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27 marzo 2011 - 21 Adar Sheni  5771
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moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
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Benedetto Carucci Viterbi
Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino 


"E Aharon tacque": così la Torah registra la reazione di Aharon alla morte dei suoi due figli. Aharon diventa, secondo il Chafetz Chaim, come un sasso: non solamente tace, ma è imperscrutabile dall'esterno qualsiasi sua reazione di dolore. Riesce ad accettare senza alcuna riserva ciò che Dio ha decretato.

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Siamo ancora attoniti a chiederci come sia stato possibile il crollo politico di regimi forti o che tali ci apparivano. Una risposta potrebbe essere questa: quando la tua quotidianità ti impedisce di pensare al domani; ti obbliga a vivere un eterno presente che non ti lascia scampo; il tuo futuro non c’è; nel paese che ti è stato detto di odiare – in Israele - con la forza della mobilitazione sono riusciti a mandare via i propri capi politici che avevano infranto la legge, allora vuoi farlo anche tu. Non ti stai a chiedere se quel paese sia allora l’impero del bene, anziché quello del male, né se tu sei democratico oppure no. Ma inizi a invidiare i democratici e ti chiedi: Perché io no? L'invidia è una molla sociale potente. 
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davar
Benedetto XVI con rav Di Segni alle Fosse Ardeatine
"Veniamo a condividere il nostro dolore"
di segni e benedetto XVI"Le Fosse Ardeatine sono un luogo di memoria condivisa e dolorosa per tutti, in particolare per i cittadini romani''. Lo ha detto il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni a conclusione della visita del papa Benedetto XVI alle Fosse Ardeatine. ''Qui sono morti 76 ebrei - ha aggiunto - ma la maggioranza delle vittime sono di fede cristiana. L'incontro ha perciò un significato del tutto particolare: questo e' il luogo in cui noi veniamo a condividere un triste ricordo e una memoria spaventosa".
E' stato un "grande giorno", per ebrei e cattolici. Così diversi familiari delle vittime dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, avvenuto nel marzo del 1944, hanno commentato la visita di papa Benedetto XVI nel luogo in cui avvenne la tragedia. "Una grande emozione - ha detto uno di loro - vedere il papa qui. Per noi è un grande giorno che non dimenticheremo facilmente". "Questa visita - ha detto la presidente dell'Associazione nazionale tra le famiglie dei martiri caduti per la libertà della Patria Rosina Stame, nonché figlia di Nicola Ugo Stame, ucciso il 24 marzo di 67 anni fa alle Fosse Ardeatine - è stata voluta, desiderata perché cerchiamo un po' di forza morale dalla religione e dalle fede. Abbiamo un compito doveroso ed impegnativo: quello di accompagnare le persone, e soprattutto i giovani, nel percorso della memoria storica". ''Dobbiamo essere gli eredi di coloro che hanno dato il massimo - ha concluso - essere degni di loro. Se non si rafforzano e si stabilizzano quei valori non si può andare avanti".
Benedetto XVI era in visita al Sacrario delle Fosse Ardeatine su invito dell'Anfim nel sessantasettesimo anniversario dell'eccidio. Ad accogliere il papa, oltre al rabbino capo della Comunità ebraica di Roma rav Riccardo Di Segni, anche il cardinale Agostino Vallini, vicario generale per la diocesi di Roma; il cardinale Andrea Cordero Lanza di Montezemolo (figlio del Colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, caduto nella strage nazista del 24 marzo 1944 che fece 335 vittime); il generale Vittorio Barbato, Commissario generale per le onoranze ai caduti in guerra; il capitano Francesco Sardone, direttore del mausoleo. Il papa ha deposto un cesto di fiori davanti alla lapide che ricorda l'eccidio, quindi attraversa le grotte e raggiunge l'interno del sacrario, inginocchiandosi davanti alle tombe. Successivamente Benedetto XVI e rav Di Segni hanno recitato una preghiera per i defunti.
"Credo in Dio e nell'Italia, credo nella risurrezione dei martiri e degli eroi, credo nella rinascita della patria e nella libertà del popolo'' e ''Dio mio grande Padre noi preghiamo affiché tu possa proteggere gli ebrei dalla barbarie delle persecuzioni". Il Papa, in visita alle Fosse Ardeatine, ha citato per esteso un graffito tratto "da una cella di tortura della prigione di via Tasso a Roma durante l'occupazione nazista" e "un foglio di carta" trovato alle Ardeatine, su cui un caduto aveva scritto la frase sulla persecuzione.
Quella del colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, quella del sacerdote don Pietro Pappagallo e quella di Alberto Funaro, zio dell'omonimo rabbino romano presente oggi al sacrario, sono le tre tombe dei caduti alle Ardeatine presso le quali il Papa ha sostato prima di inginocchiarsi a pregare. Il rabbino Funaro, presente oggi alle celebrazioni con il rav Di Segni, ha perso due familiari alle Ardeatine e una ventina ad Auschwitz. Sul libro dei visitatori illustri Benedetto XVI ha citato il Salmo 23 ("Non avrò paura perché tu sei con me") una frase dallo stesso testo che aveva letto in italiano pregando con rav Di Segni davanti alle tombe delle vittime.


