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9 marzo
2011 - 3 Adar Shenì
5771
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Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova
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“E la persona che presenta
l’offerta farinacea all’Eterno...” (Vaikrà 2:1). Il
Talmud (Menachot 104 b), si chiede perché riguardo l’offerta farinacea
la Torah cambia il soggetto. Per le altre offerte di rilevanza
economica (animali bovini, volatili), per indicare l’offerente, viene
usato il termine “adam-uomo”, mentre ora si usa “nefesh” parola che può
essere tradotta come “anima”. Nel midrash talmudico, la risposta alla
domanda iniziale viene direttamente dal Signore: “Chi presenta
generalmente l’offerta farinacea? Il povero. L’offerta del povero la
considero come se avesse presentato la sua anima”. Non è detto che la
ricchezza di un’offerta corrisponda con quella - più determinante -
dell’animo come, nel caso del povero, che con un “pugno di farina”
offre tutto se stesso...
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Alfredo
Mordechai
Rabelo,
giurista
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È di questi giorni la notizia
del dibattito apertosi in Germania attorno al tema della circoncisione,
che, ci si accorge oggi, sarebbe in contrasto con la legge che vieta
l’imposizione di mutilazioni di organi. Tralasciando i commenti
riguardo al luogo d’origine di queste polemiche, che aggiungono
elementi di inquietudine per la coscienza ebraica, il tema solleva
macroscopici problemi, che, come sempre, le contingenze storiche
spingono a riproporre, ma che riguardano logiche comuni a tutte le
epoche. Dovendo schematizzare, indicherei tre nodi su cui mi sembra
imprescindibile riflettere, sia in quanto ebreo, che in quanto
cittadino di un Paese che si inserisce nel solco delle democrazie
occidentali. 1. Il rapporto fra identità ebraica e ritualità. In
sostanza, se il modello di vita ebraico debba riassumersi nell’halakha,
o se si debba pensare ad un’”eccedenza” rispetto al rito. 2. Il
rapporto fra ebraismo e mondo circostante: quanto il primo possa
adattare i propri usi e costumi senza correre gli speculari rischi
dell’assimilazionismo e del settarismo. 3. La forma stessa di un
sistema democratico, che vive nell’ossimoro di dover far rispettare i
diritti civili senza contrastare le libertà di culto. Contraddizione
che si presenta, non da oggi (si pensi al problema della trasfusione di
sangue per i Testimoni di Geova) in tutte le legislazioni democratiche.
Punti che lambiscono il dibattito che si è aperto su queste stesse
pagine negli ultimi giorni, che non stupisce avvenga proprio nelle più
moderne democrazie: ancora una volta emerge il vincolo fra il progetto
universalistico inaugurato dalla stessa cultura ebraica, che riconosce
pari dignità a tutti gli individui, e il modello occidentale che da lì
si è sviluppato, con l’integrazione della cultura greca, latina e
cristiana. Quello stesso progetto che ha spesso spinto gli israeliti a
sopprimere l’ebreo in loro per sacrificarlo sull’altare di un sempre
più astratto universalismo. Dobbiamo forse, ebrei e non, elaborare
nuove forme universalistiche capaci di conciliare le differenze
culturali con i diritti di tutti? Soluzione che, a mio modo di vedere,
non può essere trovata su di un piano teorico, ma concretizzata su
quello storico, che ha il pregio di misurarsi con gli attori in gioco
nel proprio tempo.
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Qui Milano - Jewbox radio è online |
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Uno, due, tre in onda. Dopo
due settimane di rodaggio trasmettendo solo musica, è partita la
programmazione a pieno regime di Jewbox, la prima web radio ebraica
italiana, con una diretta speciale condotta da Roberto Zadik.
