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 25 marzo 2011 - 18 Adar Sheni 5771
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alfonso arbib
Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano

La parashà di Sheminì comincia con queste parole: "E all'ottavo giorno Moshè chiamò Aharòn, i suoi figli e gli anziani d'Israele". Moshè chiama Aharòn e gli indica i sacrifici particolari che deve fare per l'inaugurazione del Mishkàn. Questa chiamata sembra però superflua. Aharòn è già lì e da sette giorni si sta preparando a quest'evento. Secondo Rabbi Moshè Feinstein la chiamata all'ottavo giorno potrebbe avere questo significato. Ad Aharòn viene dato un incarico particolare, una mitzvà specifica. Nel momento in cui si esegue una mitzvà bisogna essere concentrati completamente su di essa e per un momento dimenticare tutto il resto. Da una parte è assolutamente necessario avere una visione d'insieme e questo il senso dei sette giorni di preparazione ma questa visione d'insieme non deve impedirci di mettere tutto il nostro impegno e la nostra concentrazione in una mitzvà specifica, in progetto particolare. 
Sonia
Brunetti
Luzzati,
pedagogista


Sonia Brunetti Luzzati
"Una certa mamma, quando il suo bambino ha mangiato gli spinaci, lo premia di solito con un gelato. Di quali ulteriori informazioni avreste bisogno per essere in grado di predire se il bambino: a) giungerà ad amare o a odiare gli spinaci; b) ad amare od odiare il gelato;  o c) ad amare od odiare la mamma". Domande utili di Gregory Bateson, nel tentativo di spiegare la differenza tra l'ovvio e il profondo.
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davar
Qui Roma - Benedetto XVI e rav Riccardo Di Segni
in una preghiera comune alle Fosse Ardeatine
fosse ardeatinePregheranno fianco a fianco papa Benedetto XVI e il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, domenica mattina al Sacrario delle Fosse Ardeatine. L'occasione è la ricorrenza del sessantasettesimo anniversario della strage, compiuta il 24 marzo 1944, nella quale furono uccise 335 persone, di cui settantacinque di religione ebraica, per rappresaglia all'attentato in via Rasella in cui avevano perso la vita 33 tedeschi. E' la prima volta che un papa varca la soglia del Sacrario. Benedetto XVI ha infatti raccolto l'invito dell'associazione nazionale tra le famiglie dei martiri caduti per la libertà della Patria (Anfim). Il papa sarà accompagnato dal cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo, figlio del colonnello Giuseppe capo della resistenza militare a Roma, giustiziato alle Ardeatine, il quale ha ricordato che un medico legale ebreo, Attilio Ascarelli, fece a quei tempi un lavoro accuratissimo per dare un nome a tutte le vittime perite nella strage, fra cui suo padre.

Tremila anni, 42 chilometri
maratoneTremila anni di storia in 42 chilometri: strade e piazze di Gerusalemme fanno in queste ore per la prima volta da scenario a una maratona ufficiale. L’evento podistico, a cui partecipano atleti professionisti e un nutrito contingente di appassionati (tra cui varie associazioni umanitarie e alcuni soldati dell’esercito israeliano), è in fase di conclusione e ha già i suoi vincitori: il 34enne keniota Raymond Kipkoechh, che ha tagliato il traguardo con il tempo di 2 ore 26 minuti e 44 secondi, e la 26enne etiope Oda Worknesh, trionfatrice con una performance di 2 ore 50 minuti e 5 secondi. Quantomeno curioso l’epilogo di corsa per gli atleti professionisti, con il trio in testa fino a pochi istanti dalla conclusione che, a quanto scrive il Jerusalem Post, avrebbe sbagliato strada e concluso la propria prova in un luogo inidoneo a fermare il cronometro dei giudici di gara. Aldilà delle inevitabili polemiche che seguiranno resta lo straordinario successo simbolico della corsa, capace di attrarre un numero cospicuo di partecipanti nelle sue tre diramazioni (maratona e le altre due formule già sperimentate in passato: mezza maratona e 10 km) e di lanciare al mondo un messaggio di speranza a brevissima distanza temporale dal terribile attentato che ha sconvolto la capitale dello Stato di Israele. “Questo è un giorno straordinario per Gerusalemme”, dice il sindaco (e per una mattina anche podista) Nir Barkat.