Un anno alla guida dell'Ari, primo bilancio del rav Richetti
rav richettiUn anno fa veniva nominato presidente dell’assemblea rabbinica italiana succedendo a rav Giuseppe Laras che ha assunto l’incarico di presidente onorario. Rav Elia Richetti, fino al termine del 2010 rabbino capo della Comunità ebraica di Venezia, oggi a Milano, Comunità in cui è cresciuto, alla guida della sinagoga Beth Yoseph, racconta quanto l’Ari in questo periodo ha fatto e soprattutto quanto c’è ancora da fare, nel quadro di un ebraismo italiano che si evolve rapidamente.
Rav Richetti, dopo un anno alla guida dell'Assemblea rabbinica italiana, quale bilancio traccia del lavoro del suo consiglio?
Abbiamo avuto qualche difficoltà iniziale perché ci siamo trovati ad affrontare situazioni delle quali non eravamo a conoscenza, per esempio l'organizzazione di alcune attività nelle piccole Comunità. Dopo una fase di assestamento però, direi che l'attività è proseguita come auspicavamo. Abbiamo aumentato in modo considerevole le occasioni di incontro tra i rabbini italiani, un obiettivo di breve termine cui tenevo particolarmente, sono state organizzate diverse giornate di studio, abbiamo avviato la costruzione del sito dell'Ari, che sarà uno strumento fondamentale per la comunicazione con gli iscritti alle Comunità e con tutti coloro cui può servire contattarci. Infine, abbiamo affrontato il tema della riforma dello Statuto dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
La riforma dello Statuto UCEI ha assunto un peso preponderante nel dibattito dell'ebraismo italiano. Il rapporto fra rabbinato e istituzioni comunitarie è un fronte particolarmente delicato, al punto che il Congresso UCEI del dicembre 2010 ha deciso di rimandare la discussione ad altra sede. Cosa è emerso dal vostro confronto?
l dibattito sull'argomento è in atto. Attualmente ci stiamo occupando di creare la commissione che diventerà l'interlocutore dell'UCEI per riformare gli articoli dello statuto che riguardano il rabbinato. Spero che gli incontri potranno essere frequenti e fruttuosi.
Altri due temi riguardo cui l'Ari è stata chiamata in causa al Congresso UCEI: un Bet Din (Tribunale rabbinico) unico per tutta l’Italia e un maggiore coordinamento sulla Kasherut.
Per quanto riguarda il Bet Din, avremo a maggio una giornata di approfondimento sulla questione con la partecipazione di numerosi esperti internazionali, probabilmente a Roma.

