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 14 aprile 2011 - 10 Nisan 5771
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Alfonso Arbib Alfonso
Arbib,
rabbino capo
di Milano

Nel passo della Torah da cui sono tratte le domande dei quattro figli della Haggadà, la domanda del rashà ("quando vi diranno i vostri figli") è posta da più persone, mentre quella del chakhàm è al singolare. Secondo il capo del Bet Din di Cracovia negli anni precedenti la Seconda Guerra, la spiegazione è la seguente: alcune malattie possono essere contagiose, la salute invece non lo è. La scelta del male può essere una scelta individuale ma spesso è frutto di un'influenza collettiva. Il bene, invece, è sempre una scelta individuale.
Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme


Sergio Della Pergola
Alla quarantaquattresima sessione della Commissione per la Popolazione e lo sviluppo dell'ONU questi giorni a New York il tema in discussione è Fecondità, salute riproduttiva e sviluppo. La risoluzione finale sarà adottata col consenso delle varie delegazioni, e questo richiede un laborioso negoziato per raggiungere un testo concordato. Nella commissione preparatoria si sono delineati due campi opposti: uno guidato da Danimarca, Regno Unito, Olanda, Brasile e diversi altri paesi occidentali che esplicitamente vogliono menzionare le libertà di scelta riproduttiva degli individui e delle coppie; l'altro guidato dalla Santa Sede, Malta, Iran e Pakistan, che si oppongono alla menzione esplicita di una politica favorevole alla diffusione della contraccezione. In queste discussioni, il delegato d'Israele finisce spesso per trovarsi d'accordo con l'Egitto, con gli altri paesi arabi e con i paesi africani nel cercare una via di mezzo fra modernità e rispetto delle tradizioni. Strani compagni di letto... 

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Auschwitz - Un viaggio per non dimenticare
AuschwitzStudenti ebrei e non in viaggio nei luoghi della Memoria assieme ai sopravvissuti. “Aver partecipato a questo viaggio ci rende orgogliosi come ebrei, ma soprattutto come giovani”, così il presidente dell'Unione giovani ebrei d'Italia, Daniele Massimo Regard, fra i partecipanti dell'ultimo viaggio della Memoria ad Auschwitz, commenta la sua esperienza nei luoghi dell'orrore. “Ogni volta che torno qui ad Auschwitz - ha proseguito Regard - provo emozioni sempre differenti ma vedere le bandiere d'Israele sventolare dentro il campo mi fa sentire vivo, nonostante tutto noi ci siamo e non smetteremo mai di ricordare”. Erano circa 350 i giovani partecipanti a questa fondamentale esperienza del ricordo. Al viaggio hanno preso parte anche il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, e il presidente della Comunità ebraica di Roma Riccardo Pacifici.

