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10 marzo
2011 - 4 Adar Shenì 5771 |
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Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano
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Nella
parashà di Pekudè Moshè fa un rendiconto delle spese della costruzione
del Mishkàn. Secondo alcuni commentatori lo fa per allontanare
qualunque sospetto. Ma Moshè è veramente sospettabile? Ovviamente no.
Rav Moshè Feinstein sostiene che l'azione di Moshè vuole essere un
insegnamento. Fare un rendiconto significa mettere in discussione le
proprie azioni davanti agli altri ma soprattutto davanti a se stessi.
Questa capacità di mettersi in discussione è fondamentale: quando la
perdiamo corriamo dei grossi pericoli. In questo ci possono aiutare
perfino i sospetti infondati di chi ci vuole male. Rabbi Israel
Salanter interpretava in questo senso un verso dei Tehillìm che dice:
"Quando mi assalgono i malvagi ascoltino le mie orecchie".
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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Gli avvenimenti tumultuosi di
queste ultime settimane nel mondo musulmano hanno svelato tre
importanti e preoccupanti problemi. Il primo è che il mondo occidentale
- gli Stati Uniti e l'Unione Europea - hanno dimostrato di non
possedere una visione strategica complessiva ma solamente interessi
limitati e a breve termine, soprattutto riguardo alle fonti di energia
ma anche all'emigrazione, e oltre a tutto in conflitto fra un paese e
l'altro. L'occidente ha perso il ruolo di guida nella situazione e ha
favorito il caos, con enormi incognite a più lungo termine. Il secondo
problema è che gli esperti hanno fallito nelle loro previsioni, o
meglio non hanno previsto nulla, guidati nelle loro analisi da
speranze, timori, ideologie e interessi più che da un metodo rigoroso e
imparziale in grado di produrre visibili vantaggi di lettura rispetto
al semplice e sprovveduto cittadino. Il terzo problema è che, secondo i
teorici della modernizzazione, la trasformazione delle società segue
storicamente precisi percorsi alternativi, ma la rivolta araba non si
sta muovendo in questo senso. I due assi portanti del cambiamento
dovrebbero essere il passaggio dalla necessità di soddisfare i bisogni
materiali quotidiani alla capacità di esprimere esigenze e aspirazioni
individuali non materiali; e il passaggio dal predominio di un'autorità
religiosa e tribale tradizionale allo sviluppo di valori civili
improntati a razionalità. Quando anche le riforme economiche mettessero
in moto la prima di queste due dimensioni, la seconda rimane ancorata
al punto di partenza, e, nonostante tutti i tumulti nelle piazze, non
preannuncia una reale emancipazione del mondo musulmano.
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Qui Firenze - Un progetto per la
moschea
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“Il progetto di David
Napolitano? Sembra la chiesa di Santa Maria Novella con due minareti.