Sulla Kasherut abbiamo già aumentato in maniera notevole le comunicazioni interne perché tutti i rabbini e le Comunità siano informati in tempo reale delle notizie che raccogliamo. Presto queste informazioni saranno disponibili anche sul sito internet. La proposta di realizzare un marchio kasher nazionale, avanzata durante il Congresso, è più complessa, perché è necessario risolvere il problema di studiare uno standard comune.
Un altro fronte su cui l'Assemblea rabbinica italiana si muove è quello della formazione.
Attualmente è già stato avviato un corso per la formazione di moalim e spero di poter organizzare a breve un progetto analogo per shochtim. Poi ci tengo a sottolineare l'importanza di iniziative come il sito Torath Chaim (http://moked.it/torathchaim/) che permette di comunicare direttamente con chiunque abbia bisogno di approfondire qualche argomento legato all'ebraismo. Mi auguro che tutti i rabbini italiani partecipino attivamente.
A proposito di questo, il fatto che ci siano sempre meno giovani che scelgono di intraprendere la carriera rabbinica viene considerato uno dei grandi problemi dell'ebraismo italiano. Per quale ragione questo accade e quale potrà essere la soluzione, secondo lei?
Io penso che esistano due problemi fondamentali. In primo luogo il fatto che i giovani rabbini siano poco disponibili a spostarsi nelle piccole Comunità, specialmente se sono abituati ad avere a disposizione tutti i servizi come la vendita di cibo kasher, il mikveh, il miniam per le Tefillot al Tempio. Però anche le piccole Comunità devono capire che per avere un giovane rabbino devono fornirgli delle condizioni minime di vita ebraica.
Ma andando ancora più nel profondo della questione, abbiamo il problema che tra coloro che iniziano il percorso di studi per diventare rabbino, sono pochissimi a portarlo a termine. La carriera rabbinica è considerata irta di difficoltà e poco attraente. Penso che un primo passo per cambiare le cose sia stato compiuto dal Congresso UCEI, con il confronto aperto e sentito che ha avuto luogo tra rabbini e delegati. Se si prosegue lungo questa strada, sono fiducioso che le cose possano davvero cambiare.


Rossella Tercatin

Giornata della cultura - Assume una dimensione europea
la nuova edizione del concorso fotografico Cdec
concorso fotograficoGiunge quest'anno alla terza edizione il Concorso fotografico del Centro di documentazione ebraica contemporanea. Ma l'iniziativa, che ha già raccolto un significativo successo negli scorsi anni, affronta adesso anche una svolta e un saluto di qualità significativo.
“Per due anni – spiega Annie Sacerdoti, Consigliere UCEI con delega ai Beni culturali e rappresentante europea nel Consiglio dell'organizzazione europea per la cultura ebraica Aepj (Association europeenne pour la preservation et la valorisation de la culture et du patrimoine juifs) - il Cdec ha organizzato un concorso fotografico collegato alla Giornata europea della cultura ebraica ispirandosi al tema fissato per ogni specifica edizione. Da quest'ano il concorso si estende a tutta l'Europa, per cui il Cdec diventa il centro che invita tutte le realtà europee a prenderne parte. Un incarico di organizzatore europeo molto prestigioso”.
Il tema, come di consueto, è una variazione di quello della giornata di quest'anno che si terrà nella prima domenica di settembre 2011. La nuova edizione della Giornata è intitolata alle sfide del futuro e all'innovazione tecnologica (e porta il titolo di “2.0: Facing the future”). Il concorso fotografico, a sua volta, richiama l'innovazione con il titolo “Judaism in the Age of New Media. New Tools of Communication, Representation and Exchange” (L'ebraismo nell'epoca dei nuovi mezzi di comunicazione. Nuovi strumenti di comunicazione, rappresentazione e scambio).
“Il Cdec – spiega Annie Sacerdoti - ha redatto un regolamento che possa essere applicato per tutta Europa e che resta ispirato alle regole della legge italiana riguardo alle norme sul diritto d'autore. La Aepj ha l'incarico di diffondere il regolamento e l'iniziativa a livello europeo”.
Tutto il materiale proveniente dalle diverse realtà europee sarà inviato direttamente a Milano. Sul sito del Cdec c'è tutto il regolamento in italiano e in inglese e la possibilità di iscrizione online. Anche le immagini potranno essere trasmesse dagli autori direttamente online. Il regolamento prevede infatti la facoltà di inviare in forma digitale le fotografie direttamente al Cdec. Una giuria solo italiana che valuterà le varie opere e darà un premio su tre livelli.
A conclusione è prevista un'esposizione delle prime 100 foto e le immagini potranno essere riprodotte e presentate in mostra in qualunque paese d'Europa che si candidi a ospitare l'esposizione.
“Si tratta – commenta Annie Sacerdoti - di un primo importante esperimento di collaborazione internazionale che vede al centro la realtà italiana”.
Gli elaborati dovranno essere presentati entro il 31 maggio. Tutte le informazioni si trovano sul sito www.cdec.it

(Nell'immagine una delle fotografie premiate dell'ultima edizione del concorso).