Pesach 2011 - L'etica dell'azzima
Moshe SomekhNel suo Commento alla Haggadah di Pesach Rav Eliezer Ashkenazì, un Maestro italiano del XVII secolo, si domandava perché ci siano ben tre feste di redenzione nel nostro calendario. Per insegnare il concetto non ne sarebbe bastata una sola? Egli risponde che ci sono tre modi per salvare una persona aggredita da altri. Si può far fuori l’aggressore per conto della vittima; dare alla vittima la forza di combattere da solo con l’aggressore o far sì che l’aggressore elimini se stesso. In corrispondenza di queste tre modalità sono state istituite altrettante feste “di redenzione”.
A Hanukkah il Santo Benedetto ha dato a Israele, ancorché in minoranza, la forza di combattere i greci da solo, consegnando “i forti nelle mani dei deboli, i molti nelle mani dei pochi”. A Purim il Santo Benedetto ha fatto in modo che i persiani stessi si facessero fuori da soli attraverso la revoca dell’editto di distruzione. A Pesach, infine, “il S. combatterà per voi (contro gli Egiziani) e voi ve ne starete quieti” (Es. 14,14). A ben vedere Pesach si eleva al di sopra delle altre due feste, in quanto le comprende e le sublima entrambe. Scrivono infatti i commentatori che a Purim prevale l’aspetto della salvezza materiale dal pericolo di uno sterminio fisico e i precetti della giornata ruotano intorno al cibo e al vino, mentre non è prescritta la recitazione dell’Hallèl, la serie di Salmi (113-118) in lode e ringraziamento del S. A Hanukkah invece i nostri Padri corsero il rischio dell’assimilazione forzata e dell’annientamento spirituale. Conseguentemente le mitzvot degli otto giorni si concentrano intorno al motivo della lode del Santo Benedetto e del ringraziamento: si recita l’Hallèl, ma non sono prescritti pasti festivi.
immagine fornoIl Seder di Pesach rappresenta una sintesi mirabile di entrambi i motivi: in esso trovano adeguato spazio tanto il motivo del cibo (con i due alimenti di precetto, la matzah –azzima- e il maròr –erba amara-) e del vino (i “quattro bicchieri”) che quello dell’Hallèl. La ragione è che in Egitto sperimentammo tanto il passaggio dalla schiavitù alla libertà materiale che la liberazione spirituale dall’idolatria al monoteismo. Ne è testimonianza efficace la controversia fra il Rav e Shemuel (Babilonia, III sec.) se si deve cominciare il Magghid, la parte narrativa della serata, con il brano ‘Avadim Hayinu (“Schiavi fummo”), che allude al primo motivo, o con le parole Mittechillah ‘Ovedè Avodah Zarah Hayù Avotenu (“Inizialmente i nostri padri erano idolatri”) che allude al secondo. La mancata soluzione della controversia ha fatto sì che recitassimo entrambi i brani. Non è un caso che proprio l’invito iniziale rivolto a tutti i potenziali ospiti (Ha lachmà anyà) è duplice: “chiunque ha fame venga e mangi; chiunque ha bisogno venga e faccia Pesach”. È noto che vi sono due tipi di ebrei: a colui che sembra prediligere il motivo spirituale e “religioso” si fa presente che Pesach è stata anche una salvezza materiale da chi voleva sterminarci fisicamente, gettando i nati maschi nel Nilo prima e con la dura schiavitù poi. Colui invece che vede nella festa solo o prevalentemente un motivo di gioia materiale e conviviale viene portato a riflettere che il Seder è anche e soprattutto un’occasione spirituale. Come afferma un grande Maestro dell’ebraismo contemporaneo, la Shekhinah è presente alla tavola del Seder (Rav Ovadyah Yossef, Comm. alla Haggadah Chazòn ‘Ovadyah).
Già in Esodo12,15 troviamo l’obbligo di mangiare la matzah, prima dell’uscita dall’Egitto e prima che gli ebrei si avvedessero di non aver il tempo per far lievitare il pane destinato al viaggio: il comandamento della matzah era dunque già stato dato prima dell’evento storico che lo avrebbe motivato. Così scrive Abrabanel nel suo commento alla Haggadah, ma a ben vedere l’osservazione è già implicita nei commentatori medioevali a Esodo 13,8: baavur zeh assah H. li betzetì mi- Mitzrayim (“per questo scopo il S.B. mi ha fatto - tutto ciò - allorché uscii dall’Egitto”). Rashì commenta: “affinché osservassi le Sue mitzvot, come Pesach, matzah e maròr”.
Ancora più diffuso Ibn Ezrà: “Ci saremmo aspettati l’affermazione inversa: osservo queste mitzvot per quello che il S. fece per me all’uscita dall’Egitto. Ma invece è il contrario. Affinché compissimo questo servizio divino che consiste nel mangiare la matzah e nell’astenersi da ogni cibo lievitato e che è il principio delle mitzvot che il S. ci ha comandato Egli ha eseguito per noi tutti i miracoli con cui ci ha portato alla liberazione dall’Egitto. Egli ci ha tratto dall’Egitto perché lo servissimo, come è scritto: “quando farai uscire il popolo dall’Egitto servirete D. su questo monte (Sinai)” (Es. 3,12), e ancora: “vi ho tratto fuori dalla terra d’Egitto per essere il Vostro D.” (Num. 15,41). Sono dunque le mitzvot la causa dell’Esodo e non l’Esodo la causa delle mitzvot.
Non le mitzvot al servizio della Storia, ma la Storia al servizio delle mitzvot. “Il vantaggio per cui è stata voluta l’uscita dall’Egitto –scrive ancora Rav Eliezer Ashkenazì- ci tocca in ogni generazione, perciò “in ogni generazione ciascuno ha il dovere di considerare se stesso come se personalmente fosse uscito dall’Egitto”… Dal momento che secondo la Torah la matzah e il maròr che noi osserviamo in ogni generazione sono la ragione dell’uscita dall’Egitto, quando la matzah e il maròr sono disposti sulla tavola è il momento di realizzare lo scopo stesso dell’uscita dall’Egitto: rendere nota l’azione divina di generazione in generazione per tramite nostro”.
“E il Magghid non dice: “racconterai a tuo figlio nel momento in cui la matzah e il maròr saranno disposti davanti a lui”, cioè davanti al figlio, perché non è detto che questi comprenda da solo la novità e il senso di questi cibi, bensì dice che dovrai dedicarti al racconto quando matzah u-maròr munnachim lefanekha: “davanti a te”, cioè al padre”. Non ci si aspetti che i nostri figli seguano le tradizioni senza un adeguato impegno dei genitori. L’esempio personale è il primo segreto di ogni buon educatore.

