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23 marzo 2011 - 17 Adar Shenì 5771
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Adolfo Locci
Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova

"...ed Aharon tacque" (Vaikrà 10:3). Mosè, dopo la morte dei nipoti Nadav e Avihu, riferisce le parole del Signore che possono essere interpretate come la motivazione di questo tragico evento: “per mezzo di quelli che Mi sono vicini mostro la Mia santità e perciò davanti a tutto il popolo sarò onorato”. Aharon, udendo queste parole rimase in silenzio (vaiddom). Al riguardo, Rabbenu Ya‘kov ben Asher (1269-1343), sottolinea che per due volte solamente, in tutta la Bibbia, si trova l’espressione “vaiddom”: nella parashà di Sheminì e nel libro di Giosuè (vaiddom hashemesh - si fermò il sole; cap. 10:13). A volte saper rimanere in silenzio, ed Aharon per questo ne acquisì un merito (ricevere direttamente la parola del Signore), può essere un evento soprannaturale/miracoloso quanto l’interruzione temporanea del ciclo solare...
Giacomo
 Todeschini,
 storico


Giacomo Todeschini
“Gli ebrei e i cristiani poveri fra Medioevo ed Età Moderna erano considerati testimoni inaffidabili da parte dei tribunali cristiani. Gli ebrei erano considerati inattendibili perché infedeli e i poveri inaffidabili perché, in quanto bisognosi, presumibilmente ricattabili. Allo stesso tempo, gli ebrei erano visti come testimoni involontari della verità delle Scritture cristiane, e i poveri come involontarie, recalcitranti raffigurazioni della povertà di Cristo. Gli uni e gli altri erano percepiti dalla cultura e dal diritto cristiani come personificazioni di realtà spirituali che essi, nella loro ottusa materialità, non potevano comprendere ma solo rappresentare”.

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davar
Italia 150 - Senza una data in cui riconoscersi
logo-150anniUna nazione che riconosce con molta riluttanza la sua data di fondamento ha un problema sia con il suo passato, sia con il suo futuro. La scelta del governo di dichiarare il 17 marzo giornata in memoria del compimento del processo risorgimentale è stata ufficializzata il 20 gennaio scorso. Ma sono significative le precisazioni di Gianni Letta: il 17 marzo sarà festa nazionale, ma solo per quest’anno.
Neanche in occasione del centocinquantesimo anniversario che cade in questo 2011 il Risorgimento riesce insomma a trovare un posto stabile nel calendario civile nazionale. In verità esiste una data celebrativa fin dalla proclamazione del Regno: è la prima domenica di giugno, ricorda lo Statuto Albertino e celebra Casa Savoia. Ma in quella festa non c’è il Risorgimento e lo Statuto è ricordato come «magnanimità del Re» e non come conquista anche popolare di libertà e democrazia. Dov’è il Risorgimento? Ma si potrebbe anche dire: dove sono gli italiani?
Un Paese celebra la sua festa nazionale il giorno della sua indipendenza o quello del compimento della sua unità territoriale e politica. Nel caso italiano quella data non c’è mai stata. L’Italia nasce come Stato politico il 17 marzo 1861, ma per molti quella data ha un carattere burocratico e, infatti, non diventa mai una ricorrenza nel calendario nazionale. Peraltro, a quella data non sono ancora parte dell’Italia il Veneto né, soprattutto, Roma. Il Veneto diventerà Italia nel 1866, Roma il 20 settembre 1870.
Già negli anni ’80 dell’Ottocento il 20 settembre parte in sordina. Diventa festa nazionale nel 1895, lo stesso anno in cui è inaugurato il monumento a Garibaldi sulla cima del Gianicolo. Ma la scadenza rimane solo nel calendario delle sette repubblicane e dei gruppi di libero pensiero, mentre è accantonata nella memoria pubblica. Significativamente viene soppressa nel 1930, quando è sostituita dall’11 febbraio (omaggio alla Conciliazione tra Chiesa e Stato).
Il 20 settembre come data del calendario nazionale, come giorno che ricorda un pezzo della storia della costruzione dell’Italia unita è divenuta imbarazzante. Meglio perciò accantonarla. Il 20 settembre sparisce così dall’orizzonte per non tornarvi mai più. Rimane nella memoria dell’Italia antipapista delle feste popolari a Trastevere, oppure nei cortei a Porta Pia. Oppure come data negativa per una parte dei cattolici. Per questi è una giornata di lutto, il cui atto pubblico è il pellegrinaggio dell’aristocrazia nera dal Papa. Le celebrazioni anticlericali come quelle del cattolicesimo più reazionario rappresentano, in ogni caso, due ali estreme.
Anziché una data unificante delle celebrazioni, a lungo ha predominato il culto del corpo. Il primo a essere pubblicamente celebrato è quello di Vittorio Emanuele II. La data della sua morte (9 gennaio 1878) e soprattutto il luogo della sua sepoltura (il Pantheon) diventano un simbolo per molti. Sono quella morte e quel luogo a dare il là alla manifestazione di un pellegrinaggio popolare, complementare e alternativo a quello che già in vita circonda Giuseppe Garibaldi.
Ma, alla sua morte, Caprera non diviene un luogo di pellegrinaggi di massa. Sarà un libro a fare quell’unità (di nuovo non c’è una data): Cuore di Edmondo De Amicis (la prima edizione è del 1886). Avrà un successo immediato e consentirà la costruzione di un sentimento di patria che nei fatti non c’era.
Perché si abbia un senso della scansione temporale, bisogna attendere il primo anniversario tondo. È il 1911 e a Torino si aprono le manifestazioni per il cinquantenario, che poi si spostano a Milano, Firenze, Napoli. Ma anche lì, il centro sarà il re e non la storia nazionale.
La prima guerra mondiale (che in Italia a lungo è indicata significativamente come Quarta guerra d’indipendenza), sposta la data al 4 novembre. È una data che si conserva a lungo perché consente nella diarchia dell’Italia fascista, divisa e sospesa tra culto del re e culto del duce, di non scegliere, ma di tentare una mediazione che salva l’idea dell’Unità dello Stato sotto il re e celebra l’Italia in trincea che è il mito politico su cui si fonda il fascismo delle origini.
L’Italia repubblicana non risolve questa questione. Il 25 aprile non riesce mai a diventare una festa nazionale fondativa (qualcosa che assomigli al 4 luglio americano o al 14 luglio francese). Il 2 giugno assorbe quella che prima era la Festa dello Statuto. Solo l’occasione del centenario, nel 1961, consente per la prima volta di riflettere pubblicamente sulla lunga storia d’Italia. Ma anche lì non c’è una data. Tuttavia, da allora si avvia un cambiamento. A partire da quella stagione (il centenario è solo un pretesto) torna insistentemente nella discussione pubblica e nella riflessione culturale la domanda sul carattere di noi italiani, se siamo o no una nazione e sulla nostra storia lunga. Discussione che fa ancora parte del nostro presente e che, prevedibilmente, è destinata ad accompagnarci ancora per molto. Una data che simboleggi il Risorgimento non c’è ancora e del resto, dovremmo chiederci: c’è un calendario civico che ci rappresenti oggi? E cioè: a 150 anni dalla sua fondazione lo stato italiano sa rappresentarsi in modo univoco e unitario?