Il progetto ci ha impiegato parecchio a scaldare i motori. Due anni, da
quando al segretario generale della Comunità ebraica di Milano Alfonso
Sassun e all’allora presidente Leone Soued, Alberto Hazan, fondatore di
Radio 105, propose di donare una web radio. Divenuta poi anche un’idea
meritevole di essere finanziata dalla Commissione otto per mille
dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Negli ultimi mesi, tra lavori di ristrutturazione per trasformare
un’aula della scuola in sala di registrazione, installazione delle
apparecchiature fornite da 105, formazione dei tecnici, ricerca di idee
e soprattutto di persone pronte a mettersi in gioco, la preparazione
del lancio di JewBoxRadio, il grande “contenitore di ebrei”, è entrata
nel vivo. Il risultato, ora a portata di click, è una web radio che
“forse è partita come un fuoco a carbonella, ma che oggi ha il
propellente per arrivare fino alla luna” ha sottolineato il presidente
della Comunità Roberto Jarach.
Sicuramente l’entusiasmo è già alle stelle, e non soltanto quello dei
“fab five”, Ruben Gorjan, direttore organizzativo, Joseph Menda,
direttore artistico, Jonathan Mele, direttore tecnico, Davide Rosenholz
direttore musicale e Judith Sisa, direttore comunicazione, che
rappresentano il cuore pulsante di Jewbox insieme ai consiglieri Gad
Lazarov e Simone Mortara. Il progetto ha infatti coinvolto quasi un
centinaio di persone, e si candida a diventare forse quel nuovo “centro
giovanile” e polo di aggregazione tanto sospirato dalla Comunità
ebraica di Milano, come ha evidenziato anche il rabbino capo Alfonso
Arbib nell’augurare un grande mazal tov a Jewbox.
Così, dopo settimane di registrazioni e accattivanti presentazioni su
jewbox.it, la prima puntata del primo programma è andata in onda:
Prozadik, dedicato al mondo della musica targato jewish nella maniera
più insospettata, ha svelato i segreti del cantautore e chitarrista Lou
Reed.
Questo tuttavia è solo l’inizio, perché come ha voluto spiegare Joseph
Menda ringraziando i rappresentanti di Radio 105, “abbiamo ricevuto
molto più che una radio, perché parlare di radio normalmente significa
ascoltarla rimanendo passivi, noi invece abbiamo la grande possibilità
di fare radio, e alle spalle un’intera comunità da coinvolgere”.
“Tutti possiamo fare spettacolo, e lo faremo - ha concluso Simone
Mortara, citando quello che è ormai diventato il motto di Jewbox - per
noi stessi, per scoprirci, per migliorarci e quindi essere pronti a
raccontare al mondo chi siamo”.
Rossella
Tercatin
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Qui Torino - Lieberman, parole franche per
Israele |
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Passa anche per Torino il
tour europeo del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman.
Ieri, infatti, il ministro, accompagnato dall’ambasciatore di Israele
in Italia Gideon Meir, ha voluto portare i suoi saluti alla realtà
ebraica piemontese. Ad accoglierlo la vicepresidente dell’UCEI Claudia
De Benedetti e il vicepresidente delle Comunità di Torino Edoardo
Segre.
Figura dai modi schietti e ruvidi, Lieberman ha improntato il suo
discorso sulla necessità di strappare il velo di ipocrisia che avvolge
Israele. Intervento che ha ricevuto diversi applausi e consensi,
nonostante più voci del mondo ebraico torinese negli scorsi giorni
abbiano espresso la propria perplessità per le note posizioni di
politica interna del ministro.
Prima a porgere i propri saluti al ministro israeliano è stata la
vicepresidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Claudia De
Benedetti, la quale ha dedicato il suo saluto istituzionale al ricordo
della tragica condizione di Gilad Shalit, il giovane militare
israeliano rapito da Hamas nel 2006 “che ha ormai vissuto un quinto
della sua vita in desolata prigionia, senza poter ricevere né visite né
conforto”. La vicinanza degli ebrei italiani alle sorti d'Israele è il
terreno comune. Anche il vicepresidente della Comunità ebraica di
Torino Edoardo Segre, chiamato a fare gli onori di casa, ha insistito
sul profondo legame che intercorre tra lo Stato ebraico e gli ebrei
torinesi che lui rappresenta. “Questa Comunità è molto piemontese e
nello stesso tempo molto israeliana”, ha detto Segre, il quale ha
voluto sottolineare, alla presenza del Ministro, la felice integrazione
nella Comunità dei moltissimi israeliani residenti a Torino.
