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13 aprile
2011 - 9 Nisan 5771 |
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Adolfo
Locci
rabbino capo
di Padova
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Domani
sarà il dieci di Nissan, il giorno in cui i figli d’Israele in Egitto
presero l’agnello da offrire in sacrificio alla vigilia della
liberazione. Perché proprio in questo giorno? Rabbì Moshè David Valle
(Padova 1696-1777), oltre a proporre un motivo, nota anche una
relazione tra questo giorno (10 di Nissan) e il giorno di Kippur (10 di
Tishrì): “Perché proprio in questo giorno l’emanazione divina del
“Malkhut” (regalità) sale fino a quella della “Binà” (intelligenza) per
ricevere da essa la forza e l’aumento di “Chesed” (amore divino) che si
desta nel mese di Nissan. Lo stesso movimento accade nel giorno di
Kippur quando l’emanazione divina del “Malkhut” (regalità) sale fino a
quella della “Binà” (intelligenza) per ricevere in questo caso la forza
della “Ghevurà” (prodigio) per completare il giudizio di ogni essere
vivente...”. Secondo l’insegnamento di Yosef Giqatila (XIII secolo),
all’emanazione della “Binà” sono legati eventi quali l’uscita
dall’Egitto, il dono della Torà e il Yom hakippurim del Giubileo che, a
loro volta, sono collegati alla Teshuvà (ritorno). Una volta fu chiesto
al “Veggente di Lublino” (Rabbì Yaakov Ytzchak Horowitz 1745-1815) il
perché - nello Zohar - la Teshuvà, che ha la stessa natura
dell’emanazione “Binà”, è chiamata madre. Egli spiegò che “quando un
individuo riconosce il male e si pente, il suo cuore accoglie la “Binà”
e si volge ad essa; è allora che diventa come un neonato e la Teshuvà è
sua madre”.
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Alberto
Cavaglion,
storico
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Chiunque abbia lavorato nelle
biblioteche italiane, studiando libri del Novecento si sarà imbattuto
in odiosi graffiti apocrifi. Il furore biblioclasta che ha
caratterizzato le dittature del XX secolo si perpetua ancora oggi nel
silenzio delle sale di lettura. Non ce ne siamo mai accorti, appagati
dal libro sui roghi di Leo Loewenthal. L’odio contro il libro ha esiti
spesso più sottili e non tutti questi gesti di viltà risalgono al
periodo del 1938-1945. Alcuni graffiti, purtroppo, sono recenti.
Bisognerebbe un giorno organizzare una esposizione di questi libri
oltraggiati, come si fa esponendo le foto con i negozi che esponevano
cartelli ostili agli ebrei o i disegni della “Difesa della Razza” o i
foglietti dei delatori. E’ quella affidata alle pagine di un libro di
biblioteca una forma di delazione ripugnante. Sono appunti a margine
spesso opera di lettori animati da interessi storici. Che fare quando
ci si trova in una situazione del genere? Denunciare la scoperta ai
bibliotecari correndo il rischio di essere noi stessi accusati
dell’infamia? Cancellare davanti a tutti l’ignominia alzando la voce?
Prendere in prestito il volume, mondarlo o lasciare tutto così, a mo' di
denuncia. Se lo è chiesto - se non ho visto male è il primo ad aver
sollevato il problema, dentro una ricerca che ha per oggetto un
episodio di storia della Resistenza - Marco Piazza (Cronaca di una
restituzione. Sergio Piazza (1916-1944), Aosta, Le Château, 2011, pp.
40-41).