Caro Rav Levi, visto che la sinagoga di Firenze è in stile arabeggiante
non è che potete scambiarla con il loro scantinato?”. Quella di
Francesco Margiotta Broglio, tra i massimi esperti al mondo di diritto
costituzionale ed ecclesiastico nonché membro della commissione
governativa che portò alla stipulazione delle Intese tra Stato italiano
e minoranza ebraica, è ovviamente una battuta ma riassume tutto il
disagio per l’eterna discussione sull’opportunità o meno di costruire
una moschea a Firenze. Discussione che a detta di molti sarebbe una
palese offesa alla libertà di culto sancita dalla nostra Costituzione e
un problema giuridicamente inesistente. Il dibattito coinvolge da tempo
istituzioni politiche e comunità religiose, piani regolatori e tutele
architettoniche del paesaggio urbano, magri bilanci comunali e leggi di
partecipazione regionale in un continuum di proposte e controproposte
da cui non sarà facile uscire in tempi rapidi. Si è discusso di questo
e delle nuove sfide del dialogo interreligioso alla luce della
crescente presenza islamica in un incontro organizzato
dall’associazione Dialoghi nella sede della Fondazione Stensen. Tra i
vari relatori chiamati a portare un contributo, oltre al professor
Margiotta Broglio, c’erano anche l’imam di Firenze e presidente Ucoi
Izzedin Elzir, il rabbino capo Joseph Levi e l’ex sindaco Mario
Primicerio, presidente della fondazione che porta il nome di Giorgio La
Pira. Fuori dall’istituto si respirava aria di grande tensione. Era
infatti previsto un presidio di Forza Nuova contro la costruzione del
luogo di culto anche se di militanti di quel gruppo non vi sarà traccia
per tutta la serata, probabilmente spaventati dall'ingente spiegamento
di forze di polizia in servizio sul viale Don Minzoni. “L’identità
fiorentina è da sempre fondata sull’accoglienza. Da parte nostra
chiediamo semplicemente di uscire dagli scantinati per pregare in un
luogo degno della nostra città”. È questa la richiesta dell’imam Elzir,
responsabile di una comunità che conta ormai 30mila fedeli e che
combatte quotidianamente per ottenere maggiori diritti e il
riconoscimento giuridico delle sue istanze. Un progetto di moschea c’è
già. Affidato all’architetto David Napolitano, è stato presentato a
inizio settembre. Vasto loggiato di ingresso, sei archi, un grande
rosone, sala di preghiera e due minareti: il complesso rinvia a Leon
Battista Alberti per la facciata e al Campanile di Giotto per i
minareti ed ha fatto molto discutere per le sue caratteristiche
estetiche. In linea teorica va detto che tre moschee sorgono già sul
territorio fiorentino anche se è davvero difficile definirle tali nella
loro veste di garage riadattati per essere adibiti a luogo di
preghiera. “Non è una situazione sostenibile ancora a lungo” chiosa
Elzir.
Nel corso della serata i relatori si soffermano ripetutamente
sull’importanza del dialogo interreligioso invitando a combattere la
cultura della paura e a guardare al domani con fiducia. Il discorso
cade inevitabilmente sui rapporti tra comunità ebraica e islamica,
legate a Firenze da strettissimi rapporti di vicinato. La
moschea-garage di Piazza dei Ciompi si trova infatti a poche centinaia
di metri dalla sinagoga e le occasioni di confronto tra le due comunità
sono spesso incoraggiate dalle parti in causa oltre che dalle
istituzioni. La vicinanza empatica dell’ebraismo fiorentino alla
comunità islamica nel merito della "questione moschea" è stata più
volta ribadita in questi mesi e il fatto che ieri sera in sala fossero
presenti vari suoi rappresentanti, tra cui il presidente Guidobaldo
Passigli e la vicepresidente Daniela Misul, è immagine palese di questo
coinvolgimento. La proposta scherzosa di Margiotta Broglia
difficilmente verrà accolta, scherza Rav Levi, ma se non altro la
disponibilità a dare una mano c’è ed è concreta. Erano stati proprio
due ebrei fiorentini, entrambi presenti all’incontro dello Stensen, a
lanciare alcuni anni fa sulla stampa locale una campagna di
sensibilizzazione per la costruzione della moschea sostenendo il suo
facile inserimento nel contesto urbano: l’architetto e presidente
dell’Opera del Tempio Ebraico Renzo Funaro e l’antropologo Ugo Caffaz.
Tra gli altri anche Alberto Boralevi, architetto e presidente della
Fondazione Ambron Castiglioni, si è detto favorevole al progetto. “Non
vedo – spiega Boralevi – perché non si possa costruire una moschea a
Firenze. Il discorso architettonico-paesaggistico è un falso problema
che si può risolvere affidando il progetto a un architetto competente e
di buon senso. Quanto poi al discorso politico non mi ci voglio
addentrare. Credo comunque che da parte ebraica ci debba sempre essere
particolare attenzione alla libertà di espressione del proprio credo
religioso qualunque esso sia”. Sul finire di incontro Funaro racconta
un aneddoto in qualche modo legato al dibattito in corso sulla moschea.
