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14 marzo
2010 - 8 Adar Shenì 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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C'è stata un'interessante
discussione a proposito della diffusione su kolot di un articolo del
Corsera che raccontava la storia di due asili in Israele che sono stati
separati da un muro. Qualcuno ha osservato che non dobbiamo essere noi
a parlar male d'Israele, qualcuno ha criticato l'articolo per una
visione parziale e disinformata, altri hanno rivendicato pieno diritto
all'informazione, bella o brutta che sia. Su questo problema c'è un
illustre precedente, la storia degli esploratori mandati da Moshè a
vedere la terra di Canaan. Dieci di loro - e con loro il popolo che gli
aveva creduto - furono puniti per maldicenza. Il
midrash racconta che c'era stato un provvidenziale aumento di mortalità
in Canaan, allo scopo di distrarre l'attenzione degli abitanti dalla
visita degli intrusi; che però non capirono la cosa, videro solo tanti
funerali e al loro ritorno riferirono il fatto con le parole
drammatiche "è una terra che divora i suoi abitanti" (Bemidbar 13:32).
Anche per questa frase furono puniti. Come a dire che il decoro di
Eretz Israel va protetto e quanto vi accade va descritto in termini
obiettivi e non con mezze verità.
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Anna
Foa,
storica
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Ascoltando le parole dedicate
a Tullia Zevi ieri a Roma, in un Centro bibliografico affollatissimo e
attento, ascoltando le sue stesse parole pronunciate solo pochi anni
fa, nel 2006, in un bel video realizzato da Sorgente di Vita, saliva
forte il rimpianto per la sua perdita, e insieme per la scomparsa di
una generazione, quella di Tullia, che sentiamo di non essere capaci di
rimpiazzare. Forse, questa sensazione di solitudine di fronte alla
scomparsa dei nostri padri e delle nostre madri è qualcosa di comune,
naturale. Ma ho la sensazione che da qualche parte si sia interrotta la
catena della trasmissione dei valori e del sapere fra le generazioni.
Che la generazione successiva a Tullia, cioè la mia, abbia fallito nel
trasmettere, nel suscitare emozioni e passioni, nell'esercitare insomma
la sua funzione in questa catena delle generazioni. Negli ultimi anni,
insegnando, e come me insegnando una materia come la storia, percepisco
sempre più forte l'abisso che ci separa dai più giovani. Un abisso che
non è fatto solo dalla mancanza di conoscenze, dal non sapere
dilagante, ma da un altro modo di percepire, ragionare, pensare. Non un
modo diverso, altrettanto valido e degno di rispetto, ma una
modificazione del percorso mentale che seppellisce sapere e conoscenze.
E il rimpianto per chi non c'è più, diventa rimpianto per un mondo
razionale e appassionato insieme, un mondo di maestri capace di esser
d'esempio e di trovare le parole che arrivino al cuore dei più giovani
e insieme ne alimentino l'intelletto. Un rimpianto che è già, ben lo
sappiamo, una rinuncia ai valori di quanti, come Tullia, si
sono sempre rifiutati di piangere sul presente e hanno sempre guardato
avanti, anche in momenti più tristi e difficili di quelli pur tristi di
oggi.
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Qui Roma
- Il ricordo della "signora dell'ebraismo italiano"
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Prende il nome di Tullia
Calabi Zevi
il Centro bibliografico dell'ebraismo italiano
Il ricordo di una donna forte e decisa, ma aperta al dialogo, alle
culture e alle idee diverse, una persona sicura di poter convincere gli
altri con la parola.
Questo è il quadro emerso sulla personalità di Tullia Zevi z.l.
scomparsa nel gennaio scorso e ricordata al Centro bibliografico
dell'Unione delle Comunità Ebraiche in una serata organizzata in sua
memoria.
Il presidente UCEI Renzo Gattegna ha accolto i partecipanti e
introdotto gli interventi. Tutti gli intervenuti, il già vicepresidente
UCEI Dario Tedeschi, il professore Josè Luis Gotor, il fondatore della
Comunità di Sant'Egidio Andrea Riccardi e la psicanalista Silvia
Rosselli, hanno raccontato le loro impressioni e i loro ricordi legati
alla figura della “signora degli ebrei italiani”, per prendere a
prestito l'appellativo a lei attribuito nella video intervista di
Sorgente di Vita, proiettata in apertura della serata.
