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28 marzo
2011 - 22 Adar Shenì 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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"Se un
fuggitivo dalla prigione trova davanti a sé un fiume da traversare, e
dice al traghettatore 'prenditi questo dinar [un prezzo esorbitante] e
fammi passare', al traghettatore spetta solo il giusto compenso, ma se
il traghettatore era un pescatore e l'ha distratto dal suo lavoro gli
deve dare il compenso pattuito" (Shulchan 'Arukh Choshen Mishpat 264:7,
in base a Talmud B.Yevamot 106a e BQ 116a). Il dramma che si svolge in
questi giorni tra le sponde del Mediterraneo, anche se sorprende, non è
purtroppo una novità nella storia; nelle antiche fonti ebraiche che
conoscevano bene questi problemi c'è stato anche il tempo per
razionalizzare e stabilire regole. Quella citata è uno dei tanti
esempi. Dopo le emozioni, seguire regole, basate su giustizia e
umanità.
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Anna
Foa,
storica
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Per Roma, i momenti più
tragici della guerra, quelli che hanno lasciato una ferita aperta
nell'anima stessa della città, sono il bombardamento di San Lorenzo e
in misura ancor maggiore la razzia del 16 ottobre e l'eccidio delle
Fosse Ardeatine. Come smettono di sanguinare le ferite di tal fatta? Ed
è giusto che si rimarginino, o devono continuare a sanguinare, per
sollecitare nel dolore la memoria? Il monumento delle Ardeatine, il
sacrario, le tombe offrono un'immagine straordinaria di serenità, di
una memoria perpetuata senza strepito e senza retorica. E' in questo
luogo che ieri Benedetto XVI si è recato, terzo pontefice a farlo dopo
Paolo VI e Giovanni Paolo II, insieme al Rav Di Segni e ai familiari, a
rendere omaggio alle vittime tutte, cristiane ed ebree, credenti e non
credenti, di fronte a quelle tombe di pietra tutte uguali, quasi
fossero una.
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Qui
Vercelli - Due libertà condivise
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Il tema della libertà e
dell’emancipazione di due minoranze storiche come l’ebraica e la
valdese sono state al centro del dibattito sui decreti di Carlo Alberto
del 1848, organizzato dalla Comunità ebraica di Vercelli e dalla Chiesa
evangelica valdese di Biella.
Il confronto, cui ha assistito un pubblico folto e attento, si è svolto
nello splendido salone del Collegio Foa a Vercelli.
Relatori dell'incontro sono stati Giorgio Bouchard e Giulio Disegni,
che hanno tratteggiato, dalle diverse angolature, valdese ed
ebraica, il
percorso compiuto dalle due minoranze nel difficile e lungo cammino
verso la libertà, un cammino segnato dall’impegno di molti
intellettuali e politici piemontesi ma anche dalla forte volontà degli
ebrei e dei valdesi che volevano uscire da una condizione di illibertà
ed essere uguali agli altri cittadini, pur mantenendo vive le proprie
specificità culturali e religiose. Otto anni dopo quell’emancipazione
la Comunità israelitica di Vercelli nel 1856 ospitò l’assemblea generale delle Università
israelitiche dei Regi Stati Sardi nell’antica sala del Collegio Foa,
istituito a Vercelli nel 1829 in seguito al lascito testamentario di
Elia Emanuel Foa e che diede all'ebraismo italiano maestri e rabbini
insigni. In quell’occasione si concretizzò il primo atto
dell’organizzazione in chiave moderna delle Università e del loro
rapporto con lo Stato, impianto che venne sancito l’anno successivo
dalla legge Rattazzi.
Nello stesso salone la Comunità ebraica di Vercelli, ha dunque creato
un’occasione per condividere tra due nuclei religiosi con molte
affinità il ricordo di una stagione di lotte per raggiungere la
libertà. Un’occasione meritoria tra le tante promosse da una Comunità,
allora numerosa e influente, oggi ridotta di numero, ma che negli
ultimi tre anni è in leggera crescita anche numerica e soprattutto
molto organizzata, ricca di iniziative e offerte culturali, e
desiderosa di far conoscere il proprio patrimonio culturale, costituito
dalla splendida sinagoga e dal cimitero di Vercelli, dalla sinagoga e
dal cimitero della sezione di Biella e dal cimitero di Trino
Vercellese.