A Sorgente di vita il contributo ebraico al Risorgimento
e uno speciale sulle Fosse Ardeatine
sorgente di vitaLa puntata di  Sorgente di vita di questa sera apre con un servizio dedicato al  contributo degli ebrei al Risorgimento e all’Unità d’Italia attraverso la storia di Enrico Guastalla, che  si unì a Garibaldi da giovane volontario e combattè in tutte le campagne del generale. Dalla difesa  della Repubblica Romana sul Gianicolo, alla spedizione dei Mille, fu ufficiale valoroso e svolse anche un ruolo diplomatico di mediazione  tra Mazzini e Garibaldi. Fu infine deputato nel Parlamento del neonato Regno d’Italia.
La seconda parte della puntata è invece tutta dedicata alle Fosse Ardeatine. Giovani, vecchi, militari, partigiani, ebrei, cattolici: era rappresentata l’Italia intera fra le vittime della strage, uno dei momenti più drammatici degli otto lunghi mesi dell’occupazione tedesca di Roma. Il 24 marzo 1944  presso le cave sulla via Ardeatina 335 persone, furono trucidate dai nazisti  come atto di rappresaglia dopo l’attentato partigiano di Via Rasella. La vicenda viene raccontata da un filmato realizzato dall’ANFIM nel 1992.
Domenica 27 marzo  Sorgente di vita va in onda eccezionalmente alle ore 0,50 circa su RAIDUE. La puntata verrà replicata lunedì 28 alle ore 1,20 e lunedì 4 aprile alle 9,30 del mattino.
I servizi di Sorgente di vita sono anche on line.

p.d.s.