Una delle ragioni che hanno fatto guadagnare a Lieberman molti amici e
molti nemici, è la sua attitudine a non parlare in “politichese”, a
esprimere le proprie opinioni in maniera diretta e senza mezze misure.
Il capo della diplomazia israeliana, anche in occasione della visita
agli ebrei torinesi, non ha voluto portare un semplice saluto
istituzionale: ha piuttosto pronunciato, nel suo ebraico dal forte
accento russo, tradotto simultaneamente da rav Alberto Somekh, un
discorso eminentemente politico, come sempre chiaro e tondo. “Israele è
un paese prospero dal punto di vista economico, e nello stesso tempo
straordinariamente aperto dal punto di vista politico”, ha rivendicato
il ministro. “Io stesso - ha proseguito - sono un esempio vivente
dell'alto grado di democraticità: sono immigrato dalla Moldavia, ho
cominciato a lavorare come facchino, e ora sono il ministro degli
Esteri: in quale altra democrazia è possibile una simile carriera?”. “E
allora come mai - si è chiesto Lieberman - è sempre Israele al centro
delle condanne della comunità internazionale, e non lo sono altri paesi
cui certo non abbiamo nulla da invidiare in fatto di rispetto dei
diritti umani?”. L'ampio intervento del ministro ha toccato diversi
argomenti, per soffermarsi anche sugli sconvolgimenti che stanno
attraversando l'universo arabo: “sappiamo che una classe media
sviluppata è condizione imprescindibile per la costruzione di un regime
democratico: la mancanza di tale fattore è per noi fonte di grandi
timori”. Non manca la stoccata finale: “Molti sostengono che il rientro
d'Israele nei confini del 1967 e il ritiro di tutti gli insediamenti
preluderebbe a una pacificazione della regione: tale credenza è un
pregiudizio o un errore”. Niente mezze misure.
Il dissenso di parte di alcune componenti della realtà torinese dai
principi ispiratori dell'azione politica di Yisrael Beiteinu, il
partito di cui Lieberman è il leader è stato espresso dal Consiglio
direttivo del Gruppo di Studi ebraici, che dal 1975 pubblica il
periodico Hakeillah, diretto da Anna Segre. In forma privata il Gruppo
ha consegnato al ministro, e all'ambasciatore Gideon Meir che lo
accompagnava, una lettera. Il contenuto, che non ha intaccato il
rispetto tributato all'alta carica pubblica, è una nota di dissenso nei
confronti della scarsa considerazione delle minoranze nella società
israeliana manifestata da Yisrael Beiteinu. La schiettezza si è
dimostrata quasi pari a quella dello stesso Lieberman. Il documento
sarà pubblicato sul prossimo numero di Hakeillah.
Ultima battuta, strappata mentre il ministro si dirigeva all’auto blu
con la schiera di guardie del corpo, sul recente sondaggio della BBC,
ripreso da diversi media israeliani. Secondo l’emittente inglese
Israele sta progressivamente e inesorabilmente perdendo consensi fra
l’opinione pubblica di diversi Paesi del mondo. “Quindi per la BBC noi
non piacciamo al mondo? - sorride ironicamente Lieberman - Non dobbiamo
dare credito a ciò che dicono gli altri, men che meno alla BBC che tra
un po’ finirà per collaborare con Al Jazeera. Noi dobbiamo credere in
noi stessi e andare avanti per la nostra strada” ha concluso il
ministro.
