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2 maggio 2011 - 28 Nisan 5771 |
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Riccardo
Di Segni,
rabbino capo
di Roma
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16
ottobre, rastrellamento degli ebrei romani, ricordato nella data civile
(chissà perché non nella data ebraica). 24 marzo, eccidio delle Fosse
Ardeatine, ricordato in data civile e in data ebraica (ultimo giorno di
Adar). 10 di Tevet, antico digiuno di origine biblica, dedicato dal
rabbinato di Israele alla recitazione del qaddish per tutte le vittime
della Shoà di cui non si conosce la data di morte. 27 Gennaio,
liberazione di Auschwitz, giornata della memoria, istituita dal
parlamento italiano. Infine, ma non ultima per importanza, la data di
oggi, Yom hazikkaron lashoà welagvurà, nel giorno della fine della
rivolta del ghetto di Varsavia, istituita dal parlamento israeliano,
facendo coincidere, non senza polemiche, il ricordo della Shoà con
quello della resistenza ebraica armata. Abbiamo le memorie locali che
non si spengono, le decisioni dei rabbinati e dei parlamenti,
le
anime e le identità che si lacerano nel ricordo e spesso anche sul
ricordo si dividono. Almeno cinque date per gli ebrei italiani. E'
troppo, è poco? Attendiamo il momento in cui secondo le nostre
aspirazioni e le nostre preghiere tutti questi giorni saranno
trasformati da giorni di lutto a giorni di gioia.
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Anna
Foa,
storica
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"Dio dei nostri padri, tu hai
scelto Abramo e la sua discendenza perché il tuo Nome fosse portato
alle genti: noi siamo profondamente addolorati per il comportamento di
quanti nel corso della storia hanno fatto soffrire questi tuoi figli, e
chiedendoti perdono vogliamo impegnarci in un'autentica fraternità con
il popolo dell'alleanza". Preghiera di Giovanni Paolo II al Muro
Occidentale il 26 marzo
2000 |
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Qui Roma - Un minuto di Memoria
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La
vita si è fermata per un minuto questa mattina nel quartiere ebraico di
Roma e nei dintorni della sinagoga della Capitale quando le sirene
hanno annunciato la celebrazione del giorno del ricordo delle vittime
della Shoah che ricorre il 27 di Nisan, otto giorni prima di Yom
Ha'atzma'ut, giorno dell'indipendenza di Israele. Yom ha
Shoah fu istituzionalizzato da Israele nel 1959, e la legge fu firmata
da David Ben-Gurion e Yitzhak Ben-Zvi, allora rispettivamente primo
ministro di Israele e presidente di Israele.
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Lotta al terrorismo - Le reazioni israeliane |
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"L'uscita
di scena di Osama Bin Laden rappresenta una vittoria della
giustizia, della libertà e dei valori comuni ai Paesi democratici che
hanno combattuto spalla a spalla contro il terrorismo”. Questo il
commento del premier israeliano Benyamin Netanyahu alla notizia,
annunciata alla nazione dal presidente statunitense Barack Obama,
dell’uccisione del leader di Al Qaeda, stanato insieme ad alcuni
fedelissimi nei pressi di Islamabad durante una operazione congiunta
condotta da forze speciali statunitensi e pachistane. Mentre molti
americani manifestavano soddisfazione per la morte dello stratega delle
stragi dell'11 settembre molti leader politici israeliani hanno
espresso una propria valutazione- Laconiche le parole del presidente
Shimon Peres: “Bin Laden era uno dei maggiori malfattori della
storia e meritava la forca”. Peres ha poi esaltato l’importanza
strategica di questa operazione nella lotta globale al terrorismo. “Si
tratta di un successo significativo per le forze di sicurezza
degli Stati Uniti – la sua analisi – e di una grande affermazione per
il presidente Obama e per tutto il mondo libero”. Reazioni sono