rav Alberto Moshe Somekh, Pagine Ebraiche, aprile 2011

Qui Roma - “La Comunità non vi lascia soli”
Pranzi casher le Pesach offerti durante il Chol ha Moed
locandina“La Comunità non vi lascia soli” è questo lo slogan della nuova e originale iniziativa ideata dall'assessore all'organizzazione scolastica della Comunità ebraica di Roma Jack Isacco Luzon. Durante le giornate dei Chol ha Moed di Pesach (21, 22 e 24 aprile), grazie alla sua opera, sarà allestito nei locali della Scuola ebraica, in via del Tempio, un servizio di cucina casher le Pesach, a disposizione dei turisti e di tutti coloro che desiderino in quei giorni mangiare fuori casa, avvolti in un'atmosfera famigliare ed ebraica.
Ma come è nata l'idea di questa iniziativa?
"Ho fatto un passeggiata per il centro di Roma - racconta Luzon - e mi sono informato su quali ristoranti casher fossero aperti nelle giornate di festa. Mi sono resto conto che sarebbero stati tutti chiusi. E' per questo che mi sono attivato con la Comunità per offrire la possibilità a chiunque ne abbia voglia, in quelle particolari giornate, di fare un dignitoso pranzo casher le Pesach a prezzi moderati. Il presidente della Comunità, Riccardo Pacifici, e il rabbino capo Riccardo Di Segni, a cui ho presentato la mia idea, hanno accolto con entusiasmo il progetto aiutandomi a renderlo possibile".
E' la prima iniziativa di questo genere in ambito comunitario, c'è chi spera che questa esperienza sarà ripetuta in futuro. "E' quello che spero anche io - ha affermato ancora Luzon - e ritengo che l'iniziativa diverrà un appuntamento stabile, a prescindere dal risultato di presenze in quelle giornate, visto anche il pieno appoggio del rav Di Segni, posso confermare la volontà e l'impegno a far sì che l'attività si ripeta in futuro".