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Fiano interroga Maroni: "Denunciare le liste
dell'odio" |
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Una interrogazione
parlamentare presentata dagli onorevoli Emanuele Fiano e Paolo
Fontanelli al ministro degli Interni Maroni per sapere se il Governo
ritiene che si debba verificare attraverso la polizia postale chi siano
gli autori e i responsabili della pubblicazione del sito antisemita
Holywar e del suo contenuto; bloccare il sito e presentare denuncia
sulla base dei dettami della legge Mancino, costituendosi parte civile.
I due deputati segnalano anche il fatto che le pagine del sito, oggetto
di un'indagine della magistratura, che avrebbero dovute essere
cancellate sono state addirittura aggiornate: sul sito si espongono
infatti tesi razziste riguardanti in generale la "superiorità della
razza bianca" e viene attaccato anche il sindaco di Pisa per la sua
politica nei confronti dei rom e degli immigrati.
In una nuova lista appaiono ottanta cognomi di famiglie indicate come
ebraiche della zona di Pisa. Il sito è collegato a un altro denominato
Holywarvszog che pubblicò la lista di oltre diecimila famiglie indicate
come ebraiche in nome di una «guerra santa contro i nemici di Dio e
della Chiesa cattolica». A parlarne qualche settimana fa molti
quotidiani soprattutto nella stampa locale pisana che oltre a dare la
notizia delle famiglie schedate informavano come i siti antisemiti
diffondessero veleni e elementi di odio prendendo di mira singoli
cittadini.
«Sono atti provocatori - ha dichiarato al quotidiano Il Tirreno il rav
Luciano Caro, rabbino di riferimento della Comunità ebraica di Pisa -
bisogna fare molta attenzione e seguire l’evolversi di queste vicende
perché potrebbero avere preoccupanti riflessi nel mondo reale. Man mano
che ci allontaniamo dalla tragedia della Shoah, si stanno sviluppando
sempre di più sentimenti antisemiti e negazionisti. Oggi viviamo un
periodo difficile e in parte incomprensibile sotto questo aspetto e
solo la cultura e una corretta informazione possono distogliere
l’attenzione da questi pensieri».
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Il favoloso mistero dei Finzi Contini |
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Esce stamane in libreria il saggio Il giardino dei Finzi Contini: una fiaba nascosta (Fernandel editore). Pagine Ebraiche di marzo attualmente in distribuzione ne anticipa un brano.
Malgrado il suo vivace realismo storico e sociologico, il giardino dei
Finzi-Contini è pervaso da una grande poeticità legata all’uso di un
discorso allegorico e simbolico che introduce il lettore in un universo
prossimo, molto spesso, a quello fiabesco.
Già all’inizio della sua carriera Bassani aveva pubblicato un racconto,
uscito nel Corriere padano, che alludeva alle “alte mura di un
giardino” che, isolando i suoi abitanti in un luogo e una temporalità
altra, creavano un microcosmo meraviglioso, estraneo alla quotidianità
sociale e storica. In quel racconto del 1936, Bassani evocava perfino
il carattere magico del discorso fiabesco, ossia della “fiaba ascoltata
ad occhi sbarrati con attenzione”, atta ad immergere l’individuo (qui
bambini deliziosamente prigionieri del loro giardino) in una dimensione
magica, incantata: quella del “mistero” e della “fiaba”, come precisava
l’autore stesso.
Un anno dopo, nel 1937, tornava nei suoi racconti, come un leitmotiv,
il tema del giardino incantato, “lungo il viale amico dei tigli”, che
aveva il potere prodigioso di far rinascere “una catena di epoche
lontane, dolci, perdute”.
All’universo della fiaba, però, Bassani non si riferiva esplicitamente,
anche se intitolò proprio Due fiabe due brevi racconti della raccolta
L’odore del fieno. Vi era comunque indirettamente legato: infatti il
genere fiabesco si era sviluppato all’inizio del XIX secolo sulla base
della filosofia idealista, il cui rappresentante italiano più noto fu,
qualche decennio più tardi, Benedetto Croce, guida intellettuale dello
stesso Bassani.
