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16 marzo
2011 - 10 Adar Shenì 5771 |
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Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova
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“...chi
presenta il suo sacrificio di shelamim al Signore, porterà la sua
offerta verso il Signore tratta dal suo sacrificio di shelamim” (Vaikrà
7:29). C’è una differenza pratica tra la presentazione del
sacrificio di “shelamim” (dalla stessa radice di shalom) rispetto agli
altri. I sacrifici di “olà, chattat e asham” (sacrifici che si devono
offrire per una trasgressione) devono essere dati al Kohen che poi
eseguirà tutte le azioni di rito. La mancanza di partecipazione da
parte dell’offerente è data dal fatto che il sacrificio sia espressione
di kapparà (espiazione per una colpa) e la persona colpevole è in una
condizione di incompletezza spirituale tale da non essere
“presentabile” davanti al Signore, ha bisogno di un intermediario.
Riguardo i shelamim, sacrifici che si presentano con gioia e pienezza,
la partecipazione dell’offerente alle azioni di rito del Kohen è
addirittura richiesta. Speriamo che le nostre azioni, specie quelle che
ci rendono “impresentabili”, possano essere riconosciute e non
perseverate affinché nuovamente si possa essere degni di partecipare
alla vita collettiva della Comunità come se si offrisse un korban
shelamim, in gioia e pienezza. Colgo l’occasione per fare a tutti i
migliori auguri di Chag Purim Sameach!
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Alfredo
Mordechai
Rabelo,
giurista
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Non esiste un ebreo solitario; dove egli va, D-o è con lui. (Baal Shem
Tov)
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Qui Milano - Una serata per l’Unità d’Italia |
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“Ci
siamo accorti che il 16 marzo era il giorno prima del 17 marzo e così
abbiamo deciso che potevano approfittarne” scherza Daniele Cohen,
assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano, parlando della
serata che la Comunità milanese, insieme al dipartimento Educazione e
Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dedica oggi al
tema dell’Unità d’Italia e alla festa dell'identità nazionale che vede
in prima fila la minoranza ebraica italiana.
Poi però torna ai
problemi concreti: “Sul tema del rapporto tra ebraismo italiano e
unificazione nazionale si è detto molto, a partire dal discorso che rav
Riccardo Di Segni
tenne durante lo scorso Kippur (poi pubblicato sul Portale
dell'ebraismo italiano moked.it)”, sottolinea. Dopo l’intervento del
rabbino capo di Roma sono state molte le voci dell’ebraismo italiano
che hanno contribuito al dibattito. Così è nata l’idea di dedicare
l’incontro, che è ormai un appuntamento fisso per tantissimi iscritti
della Comunità, proprio a “Gli ebrei e l’Unità d’Italia. Ebrei per
caso, per necessità o per scelta?”, con gli interventi del direttore
del DEC rav Roberto Della Rocca e di intellettuali impegnati in prima
fila in campo ebraico, come i professori Dario Calimani e Ugo Volli, in
un dibattito moderato dal giornalista Guido Vitale, che coordina i
dipartimenti Informazione e Cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche
Italiane.
“Sul modello della serata organizzata in occasione del
Giorno della Memoria, abbiamo pensato che potesse essere utile un
momento di riflessione ‘in casa’ sulle domande che, come ebrei
italiani, possiamo porci di fronte a questa ricorrenza - aggiunge
ancora l’assessore - poi naturalmente spetterà ai relatori scegliere
come svolgere l’argomento”.
L’iniziativa frutto della
collaborazione tra Comunità milanese e DEC è giunta ormai al suo quinto
appuntamento. La formula buffet e dibattito si è rivelata vincente, con
una partecipazione del pubblico sempre viva e piuttosto numerosa. “Il
bilancio è molto positivo - conferma Cohen - soprattutto perché penso
che abbia portato persone diverse a ritrovarsi in Comunità nel rispetto
delle differenze, ma anche in nome di un denominatore in comune fra noi
ebrei italiani, che è molto più forte di quello che si potrebbe
credere”.
Rossella
Tercatin
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Qui Roma - Parole per l'Italia |
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Si
è parlato del Risorgimento ebraico e del suo contributo all'Unità
d'Italia nell'incontro che si è svolto oggi nell'aula magna del Liceo
Renzo Levi cui hanno partecipato i ragazzi della scuola insieme ai
coetanei dei Licei Montale e Talete di Roma, un evento realizzato
dal progetto memoria della Fondazione Cdec e del dipartimento Cultura
della Comunità Ebraica di Roma, dalla Provincia di Roma e dalla
Federazione nazionale insegnanti. “Parole dall'Italia per l'Italia” il
titolo della mattinata di studio cui hanno partecipato Franca
Tagliacozzo e Ugo Caffaz introdotti dal rav Benedetto Carucci Viterbi
dirigente scolastico del Liceo Renzo Levi e Liliana Di Ruscio
presidente della Sezione Fnism Roma e Regione Lazio. Franca Tagliacozzo
ha parlato dell'emancipazione ebraica e del Risorgimento italiano
mentre il titolo dell'intervento di Ugo Caffaz è stato “Diversi ma
liberi e uniti” che l'antropologo ha dedicato al ricordo di Tullia Zevi
alla sua formazione culturale tesa a valorizzare il contributo che gli
italiani ebrei hanno dato alla costruzione dell’Unità d’Italia da
quando le Repubbliche del 1849, a Roma in specie, li avevano liberati
dai ghetti, dando loro la possibilità di votare e di essere eletti. I
ragazzi delle tre scuole hanno poi dato lettura di alcuni articoli
della Costituzione italiana e alcuni testi inerenti la ricorrenza.
l.e.
