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20 marzo 2011 - 14 Adar Shenì 5771
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino



Dalla Meghillat Ester, che oggi si legge, un buon augurio per tutti: "nel mese che si era trasformato per loro da angoscia in allegria, da lutto in giorno di festa".



David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Enric Gonzáles, inviato di “El Pais” a Gaza è stato uno dei pochi a riportare la notizia che Hamas, ovvero il padrone politico di quella parte del futuro Stato di Palestina, ha disperso violentemente nel sangue una manifestazione di oppositori che chiedevano libertà. Non la chiedevano inneggiando alla distruzione di Israele, ma contro l'oppressione che subiscono dal loro governo. Questo evento ha un valore perché, forse, costituisce il primo indizio di un possibile Stato di Palestina, moderno e libero. Per due motivi: 1) perché uno Stato moderno è il risultato dello scontro con altre componenti politiche della propria comunità, senza trasformarle in "stranieri” o in “agenti del nemico”; 2) perché forse dice che sta nascendo una generazione che non si legittima per la lotta di liberazione che ha condotto in passato, ma perché pretende di avere un futuro senza continuare a pagare il dazio alla classe politica che l’ha governata finora e che ancora la governa. E tutto questo senza portare in piazza il fantoccio del nemico, la sua bandiera o una qualche scritta da bruciare.

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davar
Purim, è tempo di Orecchie di Hamman
vignetta Purim"No Hamantashen No Party” direbbe un George Clooney versione Re Assuero bussando oggi alla porta dei suoi vicini di casa ebrei.
Insieme al grande carico di storia e significato, la festa di Purim porta finalmente sulle tavole ebraiche le Orecchie di Hamman, delizioso pasticcino triangolare farcito di semi di papavero e prelibatezze varie, che nella forma ricorda proprio le orecchie del perfido ministro persiano il cui piano persecutorio sventato grazie all’eroismo della regina Ester è ricordato in questa lieta occasione.
Dalla ricetta originaria dell’Europa askenazita si è passati negli ultimi anni a una notevole varietà di Hamantashen. Il boom si è verificato soprattutto in Israele dove se ne trovano molteplici e curiose tipologie: ripiene di fragole o pistacchio ma anche di meringa e persino di amaretto. E dove l’Hamanstashen, almeno a quanto scrive una fonte autorevole come il New York Times, è ormai percepito come elemento indissolubilmente legato al Purim allo stesso modo in cui il pane azzimo lo è alla festività di Pesach.
Orecchie di Hamman“Gli israeliani sono pazzi per le Orecchie di Hamman” chiosa il NYT. E voi come le preparate? C’è una ricetta speciale che si tramanda di generazione in generazione nella vostra famiglia? La tradizione gastronomica dell’ebraismo italiano contempla un vasto campionario di leccornie adatte a una circostanza allegra come il Purim, Hamantashen in testa, che risentono di influenze sia askenazite sia sefardite e che vanno a comporre il mishloach manot, immancabile pacchetto di dolci di cui bisogna far dono a parenti e amici per assicurarci che abbiano cibo a sufficienza per celebrare la ricorrenza.
Negli ultimi decenni ad aggiungere ulteriori sapori sono arrivate le sfiziose pietanze degli ebrei di origine libica. Se non avete ancora deciso cosa riservare ai vostri ospiti e amate l'intensità culinaria del Nordafrica fate un salto sul portale Labna.it per scoprire la ricetta dei burik dolci.
Purim Sameach!

