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17 marzo 2011 - 11 Adar Shenì 5771
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Alfonso Arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano


All'inizio della parashà di Tzav è scritto che ci doveva essere un fuoco sempre acceso nell'altare esterno del Santuario. Rashì precisa che questo fuoco serviva per accendere i lumi della Menorà. Rav Moshe Feinstein sostiene che la Menorà rappresenta simbolicamente l'educazione ebraica e il fuoco acceso rappresenta la necessità che quest'educazione stimoli l'entusiasmo e la partecipazione emotiva dell'allievo. Il fuoco però era acceso nell'altare esterno e non in quello interno perché sempre secondo Feinstein l'entusiasmo e le emozioni devono essere uno stimolo iniziale che si deve poi trasformare in studio. E perché lo studio sia proficuo è necessaria l'applicazione e l'uso delle proprie capacità intellettive. 
Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme

Della Pergola
L'Aspen Institute Italia, presieduto da Giulio Tremonti, ha organizzato giorni fa a Villa d'Este sul Lago di Como la terza conferenza del ciclo I protagonisti italiani nel mondo. Erano presenti oltre 80 italiani noti che operano fuori dall'Italia ad alto livello nei campi della ricerca scientifica, della cultura e delle arti, dell'imprenditoria, e delle orgnizzazioni internazionali. L'Italia è un paese esportatore di talenti e condivide con molte altre nazioni sviluppate o in via di sviluppo il problema della "fuga dei cervelli". D'altra parte gli italiani all'estero, specialmente quando si tratta di quadri d'élite, molto contribuiscono ad elevare il prestigio e l'immagine dell'Italia agli occhi dei locali. Al convegno ci siamo interrogati su come la diaspora italiana possa meglio contribuire allo sviluppo dell'Italia, e su quali siano le vie per aiutare il rientro e la re-integrazione dei talenti espatriati. Il problema non è semplice perché dal confronto fra le esperienze accumulate altrove e le possibilità di lavoro esistenti in Italia emerge che certe abitudini culturali profondamente radicate nella penisola rappresentano un ostacolo insormontabile. Troppo spesso i meriti reali vengono subordinati a considerazioni, vincoli e protezionismi di altro genere, mentre si preferisce il successo nello stretto ambito locale a una internazionalizzazione delle idee e delle carriere che è essenziale per riuscire nella sfida con altre società contemporanee. E questo ha ridotto la competitività del sistema Italia sul piano globale. Questo nuovo progetto Aspen di interesse nazionale apre un nuovo serio discorso sul futuro dei rapporti fra l'Italia e la sua diaspora che ricorda da vicino e attualizza l'antico e tutto sommato simile discorso sulla diaspora ebraica.

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davar
Qui Milano - Parlando di Unità d’Italia
milanoTanti interrogativi sono emersi nella serata organizzata dalla Comunità ebraica di Milano e dal Dipartimento educazione e cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, con la partecipazione del direttore del Dec rav Roberto Della Rocca, di Dario Calimani, professore di Letteratura inglese dell’Università di Venezia e di Ugo Volli, professore di Semiotica all’Università di Torino, in un dibattito moderato dal direttore del Dipartimento informazione e cultura dell’Ucei Guido Vitale. D’altronde non poteva essere altrimenti in una serata dal titolo “Gli ebrei e l’Unità d’Italia. Ebrei per caso, per necessità o per scelta?”.
Proprio questo era l’obiettivo, “discutere dei 150 anni dall’Unità d’Italia non tanto in prospettiva storica, quanto interrogandoci sul significato che assume questa ricorrenza per noi, in quanto ebrei italiani” ha spiegato l’assessore alla Cultura della Comunità Daniele Cohen, presentando l’incontro.
La riflessione ha preso avvio guardando alla festa di Purim ormai alle porte, che ha per protagonista “una grandissima comunità nella Diaspora e per questo motivo ci insegna molto - ha spiegato rav Della Rocca - Mordechai e Giuseppe sono le rappresentazioni più perfette dell’ebreo della diaspora, che ne vive intensamente la società fino a raggiungerne i vertici. Eppure e tragicamente, la Torah ci dice che ‘Arrivò un Faraone che non aveva conosciuto Giuseppe’ e tutto cambiò per il popolo ebraico. Proprio come avvenne in Italia nel 1938”.
Già perché la storia dell’ebraismo in Italia dall’emancipazione raggiunta a metà Ottocento, fino alle leggi razziste, testimonia l’incredibile energia che gli ebrei riversarono nella società appena ebbero la possibilità di farlo. “Gli ebrei furono politici, militari, scienziati, industriali. Contemporaneamente però si perse la consapevolezza del valore di una vita ebraica e comunitaria. E forse la valorizzazione della cultura ebraica è qualcosa cui dovremmo prestare una maggiore attenzione anche oggi” ha sottolineato il professor Volli.
Tra il passato e il presente dell’ebraismo italiano emerge infatti una soprendente continuità. “Nel 1863 le realtà ebraiche d’Italia di ritrovarono per la prima volta a congresso - ha raccontato Guido Vitale - Parlarono di formazione rabbinica, di finanziamenti pubblici e di come impiegarli, parlarono di stampa ebraica. Problemi su cui discutiamo ancora oggi”.
La riflessione di Dario Calimani poi si è spinta oltre. “Che cosa significa essere ebrei ed essere ebrei italiani? È una domanda che mi pongo continuamente. Perché nella nostra identità sono penetrati due elementi che hanno cambiato per sempre la storia dell’ebraismo: la Shoah e lo Stato d’Israele. E tuttavia l’essere ebreo non può esaurirsi nel ricordare la Shoah e nell’amare Israele. Per essere ebrei dobbiamo continuare a muoverci e a interrogarci, sulla nostra identità, ma anche sul contributo che possiamo dare alla società civile, partendo dai nostri valori” ha concluso il professore.
“Molti ritengono che esista un’ambiguità, una sorta di doppia fedeltà nell’essere ebrei e cittadini di uno Stato. Ma questa è una lettura sbagliata - ha puntualizzato rav Della Rocca - Abbiamo il dovere di essere buoni cittadini contribuendo al benessere del Paese in cui viviamo. Evadere le tasse equivale a trasgredire una qualsiasi mitzvah. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare di essere vincolati a un patto diverso, e che proprio da questo può derivare il nostro più prezioso contributo alla società”.