David Bidussa
(www.linkiesta.it)


Qui Gerusalemme - Tsad Kadima, nuovi orizzonti
Alessandro Viterbo con suo figlioSi svolgerà domani sera al Teatro di Gerusalemme la tradizionale serata di gala che Tsad Kadima, l'associazione israeliana che si occupa di organizzare e aiutare il percorso formativo di ragazzi che soffrono di lesione cerebrale, con il concerto della cantante Shelomit Aharon accompagnata da tre giovani tenori dell'Opera israeliana. Scopo della serata è avviare la nuova campagna fondi per appoggiare i progetti dell'associazione che da ventiquattro anni opera in Israele. Sarà propagandato un nuovo progetto per migliorare i mezzi di comunicazione integrativa e alternativa per ragazzi con problemi di parola. In particolare si inviterà il pubblico a finanziare alcuni computer speciali che danno ai ragazzi la possibilità di esprimersi. Settecento i biglietti venduti finora venduti grazie anche all'impegno di molti amici delle Comunità ebraiche italiane. All'evento saranno presenti molte personalità fra le altre l'ambasciatore italiano a Tel Aviv Luigi Mattiolo.
Alessandro Viterbo
(nell'immagine), sposato due figli, presidente del comitato organizzatore della serata e della commissione raccolta fondi di Tsad Kadima referente per i rapporti con l'Italia ricorda come la sua vita sia cambiata dalla nascita di Yoel un ragazzo cerebroleso dalla nascita che ora ha 17 anni, da allora tutti i suoi sforzi sono rivolti a lui e alla sua qualità di vita per questo da molti anni svolge alcuni compiti tutti volontari come membro del direttivo e presidente della commissione foundraising, aggiunge questa serata ad alcuni altri eventi importanti avvenuti negli ultimi mesi, fra cui la cerimonia che si è svolta dopo il restauro dell'appartamento d'allenamento finanziato dagli amici della Comunità ebraica di Firenze.
Che bilancio puoi trarre dalla tua esperienza in Tsad kadima?
Attraverso "Tsad Kadima" mio figlio Yoel cerebroleso dalla nascita e molto limitato ha sviluppato la sua personalità e le sue capacità e ora è un ragazzo vivo e consapevole. Personalmente ho accompagnato i grandi passi avanti fatti dalla associazione sforzandomi di fornire i sostegni finanziari necessari per superare le crisi economiche ho organizzato eventi di Gala di gran successo con artisti di grido quali Noah o Idan Raichel ho dato vita a varie  iniziative pubbliche quali l'incontro della Juventus con i nostri ragazzi ho sviluppato rapporti di cooperazione professionale con diversi enti italiani ho portato il messaggio di Tsad Kadima a coloro che non lo conoscevano.
E' difficile conciliare tutto questo con la tua attività all'esterno per esempio il tuo lavoro?
Si sopratutto perché la mia attività per Tsad Kadima viene dopo il lavoro come dirigente di due laboratori di analisi cliniche e dopo l'essere padre di Yoel cosa molto impegnativa, che mi coinvolge moltissimo e che richiede attenzione continua. Per cui la maggior parte del lavoro e fatto la sera tardi o la mattina presto al computer. Il direttore e lo staff di Tsad Kadima mi danno l'appoggio necessario per ciò che faccio.
Quali i progetti futuri?
In generale continuare a dare il sostegno finanziario a tutte le attività con l'intento di estenderle ad ancora più bambini e a questo scopo riuscire a sviluppare nuovi legami e allargare la cerchia di 'amici' inoltre rafforzare i legami professionali già esistenti con gli enti italiani.