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pilpul
Davar Acher - Legalità e giustizia
Ugo VolliUno degli aspetti caratteristici del nostro tempo, su cui filosofi e sociologi non hanno certamente ancora discusso a sufficienza, è la progressiva giuridificazione della vita nella società contemporanea. La potenza dominante su cui misurare il senso e il valore di attività, movimenti e persone non è più da tempo la religione e neppure l'ideologia; ricchezza e potere restano naturalmente obiettivi largamente perseguiti ma non sono valori accettati come fondanti e socialmente validi, anzi; dell'onore si è persa ogni traccia; la popolarità è molto postmoderna e certamente ambita ma tutti sappiamo che non conta davvero, non può essere il valore di base; resta dunque come valore sociale fondativo la retorica dominante della legalità. La sua prevalenza non è un fenomeno limitato al nostro paese, dove la funzione di supplenza (o per altri versi l'invadenza) della giustizia negli snodi più delicati della convivenza civile è evidente. Tutto il mondo occidentale e le grandi tribune internazionali si affidano alla legalità come criterio di valore. Dire che una persona o un'organizzazione persegue come regola di vita il volere del cielo o l'onore nazionale oggi farebbe ridere i più; il riscatto degli oppressi appare un obiettivo patetico o sospetto, il guadagno inaccettabile. Fare ciò "è giusto" o "legale" invece appare a tutti importante e fra i due termini prevale il secondo: gli interventi umanitari internazionali sono stati anche di recente dilazionati in attesa di una loro legalizzazione da parte di organizzazioni come l'Onu, i cui pregiudizi politici sono chiari, ma che nondimeno valgono come fonte di legalità. Nella politica internazionale le guerre non solo si concludono in un'aula di tribunale (pratica iniziata a Norimberga e poi spesso emulata all'Aia) ma vi iniziano anche o ne vengono sostituite: questo è evidente per esempio nel mandato di cattura spiccato su Gheddafi per compensare l'inerzia politica dell'Occidente, per non parlare dei numerosi atti di lawfare (guerra giudiziaria) di cui è oggetto Israele negli ultimi anni.
A parte questo aspetto certamente perverso ma laterale, si potrebbe pensare che tale prevalenza della dimensione giuridica su quella politica possa riuscire congegnale alla nostra tradizione culturale, che ha sempre inteso nella Legge la propria espressione più alta e ha speso le sue migliori energie intellettuali nella sua discussione, applicazione, approfondimento. Io credo che questo sarebbe un errore. Perché la Legge ebraica è il dispiegamento concreto di un progetto religioso, trasforma in forma di vita un certo modo di concepire la divinità e l'umanità; mentre l'attuale giuridificazione universale si propone come essenzialmente procedurale (si pensi a Rawls e Habermas) e dunque non risponde ad alcun progetto religioso o politico o sociale, anzi li nega tutti. Che poi la procedura con cui si stabilisce la legge internazionale sia molto poco chiara e anche i suoi contenuti discutibili, come si è visto abbondantemente nel caso di Israele, importa poco ai suoi difensori. Il primato della legalità, intesa come amministrazione della legge estesa a tutto e tutti, toglie validità a ogni ideale che non sia il rendere giustizia e l'obbedire alle regole. Non vi sono altri scopi condivisi.
Il problema è che questa prospettiva è distruttiva, fin nel suo remoto primo slogan ("fiat justitia et pereat mundus"). I conflitti non sono di forma ma di sostanza e spesso sono semplicemente inconciliabili (ed è per questo che di solito la giuridificazione si accompagna a un sentimentalismo un po' dolciastro, il "buonismo" che pensa su tutto ci si possa accordare con un po' di buona volontà, o su tutto giudicare in termini di torti e ragioni. Di fatto e paradossalmente, il primato esasperato della legalità, come viene inteso oggi in Occidente, agendo solo sugli stati democratici, lascia le mani libere ai nemici delle sue stesse basi, difende i terroristi e incolpa chi li combatte, come si è visto nel caso di Hamas e Hizbullah.
Anche da questo punto le nostra Scritture ci insegnano un'altra storia. La Terra di Israele è conquistata e mantenuta con guerre che talvolta hanno un andamento assai violento; con alcuni popoli l'accordo è semplicemente precluso. Come ha detto con terribile lucidità Walter Benjamin la violenza ha talvolta un carattere fondante. Naturalmente non intendo criticare la giuridificazione in nome della legge della giungla; penso che però che sia urgente ritornare a una difesa del progetto, della sostanza politica, della visione secondo cui ci si muove e non solo delle sue forme. Il primato legalitario spesso si accompagna nel mondo ebraico a un universalismo altrettanto sbilanciato: soprattutto negli Stati Uniti non manca oggi chi pensa che non bisogna valutare il progetto dello stato di Israele, ma la sua legalità e che bisogna per questo essere più severi con Israele che con gli stati arabi – cosa che peraltro avviene continuamente, per esempio in materia di diritti umani. E' un grave errore, una forma di discriminazione non meno grave di quella che un secolo fa ha fatto assumere a molti ebrei europei il punto di vista dei propri nemici, per esempio nel disprezzare l'ebraismo orientale e nel non riconoscerne i tesori spirituali.

Ugo Volli


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Rivolte: Netanyahu auspica democrazia
ma c'è il rischio di "nuovi Iran"

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Israele auspica che i venti di protesta innalzatisi in diversi Paesi arabi possano essere forieri di una vasta svolta democratica in tutto il Medio Oriente. Ma la paura è che nell'immediato possano spuntare tanti "nuovi Iran". In una lunga intervista alla CNN il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito e spiegato le preoccupazioni di Israele. "Tutti noi abbiamo sperato, speriamo ancora, che le rivolte genereranno una trasformazione democratica", ha affermato. "Cioè che i ragazzi di Google, i ragazzi di Facebook creino un paradiso-Google e un paradiso-Facebook in cui il potere sia dato davvero al popolo. Ma non è scontato che ciò avvenga. Potremmo avere un altro Iran" - ha avvertito, e a supporto di quanto detto ha ricordato l'esempio libanese, dove cinque anni fa un milione di cittadini sfilò a Beirut "inneggiando alla libertà, a riforme laiche e a uno Stato di ispirazione liberale". Mentre oggi, ha sostenuto, "il Libano è controllato dagli Hezbollah, che sono controllati dall'Iran".


 
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