Rossella Tercatin


Qui Firenze, Qui Siena - Tutti insieme per la Notte Tricolore
firenzeGrande coinvolgimento nei centri ebraici della Toscana alla Notte Tricolore che ha anticipato i festeggiamenti odierni per i 150 anni di unità italiana. Nell’occasione le sinagoghe di Firenze e Siena sono state aperte al pubblico per celebrare lo storico avvenimento e ricordare il contributo dato dalla minoranza ebraica ai moti risorgimentali e alla costruzione di una identità nazionale fondata su pari diritti e opportunità per tutta la cittadinanza. In una comunità ornata a festa, con un drappo biancorossoverde appeso all’ingresso sin dal primo pomeriggio, i visitatori fiorentini sono stati accolti dalla vicepresidente della Comunità ebraica Daniela Misul e guidati alla scoperta della monumentale sinagoga di via Farini, simbolo più evidente dell’avvenuta emancipazione ebraica il cui primo progetto risale proprio al periodo di Torino capitale, lungo un percorso di parole ed emozioni che ha ricostruito la partecipazione dell’ebraismo italiano agli eventi che portarono all’Unità. In apertura da registrare gli interventi della direttrice del Museo ebraico Dora Liscia Bemporad e del referente della Regione Toscana per il Centocinquantenario Ugo Caffaz.

sienaAnche l’ebraismo senese ha voluto aderire al clima di festa. Nel matroneo della sinagoga di vicolo delle Scotte  facevano bella mostra di sé una grande bandiera italiana dell'antica Università israelitica di Siena vicino ad un vessillo più piccolo con la scritta ebraica Zion appartenente al locale circolo sionistico di inizio Novecento. Ad inaugurare l'incontro la lettura da parte di Anna Di Castro di due preziose fonti d'archivio. La prima è il verbale della seduta straordinaria del consiglio dell'Università israelitica di Siena che si tenne il12 marzo 1861 per stabilire la festa da farsi nel tempio e nell'area del ghetto per la proclamazione del re d'Italia. La seconda risale al 1860 ed è il testo di un avviso pubblicato all'interno del tempio per commemorare lo Statuto Albertino del 1848 in cui con molto pathos si fa riferimento alle "genti d'Italia che ancora gemono" per la mancata libertà e in cui si sottolinea il valore dell'unità per la conquista dell'indipendenza. Fulcro della serata senese l’excursus storico-artistico di Elena Casotto che ha illustrato le figure di alcuni pittori ebrei italiani che abbandonati i pennelli scelsero di arruolarsi per la patria. Casotto ha approfondito la loro partecipazione ai moti risorgimentali ed evidenziato in che modo l’esperienza sui campi di battaglia e il nuovo stato di ebrei emancipati abbiano inciso sulle loro scelte artistiche.