arrivate anche dal ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, dal
ministro della Difesa Ehud Barak e dal leader dell’opposizione Tzipi
Livni. Lieberman ha lodato la fermezza degli Stati Uniti: “Non hanno
mai mollato la presa e continuato con perseveranza la caccia agli
uomini più pericolosi del pianeta”. Il ministro, che ha raccontato di
essere stato informato dell’uccisione di Bin Laden mezz’ora prima
dell’annuncio ufficiale di Obama, ha espresso alla radio militare
israeliana un parere sulle ricadute che tale circostanza avrà sul
futuro di Al Qaeda. “È ancora presto per fare una valutazione visto che
Al Qaeda ha una struttura ramificata in tutto il mondo ma ci sarà senza
dubbio una ricaduta”. Per Barak la notizia della morte di Bin Laden è
una conferma della bontà della lotta al terrorismo intrapresa su scala
mondiale. “Questa operazione fruttuosa – dice Barak – dimostra
ancora una volta che la guerra al terrore comune a tutte le democrazie
del mondo sarà decisa attraverso uno sforzo continuativo che è ancora
lontano dall’essere concluso”. Esprime soddisfazione anche Tzipi Livni,
leader del partito Kadima. “Israele – afferma Livni – è protagonista
nella guerra al terrore insieme a tutto il mondo libero. Combattiamo
con forza per difendere il valore della libertà e per questo non
possiamo che elogiare gli Stati Uniti per lo straordinario risultato
ottenuto”. Il portavoce dell’Autorità nazionale palestinese
Ghassan Khatib ha infine affermato: “La morte di Bin Laden rappresenta
un fatto importante per il processo di pace in Medio Oriente e per
tutto il mondo. Ora bisogna avere la meglio sui metodi violenti che lo
stesso Bin Laden ha insegnato agli altri”.
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Moshè Landau (1912 - 2011) |
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Se
ne è andato nei giorni in cui si ricorda il Cinquantenario di quel
drammatico processo che commosse e tenne il mondo col fiato sospeso.
Presidente del tribunale che condannò a morte Adolf Eichmann
(nell'immagine in basso una fase del processo), il giudice Moshe Landau
è morto ieri a Gerusalemme all’età di 99 anni appena compiuti. Nato a
Danzica nel 1912, Landau era emigrato nel protettorato britannico di
Palestina nel 1933 dopo aver conseguito una laurea in giurisprudenza a
Londra e da quel momento aveva dato un contributo decisivo allo
sviluppo dei diritti civili e all’indipendenza della magistratura nel
nascituro Stato di Israele cogliendo molti e significativi
riconoscimenti nel corso della sua lunga carriera.
Traguardi
culminati nella nomina a giudice della Corte Suprema e alla
partecipazione a importanti commissioni d’inchiesta tra cui quella che
investigò sulla guerra del Kippur e sulle carenze delle forze di difesa
israeliane in occasione di tale drammatica circostanza. Landau era
stato inoltre il primo presidente della Commissione che dal 1962 si
occupa di attribuire lo status di Giusto tra le Nazioni a quanti misero
in pericolo la propria esistenza pur di salvare anche un solo ebreo
dallo sterminio durante le persecuzioni nazifascite. Nell’apprendere la
notizia della sua morte, diffusa mentre in Israele avevano inizio le
commemorazioni di Yom HaShoah, il presidente Shimon Peres ha espresso
il proprio cordoglio a nome di tutta la nazione. “Il giudice Landau –
queste le parole usate da Peres – ha lasciato il segno nella sfera
pubblica fissando precedenti che ci accompagnano fino ai giorni nostri
e che sono elementi costitutivi della nostra democrazia. Landau vedeva
il suo ruolo come una missione civile e sociale per il bene del suo
popolo e lo Stato di Israele lo ricorderà come un modello di leadership
coraggiosa”.
Adam Smulevich
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Yes, we can |
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Una
pagina storica del ventunesimo secolo è stata scritta nelle ultime ore.
