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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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La full
immersion, l'immersione totale nei riti di Pesach non deve far
dimenticare l'enorme carica di idee e di aspirazioni alla libertà dalla
schiavitù che questi riti trasmettono. Come "in ogni generazione
ciascuno deve considerarsi come se fosse uscito personalmente
dall'Egitto", così in ogni generazione l'aspirazione alla libertà
trasmessa dalla storia dell'Esodo impatta duramente sia sull'identità
ebraica che sul modo con cui gli altri interpretano le aspirazioni
ebraiche. Per molti ebrei l'aspirazione alla libertà è l'essenza
dell'ebraismo e di conseguenza praticano l'essenza e trascurano
l'ebraismo. Per molti altri che lottano per la libertà o per quella che
pensano sia la libertà il fermento ebraico è un ricordo del passato, o
qualcosa da cancellare, e la presenza ebraica attuale è tradimento
della storia e incomprensione dei suoi luminosi progressi. Pesach
sembra fatta apposta per rivivere questo drammatico teatrino, ogni anno
in forma diversa, ora religiosa, ora politica, ma nella sostanza sempre
uguale. Distinguendo nettamente tra buoni e cattivi, o tra "oppressi e
oppressori" (come ha detto una madre in questi giorni famosa),
emarginando, colpevolizzando e deligittamando chi osa pensarla
diversamente e usa buonsenso e parole di pace; non ponendosi "quattro
domande" ma dando solo una risposta. Ma Pesach, oltre a
essere la festa delle azzime, è la festa delle domande.
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Sergio
Della Pergola,
Università Ebraica
di Gerusalemme
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È necessario a volte sollevare
lo sguardo dalla circostanza del momento e dalla grande massa
notiziaria del quotidiano, e spingerlo un poco oltre, verso eventi che
ancora non sono accaduti ma probabilmente si verificheranno, inducendo
un'ampia messe di conseguenze. Si comincia a parlare della prossima
Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in settembre, nel corso della
quale potrebbe essere proposto il riconoscimento di uno Stato
Palestinese. Data la composizione e le regole di gioco dell'ONU, la
proposta potrebbe raccogliere facilmente l'appoggio di almeno 150
paesi, e non essendoci in Assemblea il diritto di veto come al
Consiglio di Sicurezza, si creerebbe un fatto compiuto di notevole
impatto sulla situazione strategica di Israele e di tutto il Medio
Oriente. L'ipotesi qui prospettata – senza alcun rapporto con la
capacità effettiva di autogestione da parte dell'Autorità palestinese –
dimostra quanto sia cambiato negli ultimi anni l'equilibrio delle forze
geo-politiche nel mondo, non necessariamente a favore di Israele.
Suggerisce anche quanto sia necessario per Israele sviluppare nuove
strategie lontane dalla teoria "quel che è stato è quel che sarà". In
Israele esiste la consapevolezza che a settembre potrebbe scatenarsi un
vero Tzunami politico. Speriamo che esistano anche i meccanismi di
pianificazione politica in grado di attenuare le conseguenze negative
dell'ondata d'urto, e anzi capaci di trasformarla in un'ondata di
energie positive. Certo non potrà valere la giustificazione udita in
altre circostanze: siamo stati colti di sorpresa. |
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Lo sport oltre le
incomprensioni. Lo sport come magnifico ponte dialogico per costruire
legami dove la diplomazia politica “classica” stenta. Grandi emozioni a
Roma per l’incontro tra i presidenti dei Comitati olimpici di Israele e
Palestina svoltosi ieri in Campidoglio alla presenza del sindaco Gianni
Alemanno, del vicepresidente del Comitato Olimpico Internazionale Mario
Pescante e del presidente del Coni Gianni Petrucci. Incontro che verrà
suggellato stasera all’Auditorium Parco della Musica dove il primo
cittadino della Capitale, in occasione del concerto Lo Sport per la
Pace che celebrerà l’odierno 2764esimo anniversario della fondazione di
Roma, consegnerà a Zvi Varshiavak e Jibril Rajoub il prestigioso
riconoscimento della Lupa Capitolina. Si tratta di un momento
fondamentale nel percorso comune intrapreso dai due enti. Un percorso
ricco di sfide che ha tra i suoi obiettivi più suggestivi il sostegno
del Comitato israeliano nella preparazione degli atleti palestinesi in
vista dei Giochi Olimpici di Londra 2012 come anticipato durante un
precedente meeting svoltosi a Losanna in gennaio alla presenza del
segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon. Per l’accordo
sulle modalità di collaborazione, processo in fieri che segue una road
map impostata dal presidente del Cio Jacques Rogge, ci sarà da
attendere il mese di maggio con un terzo incontro che si svolgerà
ancora in Svizzera. Il piano delineato da Rogge prevede che Israele
metta a disposizione della delegazione palestinese strutture adeguate
per gli allenamenti mentre dall’Europa arriverebbero a supporto tecnici
e allenatori. Non è stato ancora messo nero su bianco sull’accordo ma
l’appuntamento romano è comunque un simbolico passo avanti. Ne è
convinto Alemanno che esalta il grande significato dell’iniziativa:
“Non è la prima volta che lo sport arriva prima della diplomazia – dice
Alemanno – e questo è un messaggio importante soprattutto per i giovani
perché insegna a non rinunciare ai propri valori e alla propria storia.