Adam Smulevich
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pilpul
Inno di Mameli e Lekha Dodi, un confronto possibile
Riccardo Di SegniFu un evento anomalo, se si pensa ai meccanismi rigidi della tradizione liturgica. Un inno, composto da un cabalista di Safed, nella seconda metà del XVI secolo, si diffuse rapidamente e venne accettato da quasi tutto il mondo ebraico. Lo si canta all'entrata dello Shabbat, con decine e decine di melodie differenti. E' il Lekhà Dodi,di Shlomo haLevi Alqabetz. Chissà perché questa incredibile diffusione. Forse l'aver toccato le corde più profonde della sensibilità in un momento storico particolare. E' la descrizione dell'entrata dello Shabbat sotto forma di un'unione mistica tra sposo e sposa. Ma non è solo questo, è l'espressione delle speranze di redenzione di Israele, fatta con i canoni tradizionali della poesia liturgica, ricamando citazioni bibliche. Perché parlarne proprio oggi? Perché nel clima di festeggiamenti italiani dell'unità nazionale i canti patriottici vengono riproposti e con loro tutti i collegamenti e le emozioni, che talvolta toccano anche l'identità ebraica. Del caso più eclatante, il Va' pensiero, si è già parlato. Ma una piccola riflessione sull'inno di Mameli, che sembrerebbe di tutt'altra natura, non è senza interesse. Perché in questo tipo di poesia tanto semplice quanto retorica compaiono motivi comuni a un certo tipo di inni liturgici ebraici, come il Lekha Dodi.  Alcuni esempi: Il risveglio: "fratelli d'Italia/L'Italia s'è desta" (IM) e il Lekhà Dodi (LD) "hit'orreri..., svegliati svegliati perché è venuta la tua luce, alzati, brilla"; la veste gloriosa: "dell'elmo di Scipio s'é cinta la testa", e il LD "livshi bigdè..., indossa gli abiti della tua gloria, popolo mio"; il riscatto dalla condizione umile: "noi siamo da secoli calpesti e derisi" (IM) e il LD "hitna'ari..., scuotiti, alzati dalla polvere" ; l'unità: "Uniamoci, amiamoci/l'Unione, e l'amore/Rivelano ai Popoli/Le vie del Signore" (IM) e il LD "Hashem echad..., Il Signore è uno e il suo nome è uno"; la rovina del nemico: "Son giunchi che piegano/Le spade vendute:/Già l'Aquila d'Austria/Le penne ha perdute./Il sangue d'Italia..." (IM) e il LD "wehayu limshisà..., i tuoi predatori saranno di preda e chi di ha divorato si allontanerà". Qualche lettore troverà dissacranti e impropri questi accostamenti. Ma accostare non signfica rendere uguale, al contrario le analogie mettono in evidenze le differenze. Basterà pensare che i riformisti tedeschi dell'ottocento tagliarono dal Lekha Dodì le strofe "messianiche". Strani flussi dell'identità ebraica, in perenne conflitto tra la vocazione nazionale e le aspirazioni mistiche.

rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

Fanatismo
Il Tizio della SeraIn questi giorni ha tenuto banco la notizia della pornostar israeliana, morsa al seno da un boa conscrictor durante una serie di scatti fotografici effettuati al silicone della ragazza - i serpenti non usano silicone. Tra gli animalisti di tutto il mondo c'è grande preoccupazione per la sorte del boa che è sparito. La notizia ha rischiato di essere oscurata con la scusa che a Itamar erano stati sgozzati nel sonno un padre, una madre, due bambini e un neonato colono. Per fortuna ha prevalso il buonsenso e la stampa mondiale si è occupata solo del serpente.  

Il Tizio della Sera

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notizieflash   rassegna stampa

Israele "rilascia" la nave Victoria
Questa mattina le autorità israeliane hanno rilasciato la nave Victoria, fermata due giorni fa in alto mare e dirottata nel porto di Ashdod con a bordo un carico di armi, apparentemente destinate alla striscia di Gaza. La Victoria, batte bandiera liberiana ma è di proprietà tedesca, ma le autorità israeliane si sono convinte che il comandante e l' equipaggio erano ignari della presenza del carico di armi, nascosto in alcuni container. Tra le armi sequestrate c'erano per la prima volta missili antinave, le rampe per lanciarli e radar di puntamento, oltre a bombe di mortaio di diverso calibro e proiettili per fucili Kalashnikov. Israele afferma che le armi sono state fornite dall' Iran e caricate sulla Victoria nel porto siriano di Latakia con la complicità delle autorità siriane. L' Iran ha risposto accusando Israele di diffondere "menzogne" nei suoi confronti. 


 
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