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pilpul
Davar acher - Siamo tutti coloni
Ugo VolliSono stato colpito anch'io come altri, fra cui Donatella di Cesare su questo sito, dell'uso disumanizzante che palestinesi, politici europei, stampa internazionale e anche qualche parte del mondo ebraico hanno fatto della parola "colono" in occasione della strage di Itamar. E' un uso del linguaggio così inaccettabile e velenoso da meritare una riflessione, al di là del rifiuto dell'odio. Non si tratta solo di un linguaggio giuridicamente sbagliato e fondamentalmente razzista, vi è in esso un attacco all'identità ebraica. C'è in esso qualcosa di antiebraico, più generale di tutte le spiegazioni che si possono dare sul fatto che Giudea e Samaria sono territori contestati e non territori occupati; che non esiste nessun diritto legale palestinese a tutte le terre al di là di una linea armistiziale che fu stabilita nel '49 con un accordo a Rodi in cui se ne escludeva esplicitamente la funzione di confine internazionale; sul ridicolo di riportare lo schema dell'imperialismo ottocentesco ("madrepatria" e "colonie") a una situazione in cui le distanze sono di pochi chilometri e le due popolazioni ("occupanti" e "occupati", ebrei e arabi) si mescolano da entrambe le parti della linea verde.
Come fece notare Shmule Trigano in un suo bellissimo libretto di qualche anno fa ("Les Frontères d'Auschwitz", Livre de poche 2005), anche se letteralmente l'italiano "colono" e l'inglese "settler" traduce piuttosto "mityashev", colui che si insedia, che va a risiedere – termine usato per gli immigranti nell'Yishuv che precedette lo stato di Israele -, "colono" nel senso disumanizzato è la traduzione del termine ebraico "mitnahel", usato adesso, che significa "chi prende possesso della sua eredità (nachala)".
Il problema per i nemici di Israele non è solo che ci siano degli insediamenti, ma che questi vengano rivendicati come ebraici, come eredità. Per questo si tenta sempre più spesso di definire "colonie" anche luoghi che non sono certo nuovi insediamenti, come Gerusalemme, e la loro ovvia origine ebraica è contrastata e negata dai palestinesi e dai loro sostenitori al di là di ogni buon senso, delle testimonianze storiche e archeologiche e perfino del Corano. Che poi a Gerusalemme i decenni di "occupazione" ebraica non abbiano affatto eliminato la popolazione araba né sconsacrato i luoghi di culto islamici (al contrario della pulizia etnica e della vera e propria distruzione del quartiere ebraico, della sconsacrazione dei cimiteri ecc. compiute dall'occupazione giordana), non interessa a nessun cultore della correttezza politica. Se uccidere i coloni non è reato, figuriamoci falsificare la storia e distruggere le memorie delle “colonie".
Del resto, che da parte della Chiesa e dell'Islam ci sarebbe stata il tentativo di negare la nostra appartenenza alla Terra di Israele – a tutta la Terra, non solo alla porzione al di là della linea verde – era chiaro a chiunque sapesse vedere fin dall'inizio di queste religioni. Per vederlo basta rileggere oggi la celebre nota di Rashi al primo versetto della Torah ("Per quale ragione inizia con il racconto della creazione? [...] Se i popoli del mondo dicessero a Israele 'voi siete dei predoni [dei coloni?] perché avete preso con la forza le terre [... si potrebbe] replicare loro 'Tutta la terra appartiene al Santo benedetto Egli sia, è lui che l'ha creata e l'ha data a chi parve giusto ai suoi occhi."). Quel che è in gioco insomma è il nostro rapporto con Eretz Yisrael, che la Torah definisce il nostro lascito (morashà). Chi disumanizza i coloni considera innanzitutto intollerabile questo rapporto.
Bisogna aggiungere che Rashi, nel suo commento, si riferiva ovviamente non alle terre "dei Palestinesi" che allora non c'erano e non ci sarebbero stati per altri ottocento anni, ma al primo ingresso del popolo ebraico in Eretz Yisrael, quello di Giosuè e della sconfitta dei "sette popoli". Il fatto è che il popolo ebraico (fin dal nome ivrì, attribuito per primo ad Avraham e solitamente interpretato come "colui che viene da altrove") è fra i pochissimi se non l'unico a non proclamarsi indigeno, ma a dirsi invece nei propri testi fondativi immigrato, "occupante" o "colono" della sua terra. In realtà la storia ci insegna che questa condizione non indigena è comune a tutti i popoli, che si sono insediati dove stanno ora dopo migrazioni e battaglie, magari antiche come per celti e latini, o piuttosto recenti come arabi e turchi; ma quello ebraico si caratterizza per non averlo scordato o nascosto: "mio padre era un arameo errante", diremo fra un po' di nuovo nel seder di Pessach.
La verità è che noi ebrei, quando non siamo esuli, siamo tutti, da sempre, coloni. Siamo stati stranieri-residenti con Abramo (Gn 23,3), esiliati con Giuseppe, stranieri in terra straniera con Mosè e Gershom, conquistatori con Giosuè, e poi di nuovo esiliati in Babilonia, di nuovo "occupanti" con Esdra e Neemia, di nuovo esiliati e oggi "coloni" ancora, al di qua o al di là della linea verde. Chi fra noi o fra i nostri "amici", pensa di poter dividere il popolo ebraico fra coloni cattivi ("mitnahelim") e cittadini buoni (mityashevim"), si sbaglia profondamente e tradisce il senso della nostra storia. Chi attacca i "coloni" lo fa tatticamente, ma attacca tutto il popolo ebraico, rifiutando una delle basi della sua esistenza, il rapporto con Eretz Yisrael. Per ragioni pratiche, per tentare delle vie di pace, per non farci schiacciare possiamo dover rinunciare a una parte della nostra eredità, lo sappiamo tutti. Ma non perché vi sia un diritto diverso al di qua e al di là della linea verde. Non perché i "coloni" abbiano minori diritti o più torti degli abitanti di Tel Aviv; ma perché i rapporti di forza sono quelli che sono. Dunque, ricordiamoci sempre che "siamo tutti coloni".