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Qui Venezia - I giovani
festeggiano Purim
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È uno degli eventi di
maggior successo dell’Ugei, l’appuntamento che molti ragazzi ebrei dai
18 ai 35 anni segnano con doppia sottolineatura e cerchio rosso nel
calendario. Il tradizionale weekend di Purim organizzato dall’Unione
Giovani Ebrei d’Italia una settimana dopo la data “ufficiale”
della ricorrenza per permettere a ciascun giovane di
celebrare una seconda volta la festa della sorti dopo gli
eventi tenutisi nelle rispettive comunità di riferimento, si è
svolto nelle scorse ore a Venezia richiamando nel capoluogo veneto un
significativo numero di partecipanti. Nella città lagunare, tra ponti
sospesi nella magia e gondolieri in fermento per la consueta invasione
turistica del weekend, centinaia di ragazze e ragazzi ebrei provenienti
da tutta Italia, da Milano a Roma, da Torino a Firenze, da Genova a
Padova, hanno trascorso uno shabbaton all’insegna del
divertimento e della spensieratezza chiudendo in bellezza con la festa
rigorosamente in maschera nella cornice unica del Teatro San Gallo,
edificio di grande fascino a due passi dalla celeberrima Piazza San
Marco.
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Europei
di calcio - Israele torna in corsa
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La nazionale israeliana di
calcio aveva un solo obiettivo nel match di qualificazione agli europei
del 2012 che la opponeva alla Lettonia: tre punti. E l’obiettivo, pur
con qualche sofferenza in più del previsto, è stato centrato. Decisivo
il goal vittoria dello “scozzese” Beram Kayal (nell'immagine) a dieci
minuti dal termine. Una rete, quella del centrocampista dei Celtic
Glasgow (alla prima realizzazione con la maglia della nazionale), che
ha permesso ai padroni di casa di riacciuffare le sorti della partita
dopo che la marcatura di Gorkss a metà ripresa aveva annullato l’acuto
in apertura di Barda annichilendo il pubblico di Tel Aviv. “Abbiamo
rischiato di buttare al vento una grande occasione. Ci è andata bene ma
si tratta comunque di una vittoria meritata” spiega il ct israeliano
Fernandez. Il pareggio sarebbe stato ingiusto oltre che inutile in
ottica qualificazione. Avrebbe di fatto sancito l’uscita di Israele dal
discorso europeo: un discorso affascinante riaperto invece grazie al
colpo di testa vincente dell’arabo israeliano Kayal. Anche se le
possibilità restano tutto sommato modeste vista la maggiore forza
oggettiva delle due principali opponenti del girone, Grecia e Croazia,
squadre tradizionalmente abituate a calcare le fasi finali della
manifestazione (e talvolta, come nel caso dei greci, a vincerle). Ma
una “speranziella” è ancora lecito coltivarla, soprattutto se al
successo contro l’undici lettone farà seguito un’ulteriore affermazione
casalinga martedì prossimo contro la Georgia, avversario ostico (ieri a
sorpresa ha battuto la Croazia) ma in teoria alla portata degli uomini
di Fernandez. Con una vittoria la nazionale israeliana raggiungerebbe
infatti al secondo posto del girone la Croazia e si porterebbe a un
solo punto dalla Grecia. Con una partita in più giocata, certamente, ma
con nuove energie e nuove ambizioni che potrebbero essere linfa
decisiva nella grande volata finale che, dopo il return match con la
Lettonia in giugno, per settembre prevede sia Grecia (in casa:
obbligatori i tre punti) che Croazia (in trasferta: bene anche un
pareggio). “La Georgia è un avversario durissimo ma noi dobbiamo
assolutamente vincere per guardare al futuro con ottimismo” il ruggito
di Fernandez.