Si può competere con antagonismo e senza odio”. Compiacimento per gli
ultimi sviluppi è stata espressa anche dalle parti in causa. Rajoub ha
messo in evidenza il fatto che una soluzione per il processo di pace
possa avvenire non solo tramite i negoziati politici ma anche
attraverso “atti che promuovano i valori dello sport”. Come quello in
via di definizione che potrà però ritenersi valido, spiega Rajoub,
solamente se saranno assicurate libera circolazione degli atleti
palestinesi e libero ingresso ai funzionari sportivi stranieri. “È un
diritto di cui godono tutti gli atleti del mondo” commenta il numero
uno del Comitato palestinese. Che accoglie gli auspici del suo omologo
israeliano. Nel sottolineare il ruolo del Comitato da lui presieduto
come istituzione attiva nel rispetto dei diritti Varshiavak afferma
infatti il grande sogno di arrivare presto a un giorno in cui gli
atleti di entrambi i Paesi “possano partecipare a eventi sportivi
muovendosi in piena libertà senza più vedere scene orrende come accadde
a Monaco”. Torna quindi nelle parole di Varshiavak la tragica ferita
della Olimpiadi del 1972, teatro di una terribile azione terroristica
orchestrata dai palestinesi di Settembre Nero che uccise undici tra
atleti e tecnici della delegazione israeliana. Un’azione spregevole di
cui ricorrerà nel 2012 il quarantennio, un’azione che pesa
inevitabilmente come un macigno quando si parla di sport, Israele e
Palestina. Adesso la grande opportunità di percorrere un cammino di
parziale cicatrizzazione di questo triste passato. Passo dopo passo,
mani tese e abbracci che possono segnare un nuovo inizio. L’operazione
vedrà il pieno sostegno dell’Italia: “Aiuteremo con tutte le nostre
forze questi Paesi amici per giungere con lo sport dove la politica non
arriva” promette Petrucci. Al termine dell’incontro in Campidoglio
Varshiavak ha formalmente invitato Alemanno al plenum del Maccabi in
programma in Israele a fine maggio e formulato il proprio augurio
affinché i Giochi Olimpici del 2020 siano assegnati alla Città Eterna.
A coronamento del suo soggiorno romano un incontro in calendario domani
mattina con il presidente UCEI Renzo Gattegna e con il consigliere e
presidente della Federazione Italiana Maccabi Vittorio Pavoncello. I
due lo accompagneranno alla scoperta dei luoghi simbolo di Roma
ebraica. Previsti nell’itinerario una visita al ghetto in Portico
d’Ottavia, al Tempio e al Museo Ebraico.
Adam
Smulevich
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Senza notizia
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Il Tizio della Sera legge il
giornale. Anche oggi, la regola dei morti grandi e
piccoli. Coi titoli di scatola e col trafiletto. Non si è mai
capito come vada. Questo fatto gli riempie le vene e i capillari, sale
tutto un rigurgito di sangue e il viso diventa color barbabietola. I
morti, scusa, sarebbero di eguale misura. Straricchi e strapoveri,
partono tutti e due. Quel povero italiano con il cappellino, che
sembrava un pescatore siciliano, era famoso. Prima non gli stava
simpatico per via di certe parole che lasciamo perdere, poi gli ha
fatto una gran pena nella foto dove lo tengono per i capelli come fosse
pollame. E gli fa ancora pena per l'altra cosa: che lo hanno tradito
quelli che amava più di tutto al mondo. Proprio loro lo hanno sbranato.
Di lui non hanno dato proprio la notizia che tutti vorrebbero
conoscere, gli ultimi pensieri di un poveruomo. E poi ci sono i morti
senza notizia, eppure la loro morte sarebbe una notizia: c'erano e non
ci sono più, e secondo il Tizio c'è differenza. I senza notizia più
recenti stanno a Gaza. Sono quelli che fanno il mestiere velocissimo
dello scudo. Li mettono nei depositi di armi travestiti da casa
normale, a ricevere le bombe di Israele e loro partono per quel
viaggio. La cosa funziona così: appositi razzi sono sparati sulle
cittadine dell'entità sionista, loro muoiono e il mondo vede chi sono
gli Israeliani. I senza notizia ricevono l'elemosina di un trafiletto e
non hanno i soliti nomi, Omar, o magari Mohammed. hanno delle cifre. Un
giorno 10, uno 8. A seconda dei morti. Alla fine della fila ci sono i
senza notizia israeliani. Il nome si conoscerebbe perché lì ne parlano,
poi qui no perché sono morti rari e poi perché sono
israeliani. D'altra parte, se fanno in tempo a scappare in cantina e
non muoiono mai, è chiaro che i giornali si distraggono.
