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15 maggio 2011 - 11 Iyar 5771
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

"Rabbì Akivà diceva: ...la siepe della saggezza è il silenzio"  (Avot 3, 13). La parsimonia nel parlare protegge la sapienza e permette la correttezza nei rapporti umani. E' questo quello che probabilmente la Torah intende quando proibisce la Onaat devarim: l'uso del linguaggio finalizzato all'offesa, all'imbroglio, alla vana illusione dell'altro.

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
Lo storico Yerushalmi, di cui Giuntina ha opportunamente edito il volume “Zakhor”, valutava il messianesimo come una visione che si originava dalla disperazione, eliminando la dimensione della speranza, un sentimento e un immaginario che, a suo avviso, invece meritavano un’indagine culturale di tutto rispetto nella storia della sensibilità ebraica. La questione non è banale perché obbliga a considerare il processo storico non solo attraverso la coppia storia/memoria, ma appunto anche attraverso quella disperazione/speranza. Uno dei documenti da prendere in considerazione potrebbe essere l’inno israeliano. Il fatto che si chiami “La speranza” forse questo potrebbe anche indicarci che il sionismo non appartiene, o non voleva appartenere, alla famiglia dei messianesimi politici, e dunque non aveva un obiettivo massimo da realizzare, bensì uno minimo da garantire in cui non si riversavano né l'amarezza, né il risentimento.

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davar
Qui Venezia - Etica medica: un prestigioso convegno
e un omaggio della Rassegna ad Amos Luzzatto
LocandinaUn prestigioso convegno di etica medica ebraica è in corso di svolgimento stamane a Venezia nella sala Montefiore della Comunità ebraica.
Organizzato dal dipartimento di Educazione e cultura dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dalla Comunità Ebraica di Venezia e dall'Associazione Medica Ebraica d'Italia, l'incontro, dal titolo “Etica Medica oggi. Uno sguardo ebraico”, è articolato in due sessioni: Il dolore e Il trapianto degli organi e halakhà.
A introdurre la prima sessione è stato stamane il dottor David Sacerdoti cui sono seguiti gli interventi del dottore Enrico Levis, del rabbino capo di Padova Adolfo Locci, del dottor Matteo Naletto, del giornalista Khaled Magdi Allam e del presidente della Comunità Amos Luzzatto (nell'immagine).
Amos LuzzattoLo stesso Luzzatto sarà nel pomeriggio onorato con la presentazione di un numero speciale della Rassegna mensile di Israel, la rivista culturale dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane cui ha dedicato molte fatiche. Intervenendo nel convegno del mattino con uno studio intitolato al Dolore e altre sofferenze, Luzzatto ha fra l'altro detto: "Come viene accolto il dolore dalla tradizione ebraica? Per prima cosa, esso, come abbiamo già detto, viene designato con più nomi, come se si dovesse distinguere fra tipi diversi di dolori. Già nella Bibbia ‘etzev indica un dolore da parto (Gn 3,16) ma anche un dolore morale ( I Sam 20,3 e II) Sam. 19,3). Keev  indica un dolore fisico già in Gn 34,25, ma anche un dolore morale (il keev del cuore, Isaia  65,14 e Prov 14,13). Dalla stessa radice verbale deriva la parola  makh’ov,  anch’essa con il doppio significato (ad es. Isaia 53,3, II Cronache 6,29; di contro non è così in Lamentazioni  1,12 ed Ecclesiaste 1,18). Nella terminologia talmudica si usa la parola Tza’ar soprattutto per i dolori degli animali (TB Shabbat 128 b e  Baba Metzi’a  32 b). Sempre in questa epoca più tardiva si usa la parola yissur (pl. Yissurin): Sanhedrin 45 a, Berakhot  10 a). Ma in questi tempi si parla anche di dolori o più spesso di sofferenza, per lo più causate da dolori, provocati per amore di Dio (yissurin shel ahavà in: Commento di Rashi a TB Berakhot 5 a). Ma in linea di massima, il dolore è visto come punizione per il peccato (TB Shabbat 55 a). Dato il dipanarsi di questa terminologia nell’arco di molti secoli e probabilmente anche sotto la parziale influenza di lingue straniere, è possibile che si tratti di una pura e semplice evoluzione diacronica del linguaggio, senza che i vari termini indichino circostanze differenti o qualità differenti di dolore. La distinzione fra vari tipi di dolore è pur sempre possibile e comporta precise conseguenze. Esattamente come una donna dell’antichità avrebbe accettato con rassegnazione il dolore del parto, così avrebbe fatto anche un fedele punito con dolori fisici per una sua trasgressione. Il Talmud narra la storia di uno dei maggiori Maestri, punito con gravi sofferenze per aver respinto un vitellino che veniva condotto al macello e aveva cercato di nascondersi sotto la sua tunica; così facendo gli aveva detto crudelmente che la macellazione era lo scopo stesso della sua nascita. Lo stesso maestro, poi, per avere invece salvato un ratto dai colpi mortali della scopa della sua domestica, fu perdonato e sollevato dalle precedenti sofferenze (TB Baba Metzi’a  85 a)”.
La seconda sessione dedicata al trapianto di organi sarà, nel pomeriggio, introdotta da Giorgio Mortara, presidente AME, cui seguiranno gli interventi del dottor Cesare Efrati, che tratterà dapprima gli “Aspetti di bioetica medica alla luce della tradizione ebraica” poi “La compravendita di organi e le problematiche halakhiche”, e del rav Gianfranco Di Segni, che tratterà “I problemi dei trapianti di cuore dal punto di vista halakhico”. Ai loro discorsi seguirà un dibattito moderato dalla dottoressa Daniela Roccas. 