Valerio Mieli

Progetto di vita
AssaelDifficile trovare una definizione che riassuma il progetto di vita ebraico, certo l’imperativo categorico di costruire una società secondo un orizzonte di giustizia, tenendo sempre vivo il ricordo delle esperienze fondative dell’abitare straniero in terra straniera e della schiavitù in Mitzraim. Esperienze, come ci ricorda la Torah, intrinsecamente legate, se non addirittura consequenziali (“In Egitto salì al potere un nuovo re, il quale non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: «Ecco che il popolo dei figli di Israele è più numeroso e forte del nostro. Orsù, operiamo con intelligenza nei suoi confronti in modo che diventi più numeroso e accada che, qualora ci sia una guerra, anch’esso si aggiunga ai nostri nemici, combatta contro di noi e [il nostro popolo] se ne vada dal paese.» Shemòt, 1, 8-11). In una parola, l’ebraismo inaugura la prospettiva universalistica che riconosce diritti trasversali ai diversi contesti etnici e culturali. Che poi questa prospettiva debba essere circoscritta ad uno Stato o vada promossa in tutti gli angoli del globo (come, ad esempio, sosteneva lo stesso Yosef) è già oggetto di millenario dibattito. In ogni caso, è un imperativo etico che richiede un grande sforzo normativo e legislativo, in quanto prevede l’edificazione di un limite che non risponda a soli criteri gerarchici, restando in grado di scongiurare processi sociali degenerativi. Mi pare non solo giusto, ma anche doveroso condannare moralmente e perseguire giuridicamente chi questo limite non lo rispetta, alimentando la percezione di un Israele a vocazione “imperialista”, che certo non trova riflesso nel percorso identitario ebraico, definendo semmai altre tradizioni. Questo, a mio modo di vedere, lo schema di fondo; altra cosa è poi stabilire il punto in cui il limite va fissato e decidere chi sta “dentro” e chi “fuori”.

Davide Assael, ricercatore 


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pilpul
Il bosco
Il Tizio della SeraIl Tizio della Sera prende il caffè. E’ mattina. Sembra che non faccia niente, seduto nel tinello che gira il cucchiaino nella tazzina. Ma sta pensando. A un tratto, con quella che gli appare la profondità, ritiene che poi, il giorno dopo, tutto il ragionare del giorno prima apparirà semplice sragionare. Oppure mi sbaglio? sbadiglia il Tizio. Perché se come evidenzia la Storia, la persona umana invece è giunta all’età adulta, e dopo il fuoco e la ruota è arrivato alla penicillina, allora pensare non è vano. Questo è importante, assente mettendo lo zucchero nel caffè, perché lo ha girato senza averci messo lo zucchero. E se pensare è stato utile all’Uomo, conclude il Tizio, allora stamattina può pensare. Si siede sul divano. Anche se poi, pensa scostando i ferri da maglia che lo punzecchiano nelle natiche, non sappiamo quanto sia adulta la persona umana nel cammino lungo la Storia. Magari siamo sei miliardi di adolescenti. Tutto questo, pensa il Tizio, e lo fa per dire a sé stesso che di recente ha visto dall’esterno la sua persona - metaforicamente, che discorsi. Si è accorto che la maggior parte delle cose che pensa, dipendono dal fatto che ha paura. Lui pensa. E' tutta una rete di pensieri: politica, idee. Ma è paura. E’ vero che è una lunghissima paura che aveva anche suo padre, il padre di suo padre, e quasi di sicuro il padre di suo padre. Ma non è solo Ephraim ad avere paura, con noi stavolta c’è anche il mondo: i ghiacci che si sciolgono, la crisi economica, l’arrivo di un asteroide. Chi c’è dietro a questo? E dietro a quello? E’ vero che dietro a questo e quello spesso c’è un qualcosa, ma l’investigazione e il timore non sono quello per cui siamo venuti al mondo. Allora la speranza è finita? si chiede il Tizio, che ha messo la panna montata nel caffè e la gradisce molto. Il Tizio si ricorda di una volta. Era ragazzo. Diciamo sui ventanni. Era estate. Si trovava in vacanza con due amici, in un piccolo paese di montagna. Avevano deciso di passare la notte al bosco, in tenda. A quei tempi non c’erano vere preoccupazioni, ma preoccupazioni create per essere veri; per esempio, giravano ragazzi fascisti che poi nessuno vedeva, a parte una volta o due, e poi diverse volte a Roma, che lì proprio sparavano; allora si pensava a prima, quando i fascisti erano tanti, comandavano, e i nostri genitori scappavano e dormivano in un bosco; e pensavamo a come bisognasse stare attenti anche adesso, perché era chiaro che i fascisti sarebbero andati in giro da un momento all’altro. E così, capito, lui e i suoi due amici erano andati a passare la notte al bosco e ormai era notte. Avevano messo la tenda nel fitto degli alberi, e dopo avere suonato la chitarra, erano andati a dormire, i suoi amici nella tenda, e lui che amava l’aria aperta, fuori, col sacco a pelo. Si era addormentato da un momento all’altro. A un certo punto, un gran fracasso. Un rimbombo. Una corsa di molti. Il giovane Tizio si tira su di scatto, in mezzo al bosco il rimbombo è vicino. Il Tizio urla: “I fascisti!”. In quel momento tra gli alberi, accanto a lui, nella penombra, dappertutto, sta galoppando una mandria di alci. Dieci, o cinquanta. Passano sbuffando, in un odore di selvatico.
Basta. Il rimbombo evapora. Fuori dalla tenda ci sono i suoi amici. In piedi, in mutande. Uno brandisce la torcia elettrica, accesa. L’altro si sta mettendo gli occhiali.    
- Quelli, fa l’amico con la torcia, non erano fascisti.
E agita la luce in mezzo ai tronchi immobili. 
- Erano animali, scuote la testa l’altro, mica fascisti. 
- Sì, disse il giovane Tizio. 