Il grande filosofo napoletano non esitava ad affermare che il Cunto de
li cunti, prima raccolta di fiabe europee (1634 1636) scritte da
Giambattista Basile, al quale gli stessi fratelli Grimm si erano
ispirati e che Croce stesso aveva tradotto dal dialetto napoletano, era
uno dei più bei libri della letteratura italiana.
Ora, se si considera attentamente il romanzo bassaniano, si nota che
esso mette essenzialmente in scena l’iniziazione alla vita di un
giovane prossimo all’età adulta, immerso in un giardino incantato e
magico, popolato da individui eccezionali, con diverse prove da
affrontare e superare per maturare e diventare adulto.
Privo di nome come ogni eroe fiabesco, il protagonista bassaniano si
trova al centro di una vicenda strutturata secondo il modello
tradizionale della fiaba.
Sorprendentemente, la morfologia del racconto bassaniano adotta la
struttura presentata da Propp (Vladimir Propp, antropologo e linguista
russo, ndr): a guardar bene, non manca l’incipit tipicamente fiabesco,
presente nel Prologo, né manca la nascita di una crisi necessaria
all’inizio delle peripezie dell’eroe che, penetrato in un aldilà
sopramondano, incontra aiutanti e antagonisti che lo accompagnano nella
sua iniziazione attraverso vicende insieme incantevoli e dolorose.
L’itinerario esistenziale del protagonista del Giardino sembra perciò
direttamente legato ai presupposti tematici della fiaba e al modello
del viaggio iniziatico che essa sottintende: leggendo le pagine
bassaniane, appaiono centrali le idee di una battaglia accanita contro
nemici multipli e di una conquista identitaria ottenuta dopo un
abbandono volontario dei modelli sociali e dei riferimenti familiari,
proprio come nelle fiabe.
Si tratta inoltre di un viaggio iniziatico che avviene negli spazi
fiabeschi più flagranti.
Il lettore segue infatti l’eroe in luoghi misteriosi ed enigmatici noti
ai lettori di fiabe, carichi di simbolismo, nei quali gli è rivelata,
di volta in volta,una parte della verità: il mondo sotterraneo,
plutonico, la foresta incantata, il castello isolato dotato di un
ideale labirinto e di una simbolica torre, centro nevralgico della casa
fatata che nasconde segreti e rivelazioni arcane.
Nella stessa logica, Micòl e suo padre appaiono come l’incarnazione
perfetta del re e della principessa, o anche dello stregone e della
fata. Abitanti di un universo incantato dalla dimensione mai solo
referenziale ma in permanenza metaforica, offrono all’eroe gli
strumenti necessari alla scoperta delle numerose verità che gli sono
progressivamente divulgate sulla vita, l’amore, la morte, l’arte. Il
fascino fiabesco delle pagine bassaniane sembra anche nascere
dall’impostazione accurata di uno scenario caratterizzato da
un’atemporalità sistematica quando si è nel giardino, assecondata dalla
creazione di uno spazio fatato nel quale i minimi dettagli rinviano a
un mondo straordinario e stregato.
Il linguaggio stesso di Bassani, la fraseologia usata dall’autore, che
è un poeta anzitutto, favorisce la narrazione di un universo in cui il
meraviglioso si mescola con il fantastico: aleggia un’atmosfera in cui
i personaggi sembrano incantati e gli oggetti più ordinari paiono
assumere un valore soprannaturale.
Certi episodi del romanzo offrono perfino una dimensione onirica e
talvolta surreale che immerge il lettore in una realtà del tutto
insolita, priva di riferimenti con il mondo ordinario.
Alla fine del racconto però, l’eroe non sposa la principessa, che lo
respinge e che muore; egli abbandona definitivamente il giardino
incantato. Manca allora il “lieto fine”, elemento paradigmatico della
fiaba popolare. Perché non si tratta ovviamente di una fiaba
tradizionale.
