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Rileggendo Tacito
intorno a Purim
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Si avvicina l’esame di stato e
cominciano le consuete congetture su quali saranno l’autore e il testo
latino su cui si dovranno cimentare i ragazzi del liceo classico nella
versione che costituirà la seconda prova scritta. Tra i più temuti c’è
Tacito, su cui ci si allena già da ora. Difficile immaginare, però, che
gli esperti del ministero possano scegliere un testo così inquietante
come l’inizio del quinto libro delle Historiae, in cui lo storico
spiega a modo suo chi sono gli ebrei; proviamo a leggere qualche frase:
“Mosè … introdusse nuovi riti, contrari a quelli degli altri uomini.
Colà sono empie tutte le cose che da noi sono sacre, e in compenso è
lecito presso di loro quello che per noi è sacrilego … Quelli che hanno
accettato il loro tenore di vita seguono la medesima pratica, e per
prima cosa imparano a disprezzare gli dei, a rinnegare il sentimento
patrio, a non tenere in nessun conto genitori, figli, fratelli …” Sono
le accuse tipiche degli antisemiti di ogni epoca, che pochi giorni fa
abbiamo letto nella Meghillat Ester: “Esiste un popolo sparso e diviso
tra i popoli, in tutte le province del tuo regno, e le sue leggi sono
differenti da quelle di ogni altro popolo e non osservano le leggi del
re…”
Tacito poi prosegue: “stimano sacrileghi quelli che foggiano con
materiali deperibili immagini divine in sembianza umana; quella loro
divinità è suprema ed eterna, non raffigurabile e non soggetta a
deperimento. Perciò non ne collocano nelle loro città e tanto meno nei
templi; né usano questa forma di adulazione verso i re o verso i
Cesari”. Anche questo ci ricorda qualcosa: “… ma Mordechai non si
inchinava né si prostrava”. Gli ebrei non suscitano antipatia solo
perché sono “altri”, ma anche perché rifiutano ogni forma di idolatria,
e di conseguenza non sono disponibili ad atti di sottomissione
incondizionata verso il potente di turno.
A volte essere antipatici a qualcuno è un buon segno.
Anna
Segre, insegnante
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"Yes, we can"
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Da ogni parte si sentono
critiche all'amministrazione Obama, alimentate ulteriormente
dall’atteggiamento assunto nei confronti delle rivolte nei Paesi arabi:
Obama è stato ingenuamente sedotto dalle piazze ricolme di giovani
sotto i trent’anni (a me pareva che la retorica della libertà avesse
contraddistinto altre amministrazioni, quelle, per intenderci che hanno
titolato le proprie missioni enduring freedom), invece di fare
chiacchiere Obama dovrebbe intervenire proclamando una no-fly zone e,
perché no, già che ci siamo inviare un contingente militare per stanare
Gheddafi. Poi, naturalmente, deve uscire in modo vincente dagli scenari
afgani e iracheni sanando conflitti che solo le più feroci dittature
avevano tenuto nascosti (vedi Saddam). Ed anche, riequlibrare le
relazioni con Russia e Cina, anch’esse minate dagli otto anni bushani,
affrontare il problema iraniano, e risolvere il problema
dell’inquinamento globale, pulire l’Oceano rovinato dai pozzi
petroliferi della BP, scongiurare il disastro nucleare in Giappone,
aiutare Haiti, risolvere la crisi della finanza globale, tenere sotto
controllo il deficit USA… Io mi domando come si faccia a pensare cose
simili senza farsi cogliere da una sensazione di vertigine, che,
perlomeno, dovrebbe spingere a riconsiderare le proprie posizioni alla
luce di uno scenario più complessivo. A maggior ragione, quando ci si
accorge che la stessa amministrazione è accusata anche dell’opposto di
quanto elencato adesso.