Il Tizio della Sera

Profughi
Gadi Luzzatto VogheraUna settantina di morti, corpi trovati su una spiaggia libica e subito sepolti. Avevano preso il mare evidentemente su un’imbarcazione non adeguata per raggiungere l’Europa, la salvezza, magari una delle belle spiagge del Sud Italia. Una non notizia, per tutti. Ci si occupa di guerra, ci si occupa di emergenze politiche fatte di riforme mancate, dialettiche sinistra-centro-destra, crisi finanziarie, nucleare sì/no. A nessuno, ma proprio a nessuno, importa di sapere chi erano questi esseri umani, cosa cercavano e non hanno trovato, perché e come sono morti, come fare per evitare che accada ancora. Notizia di cronaca nelle pagine interne dei quotidiani, una tantum. Poi il silenzio. Non parla la politica, non parlano i giornalisti, tace la Chiesa, tacciono i pacifinti sempre pronti a manifestare, e pure le comunità ebraiche - che di profughi se ne intendono essendo figlie storiche di questa esperienza - non fanno sentire a sufficienza la propria voce. Si può derogare all’imperativo talmudico “chi salva una vita salva il mondo intero”? Non si può. E se certamente non abbiamo la bacchetta magica né possiamo pretendere di risolvere l’intricato ginepraio che si è aperto in nord Africa, possiamo però alzare la voce in pubblico per dire che abbiamo visto, che sentiamo il grido di dolore di un’umanità disperata, che non accettiamo il mercanteggiamento politico delle vite dei profughi (clandestini o rifugiati che siano). Figli di migrazioni e di diaspore epocali, abbiamo il diritto e il dovere di affermare la dignità delle donne e degli uomini che cercano aiuto attraversando il Mediterraneo. Ne va delle loro vite e della nostra storia, ne va della dignità umana di fronte alle pochezze della politica italiana (e francese).

Gadi Luzzatto Voghera, storico

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Israele: cade aereo civile, tre morti
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Un aereo civile è precipitato oggi in Israele. A quanto si è appreso il pilota del velivolo ha denunciato lo scoppio di un incendio a uno dei motori in fase di decollo e ha tentato quindi un atterraggio di emergenza in una pista appartenente a una scuola di aviazione militare a Haifa, ma il velivolo è precipitato e si è infranto contro alcuni alberi limitrofi alla pista.

 
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