Gotor, docente universitario e collega all'Ansa della Zevi e la
Rosselli, figlia di Nello ucciso insieme al fratello Carlo in Francia
dai fascisti, hanno evidenziato attraverso il racconto di alcuni
commoventi aneddoti, la grande disponibilità all'accoglienza e
all'ospitalità, la certezza delle sue convinzioni, ma al contempo la
facilità con cui chiedeva consiglio. Con lei entrambi avevano
instaurato un rapporto di amicizia profonda, di mutuo scambio e
supporto in progetti culturali comuni e nell'affrontare alcune delle
difficoltà della vita.
A ricordarla con affetto
sono stati anche Riccardi, e, in un video, Oscar Luigi Scalfaro (che,
come Presidente della Repubblica, la insignì dell'onorificenza di
Cavaliere di Gran croce): entrambi hanno parlato di lei come di una
donna cordiale, semplice, ma elegante, una “donna grande, ma senza
potere”, che è diventata la “signora dell'ebraismo italiano”, grazie
alla sua saggezza e all'”umanesimo ebraico”.. Una donna laica e di
sinistra che però non mancava di citare la Bibbia e trarre forza dalle
nostre tradizioni per rielaborarle nella promozione del ruolo della
donna e della “sorellanza” (ispirandosi a quella “fratellanza” citata
nei Salmi).
Più tecnico, ma non meno elogiativo e toccante, l'intervento di Dario
Tedeschi che della Zevi fu vicepresidente all'UCEI e ha ricordato i
numerosi progetti “tesi a durare nel tempo” di cui la Zevi è stata
protagonista e spesso anche promotrice: il Centro bibliografico stesso,
infatti, è nato grazie a lei, realizzato durante la sua presidenza con
un finanziamento della Regione Lazio per la ristrutturazione di luoghi
culturali aperti al pubblico; poi l'Intesa con lo Stato dalla quale è
nato successivamente un protocollo analogo anche con la Regione
Sicilia, la ridefinizione dell'ora di religione nelle scuole a difesa
delle minoranze non cattoliche; la commissione Anselmi per far luce
sull'entità delle spoliazioni operate dal fascismo. La Zevi non si
fermò nemmeno davanti alle suore carmelitane intenzionate a usare
Auschwitz come luogo di preghiera cattolica e giunse a un accordo con
alti prelati polacchi per spostare il convento fuori dalla recinzione
del più grande cimitero ebraico d'Europa. Un'attività instancabile che
non è venuta meno neanche negli ultimi anni, quando si adoperò nel
contattare giornalisti ed esponenti vari per chiedere aiuto nel
pubblicizzare il contributo dell'otto per mille, ottenendo l'entusiasta
adesione di Enrico Mentana e Gad Lerner come testimonial televisivi.
E' stato a conclusione della serata che il presidente Gattegna ha
annunciato la volontà del Consiglio UCEI di intitolare il Centro
bibliografico a Tullia Calabi Zevi.
Elena Lattes
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Qui Roma
- Gli amici della Casa famiglia si ritrovano
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Gli
ex ospiti dell'orfanotrofio-Casa famiglia Pitigliani, negli anni '70
fino alla chiusura avvenuta nel '97, si sono incontrati ad
anni di
distanza in occasione dell'evento organizzato in loro onore
dall'Istituto Pitigliani, fortemente voluto dalla ex direttrice della
Casa Franca Coen.
Gioia e commozione i sentimenti che
aleggiavano nella sala dell'Istituto che ha ospitato l'incontro. Gli ex
ospiti si sono trovati faccia a faccia con coloro che furono educatori,
obiettori e consiglieri di quell'epoca, e assieme hanno ricordato la
loro infanzia presso la struttura.
A smuovere i ricordi, fra
l'altro, le loro foto affisse sui dei panelli nella sala e un filmato
di 12 minuti, realizzato da Alessandro Di Gioacchino, che fu obiettore
ed educatore negli anni '92 fino al '96. Un video pieno di ricordi e
momenti felici, che ha suscitato risa, forti emozioni e scroscianti
applausi.
L'evento è stato anche l'occasione per
progettare un futuro incontro anche con coloro che non abitano più a
Roma, in particolare con gli ex adolescenti che hanno fatto l'Alyà.