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Musica e identità |
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Qualche tempo fa alcuni
giovani ebrei veneziani con aspirazioni giornalistiche avevano iniziato
la pubblicazione di un notiziario dal titolo scherzoso e provocatorio:
“el Berid”. Un nome vagamente arabeggiante per i normali lettori, che
tuttavia i più attenti osservatori giudicarono dissacratorio. La parola
ebraica Berith=patto, alleanza, è biblicamente associata alla
circoncisione (Brith milà), e in giudaico veneziano la distorsione
dialettale Berid stava (e sta, nei pochi che ancora ne fanno uso) a
indicare un organo specificamente maschile che in alcuni leader
politici spesso si sostituisce a determinare azioni che dovrebbero di
regola essere guidate dal raziocinio. La scelta del titolo del
notiziario, che ebbe vita piuttosto breve, voleva dar conto di una
dimensione linguistica propria di un gruppo piccolo - la Comunità
ebraica veneziana - che si dibatteva fra fedeltà a una tradizione
popolare e ironica e un vento di rigorismo religioso che si poneva a
volte in aperta dissonanza con usanze magari non proprio in linea con
lo Shulchan Aruch.
Il dibattito sull’identità dell’ebraismo italiano non può limitarsi al
ruolo che le comunità e i singoli ebbero nella costruzione dell’Unità
d’Italia, ma deve anche confrontarsi con una dimensione più specifica
di realtà locali che hanno costruito relazioni sociali e legami anche
molto forti con il tessuto delle cento città della Penisola. Un
approccio, si dirà, localistico, al limite del “leghismo”. Eppure è una
realtà di cui bisogna tenere conto perché il modo in cui gli ebrei
hanno vissuto e interpretato il loro cammino nella storia è parte
integrante della costruzione di quell’esperienza globale che chiamiamo
civiltà ebraica. Ne è esempio eloquente il dibattito che si va
accendendo in questi giorni attorno a un interessante progetto di
recupero delle musicalità che hanno accompagnato la liturgia nelle
sinagoghe del ghetto di Venezia. E’ assodata la necessità di
documentare con registrazioni i vari riti (minhaghìm) seguiti dalle
differenti ‘edòth che hanno popolato Venezia nei secoli, ed è
assicurata l’esigenza di catalogare e mettere a disposizione degli
studiosi le decine di spartiti originali che venivano interpretati dal
coro e dall’organo nel corso di un ‘800 portatore di forti innovazioni
(spesso non sopravvissute alla prova del tempo); ma nel dar seguito
alla ricerca scientifica, è consentito o meno procedere a esecuzioni
pubbliche in forma di concerto in sinagoga (escludendo lo shabbath e
mo’adìm)? Un dibattito, si badi bene, assai antico in Italia: se ne
discuteva già nel ‘600 fra Mantova e Venezia. Ma oggi il dibattito si
accende fra chi ritiene opportuno selezionare nella storia del passato
ebraico quei soli elementi che siano funzionali al nostro modo di
interpretare l’ebraismo oggi, e chi invece ritiene che tutte le
esperienze ebraiche (specie quelle a dimensione locale) vadano comunque
preservate e valorizzate come patrimonio prezioso. A me sembra sia da
preferire la seconda ipotesi.
Gadi Luzzatto
Voghera, storico
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Prospettive di pace,
fra fantasia e realtà
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La mostruosa, ripugnante strage
di Itamar, nella quale sono stati sgozzati bimbi inermi di pochi anni e
pochi mesi, richiama l’attenzione sul dibattito e le polemiche
recentemente sollevate dalla pubblicazione non autorizzata dei
cosiddetti “Palestinian Papers” (ossia i documenti riservati in cui
sarebbero stati fissati alcuni possibili punti di compromesso, su cui
le due parti impegnate nei colloqui di pace - governo israeliano e
Autorità palestinese - avrebbero già dimostrato, ciascuna nel proprio
ambito, una disponibilità di massima riguardo alle concessioni da fare
reciprocamente). I sommovimenti in atto in diversi Paesi arabi
sembravano aver fatto passare in secondo piano le pubbliche reazioni a
tale divulgazione, ma oggi esse sembrano tornare, di fronte al sangue
innocente versato, di drammatica attualità, altamente indicative
riguardo alla valutazione della concreta possibilità di giungere, prima
o poi, a una qualche forma di accordo di pace.