A meno che si tratti di una fiaba nascosta, o di una fiaba “moderna”,
senza happy end - appunto come in Andersen o Saint-Exupéry - in cui
l’eroe riesce, attraverso il dolore, a conquistare la maturità e la
saggezza, come era il caso del resto delle prime fiabe, che si
rivolgevano anzitutto agli adulti e non finivano sistematicamente
bene.
Sophie
Nezri-Dufour
Libro e film
Il
romanzo Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani (Bologna, 4
marzo 1916 – Roma, 13 aprile 2000) è stato pubblicato nel 1962, dalla
casa editrice Einaudi. Anche se successivamente appariranno edizioni da
Mondadori (prima nella collana Oscar e poi nella collana Classici
Moderni). Appena pubblicato, il romanzo ottiene ottime reazioni dal
pubblico e dalla critica, vincendo il premio Viareggio nello stesso
anno. Successivamente il Giardino dei Finzi-Contini confluì nella
raccolta Il romanzo di Ferrara, opera che Bassani pubblicò
nell'edizione definitiva del 1980, ma che riscosse un successo
relativamente minore. Dal romanzo è tratto l’omonimo film del
1970, diretto da Vittorio De Sica (Sora, 7 luglio 1901 -
Neuilly-sur-Seine, 13 novembre 1974). La pellicola vinse l'Orso d'Oro
al Festival di Berlino nel 1971 e il Premio Oscar al miglior film
straniero nel 1972 ed è considerata una delle opere migliori del
celebre regista italiano. Nell’immagine qui accanto, una scena
tratta dal film, con Lino Capolicchio che impersona il protagonista
Giorgio (l’io narrante e anonimo nel romanzo) e Dominique Sanda nel
ruolo di Micol Finzi-Contini.
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Il governo della ragione
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La prossima pubblicazione della
seconda e ultima parte della biografia di Gesù, scritta da papa
Benedetto XVI, nella quale vengono trattate le pagine evangeliche
relative al processo, alla passione e alla morte del nazareno -
tradizionalmente addotte a fondamento di una sorta di responsabilità
collettiva, eterna e ineliminabile, dell’intero popolo ebraico, in ogni
luogo e in ogni tempo (“attraverso tutte le generazione, fino alla
consumazione dei secoli”, come scrisse Origene), per il cosiddetto
‘deicidio’ -, suggeriscono diverse considerazioni.
Com’è evidente, l’idea che un intero popolo possa essere globalmente ed
eternamente ritenuto responsabile di qualcosa avvenuto in un lontano
passato rappresenta, di per sé, un totale oscuramento di qualsiasi
forma di logica e razionalità umana. Anche un bambino di pochi anni,
non plagiato da insegnamenti malati, capirebbe l’assurdità di un simile
assunto. Ma, com’è noto, proprio tale obnubilamento, tale “sospensione
della ragione” ha segnato, per diciassette secoli, la storia
dell’umanità. Eliminare la colpa “metastorica” del deicidio non
significa, pertanto, reinterpretare la storia, in un modo più corretto
e conforme alla verità, ma semplicemente ripristinare il governo della
ragione sul trionfo dell’irrazionalità.
La dichiarazione conciliare Nostra Aetate, nel 1965, compì un
significativo passo in tale direzione, asserendo ufficialmente che la
responsabilità storica della morte di Gesù non può essere addebitata
“né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né, tanto meno,
agli ebrei del nostro tempo”. Una svolta storica, di fondamentale
importanza, che, tuttavia non fece altro che aprire nuovamente le
porte, dopo quasi due millenni, alla ragione umana. Ciò dovrebbe essere
motivo di riflessione: com’è possibile che gli augusti padri conciliari
abbiano scritto questa pagina memorabile, semplicemente dicendo una
cosa che capirebbe anche un bambino?