ISRAELE-LETTONIA
2-1 (Barda 16 p.t, Gorkss 17 s.t, Kayal 36 s.t)
CLASSIFICA
GIRONE F
GRECIA 11 (5)
CROAZIA 10 (5)
GEORGIA 9 (5)
ISRAELE 7 (5)
LETTONIA 4 (5)
MALTA 0 (5)
Adam Smulevich
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Nucleare. Riparare il mondo
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«Quel che abbiamo visto
sinora - morte delle foreste, Cernobyl - non è ancora niente: il peggio
deve ancora venire». Così rispondeva Hans Jonas in un’intervista
rilascia il 23 giugno del 1988 al settimanale tedesco «Stern». I
quattro reattori di Fukushima, minacciosi e impenetrabili sullo sfondo
di questi giorni caotici, sembrano confermare il pessimismo del
filosofo. Da allora, in effetti, le cose non sono cambiate. La terra ha
continuato a essere inghiottita dalla logica della produzione e del
consumo, ridotta a serbatoio. Mentre la tecnica si è sviluppata nel
segno dell’esagerazione e dell’incontrollabilità, il nucleare si è
rivelato ormai una minaccia estrema. Lo stato di emergenza esiste già:
gli uomini sono al contempo pazienti e medici di un male che hanno
autonomamente prodotto.
Ma che cosa può la coscienza del pericolo di fronte alla politica
spicciola, agli interessi dell’industria, alle necessità energetiche,
alle esigenze del mercato? La coscienza «ecologica», per quanto sia
ormai acuta, non si risolve in belle parole e buoni propositi?
Se si argomenta così, si sbaglia. E si è già persa la guerra contro il
nucleare. Oggi non si dovrebbe più chiedere: che cosa possiamo ancora
fare? Non si tratta di fare, inventare, creare. Piuttosto la questione
è: che cosa possiamo non fare? A che cosa possiamo rinunciare? Più
urgente è la rinuncia, il riconoscimento del limite. La natura non può
più sopportare lo spirito inventivo dell’uomo. Da tempo lancia segnali
inequivocabili. Saccheggiando spietatamente il pianeta, in vista del
profitto economico e tecnico, abbiamo deluso le intenzioni della
Creazione.
Sull’orlo dell’abisso è indispensabile parlare di «Creazione» prima che
di «natura», per rispettarne il mistero e l’integrità, per frenare
l’artificio umana, per assumere una responsabilità verso l’ecosistema,
per prepararsi al compito che ci resta: il «tikkun olam», la
riparazione del mondo. Pur dovendo ormai vivere all’ombra di una
incombente calamità, non si dovrà cedere alla rassegnazione, ma
accettare ebraicamente il «limite». Senza il dovere del limite c’è poca
speranza.
Donatella
Di Cesare, filosofa
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La sobrietà non fa
spettacolo
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C’è una categoria
dell’intrattenimento televisivo - non particolarmente nuova, per la
verità - che da qualche tempo sembra godere di particolare fortuna.
Affermate trasmissioni di prima e seconda serata, nonché una quantità
di affollati talk show pomeridiani, propongono con insistenza
assolutamente bipartisan il medesimo modello: discussioni di gruppo su
casi di delitti particolarmente efferati o di violenza estrema. Parlo
di intrattenimento non a caso, ma per la ragione che in molti di questi
programmi non è più questione di doverosa informazione, quanto più
possibile precisa e ampia, bensì di spettacolarizzazione, scoperta e
quasi dichiarata. L’obiettivo, in altri termini, non è più quello di
fornire nuovi contenuti, quanto la ricerca di una moltiplicazione degli
effetti emotivi, sensazionalistici, retorici. Il setting è tipicamente
costituito da esperti, veri nonché televisivamente ben rodati e
smaliziati, ma soprattutto dai personaggi più vari, presuntamente
elevati allo stesso rango, ma il cui ruolo sembra essere in realtà
quello di rappresentare l’apoteosi del luogo comune, l’idealtipo dei
discorsi da autobus. Insieme, e coralmente, gli uni e gli altri
ripetono all’infinito il già detto, insistono su particolari minuti e
spesso irrilevanti dilatandoli senza limiti, esibiscono con commozione
compunta gli aspetti più intimi e crudi, voltano e rivoltano il “caso”
alla ricerca estenuata di qualcosa: se l’ipotesi di uno scoop in
termini di informazione è obiettivamente difficile - considerata la
“copertura” che la notizia ha già ricevuto - che sia almeno ricerca
dello scoop emotivo, dello spettacolo, appunto. Dunque
dell’affermazione più toccante, dell’”analisi” più carica di
“sentimento”, della retorica più dolciastra, dell’osservazione più
struggente. L’orrore - insomma - diventa gossip. Con contenuti diversi,
ma con formato e codici identici a quello che si concentra sulle
avventure vere o inventate di personaggi famosi.