Qui Torino - Gli ebrei e la lotta di Liberazione
logoLibri per sfatare uno stereotipo ancora duro da estirpare, quello dell’ebreo eterna vittima inerme dei suoi persecutori. Nella piazzetta Parole di Piemonte, partecipato spazio di confronto che è tra le novità di questa edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino, sono stati presentati oggi, con il coordinamento di Alberto Cavaglion, due importanti lavori dedicati alla partecipazione ebraica alla Resistenza, fenomeno spesso ignorato dalla storiografia ma invece denso di sentimenti e speranze che animarono l’eroismo di centinaia di combattenti ebrei italiani in lotta contro il regime nazifascista. Italiani insieme agli altri. Ebrei nella Resistenza in Piemonte 1943-1945 (ed. Zamorani) di Gloria Arbib e Giorgio Secchi, Voci della Resistenza ebraica italiana (ed. Le Chateau) di Alessandra Chiappano: due testimonianze di valore che rendono giustizia a una grande storia di coraggio. Nel corso Presentazione_librodell’incontro, a cui era presente tra gli altri il vicepresidente UCEI Claudia De Benedetti, sono intervenuti oltre agli autori anche il vicepresidente del Consiglio Regionale del Piemonte Roberto Placido e il presidente della Comunità ebraica di Torino Tullio Levi, che ha anticipato la prossima proiezione in Comunità di un documentario dedicato a Emanuele Artom, figura emblematica di partigiano ebreo in lotta per la democrazia.
Molti in questi giorni di Salone gli eventi dedicati all’ebraismo, alle sfide di Israele e alla Shoah, alcuni dei quali realizzati in collaborazione con la Comunità ebraica di Torino. Tra gli altri hanno riscosso grande successo la presentazione del volume Torah in rima (Accademia Vis Vitalis), scritto di Massimo Foa che racconta con assoluta originalità il libro per antonomasia (insieme all’autore erano presenti il consigliere UCEI Giulio Disegni e Silvio Saffirio), e dell’opera Io ti Racconto. Memorie ritrovate (Fondazione Alberto Colonnetti), testo quest'ultimo frutto di un lungo lavoro creativo sul teatro e sulla pedagogia a cura di Bobo Nigrone, Nicoletta Scrivo, Francesca Guglielmino e Silvia Elena Montagnini. Presentavano il testo, oltre a Nigrone e Guglielmino, la professoressa Sarah Kaminski e la direttrice della Fondazione Colonnetti Raffaella Bellucci Sessa.

