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7 marzo 2011 - 2 Adar Sheni 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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Quando un verso della Bibbia è
di difficile interpretazione (e ce ne sono moltissimi) i Maestri del
midrash ne approfittano per riferirvi i propri pensieri e le
riflessioni sul mondo e la vita. E' quanto succede ad esempio per un
verso dei Proverbi (14:34) nel quale si dice che "la giustizia
(tzedaqà) innalza un popolo, ma l'amore (chesed) dei popoli è una colpa
(chatat)". Questa traduzione non è detto che corrisponda al senso
originale, ma è il punto di partenza per un'articolata discussione (in
TB Baba Bathra 10b) nella quale diversi Maestri vogliono dimostrare che
quando non c'è giustizia gli atti di apparente amore e solidarietà
internazionale sono ipocrisie e falsità. Questo i Maestri lo dicevano
nella generazione successiva alla distruzione del Tempio, quando
l'immagine del potere romano appariva in tutta la sua durezza. Certe
riflessioni ridiventano ogni tanto attuali, come ora in cui si gioca la
partita di un dittatore spietato, nemico giurato d'Israele, oppressore
dei suoi sudditi e massacratore dei dissidenti, terrorista di stato,
nepotista e quant'altro. Tutto questo, compresa la prima parte di una
sanguinaria repressione, non gli ha pregiudicato il rispetto e
l'ammirazione internazionale, specialmente da queste parti. Solo quando
è sembrato (ma forse il calcolo è sbagliato) che i suoi giorni fossero
finiti, l'indignazione "morale" del mondo della politica è venuta a
galla. Veramente, "l'amore dei popoli è una colpa".
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Anna
Foa,
storica
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Ancora sull'8 marzo. Sembra
evidente che oggi il discorso più urgente, se si pensa alle donne, è
quello delle donne nel mondo islamico. Tutto il resto, naturalmente, è
importante, ma la priorità è quella. Negli ultimi mesi ci siamo battuti
tutti, uomini e donne, per impedire la lapidazione di Sakineh Mohammadi
Ashtiani in Iran, con il risultato di riuscire a fermare l'esecuzione
senza tuttavia ottenerne la liberazione. Nel frattempo, in Pakistan,
una donna è stata lapidata nel settembre dello scorso anno, mentre in
Iran, Afganistan e Pakistan le pubbliche fustigazioni di donne, anche
giovanissime, continuano a verificarsi con
frequenza. In questa situazione, apprendiamo senza troppo stupore,
ahimé, che nell'agenzia dell'ONU per i diritti delle donne, creata nel
2010, entrerà a far parte, insieme con l'Arabia Saudita (altro paese in
cui esiste notoriamente una totale uguaglianza fra i generi!) anche
l'Iran. Un modo veramente fuori dal comune per festeggiare l'8 marzo.
Chissà che cosa ne penseranno le donne iraniane che si battono con
coraggio contro il regime di Ahmadinejad!
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Israele - Il ministro Lieberman in Italia a confronto con Frattini e il cardinal Bertone
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Faccia
a faccia, stamane alla Farnesina, tra i ministri degli Esteri italiano
ed israeliano Franco Frattini e Avigdor Lieberman, da ieri sera a Roma
per una serie di incontri che verteranno sulle principali questioni di
politica internazionale, dall'esodo di profughi africani in Europa agli
sviluppi della situazione in Medio Oriente. Questa mattina il ministro
israeliano è già stato ricevuto in Vaticano dal cardinale Tarcisio
Bertone, responsabile per le relazioni estere della Santa Sede e
dall'arcivescovo Dominique Mombarti, segretario per le relazioni con
gli stati. Nel pomeriggio, nella residenza dell'ambasciatore di Israele
Gideon Meir, il ministro Lieberman incontrerà gli esponenti della
comunità ebraica nella capitale. Stasera, invece, parteciperà ad un
ricevimento in un grande albergo romano patrocinato dal Keren Hayesod,
l'organizzazione centrale di raccolta di fondi per Israele nel mondo
intero. Domani Lieberman avrà colloqui con il premier Silvio
Berlusconi, con il presidente della Camera Gianfranco Fini e con il
titolare dell'interno Roberto Maroni. Quindi si sposterà a Torino e a
Milano. "Sono sempre stato considerato un personaggio controverso
perché offro nuove idee. Ma per me essere polemico, è un fatto
positivo", dice di se stesso Avigdor Lieberman, il ministro degli
Esteri e viceprimo ministro israeliano da oggi in Italia in visita