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Qui Milano - A confronto sui poteri
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Il
tema della divisione dei poteri al centro del dibattito del Consiglio
della Comunità ebraica di Milano. Se negli undici mesi trascorsi dalle
elezioni, la linea di confine tra le varie posizioni è stata
generalmente quella che divide maggioranza e opposizione, stavolta
l’attrito è emerso all’interno della stessa Giunta. L’assessore alle
finanze, nonché vicepresidente, Alberto Foà ha aperto la seduta
chiedendo al Consiglio di esprimere una posizione netta su quattro
punti. Su due di questi - il divieto che il Consiglio si occupi di casi
personali e lo studio di una riorganizzazione dell’amministrazione
della Comunità - il consenso è stato pressoché totale, gli altri due si
sono invece rivelati problematici. Per lavorare in maniera più
efficiente, Foà ha espresso infatti la necessità di chiarire, sulle
questioni operative, il confine dei poteri della presidenza rispetto ai
propri, pur ribadendo la sua stima per il presidente Roberto Jarach. Il
quale, dopo un intenso dibattito tra coloro che hanno percepito la
richiesta come una contesa da risolvere sul piano personale o con una
verifica all’interno della maggioranza e chi riteneva invece che fosse
legittima una pronuncia del Consiglio, ha preso la parola esprimendo il
suo dissenso verso la tesi dell’assessore alle finanze, ma prospettando
come possibile soluzione la nomina di un coordinatore del Consiglio,
un’idea che ha trovato un generale consenso. Sempre caldo rimane
il tema dell’andamento della scuola. Foà ha lanciato infatti la
proposta di un piano per diminuire le rette scolastiche a tutti gli
studenti per i prossimi tre anni, puntando così ad aumentarne il
numero. Ma le risorse per mettere in atto il progetto dipenderebbero da
una questione che si è rivelata per il Consiglio difficile da
affrontare per via di posizioni molto diversificate anche all’interno
della stessa Giunta: il rapporto con la Fondazione Scuola. Anche su
questo Foà ha chiesto ai colleghi consiglieri una presa di posizione
(“perché fino a questo momento sono stato lasciato solo”): è stata così
approvata una mozione in cui si auspica che la Fondazione possa trovare
le modalità per versare una parte del proprio patrimonio per finanziare
il progetto. E sempre di scuola si è parlato nell’ultima parte
della seduta, in cui Walker Meghnagi e Daniela Zippel hanno presentato
i risultati del loro lavoro sul fronte dei sussidi scolastici:
approvate le linee guida che porteranno a rivedere le regole per
assegnare i sussidi per l’anno scolastico 2012-2013, con la probabile
istituzione di un’apposita commissione. Buone notizie anche sul fronte
del numero di studenti: alcuni di coloro che avevano scelto di lasciare
l’istituto hanno deciso di reiscriversi grazie al reperimento di
ulteriori borse di studio finanziate da donatori privati. In attesa,
mentre il Consiglio si occupa di come aumentare il numero di studenti
lavorando sui costi a carico delle famiglie, che vengano presentati
progetti per migliorare la qualità della didattica cui si sta dedicando
una task force guidata da Roberto Liscia.
Rossella Tercatin
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“Il nucleare, problema politico piuttosto che tecnologico” Intervista a Roberto Mauri, docente di ingegneria chimica
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Dopo un dottorato in Ingegneria meccanica al Technion di Haifa, dove è rimasto a insegnare fino a metà deli anni '80, il
professor Roberto Mauri che si è laureato nel 1976 al Politecnico di
Milano in Ingegneria nucleare, dopo essersi trasferito negli Stati
Uniti, dove ha insegnato fino alla fine degli anni '90, è ora docente ordinario del dipartimento di Ingegneria chimica dell'Università di Pisa.
Professor
Mauri, uno dei principali problemi del nucleare è quello dello
smaltimento delle scorie. Crede, come molti, che non ci sia una
soluzione definitiva? Il problema delle scorie è,
anzitutto, di tipo economico. Per esempio, il plutonio si estrae da
queste; esso rende infatti molti soldi. Il cesio e lo stronzio, invece,
vengono messi da qualche parte ad invecchiare, ma potrebbero essere
altrimenti recuperati. Bisognerebbe però sostenere dei costi
aggiuntivi, che nessuno vuole accollarsi. Inoltre, per affrontare
un altro tema molto sensibile, cioè quanto tempo sia effettivamente
necessario affinché i materiali radioattivi decadano, è vero che ci
sono quelli che impiegano cento o duecento mila anni; questo significa
però che ogni tanto sprigionano un elettrone o un raggio gamma. I
materiali più pericolosi, invece, decadono abbastanza rapidamente. Non c'è comunque dubbio che le scorie vadano smaltite ed è altrettanto innegabile che tale problema venga spesso accantonato. Three
Mile Island e Cernobyl. Due catastrofi dovute a un errore, ad una
mancanza dei tecnici. Poiché il fattore umano è cruciale, ritiene che
l'Italia sia in grado di formare un personale adeguato? Io
penso di si. Uno sbaglio come quello di Three Mile Island fu dovuto ad
un comportamento assolutamente criminale. In quella centrale gli
allarmi si potevano spegnere, cosa che fu fatta e che oggi, per
fortuna, non è più possibile, senza quasi badare al perché questi si
fossero azionati. Piuttosto, si sarebbe dovuto spegnere il reattore, ma
questo avrebbe comportato la chiusura dell'impianto per una settimana,
con tutti i costi conseguenti. Three Mile Island è stato un classico
esempio di stupidità. È sul caso del Giappone che rimango
perplesso; il problema fondamentale del nucleare è un eccesso di regole
che ha costretto i progettisti ad essere eccessivamente conservativi,
al punto da rendere il risultato finale meno sicuro. L'esempio del
motore diesel di Fukushima che sarebbe servito per pompare acqua in
caso d'incidente e che si è guastato ne è un esempio lampante: a mio
avviso, si sarebbe potuto usare il motore diesel di una nave; quelli
sono super collaudati, si sa che funzionano. Ma non andava bene,
perché non soddisfaceva tutte le caratteristiche richieste; si è quindi
dovuto progettare un motore nuovo, che è un operazione molto complessa.