Riferendosi alla costruzione della grande sinagoga ottocentesca di via
Farini, simbolo evidente dell’emancipazione ebraica, l’architetto
ricorda le grandi polemiche scatenatesi al tempo con il progetto
iniziale che venne letteralmente massacrato dall’opinione
pubblica fiorentina tanto da essere rivisto e modificato più volte e
tanto da imporre all'architetto Marco Treves il supporto di due
colleghi che lo “aiutassero” a rispettare le direttive dell’Accademia
delle Belle Arti dove era diffusa la preoccupazione che il nuovo
edificio potesse avere scarsa aderenza con la skyline cittadina.
“Firenze è una città meravigliosa ma spesso restia al cambiamento. Vi
auguro quindi buon lavoro perché ho il timore che ne servirà davvero
molto” conclude Funaro tra gli applausi.
Adam Smulevich
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Qui
Milano - Confronto aperto su scuola e contributi
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Prosegue serrato e alterna
momenti di tensione e di dialogo, in seno alla comunità ebraica di
Milano, il confronto su scuola, contributi e gestione della crisi
economica. Nella stessa mattinata del sit in di protesta che aveva
visto un gruppo di studenti, genitori e Consiglieri d'opposizione
raccogliersi fuori dalla Scuola ebraica, si è svolto un lungo incontro
nei locali della scuola per analizzare le possibili soluzioni alle
problematiche avanzate da una famiglia che si attende una riduzione
delle rette scolastiche a proprio carico. Nella serata dello stesso
giorno, il Consiglio della Comunità è tornato ad analizzare questi ed
altri problemi, rinnovando fra l'altro all'unanimità l'invito ai
Consiglieri dimissionari Walker Meghnagi e Daniela Zippel di ritirare
le dimissioni presentate negli scorsi giorni.
Sulla questione è intervenuto anche il presidente della Comunità
milanese Roberto Jarach: “Il notiziario 'l'Unione informa' di martedì -
scrive il Presidente - riporta un breve pezzo intitolato “Sit in per le
rette scolastiche”, che si limita a segnalare l’iniziativa motivata
dalle dimissioni di un’insegnante in polemica contro la politica di
gestione delle rette scolastiche dell’istituto. Desidero - aggiunge
Jarach - per chiarezza integrare la notizia con alcune informazioni e
segnalando che sin dal giorno precedente i membri della Giunta avevano
dato la disponibilità ad incontrare una delegazione dei dimostranti per
chiarire alcuni aspetti della questione. Innanzitutto già alle 8.30 il
Presidente, con l’assessore alle scuole Paola Sereni e il
vicepresidente Daniele Nahum, si è incontrato con una delegazione
guidata dal Consigliere UCEI Raffaele Turiel, alcuni genitori e sette
ragazzi per un sereno ed aperto scambio di idee durato circa un’ora e
mezza. Durante l’incontro i rappresentanti del Consiglio hanno ribadito
la massima stima per la professoressa al centro del caso, l’auspicio di
riuscire a far revocare alla docente le dimissioni, la preoccupazione
condivisa per il fenomeno di uscita degli allievi verso alternative
esterne per le superiori (e non solo). La discussione in corso su come
impostare una seria analisi della situazione generale della scuola e
della possibilità di aumentare gli iscritti, anziché limitarsi
all’analisi delle motivazioni di abbandono".
"Per il tema specifico oggetto del sit in - aggiunge Jarach - i
rappresentanti del Consiglio hanno esternato lo stato di forte disagio
causato dal fatto che la docente in questione abbia voluto intrecciare
le proprie vicende famigliari, relative ai sussidi comunitari, con il
proprio rapporto di lavoro come insegnante della scuola".