Non è facile interpretare il fenomeno, a parte il riferimento
all’esigenza commerciale di ampliare la audience di un prodotto che,
semplicemente, si vende bene, e non pretenderò di farlo in questa sede.
Alcuni elementi, però, possono essere oggetto di riflessione.
Probabilmente, vi è innanzitutto un’ansia di metabolizzazione: parlarne
e ri-parlarne assicura (in fantasia) una forma di elaborazione, di
controllo, di riconduzione al quotidiano di fatti che sono, al
contrario, il rivolgimento più drastico della quotidianità.
L’esibizione pubblica di buoni sentimenti ha una confortante funzione
di rassicurazione, tanto più in tempi di allarme sociale, diffuso e di
diversa origine. La coralità dello spettacolo si presta ad essere
intesa come solidarietà, condivisione, sollecitudine. Come in una
seduta collettiva di psicoterapia, inoltre, l’analisi infinita permette
di dare voce ad ogni forma di rimosso, con l’ambiguità e la duplicità
che gli è propria. Essa autorizza ogni voyerismo, rende dicibile ogni
ambivalenza, con la giustificazione tranquillizzante dell’interesse e
della partecipazione. Quello che si consuma in questi casi è insomma
una sorta di rito pubblico di purificazione, cura (inautentica ed
improbabile) di una parte malata dei nostri tempi.
Ma, infine, vi è una ulteriore caratteristica di formato da mettere in
evidenza, e che ha a che fare con il ruolo reciproco degli esperti che
intervengono con il loro sapere specializzato, e gli “altri”. Sono
questi ultimi, infatti, ad avere di solito lo spazio maggiore nello
show, coadiuvati dagli spezzoni di intervista a “persone della strada”
sapientemente intercalati nel programma. Come per una sorta di
rivincita rispetto alle specializzazioni accreditate, la tendenza è
precisamente quella di realizzare una omologazione “in basso”, sul
terreno del sentire comune. Funzione latente di tutto ciò, direbbe il
sociologo, è quella di creare ed esibire una condivisione generale,
trasversale, immediata, “nazional-popolare”: una forma, insomma, di
anti-intellettualismo a vantaggio di una percezione banalizzata e
condivisa. E anche questo è segno dei tempi.
Enzo
Campelli, sociologo
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notizie flash |
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rassegna
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Escalation
di violenza contro Israele,
contatti diplomatici per una tregua
Tel Aviv, 28 marzo
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"Noi siamo interessati alla calma, non a una escalation. Ma al tempo
stesso non possiamo tollerare che si colpiscano nostri cittadini",
aveva affermato ieri il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, in
apertura della seduta settimanale del Consiglio dei ministri
commentando gli ultimi incidenti avvenuti lungo la linea di
demarcazione con la Striscia di Gaza. Stamane fonti palestinesi hanno
reso noto che contatti diplomatici sarebbero stati attivati al fine di
stabilizzare un cessate il fuoco fra i gruppi armati palestinesi e
Israele. Una delegazione di Hamas, hanno reso noto le stesse fonti, si
trova al Cairo per discutere un assetto che riporti la calma nella
zona. Nel frattempo a nord di Beer Sheva (Neghev) Israele sta
completando i preparativi per attivare un nuovo sistema di
intercettazione di razzi Grad sparati da Gaza, chiamato 'Cupola di
ferro'. Questa batteria è teoricamente in grado di garantire protezione
a buona parte di Beer Sheva (200 mila abitanti).
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