Eurolega - Il Maccabi Tel Aviv vince al fotofinish
jeremy pargoIn ogni thriller che si rispetti il nome dell’assassino lo si scopre solo alla fine. Sembra non sfuggire a questa regola Jeremy Pargo, 25enne cestista di Chicago che ieri sera si è trovato perfettamente a suo agio nel ruolo di killer. Suo infatti il canestro da tre punti a sirena ormai innescata che ha permesso al Maccabi Tel Aviv di espugnare l’infernale parquet del Caja Laboral in gara due dei quarti di finale di Eurolega. Da 81-80 a 81-83: neanche il tempo di inspirare ed espirare che il temuto segnale acustico di chiusura diventava miele volgendo l’entusiasmo del pubblico di casa in disperazione e regalando a Pargo il cinque dei compagni. L’ormai inaspettata vittoria in terra basca, giunta al termine di una sfida emozionante spesso condotta dagli spagnoli con un buon margine di punti e ribaltata solo nella seconda parte di gara, permette al Maccabi di coltivare nuove e motivate ambizioni europee. Ambizioni praticamente accantonate ad appena un minuto dal termine quando il punteggio vedeva avanti gli avversari di due canestri. Adesso il tabellino della sessione eliminatoria, chiave d’accesso alla Final Four di Barcellona, vede Caja Laboral e Maccabi sullo stesso livello dopo l’affermazione del team iberico all’esordio e la risposta israeliana nel return match. Ma il coltello dalla parte del manico è ora decisamente dalla parte del Maccabi che, con una duplice vittoria casalinga in gara 3 e 4 (in programma a Tel Aviv nei prossimi giorni), otterrebbe l’auspicato visto per Barcellona rilanciando il sogno di tornare in vetta al basket continentale a distanza di sei anni dall’ultimo trionfo.

Adam Smulevich


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pilpul
Rileggendo Tacito intorno a Purim
Anna SegreSi avvicina l’esame di stato e cominciano le consuete congetture su quali saranno l’autore e il testo latino su cui si dovranno cimentare i ragazzi del liceo classico nella versione che costituirà la seconda prova scritta. Tra i più temuti c’è Tacito, su cui ci si allena già da ora. Difficile immaginare, però, che gli esperti del ministero possano scegliere un testo così inquietante come l’inizio del quinto libro delle Historiae, in cui lo storico spiega a modo suo chi sono gli ebrei; proviamo a leggere qualche frase: “Mosè … introdusse nuovi riti, contrari a quelli degli altri uomini. Colà sono empie tutte le cose che da noi sono sacre, e in compenso è lecito presso di loro quello che per noi è sacrilego … Quelli che hanno accettato il loro tenore di vita seguono la medesima pratica, e per prima cosa imparano a disprezzare gli dei, a rinnegare il sentimento patrio, a non tenere in nessun conto genitori, figli, fratelli …” Sono le accuse tipiche degli antisemiti di ogni epoca, che pochi giorni fa abbiamo letto nella Meghillat Ester: “Esiste un popolo sparso e diviso tra i popoli, in tutte le province del tuo regno, e le sue leggi sono differenti da quelle di ogni altro popolo e non osservano le leggi del re…”
Tacito poi prosegue: “stimano sacrileghi quelli che foggiano con materiali deperibili immagini divine in sembianza umana; quella loro divinità è suprema ed eterna, non raffigurabile e non soggetta a deperimento. Perciò non ne collocano nelle loro città e tanto meno nei templi; né usano questa forma di adulazione verso i re o verso i Cesari”. Anche questo ci ricorda qualcosa: “… ma Mordechai non si inchinava né si prostrava”. Gli ebrei non suscitano antipatia solo perché sono “altri”, ma anche perché rifiutano ogni forma di idolatria, e di conseguenza non sono disponibili ad atti di sottomissione incondizionata verso il potente di turno.
A volte essere antipatici a qualcuno è un buon segno.