"La partecipazione spontanea di genitori e alunni - ha aggiunto dal
canto suo Raffaele Turiel - è valsa a testimoniare concretamente la
preoccupazione per la possibile perdita di un'insegnante eccellente
capace di sviluppare percorsi di innovazione riconosciuti e apprezzati.
Una defezione che va assolutamente scongiurata. Ho apprezzato
moltissimo la testimonianza di genitori e ragazzi del liceo e, come
tale, considero sia stata apprezzata anche dall'insegnante perché, pur
nel difficile momento, ritengo che non via sia soddisfazione maggiore
del vedere riconosciuto dagli utenti il valore del proprio contributo
apportato negli anni alla scuola ebraica".
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Qui
Milano - Ottolenghi: "La sfida della democrazia"
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Una mancanza di reazione
potrebbe costituire un errore fatale. Le democrazie occidentali
farebbero bene ad agire velocemente per aiutare le rivoluzioni che
stanno cambiando il volto del Medio Oriente a prendere forma. E' questo
il monito di Emanuele Ottolenghi (nell'immagine), senior fellow alla
Foundation for Defence of Democracies, lanciato a una serata milanese
del gruppo di studi Keshet. "E' entusiasmante applaudire la caduta dei
dittatori dagli spalti. Ma ora, mentre i paesi cadono come birilli, c'è
da temere che i soli gruppi nella regione con una strategia siano le
forze radicali islamiche. E quando la situazione si sarà calmata
saranno le uniche a emergere se l’Occidente resterà neutrale”.
“Gli europei tentennano”, ha detto Ottolenghi, che lavora a Bruxelles
per il centro di ricerca statunitense. “Per anni la loro politica per
il Medio Oriente li ha visti anzitutto divisi tra la necessità di
costruire un fronte comune con gli Stati Uniti e la tradizionale
simpatia popolare per i palestinesi nel conflitto arabo-israeliano.
Difettano - ha incalzato Ottolenghi - di un pensiero strategico.
Contemporaneamente, la maggior parte dei paesi arabi esprime due
obiettivi, la sopravvivenza dei loro regimi e il contenimento
dell’Iran. Anche loro non hanno strategie. Le sole a pensare
strategicamente sono le forze radicali in Iran, Siria e Hezbollah,
perché vedono un’opportunità di rafforzare la loro posizione. Queste
forze radicali si stanno ammassando e l’Iran fornisce loro protezione”.
Ottolenghi ha affermato che le recenti ondate rivoluzionarie che hanno
scosso la Tunisia, l’Egitto e la Libia “non sono sollevazioni
democratiche”. “Si tratta di popolazioni disperate che invocano una
vita migliore, per un governo più giusto, per maggior trasparenza e
opportunità. E’ sicuramente uno sviluppo incoraggiante. Le priorità di
un governo nuovo possono cambiare. Se la sua attenzione è rivolta a
creare lavoro, scuole e ospedali, ad esempio, potrebbe dedicare meno
risorse a programmi nucleari clandestini”.
“Ma, perché non siamo davanti a una reale svolta democratica come siamo
abituati a conoscerla, la situazione è fragile e dobbiamo chiederci
quali saranno le conseguenze se l’Occidente non si schiera. Preferiamo
rimanere neutrali - ha detto - ma la neutralità non è davvero neutrale
oggi. In Libia aiuta Gheddafi. I ribelli libici hanno chiesto una 'no
fly zone', ma i Paesi occidentali si sono rifiutati”. “Se il Sudan,
l’Iraq e la Siria sono i paesi che forniscono ai ribelli le armi e li
aiutano - ha denunciato - ci saranno conseguenze di lungo termine. Non
schierarsi è miope, con mezzi finanziari e forse anche militari, con le
forze che sono più vicine al nostro modo di pensare. Le democrazie
occidentali non dovrebbero abbandonare l'avanzata di queste rivoluzioni
senza un contributo”.