Valerio Mieli
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Qui Siena - Una giornata per il legame con Livorno
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Città
urbanisticamente e architettonicamente diversissime, Siena e Livorno
trovano un punto d'unione nel fortissimo legame instauratosi negli anni
tra i rispettivi nuclei ebraici. Nel segno di questa lunga e
consolidata vicinanza, testimoniata dalla presenza a Siena per un
cinquantennio di un capoculto livornese, il professor Giuseppe Lattes
z.l., il presidente della Società Israelitica di Misericordia di Siena
Roberto Orvieto, livornese anch'egli, ha voluto organizzare una
Giornata di amicizia tra le due comunità. L'incontro si è svolto ieri
nella sinagoga di Vicolo delle Scotte dove Anna Di Castro, responsabile
culturale della sezione ebraica senese, ha ripercorso alcune tappe del
legame tra ebraismo senese e labronico ricordando come gli ebrei
livornesi si rivelarono determinanti per l'inaugurazione del luogo di
culto. Nel corso della giornata il consigliere della Comunità ebraica
di Firenze Mauro Di Castro e il presidente dell'Opera del Tempio
ebraico Renzo Funaro hanno inoltre informato il pubblico sullo stato di
avanzamento dei lavori alla sinagoga e sul nascituro museo ebraico
senese. Come suggello all'evento il Coro Ventura di Livorno diretto dal
maestro Paolo Filidei ha eseguito un ricco repertorio di canti
della tradizione sefardita. Eseguita alla presenza di un pubblico
numeroso tra cui una quarantina di persone provenienti da Livorno, la
performance si è conclusa con una intensa e commovente HaTikwa, inno
dello Stato di Israele. Hanno fatto seguito al momento canoro un pranzo
kosher predisposto dal capoculto Eli Rabani e una visita guidata dal
tesoriere della Misericordia Filippo Fiorentini alla vicina sede della
Contrada della Torre dove il provveditore ai beni artistici Davide
Orsini ha accolto i presenti illustrando le dinamiche del Palio di
Siena e la singolare divisione della città in contrade. Ebrei livornesi
e senesi si sono poi lasciati con la promessa da parte di quest'ultimi
di ricambiare presto la visita.
Adam Smulevich
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Fondi libici in Italia - Emanuele Fiano "Facciamo chiarezza e congeliamo i fondi"
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Qual'è
il grado di penetrazione del fondo sovrano di Tripoli, della Repubblica
libica, nell'economia italiana? A porre l'interrogativo alla Camera dei
Deputati è l'onorevole Emanuele Fiano (Pd). Secondo Fiano “il Governo
italiano dovrebbe quanto prima adoperarsi per congelare, come già altri
governi hanno fatto, le proprietà della Repubblica libica all'interno
dell'economia del Paese”. E questo sopratutto per “non far sembrare, in
alcun modo, che vi sia da parte nostra, del nostro Paese, del nostro
Governo un disinteresse per quello che sta accadendo in questo momento
sul terreno, per le strade, nelle piazze e nelle città libiche”. La
questione non è di facile soluzione e potrebbe avere risvolti molto
importanti per l'economia italiana, se gli effetti della crisi in Libia
potrebbero essere contenuti sul piano della finanza internazionale la
stessa cosa potrebbe non accadere per l'Italia per la forte convergenza
di investimenti libici nel nostro Paese. Le numerose partecipazioni
azionarie libiche nelle aziende italiane hanno garantito al regime di
Gheddafi una notevole influenza in alcune tra le più grandi e
prestigiose società e banche italiane fra di esse figurano Unicredit,
Mediobanca, Fiat, Finmeccanica, Juventus, Eni, Olcese, Retelit. Queste
partecipazioni vengono realizzate attraverso i fondi sovrani e la banca
centrale che rispondono direttamente al governo libico e quindi a
Gheddafi. Due i principali fondi sovrani libici: il primo è il fondo
Lafico, ( Libyan Foreign Investment Company) e il secondo è il fondo
Lia (Libyan Investment Authority), costituito nel 2006 con capitali
trasferiti dalla stessa Lafico da altri fondi minori e dagli introiti
delle esportazioni petrolifere, detiene capitali per 70 miliardi di
dollari . Secondo una stima del Fondo monetario internazionale, le
attività nette all'estero cumulate dai due fondi e dalla banca centrale
ammonterebbero a 152 miliardi di dollari a fine 2010, quasi il 160 per
cento del Pil.