L'altro giorno è morto un senza notizia israeliano. Aveva sedici anni.
Non se n'è accorto nessuno, a parte lui. Il razzo di Gaza è arrivato,
lui era seduto in autobus e non poteva mica scappare. Lo hanno portato
in ospedale e dopo qualche giorno, hai visto, è morto. Anzi, non hai
visto: niente alla Tv e niente sui giornali. Neanche il nome e la cifra
era troppo piccola: 1. Era Daniel Wiplich. Lui e i civili palestinesi
sono sepolti più nei media che nella
tomba.
Il
Tizio della Sera
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Ebraismo e democrazia
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Per contingenze storiche a
mio giudizio ancora riferibili a quel trauma tutt’affatto elaborato che
è stato l’11 settembre 2001, da più parti si levano in questi mesi
attacchi alla ritualità ebraica, rea di contraddire il dogma, che come
tutti i dogmi a volte non fa mancare di palesare la sua astrattezza,
dei principi universali, dapprima riguardanti l’uomo, poi estesi, con
coerenza logica ed etica, al mondo animale. È il caso della messa in
questione della milà in Germania o della macellazione rituale in
Olanda, cui è stata dedicata attenzione anche su queste pagine. Come
tutti, sono anch’io turbato da questi attacchi, soprattutto perché,
vivendo questo periodo storico, so bene su quale china ideologica si
pongano. Ed in aggiunta, come ebreo, le polemiche non possono che farmi
venire in mente film già visti (penso, tra l’altro, che al fine di
sviluppare un’etica interdipendente fra l’ebraismo della diaspora e
Israele sarebbe un giorno fruttuoso meditare su queste paure comuni che
diffondono la percezione dell’ebreo della galut come straniero in terra
straniera e di Israele uno Stato straniero in una terra non propria).
Credo, però, che bisogna stare attenti a far passare il messaggio che
questi episodi rinviino a un’incompatibilità fra democrazia
occidentale e tradizione ebraica, sulla scia dell’operazione che si sta
compiendo, non so quanto propriamente, con il mondo islamico.
L’Occidente, anche se avrà uno sviluppo proprio segnato in modo
indelebile dal cristianesimo, nasce con l’identità israelita, che per
prima individua diritti trasversali ai diversi popoli. È l’ebraismo a
sostituire a un limite etnico, con mera funzione di principio
d’ordine, un limite di natura morale, valido in tutti i contesti
politico-culturali. Sarà poi una forma di universalismo astratto,
incarnato di volta in volta dal cristianesimo, dall’illuminismo e dal
marxismo ad estendere questo limite all’infinito senza contare le
conseguenze degenerative di un simile gesto. I problemi oggi postici
rinviano, a mio giudizio, ad una ridefinizione del limite normativo e
sono del tutto affrontabili attraverso il dibattito halakhico che
caratterizza la tradizione di Israele. Non dobbiamo farci imporre il
dibattito da nessuno, semmai mostrare come queste domande abbiano
inizio anzitutto con noi.
Secondo la mia sensibilità, per dare più forza alla nostra voce,
sarebbe auspicabile che a questo dibattito partecipassero tutti gli
ebrei di “buona volontà”, anche coloro che una “riforma” la invocano da
tempo anticipando proprio quelle mosse che la politica oggi sembra
compiere. Non vorrei arrivasse un giorno qualcuno (ed il vento in
Europa comincia a portare notizie sinistre, dall’Ungheria, alla
Francia, all’Olanda, alla Svezia, alla Danimarca, fino alle proposte di
abolizione delle leggi che vietano la ricostituzione del partito
fascista) che ci ricordasse che siamo tutti ebrei alla stessa maniera.
Davide
Assael, ricercatore
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notizieflash |
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rassegna
stampa |
Frattini:
"Preoccupazione per l'uso
delle armi chimiche
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Leggi la rassegna |
Il ministro degli Esteri Franco Frattini nella relazione annuale al
Parlamento sull'attuazione della convenzione di Parigi del 29 aprile
1997, scrive che il piano internazionale per lo smaltimento da parte
degli Stati delle armi chimiche procede bene anche se lentamente, "ma
desta particolare preoccupazione l'eventuale impiego di questo tipo di
armi da parte di soggetti non statuali". »
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Forse non tutti sanno che,
nella scorsa settimana, è stato dimenticato di citare il decimo
“anniversario” dell’inizio dei lanci di razzi sparati dalla Striscia
contro Israele; il primo lancio avvenne il 16 aprile 2001, e da allora
numerose furono le vittime, tra le quali 4 bambini. Prima del ritiro
voluto da Sharon, i lanci furono 280 nel 2004 e 170 nel 2005, ma
salirono a 946 nel 2006 e 2048 nel 2007. »
Emanuel Segre Amar
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