Un golpe estremista avrebbe ripercussioni maggiori in alcuni paesi
rispetto ad altri. Se il Bahrein, dove si trova la Quinta flotta
americana, dovesse cadere in mano a un partito sciita islamico vicino
all’Iran, gli Stati Uniti potrebbero esse costretti a una risposta
militare.
“Il paese dove una rivoluzione sarebbe più auspicabile - ha aggiunto
Ottolenghi - è anche quello dove la scintilla del cambiamento appare
più debole nonostante significative proteste. In Iran occorre sostenere
l’opposizione. Invece gli Stati Uniti hanno promesso di non
approfittare della situazione per aumentare le pressioni su Teheran”.
Ottolenghi ha suggerito che il regno di terrore e lo stato di polizia,
assieme alla memoria della passata rivoluzione seguita da otto anni di
sanguinosa guerra, ha reso anche l’opposizione riluttante a parlare
apertamente di rivoluzione.
L’Iran è una delle ragioni per le quali Ottolenghi avrebbe voluto che
Natanyahu estendesse il congelamento degli insediamenti. Una simile
scelta potrebbe consolidare il sostegno di alleati statunitensi e
europei a Israele in caso di minacce da Teheran. Ma non ritiene questa
diplomazia poco sensibile responsabile né di una percezione critica nei
confronti dello stato ebraico da parte dei media, né della paralisi dei
negoziati di pace. “Esistono piuttosto – ha affermato -
ancora troppi accademici e intellettuali che non ritengono Israele
abbia il diritto di esistere, che credono sia illegittimo e illegale. E
lo stanno insegnando alle nuove generazioni. Questo problema rimarrebbe
anche se Netanyahu si esprimesse al meglio”.
Jill Goldsmith
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Qui Roma
- Negazionismo: Alfano risponde a Pacifici
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Negare la Shoah "non è una
mera opinione che come altre può essere facilmente contestata, ma il
risultato di una ideologia che si colloca all'opposto dei valori alla
base della nostra costituzione e degli ordinamenti democratici del
dopoguerra". Lo afferma il ministro della Giustizia, Angelino Alfano,
in un suo intervento ospitato nel numero di marzo del mensile della
Comunità
ebraica di Roma "Shalom", sulla proposta di introdurre anche in Italia
il reato di negazionismo. Alfano si impegna poi a "promuovere presso il
ministero della Giustizia un comitato di esperti che provveda alla
stesura di un apposito disegno di legge" in materia.
"Lo stesso ragionamento è
sostenuto dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell'uomo, secondo cui - prosegue Alfano - coloro
che fanno un uso perverso della libertà di espressione non possono
pretendere di avvalersi di tale beneficio. Per utilizzare una locuzione
cara agli studiosi potremmo parlare di un vero e proprio abuso del
diritto che in quanto tale non può ricevere tutela e deve essere anzi
contrastato". "Non è la manifestazione di pensiero in sé ad essere
oggetto di incriminazione - spiega Alfano - quanto l'offensività non
astratta, ma concreta contro il sentimento comune e la riprovazione che
la negazione della Shoah produce''.
Sulla proposta di Alfano, il giornale mette in evidenza l'opinione
favorevole del presidente della Comunità ebraica di Roma, Riccardo
Pacifici: ''E' una scelta che ritengo urgente anche in considerazione
del fatto che il numero dei sopravvissuti diminuisce e fra pochi anni
non vi saranno più testimoni diretti. Si tratta di introdurre questo
reato non per assolvere a un impegno verso gli ebrei, ma per garantire
che non sia distorta e negata la verità storica di ciò che è accaduto".
"Con l'introduzione del reato di negazionismo - spiega Pacifici - non
si ha alcuna intenzione di punire e di perseguire chi nel privato,
anche in una chiacchierata in un luogo pubblico, vuole negare la Shoah.