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Quali analfabeti
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David Bidussa,
nella newsletter di domenica, scrive: "Vorrei che tutti noi avessimo
presente un dato: all'alba del 17 marzo 1861 la realtà del paese era 78
per cento di analfabeti con punte del 90 per cento in Calabria. Il dato
presente tra gli ebrei era conforme". Immagino che l'amico David voglia
dire che il 78 per cento degli ebrei, in media, era analfabeta. Sarà
vero per l'italiano, non certo per l'ebraico, che sono sicuro gli ebrei
dell'Ottocento conoscevano (almeno l'alfabeto) con punte del 90 per
cento o superiori. Peccato che oggi la situazione si sia ribaltata. Il
100 per cento o quasi degli ebrei sa leggere l'italiano, ma quanti
sanno leggere l'ebraico? E' "grasso che cola" se è il 20-25 cento (e
non parliamo della sua comprensione).
rav
Gianfranco Di Segni, coordinatore del Collegio rabbinico
italiano
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Il termine «coloni»
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I telespettatori e i lettori
di giornali, anche quelli più avvertiti, si sono ormai assuefatti al
termine «colono». Ma perché questa puntigliosa precisazione, così
diffusa, eppure così grave? Le parole non sono etichette vuote e
indifferenti; hanno un significato che spesso veicola messaggi
molteplici. Il termine «colono» sintetizza il modo di vedere di
Israele, ne decreta la delegittimazione.
Dalla guerra dei Sei Giorni, che Israele fu costretto a vincere,
cominciò a circolare a chiare lettere l’accusa di colonialismo. Nei
territori occupati in seguito alla guerra si svilupparono insediamenti
che in gergo giornalistico divennero ben presto colonie. Si può su
questo punto criticare la politica di insediamento dei governi
israeliani successivi. Tuttavia la categoria semantica «colonie» resta
problematica. Il potere coloniale è ben altra cosa: si fonda su una
metropoli e sulla installazione di territori immensi e lontani, in una
discontinuità storico-geografica, di cui si sfruttano le risorse e dai
quali si ricavano redditi. È stato questo il modello delle colonie
europee. Le cosiddette «colonie», di cui si parla in riferimento a
Israele, si estendono per 5.800 chilometri e sono molto spesso
paragonabili alla periferia di grandi reti urbane.
L’uso disinvolto, e forse talvolta inconsapevole, del termine «colono»
è inaccettabile, perché finisce per rappresentare Israele come una
grande, enorme colonia, per infangarne la storia, per comprometterne
l’esistenza politica, per minarne la legittimità democratica.
A morire è stata una famiglia di «coloni». Usare il termine «coloni»
piuttosto che israeliani significa far passare l’idea che si trattava
di cittadini che risiedevano illegittimamente rispetto agli autoctoni,
o presunti tali, significa rispolverare il vecchio argomento
dell’autoctonia e del possesso della terra, e soprattutto vuol dire
insinuare una sorta di discolpa per chi ha compiuto un gesto omicida.
Donatella
Di Cesare, filosofa
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Israele:
Strage di Itamar,
il Governo diffonde le foto
Tel
Aviv, 14 marzo 2011
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Ordinata
dal ministro per l'informazione Yuli Edelstein (Likud) la divulgazione
delle immagini dei membri della famiglia Fogel, i cinque israeliani
uccisi nella notte di venerdì a Itamar (Cisgiordania) da uno o
più
attentatori palestinesi. La decisione presa dal ministro è stata e
continua ad essere molto dibattuta e non ha precedente simili nella
storia dello Stato israeliano. Secondo la stampa l'assenso dei
congiunti delle vittime è giunto la scorsa notte, durante un loro
incontro con il premier Benyamin Netanyahu. Edelstein ha detto alla
radio statale che la divulgazione delle immagini - particolarmente
crude - è necessaria per spiegare al mondo "la natura del terrorismo"
con cui Israele deve cimentarsi.
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
articoli e i commenti pubblicati, a meno che non sia espressamente
indicato il contrario, non possono essere intesi come una presa di
posizione ufficiale, ma solo come la autonoma espressione delle persone
che li firmano e che si sono rese gratuitamente disponibili. Gli utenti
che fossero interessati a offrire un
proprio contributo possono rivolgersi all'indirizzo desk@ucei.it
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