ufficiale. Leader della formazione Israel Beitenu, Lieberman ha
tramutato in pochi anni il suo movimento da partito di nicchia per gli
Olim (nuovi immigrati) russi a terza forza politica del paese e oggi
egli stesso lo definisce partito più trasversale ed eterogeneo fra
quelli rappresentati alla Knesset . “Come può essersi verificato
tutto questo? E ancor più importante, come possiamo far buon uso del
nostro successo elettorale? “ si domandava il ministro all'indomani
delle ultime elezioni israeliane. Avigdor Lieberman nasce il 5
giugno 1958 a Chişinău in Bessarabia,capitale e città più popolosa
della Moldavia. Si trasferisce in Israele nel 1978. Accarezza l'idea
del kibbutz, ma poi va a vivere a Beer Sheva, presta servizio militare
nel corpo di artiglieria da cui si congeda con il grado di caporale e
successivamente consegue un BA in Relazioni Internazionali e Scienze
Politiche all'Università Ebraica di Gerusalemme. Durante gli studi, è
attivo nel gruppo di studenti "Kastel" associato con il Likud. In
quegli anni il giovane Lieberman si dà molto da fare nella ricerca di
un lavoro e gli viene offerto di lavorare nel club studentesco
“Shabul”, dove incontra la sua futura moglie, Ella (dalla quale avrà
tre figli). Un anno dopo ne diviene direttore generale e responsabile
di tutte le attività del club. Dal 1983 al 1988 Lieberman
contribuisce alla fondazione del Forum Sionista per ebrei sovietici è
membro del Consiglio della Jerusalem Economic Corporation e segretario
della sezione di Gerusalemme del Histadrut Ovdim Le'umit. E' nel 1988
che inizia a lavorare con Benjamin Netanyahu. Negli anni fra il 1993 al
1996 che seguono l'elezione di Netanyahu come leader di partito,
Lieberman diviene direttore generale del partito Likud e nel 1997
direttore gegerale dell'ufficio del Primo Ministro al servizio di
Benjamin Netanyahu. Il suo ingresso nella parte attiva della politica è
nel 1999 quando dopo aver fondato Israel Beitenu, il partito degli
“olim russi” diretto avversario di Yisrael BaAliyah guidato da
Natan Sharansky, conquista quattro seggi alla Knesset. Nel marzo del
2001 viene nominato ministro delle Infrastrutture, ma si dimette nel
marzo 2002. Nel febbraio 2003 diviene ministro dei Trasporti. Esce poi
rimosso dal governo Sharon nel maggio 2004 a causa della sua
opposizione al piano di disimpegno territoriale israeliano da Gaza. Alle
elezioni del 2006 conquista undici seggi, all'inizio è all'opposizione
ma dopo pochi mesi, nell'ottobre 2006 Lieberman stringe un accordo con
il Primo ministro Olmert ed entra al governo con la carica di vice
Primo ministro e ministro degli Affari strategici, una posizione creata
ex novo e che ha come obbiettivo principale quello di tenere sotto
controllo la minaccia iraniana. Due anni dopo, nel 2008 per
disaccordi con il gabinetto del Primo ministro lascia il governo
seguito da tutti gli altri membri del suo partito, secondo Lieberman, i
“negoziati sulla base di terra per la pace sono un errore gravissimo...
e ci distruggerà”. Israel Beitenu che è stato descritto come “il
partito di un solo uomo” per le sue riunioni chiuse ai media e per la
riluttanza dei suoi esponenti a rilasciare interviste, dopo le elezioni
del 16 marzo 2009 è entrato nella coalizione del governo Netanyahu. Dopo
aver assunto l'incarico di ministro degli Esteri Lieberman ha espresso
la propria perplessità sugli accordi della Conferenza di Annapolis che
prevedevano la composizione di tutte le questioni negoziate prima della
loro realizzazione sul campo, aggiungendo che queste discussioni non
sono mai state ratificate dalla Knesset. Le sue rigide posizioni
hanno creato delle spaccature in seno alla società israeliana, che gli
sono valse l'etichetta di ultra nazionalista, in casa e all'estero. Ai
primi di maggio 2009, Lieberman si è recato in missione diplomatica in
molte città europee fra cui Roma, Parigi, Praga e altre città. II 4
maggio, in una conferenza stampa in Italia, aveva affrontato
approfonditamente il problema di uno stato palestinese, affermando che
"L'obiettivo di questo governo non è di produrre slogan o fare
dichiarazioni pompose, ma raggiungere risultati concreti". Parole dure,
ma molti ricordano che in passato sono proprio i leader della destra
israeliana, i più espliciti nell'affermazione della sicurezza
nazionale, ad aver dimostrato la forza e il coraggio di compiere passi
decisivi verso la pace.
r.m.