Osama Bin Laden è stato ucciso nella città di Abbottabad, a circa
cinquanta chilometri da Islamabad, in Pakistan. L’operazione è stata
compiuta da un reparto speciale di 14 Navy Seals della marina
americana. Il tutto si è svolto in quindici minuti. Questa
notizia, che segna una vittoria della giustizia, giunge nel giorno in
cui Israele ricorda i sei milioni di vittime della Shoà. Coincidenza,
casualità? O qualcosa di più e oltre? Certo non si possono dimenticare
in questi momenti, insieme alle minacce di Bin Laden contro
l’Occidente, i suoi strali contro lo Stato di Israele e contro gli
ebrei nel mondo. Dunque: non esultanza per la morte del nemico, ma
senza dubbio sollievo per una giustizia che si attendeva da anni.
Chiamato in mille modi, Osama Bin Laden è stato un fomentatore di odio,
un istigatore di divisione e di terrore, un costruttore del male, uno
«dei grandi assassini della storia» – come ha dichiarato Shimon Peres.
Che il cadavere sia stato gettato in mare non sorprende; nessun paese,
né l’Afganistan, ma neppure lo Yemen e l’Arabia Saudita, hanno voluto
far spazio alla sua tomba. Le immagini
dell’undici settembre sono impresse nella nostra memoria collettiva. Le
manifestazioni spontanee che si sono svolte a Washington, a Time
Square, a Ground Zero, sono la testimonianza di una svolta che si
compie negli Stati Uniti. È un successo della politica estera
dell’attuale amministrazione. Nel dare l’annuncio Obama ha sottolineato
che Bin Laden era un omicida, non un leader islamico. L’Islam non è Bin
Laden. Queste distinzioni, che superano lo schema asfittico e
fuorviante dello scontro di civiltà, sono giuste perché nel passato
recente molte vittime del terrorismo di Al Qaeda sono stati islamici;
ma sono anche particolarmente significative nel delicato contesto della
primavera dei paesi arabi in cui la lotta per la democrazia è ancora in
corso. Il ramo yemenita di Al Qaeda, confermando la notizia, ha
ammesso che si tratta di una «catastrofe» per l’organizzazione
terroristica. La sconfitta, a ben guardare, non sta solo nella
scomparsa di Bin Laden, ma nel fallimento del progetto politico di Al
Qaeda che evidentemente non fa più presa sulle nuove generazioni. La
vittoria delle democrazie occidentali ha anzitutto un valore simbolico.
Per quanto la sua presenza fosse concretissima – la nostra vita è stata
in fondo cambiata e sconvolta negli ultimi dieci anni – Bin Laden era
considerato inafferrabile al punto da essere diventato quasi un
fantasma. E non pochi hanno insinuato che la sua figura fosse
addirittura una invenzione. Che sia caduto, e in circostanze chiare, ha
creato un senso di vittoria – come se oggi sia stata vinta una guerra. In
realtà è stata vinta una importante battaglia. Bisognerà vedere come
reagiranno le cellule disperse di Al Qaeda. E certo la lotta al
terrorismo non finirà qui. Ma accanto alla vigilanza per eventuali
ritorsioni, possono nutrirsi realistiche speranze di pace.
Donatella Di Cesare, filosofa
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notizie
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rassegna
stampa |
I 96 anni di Rav Elio Toaff auguri e testimonianze d'affetto
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Leggi la rassegna |
Novantasei anni nel segno della tenacia, della volontà di
ricostruire l’ebraismo dalle macerie belliche e persecutorie.
Novantasei anni spesi nella ricerca costante del dialogo. Sono
molte in queste ore le testimonianze d’affetto pervenute al rabbino
emerito di Roma Elio Toaff per il suo compleanno dal mondo delle
istituzioni capitoline e nazionali. Testimonianze in cui si ricordano i
molti meriti del Rav, figura centrale dell’ebraismo italiano ed
europeo, uomo egualmente apprezzato da politici, autorità religiose e
società civile. "Le giungano i più fervidi auguri di tutti i
senatori e i miei personali. »
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