Lucilla Efrati

Qui Firenze - Giuseppe Mazzini, l’uomo delle fragole
pubblica FirenzeUn Giuseppe Mazzini sentimentale e affettuoso, lontano anni luce dall’immagine fredda e severa che si usa avere di lui. È quello delineato dalla professoressa Gigliola Mariani nel corso della conferenza Da Margaret Fuller a Sara Nathan: una rete di donne per Giuseppe Mazzini. L’epistolario del profeta in esilio, evento organizzato dalla Regione Toscana nella sala Gonfalone di Palazzo Panciatichi in collaborazione con l’Associazione Donne Ebree d’Italia nell’ambito del calendario di eventi che celebra i 150 anni di Unità italiana. L’intensa ora di lezione della professoressa Mariani, introdotta dagli interventi del consigliere regionale Daniela Lastri e del presidente della sezione fiorentina dell’Adei Evelina Gabbai, ha aperto inaspettati e suggestivi squarci di vita privata sul patriota genovese, con particolare attenzione al grande sentimento di fiducia e stima che Mazzini nutriva per il gentil sesso. Quasi una devozione quella di Mazzini per le donne, una devozione che ritorna come una costante nel vastissimo epistolario intrattenuto con quelle che più gli furono al fianco in alcuni momenti chiave della sua esistenza: durante il lungo esilio londinese, nell’appassionante esperienza della Repubblica romana e sul finir di vita quando un Mazzini ormai stremato fisicamente riparò nella casa dei Nathan a Pisa per morirvi nel marzo del 1872. L’inglese Margaret Fuller e l’ebrea pesarese Sara Nathan (madre del futuro sindaco della Capitale Ernesto Nathan) sono scelte dalla Mariani come poli di quella fitta rete di amicizie femminili. Entrambe aderirono entusiasticamente al credo mazziniano, adoperandosi ciascuna a modo suo per tener vivo il sogno di patria propugnato dal padre della Giovine Italia. Scrivendo articoli per la stampa anglosassone, avvicinando alle posizioni di Mazzini esponenti della classe politica internazionale, sostenendo economicamente le sue imprese. Nelle lettere di Mazzini emerge tutta la gratitudine per queste e per le altre donne della rete. Righe su righe di emozioni che vogliono essere un abbraccio virtuale: il suo è un linguaggio fresco e talvolta denso di sentimento che impone una seria riflessione sulla considerazione in parte stereotipizzata che si ha oggi del personaggio. In alcune epistole un Mazzini poetico parla infatti con prosa struggente di tramonti e solitudine oppure ancora si presenta, lasciando spazio a interpretazioni postume, come “l’uomo delle fragole” in ricordo di chi sa quale scampagnata fuori porta. Il Mazzini fiero e risoluto nell’agire convive quindi con un Mazzini tenero e affettuoso che sa emozionarsi per la grazia del creato. Il ritratto inedito della professoressa Mariani consegna al pubblico, numeroso e partecipe, un quadro affascinante su una figura fondamentale della nostra identità nazionale lanciando in chiusura lo spunto, immediatamente raccolto dal consigliere Lastri, di dedicare a ulteriori sessioni di incontro l’approfondimento del tema dell’influenza “rosa” nella straordinaria vicenda umana di Mazzini e più in generale al contributo dato dalle donne nella battaglia di unità e giustizia propria del Risorgimento italiano.