Anna Segre, insegnante

"Yes, we can"
assaelDa ogni parte si sentono critiche all'amministrazione Obama, alimentate ulteriormente dall’atteggiamento assunto nei confronti delle rivolte nei Paesi arabi: Obama è stato ingenuamente sedotto dalle piazze ricolme di giovani sotto i trent’anni (a me pareva che la retorica della libertà avesse contraddistinto altre amministrazioni, quelle, per intenderci che hanno titolato le proprie missioni enduring freedom), invece di fare chiacchiere Obama dovrebbe intervenire proclamando una no-fly zone e, perché no, già che ci siamo inviare un contingente militare per stanare Gheddafi. Poi, naturalmente, deve uscire in modo vincente dagli scenari afgani e iracheni sanando conflitti che solo le più feroci dittature avevano tenuto nascosti (vedi Saddam). Ed anche, riequlibrare le relazioni con Russia e Cina, anch’esse minate dagli otto anni bushani, affrontare il problema iraniano, e risolvere il problema dell’inquinamento globale, pulire l’Oceano rovinato dai pozzi petroliferi della BP, scongiurare il disastro nucleare in Giappone, aiutare Haiti, risolvere la crisi della finanza globale, tenere sotto controllo il deficit USA… Io mi domando come si faccia a pensare cose simili senza farsi cogliere da una sensazione di vertigine, che, perlomeno, dovrebbe spingere a riconsiderare le proprie posizioni alla luce di uno scenario più complessivo. A maggior ragione, quando ci si accorge che la stessa amministrazione è accusata anche dell’opposto di quanto elencato adesso.
Ampliando la critica, analoghe considerazioni vengono rivolte all’Unione Europea, che qui tralascio, per rispettare il vecchio adagio di non sparare sulla croce rossa, ma che aiuta a comprendere che Gli Stati Uniti sono sul banco degli imputati anzitutto come espressione (forse unica) della politica internazionale dell’Occidente. Io penso che il vero dato da considerare sia che tutti noi che abitiamo la parte Ovest del mondo non siamo riusciti ad elaborare una politica post guerra fredda, rimanendo legati al mito della nostra superiorità, alla base delle peggiori politiche imperialiste ed, ancor prima, dei più feroci processi di evangelizzazione. Oggi come oggi gli Usa (e tantomeno l’Europa) non possono decidere alcunché senza il consenso di attori come Russia e Cina. Immaginate quali reazioni susciterebbe un’invasione Nato sul territorio libico che andasse a contrastare gli interessi energetici di Putin o le ambizioni africane della Repubblica popolare. Come unico risultato otterrebbe lo spostamento di investimenti verso Est (Gheddafi ha già convocato gli ambasciatori russi e cinesi), con una infinita serie di corollari. Figuriamoci poi se l’Occidente potrebbe riscrivere da solo le regole della finanza globale quando la Cina è anni che porta avanti lo slogan, ”come, ora che noi ci siamo adeguati al vostro gioco, voi volete cambiare il modo di giocare?” E così per qualunque decisione si voglia prendere. La realtà è che, rimasti orfani del polo sovietico, il mondo ha affidato agli Usa il ruolo di sceriffo globale, chiedendo loro di intervenire in ogni crisi, ignorando il fatto che altri soggetti avevano ormai avviato canali commerciali che avrebbero modificato strutturalmente gli equilibri politici del pianeta. Una miopia assurda, sorretta da acrobazie intellettuali che parlavano di fine della storia e di pax americana. Quest’onere, naturalmente, è caduto anche sulle spalle di W. Bush, la cui amministrazione, a mio giudizio, ha però commesso l’abbaglio di sviluppare una politica unilaterale che i tempi avrebbero condannato in partenza. Non temo di affermare che nell’ottica di un superamento di logore categorie politiche, al mondo non poteva accadere cosa migliore di un Presidente che si è esplicitamente proposto come punto di superamento degli opposti (tanto da incassare critiche da ogni fronte), inaugurando un nuovo corso diplomatico (se avessimo tentato prima di stabilire nuovi rapporti politici rafforzando gli organi sovranazionali, lo avremmo fatto a partire da una posizione di forza. Ora ci tocca trattare col cappello in mano). Mi fanno ribrezzo le critiche volte a mantenere lo status quo, rendendo vano lo sforzo di costruire qualcos’altro rispetto a quanto ereditato (da chiunque provengano, anche dal mondo ebraico), che, a mio giudizio, fanno il paio con le parole dei vecchi leaders come Mubarack, il quale, nel momento più caldo della contestazione egiziana, così si era sostanzialmente espresso: “Obama è una brava persona, ma non capisce niente di quanto avviene qui, è giovane e ancora inesperto.” Due giorni dopo sarebbe stato cacciato a calci dalla sua gente. Aveva capito lui, il ladro ultramiliardario che ha rubato al suo popolo, sorretto dall’Occidente, mentre pianificava affari con gli altri. Non è Obama il problema, ma le terribili forze conservatrici sparse per il mondo (ed anche Israele dovrebbe pensare bene se le convenga seguire un orizzonte di pace col mondo islamico o l’idea di un equilibrio fondato su rapporti di forza oggi molto cambiati). Nonostante le oggettive incognite e le terribili difficoltà, io dirò ora e sempre, “Yes, we can”. Chiamatemi idealista, io vi chiamerò cinici.

Davide Assael, ricercatore

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Luci di Broadway  spente
per ricordare Elizabeth Taylor
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Questa sera le numerose luci di Broadway a New York saranno spente, in segno di lutto, per Elizabeth Taylor. L'attrice è stata seppellita ieri a Los Angeles in una cerimonia privata che si è svolta il giorno dopo la sua morte, come vuole la religione ebraica alla quale si era convertita. Non più di una quarantina di persone hanno presenziato alla funzione, tenuta segreta sino all'ultimo. La star di Cleopatra e La gatta sul tetto che scotta è stata sepolta al Forest Lawn memorial park di Glendale. Nei prossimi giorni, ma la data non è stata ancora comunicata, si terrà una cerimonia aperta al pubblico. Elizabeth Taylor si era convertita all'ebraismo nel 1959, poco prima del suo quarto matrimonio, con il cantante ebreo Eddie Fisher.

 
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