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Qui
Milano - La festa per il ritorno degli argenti
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Con grandissima emozione la
Comunità ebraica di Milano si è riunita alla Sinagoga centrale per
festeggiare il ritorno dei preziosi oggetti rubati poco più di un mese
fa. La cerimonia, cui hanno preso parte centinaia di persone, è stata
anche l’occasione per ringraziare le forze dell’ordine del capoluogo
lombardo per il lavoro fondamentale svolto per la Comunità nella vita
quotidiana e in occasione del furto che, senza il loro contributo, non
avrebbe potuto avere un così rapido e felice epilogo. Il presidente
della Comunità Roberto Jarach e il rabbino capo Alfonso Arbib sono
intervenuti per sottolineare il grande valore simbolico della festa, in
cui una Comunità unita ritrova degli oggetti importanti “non perché
costino soldi - ha spiegato il rav Arbib - ma perché simboleggiano il
fatto che qualcuno ha voluto spendere quel denaro per dare lustro al
contenuto che questi argenti coprono, la Torah”. Dopo i ringraziamenti
ai rappresentanti delle forze dell’ordine, il presidente Jarach ha
invitato Leone Soued, suo predecessore alla guida della Comunità
ebraica di Milano, a spalancare le porte dell’Aron HaKodesh (Armadio
sacro), per portare fuori i Sifrei Torah, e far tornare gli oggetti
rubati al loro posto. I Sifrei Torah nuovamente adornati da keter e
rimonim sono stati ricondotti nell’Aron, accompagnati dal canto di
solenni salmi.
“Da domani - ha auspicato Jarach - tutti noi guarderemo questi oggetti
con nuovi sentimenti di attaccamento alle nostre millenarie tradizioni
e con nuovo slancio nel cercare di far sì che la nostra ricchezza
spirituale possa trasmettere a tutti quei valori etici e morali che,
soli, possono farci guardare al futuro con ottimismo”.
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La dignità delle donne
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Nel confronto di civiltà,
sempre più serrato, si è tentati di usare sbrigativi criteri di
giudizio. Il che è senza dubbio un errore. Ma forse non è un errore
dire che il banco di prova di una civiltà è il modo in cui sono
trattate le donne. E trattate vuol dire anzitutto viste e concepite.
L’infibulazione è una pratica che sgomenta e fa pensare che, là dove è
diffusa, vi sia un’intenzione aperta di discriminare sin dall’inizio la
donna mettendola in una condizione di svantaggio e inferiorità.
Tuttavia l’uguaglianza, traguardo peraltro lontano, è stata spesso
fraintesa nel mondo occidentale. Ha portato a pensare che bastasse
l’emancipazione, cioè il lavoro e la parità dei diritti (sulla carta).
La donna che suppone di essere emancipata è quella che ha introiettato
un modello maschile e che vede l’emancipazione come abbattimento di
ogni limite, come libertà astratta in cui tutto è consentito, anche la
vendita del proprio corpo, se la meta è il denaro e il potere. Ecco
perché più che di parità, si parla oggi di dignità delle donne. Una
dignità che deve nascere dalla coscienza della differenza del ruolo,
della funzione, dello spazio. E si può anzi sostenere che, non nella
sovrapposizione, ma nella differenza si manifesta l’uguaglianza.
Dignità è un altro modo per dire consapevolezza del limite. Perché è
attraverso il limite – come insegna l’ebraismo – che può darsi la
liberazione.
Donatella
Di Cesare, filosofa
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Israele - Egitto: Timore e incertezza per il futuro delle relazioni
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Il nuovo ministro degli Esteri egiziano è pronto ad adottare con
Israele una linea più dura di quella dell'esecutivo guidato dall'ex
Presidente Hosni Mubarak. A darne la notizia è il Washington Post. Lo
stesso giornale ha poi ricordato che il neo ministro, Nabil Elaraby,
non ha mai nascosto le sue riserve su alcuni punti dell'accordo di pace
firmato nel 1979 dall'Egitto di Anwar Sadat con Israele. Diplomatico di
carriera, Elaraby ha conquistato popolarità tra i dimostranti per
essersi unito alla protesta prima delle dimissioni di Mubarak.
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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