Adam Smulevich


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pilpul
Analfabeti
Francesco LucreziNell'alef/tav di domenica 13 marzo, David Bidussa, a proposito delle celebrazioni del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, ricorda che “all'alba del 17 marzo 1861 la realtà del paese era 78 per cento di analfabeti con punte del 90 per cento in Calabria”, e che “il dato presente tra gli ebrei era conforme”. A proposito di tale annotazione, rav Gianfranco Di Segni, il giorno dopo, così commenta: “Immagino che l'amico David voglia dire che il 78 per cento degli ebrei, in media, era analfabeta. Sarà vero per l'italiano, non certo per l'ebraico, che sono sicuro gli ebrei dell'Ottocento conoscevano (almeno l'alfabeto) con punte del 90 per cento o superiori”. Una conoscenza che, lamenta Di Segni, sarebbe in forte calo, al giorno d’oggi, da parte degli ebrei italiani.
In realtà, anche relativamente alla conoscenza della lingua italiana, il dato riferito da Bidussa non appare credibile, per il semplice motivo che l’alfabetizzazione, sempre e dovunque, ha costantemente rappresentato un tratto ineliminabile dell’identità e dell’appartenenza ebraica, che ha sempre richiesto, come condizione imprescindibile, non solo la diretta e personale conoscenza delle Scritture, ma anche una compiuta scolarizzazione, quasi sempre molto superiore a quella dei gentili: basti pensare ai secoli bui del Medio Evo, quando l’Europa sprofondava nell’ignoranza e nella superstizione, e le Comunità ebraiche proteggevano, fra mille difficoltà, scuole, libri, cultura. Dopo la caduta del Secondo Tempio, com’è noto, la diglossia è andata gradualmente affermandosi in tutte le comunità della diaspora, indotte ad adoperare l’ebraico o l’aramaico per la lingua scritta (e, soprattutto, per le funzioni liturgiche), e l’idioma della nazione ospitante (greco, latino, arabo, slavo ecc.) per la lingua parlata e per le necessità secolari: ma ciò ha sempre imposto, dovunque, una piena padronanza, scritta e orale, delle lingue locali, per il semplice motivo che la comprensione dei testi sacri è evidentemente impossibile senza un assiduo insegnamento e studio degli stessi, che richiede ovviamente la piena capacità di lettura e scrittura nell’idioma usato quotidianamente.
L’esempio del Mezzogiorno d’Italia, evocato da Bidussa, da questo punto di vista, è quanto mai eloquente: nonostante l’altissima percentuale generale di analfabetismo, infatti, presso la Comunità ebraica di Napoli (l’unica, com’è noto, a Sud di Roma), non si serba memoria - anche per le epoche precedenti alla sua ufficiale costituzione, avvenuta solo dopo l’Unità - di un solo ebreo analfabeta. Altro esempio illuminante è quello degli ebrei etiopi, ricondotti in Israele, negli anni ’80 e ’90, con le tre operazioni dette Mosè, Giosuè e Salomone: vivevano in condizioni estremamente arretrate e primitive, non usavano elettricità e acqua corrente, né avevano notizia della Legge orale e del Talmud: ma conoscevano (e rispettavano) perfettamente la Torah, e leggevano, scrivevano e studiavano negli idiomi locali.
Certo, con la modernità e l’haskalà, è avvenuto che l’ebraico, in Europa e in America, sia stato in buona parte abbandonato, cosicché Primo Levi poteva scrivere che l’ebreo, prima della tragica esperienza della deportazione, era per lui “uno che ha studiato un po’ di ebraico a tredici anni, e poi l’ha dimenticato”. Ma, quando l’ebraico è stato dimenticato, ciò è avvenuto a vantaggio delle lingue moderne, non certo dell’analfabetismo.
In realtà, è molto difficile, se non impossibile, nei secoli, trovare un ebreo analfabeta, che possa ancora definirsi tale. Nei casi in cui ciò è avvenuto, c’è anche stato, inevitabilmente, l’abbandono dell’ebraismo, la fuoriuscita dal “popolo del libro”.

Francesco Lucrezi, storico

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Eurolega - Qualificazione in salita
per il Maccabi Tel Aviv
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Inizia male la seconda fase di Eurolega per il Maccabi Tel Aviv. Nel primo dei cinque match dei quarti di finale che oppongono il team israeliano agli spagnoli del Caja Laboral Vitoria (si qualifica alla Final Four di Barcellona la squadra che consegue almeno tre successi), il club gialloblu è stato sconfitto dai padroni di casa per 76 a 70. 
»
a.s.




 

Con tutti i quotidiani pieni di articoli dedicati alla guerra in Libia, il redattore di questa rassegna ha oggi scelto di non parlarne. Le alternative tra il raìs e i “ribelli” gli appaiono entrambe piene solo di ombre; le indicazioni date dalle Nazioni Unite alle forze che si accingevano ad attaccare Gheddafi sono state, ancora una volta, piene di ambiguità. 
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Emanuel Segre Amar







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