gerusalemme, e il palestinese Mohammed Bakri, attore e regista di fama internazionale autore della controversa pellicola Jenin Jenin. Il quadro emerso dalla conversazione, integrata dalla proiezione di un duro filmato autobiografico realizzato da Bakri in cui gli elementi di ostilità tra i due popoli si acuiscono in un continuo crescendo, lascia presagire come la strada da percorrere per giungere alla pace sia ancora lunga e impervia. Il cinema resta però una delle chiavi di lettura più efficaci delle reciproche paure e incertezze, uno strumento attraverso cui decodificare stereotipi e ideologie stratificate in entrambe le società. Ne è convinto Selah che, interpellato dalla platea, si sofferma sul recente successo mondiale riscosso da alcuni film israeliani e sugli interessanti sviluppi della produzione cinematografica palestinese. E proprio dal cinema potrebbe partire un suggestivo messaggio di coesione, come auspica Valdo Spini in conclusione di serata. Perché non presentare, si chiede il navigato politico fiorentino, una rassegna comune di pellicole israeliane e palestinesi in occasione del prossimo Festival dei Popoli, grande evento internazionale che ogni autunno propone alla città di Firenze alcune delle migliori produzioni nel campo della documentazione sociale?

Adam Smulevich


Qui Roma - Prima uscita pubblica per Havi'u et hayom
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Il dovere di informare
Anna SegreTra i numerosi e interessanti interventi al convegno Torath Chajim che si è svolto a Torino domenica scorsa in memoria di Rav Menachem Emanuele Artom z.l. mi ha colpito per la sua scottante attualità la lezione di Rav Alberto Moshe Somekh su “Giornalismo: Calunnia e Maldicenza”, argomento trattato dalla rivista Torath Chajim già negli anni ’50 e ’60 con riflessioni che possono essere utili ancora oggi. Impossibile ripercorrere qui tutti gli spunti offerti da Rav Somekh e le fonti da lui citate. Vale comunque la pena notare che nella tradizione ebraica il problema è posto in termini molto diversi da quelli a cui siamo abituati nel dibattito attuale, soprattutto in Italia. Il conflitto non è tra il divieto di diffamare (o il diritto alla privacy) e la libertà di stampa, ma tra il divieto di fare maldicenza e il dovere di informare. Da un lato la maldicenza è molto più estesa della semplice diffamazione (si può fare maldicenza anche dicendo cose vere, o riportando cose vere dette da altri), quindi il giornalista sembrerebbe obbligato alla prudenza; dall’altro, però, informare il pubblico, “smascherare gli ipocriti”, non è un diritto, di cui si può scegliere liberamente se avvalersi o meno, ma un obbligo, a cui non ci si può sottrarre perché l’inadempienza causerebbe un danno alla collettività.

Anna Segre, insegnante

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notizieflash   rassegna stampa

Brescia in manette 
marocchini
che incitavano all'odio razziale
 
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La polizia ha arrestato sei cittadini del Marocco, legati al movimento fondamentalista islamico Adl Wal Ihsane (Giustizia e Carità).I marocchini, tutti residenti nel bresciano, sono accusati di aver costituito una cellula che aveva come obiettivo l'incitamento alla discriminazione e all'odio razziale e religioso, alla violenza e alla jihad (la guerra santa) nei confronti di cristiani ed ebrei. I figli degli affiliati venivano educati all'odio verso cultura e costumi occidentali, nonché di tutte le religioni differenti da quella islamica. Il gruppo non si faceva scrupoli ad utilizzare violenza sia fisica sia psicologica.

 
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Dafdaf
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  è il giornale ebraico per bambini
L'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti che fossero interessati a offrire un proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it  Avete ricevuto questo messaggio perché avete trasmesso a Ucei l'autorizzazione a comunicare con voi. Se non desiderate ricevere ulteriori comunicazioni o se volete comunicare un nuovo indirizzo e-mail, scrivete a: desk@ucei.it indicando nell'oggetto del messaggio “cancella” o “modifica”. © UCEI - Tutti i diritti riservati - I testi possono essere riprodotti solo dopo aver ottenuto l'autorizzazione scritta della Direzione. l'Unione informa - notiziario quotidiano dell'ebraismo italiano - Reg. Tribunale di Roma 199/2009 - direttore responsabile: Guido Vitale.