Ugo Volli

Le illusioni della Civiltà cattolica  
Sergio MinerbiLa maratona di venerdì mattina a Gerusalemme è stata vinta da un cittadino del Kenya che ha corso i 40 chilometri in due ore ed alcuni minuti. Non è l’avvenimento  sportivo che  interessa, ma piuttosto il fatto che esso abbia avuto luogo due giorni dopo la bomba di mercoledì sull’autobus di Gerusalemme, al centro della città accanto ai Binianey haumà. Subito le mamme si sono messe in moto per recuperare  i figli che dovevano passare da lì per tornare a casa. Insomma un passo indietro a sei o sette anni prima. Nella stessa mattinata due missili Grad vengono lanciati da Gaza contro Beer Sheva e  preoccupato ho chiamato mia figlia che è medico in quella città e che mi ha risposto tranquilla e serena. Durante la settimana scorsa sono circa un centinaio le bombe di mortaio e i missili lanciati da Gaza contro la popolazione civile in Israele.
Su questo scenario nazionale si inseriscono i disordini del Medio Oriente. Mi sembra senza soluzione il quesito se la nuova realtà sia migliore o peggiore per Israele. Il nuovo Egitto ha riconfermato la sua adesione al processo di pace e ha ripreso le forniture di gas naturale che erano state sospese per circa un mese. In Siria Assad figlio ordina di sparare sulla folla di Daraa come a suo tempo fece suo padre. I parametri occidentali di democrazia qui non valgono, quello che conta piuttosto è il grado di islamismo fondamentalista. Anche la Giordania è in tumulto in seguito a un’agitazione provocata dai Fratelli musulmani.
A questo proposito è interessante constatare come il Vaticano continui a coltivare le sue illusioni filoislamiche. La Civiltà Cattolica del 5 marzo reca un editoriale che ritiene i Fratelli Mussulmani non già fondamentalisti come sono in realtà, ma “espressione dell’Islam moderato o cosiddetto neoconservatore”. Sogni? Ma c’è di più. Secondo la stessa rivista, i cui articoli devono essere approvati in precedenza dalla Segreteria di Stato vaticana, i Fratelli musulmani potrebbero svolgere “un ruolo di mediazione” tra il vecchio e il nuovo “verso una modernità che difenda tutti i diritti umani”. Inoltre i disordini in Egitto hanno fatto riemergere la “paura che gli islamisti dietro le quinte, stessero manovrando la piazza per  rovesciare il tiranno ‘infedele e idolatra’ amico dell’Occidente e di Israele”. La soluzione sarebbe dare ai Fratelli musulmani “una possibilità di autentica democratizzazione”. Ottima idea, peccato che manchi solo il metodo per arrivarci. Anche il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali, sostiene che la pace (fra Palestinesi e Israele)  sia “il miglior rimedio per evitare l’emigrazione dal Medio Oriente”. Pie illusioni che è improbabile possano migliorare la situazione della Chiesa in Medio Oriente.

Sergio Minerbi, diplomatico

Il viaggio del St. Louis
massimo bassa Torna attuale in questi giorni il viaggio della speranza della MS St Louis, una nave tedesca salpata il 13 maggio 1939 da Amburgo con 937 profughi, quasi tutti ebrei, e diretta in America. La storia  è raccontata in Viaggio dei dannati, di Gordon Thomas e Max Morgan-Witts, ma anche su  Wikipedia:   a Cuba fu vietato lo sbarco a chi non poté acquistare, al prezzo di 500 dollari, il permesso "da profugo". Gli Stati Uniti vietarono persino l'attracco, e la nave fu poi respinta anche dal Canada e da vari stati dell'America Latina; rifornita di acqua e cibo, ma fuori dele acque territoriali, La St. Louis dovette riattraversare l'oceano e tornare in Europa: grazie alle negoziazioni del comandante Schroder, Giusto tra le Nazioni, i profughi furono smistati tra Gran Bretagna, Francia, Belgio e Olanda. In seguito all'invasione nazista del 1940, ben 257 di essi furono deportati e ucciisi.
Perché ricordare la St. Louis oggi? Per via di un fatto di cronaca che i nostri giornali, alle prese con la crisi libica e il disastro giapponese, hanno presto dimenticato: il caso della nave Mistral Express, con 1800 profughi nord africani, respinta da Malta e dall'Italia, ormeggiata al largo di Augusta in attesa di una decisione: rifornita di acqua, viveri e carburante, ma lontano dai nostri porti e dalle nostre coscienze; infine ripartita per destinazione ignota.
Non sta a noi indicare la soluzione per questa o altre "piccole" crisi, ma quello che possiamo fare noi che ci siamo passati (usando il noi collettivo degli ebrei, quello dell'Hagada', per intenderci) è evitare che questa piccola notizia, che riguarda 1800 esseri umani, cada nell'oblio e si perda nell'indifferenza. Come accadde nel '39 ai profughi della MS St. Louis.

Massimo Bassan, Università di Roma

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Qui Gerusalemme - Nuovi progetti per Tsad Kadima    Leggi la rassegna

tsad kadima  “Nonostante l'atmosfera di tensione all'indomani dell'attentato di mercoledì, un folto e caloroso pubblico ha gremito la sala dimostrando che la vita a Gerusalemme continua normalmente”. Così Alessandro Viterbo organizzatore della serata di gala di Tsad Kadima,,, »


 
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