Quindi, per non accontentarsi di quello che offriva il mercato, la
conclusione è stata di rendere meno sicure le centrali. Il problema
presentatosi a Fukushima oggi verrebbe comunque superato dalle nuove
centrali, perché si metterebbe sul tetto dell'impianto una specie
di piscina e, in caso d'incidente, si fa esplodere tutto. Una soluzione
di certo non high tech, ma dovrebbe funzionare. Rimane ancora il problema dell'uranio: molti stimano che le riserve entro cinquant'anni si esauriranno. Non
credo; le riserve di uranio finora conosciute sono molto abbondanti, ed
è probabile che accada proprio come per il petrolio; cioè, quando ce
n'è bisogno si va a cercarlo. Ricordo che 6 anni fa, parlando con un
mio amico che lavorava per la Saipem, il gigante mondiale per la
costruzione di oleodotti, gli chiesi quanto petrolio ci fosse ancora, e
mi rispose che sarebbe finito entro una ventina d'anni. L'ho rivisto 2
anni fa e gli ho fatto la stessa domanda; gli anni erano diventati 40:
visto che il prezzo saliva e conveniva averne, sono andati a cercarlo e
l'hanno trovato. Così è probabile che avverrà per l'uranio, che, come
ho già detto, è comunque molto più abbondante; inoltre, come tutti i
metalli pesanti, è distribuito in maniera abbastanza omogenea sulla
crosta terrestre e, quindi, non si dovrebbe nemmeno andare troppo
lontano a prenderlo. Molti paesi
del Medio Oriente, come gli Emirati Arabi, nonostante "navighino" sul
petrolio si sono decisi a costruire delle centrali nucleari.
Ritiene che anche per Israele quella sarebbe una strada conveniente? Israele
ha un problema politico, di terrorismo, che non dev'essere mai
sottovalutato. Sono certo che disporrebbe però di tutte le capacità per
costruire una centrale. C'è di buono che è un paese piccolo, e non ha
quindi bisogno dell'apporto di grandi quantità di energia. Anche la Svizzera non è molto estesa, ed ha però otto centrali.. Che non usa, ma tiene just in case. È
d'accordo con quanto ha detto l'Annunziata, durante un'intervista a
"Che tempo che fa" del 12 marzo di quest'anno, cioè che"la storia del
nucleare è un problema di non fiducia nei politici... perché le
tecnologie nucleari sono talmente sensibili che per dire di si... devi
essere assolutamente certo dell'integrità di uno Stato, che [i
politici] non imbroglino.. È coinvolto un problema di fiducia politica,
prima ancora che nelle tecnologie"? Sono pienamente
d'accordo. Per esempio, la clausola del referendum del 1987, che trovo
oltremodo sciocca, e che vieta ogni tipo di ricerca sul nucleare, è
stata faclmente aggirata. Noi, infatti, a differenza di altri paesi,
abbiamo mantenuto dipartimenti d'ingegneria nucleare. Su queste cose
bisogna decidere: se si vuole puntare su questo tipo di energia bisogna
sviluppare un progetto scrupoloso. Ha ragione l'Annunziata; se una
settimana dicono una cosa e la volta dopo dicono il contrario.. Non
sono mica seri!
Tommaso De Pas
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Una cartolina per Shalit
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La disumana crudeltà della
prigionia di Gilad Shalit, che dura ormai da quasi cinque, lunghissimi
anni, nel totale disprezzo di ogni forma di umanità e di morale, di
qualsivoglia tipo di diritto (penale, militare, internazionale, di
pace, di guerra o di altro tipo) l’uomo sia mai stato capace di
inventare, sia pure nelle più estreme condizioni di brutalità e
sopraffazione, è – o dovrebbe essere – una spina nel fianco di
qualsiasi spirito civile, qualcosa che dovrebbe levare il sonno a
chiunque abbia in sé un minimo di coscienza. E’ evidente che, dal punto
di vista dei terroristi sequestratori, la vita del giovane soldato
rappresenta una merce preziosa, e non soltanto per la prospettiva della
gigantesca contropartita richiesta nello scambio, che assicurerebbe
loro uno straordinario successo politico, militare e di immagine nel
confronto contro Israele, ma anche per l’evidente obiettivo (da
considerare, in ogni caso, pienamente raggiunto) di alzare sempre più
il muro di ostilità e incomunicabilità tra il popolo israeliano e
quello palestinese. Tutti i palestinesi, secondo Hamas, devono tenere
presente che non c’è alcuna alternativa al linguaggio della forza e
della violenza, e tutti gli israeliani - anche quelli che continuano,
tra mille difficoltà, a organizzare iniziative umanitarie a favore
della popolazione civile di Gaza - devono sapere che, al di là della
frontiera, per loro non ci sono che irriducibili nemici. Chi critica il
cosiddetto ‘muro’ difensivo di Israele, finge di non vedere il
gigantesco muro di odio eretto da Hamas: coloro che continuano a
invocare l’agognata pace tra Israele e Palestina, e a lamentare lo
stallo nei colloqui bilaterali, come se Hamas non esistesse, che ruolo
immaginano, nel futuro Medio Oriente ‘pacificato’, per i carcerieri di
Shalit?