La generale ‘vulgata’ del contenuto di tali documenti, infatti
(iniziata da un paio di articoli americani, e poi immediatamente,
acriticamente dilagata in tutto il mondo), è stata quella di una
eccezionale disponibilità al compromesso che sarebbe stata dimostrata
dalla parte palestinese (in particolare, riguardo all’accettazione alla
permanenza, in Cisgiordania, di alcuni insediamenti, in cambio di altre
concessioni territoriali), che starebbe quindi automaticamente,
irrefutabilmente a dimostrare - in ragione dell’impasse negoziale - una
speculare rigidità da parte d’Israele, unico vero responsabile del
mancato raggiungimento di un accordo. Una ‘vulgata’ che, nella
generalità dei commenti da parte araba, si è trasformata nell’univoca,
vibrante denuncia della ‘svendita’ della causa palestinese che sarebbe
stata ordita dai negoziatori di Abu Mazen e Salam Fayyad, additati come
“servi degli americani e degli israeliani” per il solo fatto di avere
negoziato con il gabinetto di Olmert. Accuse, naturalmente, respinte
con sdegno dagli interessati, i quali si sono affrettati a smentire
ogni fondamento alle accuse di “cedimento al nemico” - negando la
veridicità dei documenti, e attribuendone la paternità ai servizi
segreti israeliani -, ma senza potere con ciò arrestare un immediato
crollo di consensi e credibilità, a vantaggio delle forze più radicali.
Ed è esattamente in questo contesto che si inserisce l’orrore di
Itamar, come a dire: questo, e solo questo, deve essere il modo di
“trattare”.
Personalmente, da quel po’ che abbiamo capito dei contenuti dei Papers,
veri o falsi che siano, non ci è per niente sembrato che essi
contemplassero delle rinunce unilaterali per i palestinesi, o più
penalizzanti per loro rispetto alla controparte. Basterebbe considerare
che i documenti avrebbero accettato il principio di una spartizione di
Gerusalemme - certamente non facile da accettare per i cittadini
israeliani, anche i più pacifisti e inclini al compromesso -, e non
avrebbero posto alcun ostacolo sulla strada del tanto agognato - almeno
a parole - “Stato palestinese”. Ma non è questo il punto. Ciò che, come
abbiamo detto, rende assolutamente pessimisti riguardo all’esito finale
del negoziato è l’assenza, in tutto il mondo arabo, di una sola voce -
che sia una - improntata a un sia pur parziale, ipotetico, condizionato
apprezzamento del tentativo di compromesso. Il commento prevalente, se
non unico, è stato infatti quello ricordato, sintetizzabile nella
semplice parola “tradimento”. Un rifiuto che non appare per niente
rivolto contro qualche specifico contenuto degli accordi (non ce ne
sarebbe stata alcuna ragione), ma, in sostanza, contro il fatto stesso
di avere negoziato, o, almeno, aver mostrato di farlo. E se, da una
parte, l’idea stessa della trattativa appare rigettata con esecrazione,
da pressoché tutti i commentatori arabi, ben diversa (minoritaria,
ambigua, esitante) è apparsa la condanna della strage.
Un quadro fosco e desolante, nel quale le prospettive di pace mostrano
una concretezza pari allo zero.
Francesco
Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Hamas
blocca a bastonate
la protesta degli studenti
Gaza, 16
marzo 2011
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Leggi la rassegna |
Gaza.
Mille giovani studenti, secondo fonti locali, hanno partecipato oggi a
una manifestazione di protesta contro le violenze a cui si sono
abbandonati ieri i sostenitori di Hamas ai margini di una dimostrazione
in cui si invocava l'"Unità nazionale". Gli agenti dei servizi di
sicurezza di Hamas hanno cercato di disperdere a bastonate i
partecipanti al corteo. Finora, a quanto pare, ci sarebbero alcune
decine di contusi. Nei disordini di ieri si erano avuti alcuni feriti.
Secondo notizie finora non confermate, una giornalista palestinese
sarebbe stata ferita ieri alla schiena da una coltellata. Altri
giornalisti sono stati fermati e intimiditi dalle forze di sicurezza di
Hamas. L'Associazione della stampa estera in Israele (Fpa) ha emesso in
merito un duro documento di protesta contro Hamas.
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Il massacro della famiglia
dei “coloni” (e, si noti bene, vengono sempre definiti coloni, non
israeliani, uccisi da “fuoco nemico”, e non da terroristi, esseri
indegni di essere considerati uomini per l’odio manifestato anche nei
confronti di 2 bambini e di un neonato), trova ancora spazio in alcuni
quotidiani di oggi; Bret Stephens firma un articolo sul Wall Street Journal dal titolo
significativo: Are Israeli Settlers Human? Analoghe le parole di Dennis
Prager in un articolo dal titolo: The other tsunami. »
Emanuel
Segre Amar
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
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