In questi casi non ci potrebbe essere nessuna denuncia, così come
nessuno potrebbe denunciare chi a casa sua nega o banalizza
l'Olocausto. Queste persone sarebbero dei cretini, ma non sarebbero dei
criminali". "Ma se la negazione avviene nei luoghi dove si insegna o in
un luogo Istituzionale allora assume una veste di grande rilievo che
per me va perseguita, per far comprendere dove è lo spartiacque tra chi
insegna la verità e chi diffonde le menzogne'', conclude Pacifici.
Contrario dalle stesse pagine alla proposta si dimostra il Consigliere
d'opposizione della Comunità di Roma Tobia Zevi: ''Il reato di
negazionismo potrebbe paradossalmente trasformarsi in un assist per
questi signori, del tutto screditati nella comunità degli studiosi. Se
in effetti esistesse una fattispecie penale, l'accusato avrebbe diritto
a tre gradi di giudizio e a una difesa. Come in ogni procedimento la
sentenza dovrebbe tenere conto delle sfumature, delle attenuanti, delle
incertezze. E, con i tempi biblici della Giustizia, il negazionista
otterrebbe il suo palcoscenico e potrebbe addirittura, immaginiamo con
quali conseguenze, essere assolto''. "Chi decide - scrive Zevi - quale
massacro sta nel recinto protetto dalla legge e quale no? Se venisse
tutelata per legge la Memoria della Shoah, chi potrebbe negare uno
status simile ai crimini subiti dagli italiani in Istria o Dalmazia, o
a quelli commessi dai nostri soldati all'epoca della guerra d'Etiopia?
E, dunque, l'effetto di questa 'banalizzazione' non rischia alla lunga
di rivelarsi dannoso?''.
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I legami fra
Risorgimento italiano ed ebraico
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In
questi giorni di doverose
celebrazioni dell'unità italiana non deve mancare una riflessione sui
legami storici e culturali tra il Risorgimento italiano e quello
ebraico, che sono stati intrecciati in vari modi, anche strani e
imprevedibili. I patrioti italiani si ispiravano alle storie
dell'esilio ebraico e alla patria perduta d'Israele. Più tardi i
sionisti presero il Risorgimento italiano come modello politico.
Benedetto Musolino, patriota calabrese e combattente risorgimentale,
scrisse mezzo secolo prima di Herzl un progetto per la ricostruzione
dello Stato ebraico. Si riparlerà molto nei prossimi giorni del Va'
pensiero, che si è prestato recentemente a molti usi impropri,
dall'inno dei leghisti alla reclame di un ferro da stiro. Ma le parole,
scritte da Temistocle Solera, si ispiravano alla Bibbia:
"Arpa d'or dei fatidici vati,/Perché muta dal salice pendi? /Le memorie
nel petto riaccendi, /Ci favella del tempo che fu! " Il Salmo
137, 'al naharot Bavel, che quotidianamente recitiamo nelle nostre
preghiere, dice: Lungo i fiumi di Babilonia, sedemmo e piangemmo,
ricordandoci Sion; sui suoi salici appendemmo le nostre cetre...
rav
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
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L'ingorgo
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Il fatto è, pensa il Tizio alla
finestra mangiando i taralli salati di zia Marghitta, che la Storia sta
ancora facendo le sue domande e noi vorremmo già avere le nostre
risposte. E' quasi sera e dal davanzale guarda il serpeggiare del
viale. Col crepuscolo, sfuggono i pini e le macchine incolonnate che
vanno avanti a sussulti. Mastica i taralli. Da giorni e giorni ci sono
parole incolonnate e brividi surriscaldati. Se poi Gheddafi vince, se
il popolo perde la libertà o se finalmente la conquista; se
la loro libertà e quella conquistata al Cairo non fossero quello che
intendiamo noi, lo vedi che hanno riammazzato i cristiani; pensa
proprio "la loro libertà" e un poco si vergogna, perché la
libertà è di tutti e gli dispiace essere così guardingo.