Abbiamo già avuto modo di annotare (nel Pilpul del 3 febbraio 2010), di
fronte al dilemma posto dalla trattativa, che la ragione e il cuore
sembrerebbero suggerire opzioni diverse. Se il governo israeliano è
chiamato all’arduo compito di conciliare entrambe le cose, il comune
cittadino può, però, fare sentire la sua semplice voce, dare una
piccola, importante manifestazione di solidarietà. Per farlo, può
essere sufficiente inviare una cartolina a Gilad Shalit, in cui gli si
augura, semplicemente, di tornare presto a casa. Natan Sharansky,
attualmente Presidente della Jewish Agency (e, com’è noto, per lunghi
anni prigioniero, in quanto dissidente, nelle carceri sovietiche), nel
corso di una pubblica manifestazione organizzata a Tel Aviv lo scorso
10 dicembre, ha sottolineato come tale piccolo gesto possa essere
importante: anche se, naturalmente, Shalit non riceverà mai i messaggi,
molti, in Italia, in Israele e a Gaza, sapranno che il giovane
prigioniero non è stato dimenticato, non lo sarà mai. Un gesto ingenuo,
probabilmente, e certamente non risolutivo (si potrebbe temere,
addirittura, che la persistente attenzione internazionale possa
contribuire a mantenere alto il “prezzo di scambio”). Ma è un gesto, in
ogni caso, che ci eviterà di andare a dormire, la sera, come se niente
fosse, come se non esistesse, in un certa località, un ragazzo
innocente, sigillato - da ormai un quinto della sua vita - in una
stanza. E i suoi sequestratori, forse, capiranno che, almeno su di un
piano, hanno sbagliato i loro calcoli, contribuendo a rendere ancora
più forte, in tutti gli amici di Israele, il sentimento di solidarietà
e appartenenza.
Scriviamo, dunque. L’indirizzo? Gilad Shalit, Military Prison, Gaza
City, Palestinian Territory (Israel)
Francesco
Lucrezi, storico
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notizieflash |
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rassegna
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Hamas:
“Nuovo video di Gilad Shalit
se Israele pagherà un prezzo adeguato”
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Leggi la rassegna |
Un nuovo video di Gilad Shalit a patto che Israele paghi un prezzo
adeguato. Questa la provocazione lanciata da una rivista “a-Risala” che
esprime le posizioni di Hamas. In occasione del video del prigioniero
israeliano divulgato un anno e mezzo fa Israele fu costretto ad
accettare di rilasciare 19 detenute palestinesi per ottenere un filmato
di due minuti, che mostrava il militare molto sciupato ma tutto sommato
in buone condizioni. A oggi ancora nessun emissario delle
organizzazioni internazionali ha mai potuto visitare Gilad.
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La situazione al confine tra
Israele e Gaza è diventata ancora più esplosiva negli ultimi giorni;
nel solo fine settimana Hamas ha fatto partire oltre 120 razzi e
missili diretti contro i civili israeliani, e, per la prima volta,
Tsahal ha utilizzato il nuovissimo sistema di difesa antimissilistica
appena installato: 8 razzi, diretti contro le città israeliane, sono
stati annientati in volo. Purtroppo ben pochi fra i lettori dei nostri
quotidiani hanno avuto notizia sia di questi attacchi palestinesi, sia
dello straordinario successo della tecnologia israeliana... »
Emanuel
Segre Amar
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è il giornale dell'ebraismo
italiano |
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 |
Dafdaf
è il giornale ebraico per bambini |
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L'Unione
delle Comunità Ebraiche Italiane sviluppa mezzi di comunicazione che
incoraggiano la conoscenza e il confronto delle realtà ebraiche. Gli
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