Ma, ovviamente, l’idea malata del deicidio non si collocava sul piano
della logica e della ragione, ma su quello “meta-logico” e
“meta-razionale” della fede. Dire che la fede vada necessariamente
contro logica e ragione sarebbe, certamente, una forzatura. Ma è un
dato di fatto che può farlo, che lo ha fatto.
Nel tornare sul tema, papa Ratzinger va, però, ancora al di là
dell’enunciato conciliare, in quanto nega la fondatezza dell’idea di
deicidio non soltanto sul piano della razionalità umana, ma proprio sul
peculiare (“meta-logico”, “meta-razionale”) terreno della fede. Sarebbe
la stessa lettura dei vangeli, infatti, a escludere ogni idea di
colpevolizzazione collettiva ed eterna, in quanto le frasi in essi
contenute (soprattutto la famosa “il suo sangue ricada su di noi e sui
nostri figli”) non andrebbero lette in senso di maledizione, ma di
“redenzione, salvezza”, come richiamo alla “forza purificatrice
dell’amore”. Non è il caso, ovviamente, di addentrasi a giudicare la
fondatezza dell’esegesi del Pontefice: è evidente che essa, in ragione
della particolare autorevolezza della sua provenienza, non rappresenta
soltanto un’opinione di scuola, ma è destinata a fungere da fermo ed
durevole indirizzo ai fini di un’interpretazione attualizzante del
messaggio evangelico da parte dell’intera comunità cristiana,
innanzitutto riguardo al delicato rapporto col popolo ebraico, di ieri
e di oggi.
Quanto alla questione, che è stata evocata, di un dovuto
‘ringraziamento’ al pontefice (“non è che ogni volta dobbiamo
ringraziare, dopo aver patito per duemila anni una mostruosità
teologica...”, ha giustamente commentato rav Riccardo Di Segni), non se ne vede
ragione. Mettiamo che uno scolaro, ogni giorno, per anni e anni, venga
pubblicamente punito in classe, perché si crede che un suo antenato, in
tempi remoti, aveva danneggiato la scuola, finché il preside annuncia
che l’antenato, in realtà, non aveva fatto niente, per cui la punizione
viene revocata. Deve ringraziare lo scolaro, o deve scusarsi il preside?
Ma, al di là della questione ‘formale’ del ringraziamento, non c’è
dubbio che le parole del pontefice - che appaiono mosse da un sincero
spirito di amicizia e riconciliazione - risultino meritevoli di grande
apprezzamento, e rappresentino, in tempi densi di difficoltà, un
concreto motivo di speranza.
Francesco
Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
M.O.:
Netanyahu: “Pace con i palestinesi
solo con il controllo militare su Giordano”
Gerusalemme,
8 marzo 2011 |
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Leggi la rassegna |
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu riferendosi a quelli che ha
definito "gli sconvolgimenti" in atto nel mondo arabo,
è tornato ad auspicare un'urgente ripresa del negoziato con i
palestinesi, ma legando un ipotetico accordo di pace a "solide garanzie
di sicurezza per la difesa dello Stato d'Israele": necessarie in
passato - ha detto durante una visita alle unità schierate in
Cisgiordania - e oggi "sette volte" più di prima. “E' qui, sul Giordano
che comincia il nostro confine di sicurezza", ha proclamato ancora
Netanyahu indicando il fiume e rimarcando che solo una presenza
militare su queste rive potrà garantire anche in futuro Israele dal
rischio di "infiltrazioni terroristiche o del passaggio di missili" in
Cisgiordania.
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Sul l’Unione informa di ieri
abbiamo letto una interessante segnalazione di Alberto Cavaglion che mi
sembra opportuno riprendere. Anche in questo caso, come in numerosi
altri, abbiamo assistito a una palese ed esplicita manifestazione di
antisemitismo che non ha ricevuto la minima attenzione da parte del
giornalista che ha registrato l’episodio: non solo a caldo - come in
fondo può succedere - ma neanche in seguito, nel corso delle
riflessioni in studio, con Michele Santoro. »
Emanuel
Segre Amar
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
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