Ampliando la critica, analoghe considerazioni vengono rivolte
all’Unione Europea, che qui tralascio, per rispettare il vecchio adagio
di non sparare sulla croce rossa, ma che aiuta a comprendere che Gli
Stati Uniti sono sul banco degli imputati anzitutto come espressione
(forse unica) della politica internazionale dell’Occidente. Io penso
che il vero dato da considerare sia che tutti noi che abitiamo la parte
Ovest del mondo non siamo riusciti ad elaborare una politica post
guerra fredda, rimanendo legati al mito della nostra superiorità, alla
base delle peggiori politiche imperialiste ed, ancor prima, dei più
feroci processi di evangelizzazione. Oggi come oggi gli Usa (e
tantomeno l’Europa) non possono decidere alcunché senza il consenso di
attori come Russia e Cina. Immaginate quali reazioni susciterebbe
un’invasione Nato sul territorio libico che andasse a contrastare gli
interessi energetici di Putin o le ambizioni africane della Repubblica
popolare. Come unico risultato otterrebbe lo spostamento di
investimenti verso Est (Gheddafi ha già convocato gli ambasciatori
russi e cinesi), con una infinita serie di corollari. Figuriamoci poi
se l’Occidente potrebbe riscrivere da solo le regole della finanza
globale quando la Cina è anni che porta avanti lo slogan, ”come, ora
che noi ci siamo adeguati al vostro gioco, voi volete cambiare il modo
di giocare?” E così per qualunque decisione si voglia prendere. La
realtà è che, rimasti orfani del polo sovietico, il mondo ha affidato
agli Usa il ruolo di sceriffo globale, chiedendo loro di intervenire in
ogni crisi, ignorando il fatto che altri soggetti avevano ormai avviato
canali commerciali che avrebbero modificato strutturalmente gli
equilibri politici del pianeta. Una miopia assurda, sorretta da
acrobazie intellettuali che parlavano di fine della storia e di pax
americana. Quest’onere, naturalmente, è caduto anche sulle spalle di W.
Bush, la cui amministrazione, a mio giudizio, ha però commesso
l’abbaglio di sviluppare una politica unilaterale che i tempi avrebbero
condannato in partenza. Non temo di affermare che nell’ottica di un
superamento di logore categorie politiche, al mondo non poteva accadere
cosa migliore di un Presidente che si è esplicitamente proposto come
punto di superamento degli opposti (tanto da incassare critiche da ogni
fronte), inaugurando un nuovo corso diplomatico (se avessimo tentato
prima di stabilire nuovi rapporti politici rafforzando gli organi
sovranazionali, lo avremmo fatto a partire da una posizione di forza.
Ora ci tocca trattare col cappello in mano). Mi fanno ribrezzo le
critiche volte a mantenere lo status quo, rendendo vano lo sforzo di
costruire qualcos’altro rispetto a quanto ereditato (da chiunque
provengano, anche dal mondo ebraico), che, a mio giudizio, fanno il
paio con le parole dei vecchi leaders come Mubarack, il quale, nel
momento più caldo della contestazione egiziana, così si era
sostanzialmente espresso: “Obama è una brava persona, ma non capisce
niente di quanto avviene qui, è giovane e ancora inesperto.” Due giorni
dopo sarebbe stato cacciato a calci dalla sua gente. Aveva capito lui,
il ladro ultramiliardario che ha rubato al suo popolo, sorretto
dall’Occidente, mentre pianificava affari con gli altri. Non è Obama il
problema, ma le terribili forze conservatrici sparse per il mondo (ed
anche Israele dovrebbe pensare bene se le convenga seguire un orizzonte
di pace col mondo islamico o l’idea di un equilibrio fondato su
rapporti di forza oggi molto cambiati). Nonostante le oggettive
incognite e le terribili difficoltà, io dirò ora e sempre, “Yes, we
can”. Chiamatemi idealista, io vi chiamerò cinici.
Davide
Assael, ricercatore
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Luci di
Broadway spente
per ricordare Elizabeth Taylor
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Questa sera le numerose luci di Broadway a New York saranno spente, in
segno di lutto, per Elizabeth Taylor. L'attrice è stata seppellita ieri
a Los Angeles in una cerimonia privata che si è svolta il giorno dopo
la sua morte, come vuole la religione ebraica alla quale si era
convertita. Non più di una quarantina di persone hanno presenziato alla
funzione, tenuta segreta sino all'ultimo. La star di Cleopatra e La
gatta sul tetto che scotta è stata sepolta al Forest Lawn memorial park
di Glendale. Nei prossimi giorni, ma la data non è stata ancora
comunicata, si terrà una cerimonia aperta al pubblico. Elizabeth Taylor
si era convertita all'ebraismo nel 1959, poco prima del suo quarto
matrimonio, con il cantante ebreo Eddie Fisher.
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