Giù per l'esofago un altro tarallo dal pacco di quelli piccanti: se sia
giusto pensare che la libertà, sgranocchia il Tizio, percorra solo le
strade che dice il telegiornale; e se dietro la gigantesca turbolenza
che non cessa, ci sia davvero Al Quaeda e il Manigoldo dice la verità;
e come sia, si domanda il Tizio bevendo dal bicchiere appannato un
sorso di struggente coca ghiacciata, e come sia la verità
eventualmente detta dal Manigoldo, e come sia bere la coca deliziosa
mentre a poche centinaia di chilometri i mig vecchi ma efficaci
bombardano le città; se sia possibile che un tiranno sia meno carogna
di altre carogne e in che strettoia siamo finiti. E se la libertà di un
popolo possa avere colore, o l'esigenza di pensare senza essere frenati
sia da considerare superiore a qualsiasi ideologia ed è giusto
proteggere questa esigenza dei popoli, e se a proteggerla ci sia il
rischio che un giorno questa tolleranza si ritorca contro l'Occidente,
gli Ebrei, i Cristiani, l'Europa, l'Italia solitaria davanti all'Africa
e contro il Tizio alla finestra che mangia i taralli - e così i taralli
vengono proibiti per sempre. O potrebbe succedere che l'ondata della
libertà araba cambi il nostro tempo in un tempo nuovo, di inesplorate
possibilità.
E' buio. Nel viale, gli autobus e le auto hanno le luci accese. Ah,
sapere già tutto.
Il
Tizio della Sera
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Davide
Assael sulla Milà
Per una svista avvenuta al momento dell'impaginazione del notiziario
quotidiano di ieri nell'area AlefTav, il commento del ricercatore
Davide Assael dedicato al dibattito sulla Milà (circoncisione)
in Germania è stato erroneamente attribuito al professor Alfredo
Mordechai Rabello. I due autori coinvolti ne hanno
cavallerescamente sorriso, vedendo nell'involontario scambio di firme
l'occasione di nuovi confronti e nuove amicizie. Alla redazione resta
il dovere di scusarsi con il lettore.
Maratona
di Roma
in onore di Gilad Shalit
“Correremo per Gilad Shalit”. Lo ha affermato il presidente della
Maratona di Roma Angelo Castrucci nel corso della conferenza stampa
odierna di presentazione del grande evento podistico in programma nella
Capitale domenica 20 marzo. Con questa iniziativa Roma dà ulteriore
seguito all’impegno finora dimostrato al fianco di Gilad Shalit, il
giovane caporale dell’esercito israeliano tenuto prigioniero dai
terroristi di Hamas da quasi cinque anni. Un impegno che è stato
scandito da momenti di grande intensità e partecipazione tra cui il
conferimento della cittadinanza onoraria di Roma a Gilad in occasione
del terzo anniversario del suo rapimento e il più recente spegnimento
delle luci del Colosseo su istanza di Ugei e Bene Berith giovani
prontamente raccolta dal sindaco Alemanno. .
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Crisi
libica e inerzia italiana
Emanuele Fiano, l'Unità, 10 marzo 2011
Congelati
oltre tre miliardi di euro
Così le
sanzioni inguaiano l'Italia
Nino Conte, il Riformista, 10 marzo 2011
“L'inchiesta dell'Aja?
Fattore di deterrenza
da
usare nei negoziati”
Maria Serena Natale, il Corriere della Sera, 10 marzo 2011
Gli emissari di Gheddafi
trattano
con l'Europa
Cristiano Tinazzi, il Messaggero,
10 marzo 2011
E i ventisette accettano
contatti “indiretti”
tramite
Lisbona e Atene
Luigi Offeddu, il Corriere della Sera,
10 marzo 2011
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
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