Italiani insieme agli altri. La nostra Resistenza

copertinaNoi c’eravamo. Nonostante le persecuzioni e il terrore. Sfidando la deportazione e la minaccia di distruzione di ogni valore umano, gli ebrei italiani sono stati protagonisti della Resistenza e della guerra di Liberazione assieme e al pari di tanti altri cittadini che vollero lasciarci un’Italia migliore. La partecipazione ebraica alla lotta di Liberazione, a lungo trascurata dagli storici ufficiali, spesso messa in ombra dalla tragedia delle deportazioni, torna ora alla luce con la pubblicazione di un libro di Gloria Arbib (Italiani insieme agli altri. Ebrei nella Resistenza in Piemonte 1943-1945, Zamorani editore nella collana dell’Archivio Terracini di Torino) scritto assieme al giornalista Giorgio Secchi, che rappresenta la conclusione di un lungo itinerario di impegno e che figura, a Ferrara e a Torino, fra le novità di questa stagione. Centosettantaquattro voci, un centinaio di interviste ai testimoni, le storie di tanti ebrei piemontesi che in un modo o nell’altro si gettarono nel combattimento, furono trascinati dagli eventi sempre più drammatici che seguirono l’8 settembre, spesso pagarono il prezzo più alto, talvolta riuscirono a sopravvivere, a essere protagonisti della ricostruzione e della democrazia. Un paziente lavoro di ascolto e di documentazione intrapreso agli inizi degli anni ‘80, nato dalla base della tesi di laurea dell’autrice (allora ricercatrice al Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, oggi Segretario generale dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane). Assieme a quella di tanti comuni cittadini, torna la voce di Primo Levi (“Antiretorico - commenta l’autrice - anche nel raccontare i momenti più drammatici”), di Luisa, nipote del leader socialista Claudio Treves e sorella del pittore Carlo Levi, che a 98 anni parla dalla Casa di riposo ebraica di Torino, della moglie del magistrato Emilio Sacerdote e dell’impiegata Carmela Mayo, che a Pasqua portava uova colorate a tutti i combattenti e azzime ai partigiani ebrei. “Un panorama quanto mai complesso - spiega Gloria Arbib (nell'immagine a fianco) - per raccontare le vicende di persone diverse, spinte ad accettare la sfida dalla passione ideologica, dai casi della vita, dai valori ebraici, dal senso civico o anche semplicemente dalle persecuzioni che non lasciarono scelta neppure a quegli ebrei italiani che ingenuamente confidarono nel fascismo”. “Questo libro – aggiunge – è anche un atto di giustizia verso tutti coloro che offrirono la propria testimonianza. Non volevo confinarli in un saggio storico, ma documentare rigorosamente le loro vicende perché si sappia che nell’ora più difficile gli ebrei non restarono inerti”. Un mosaico prezioso per raccontare quante differenze e quante speranze racchiuda la vicenda degli ebrei italiani. E per ricordare che a tenere alto l’onore dell’Italia nell’ora più difficile, nonostante il dolore, per eroismo o per destino gli ebrei fecero la loro parte.

Pagine Ebraiche, maggio 2011

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pilpul
Davar acher - Antisemitismo e islamofobia 
Ugo VolliDato che si tratta di un evento molto ufficiale, tenuto nella sede solenne della Camera dei deputati con l'intervento del suo presidente e di altri illustri politici, vale la pena di formulare qualche pensiero sul convegno che si svolgerà domani su "Antisemitismo e islamofobia" su iniziativa di un'associazione ebraica di sinistra intitolata forse ironicamente al grande storico dello gnosticismo Hans Jonas.
Il presupposto implicito di iniziative come questa è che antisemitismo e islamofobia sarebbero "sostanze che - a fronte di una reciproca estraneità - risultano in qualche modo correlate e spesso sovrapposte" (come si esprimeva già nel 2005 in maniera un po' contorta quel Tobia Zevi che è organizzatore di questo convegno) e in fondo sarebbero entrambi espressione della stessa mala pianta, l'intolleranza, e che dunque sarebbe compito degli uomini di buona volontà lottare contro di essi. Anche perché, sostiene Zevi oggi, "il pregiudizio anti-islamico, attualmente più diffuso di quello anti-ebraico, si concentra nelle stesse persone che definiamo antisemite". Insomma vi sarebbero gli intolleranti, gli xenofobi, che applicherebbero agli islamici più o meno gli stessi trattamenti applicati agli ebrei e comunque avrebbero quasi sempre entrambi i pregiudizi. Da queste convinzioni, fra l'altro, viene tutta una produzione pubblicistica che equipara i freni che oggi ostacolano l'immigrazione clandestina alla Shoah. L'ultimo esempio è un articolo del leader sessantottino Guido Viale sul "Manifesto" di quattro giorni fa, che sviluppa nei dettagli questo paragone - ma esso è stato preceduto da moltissimi interventi analoghi, anche di esponenti ebraici.
Qualunque persona di buon senso non può non vedere che in queste ultime posizioni vi è una grande esagerazione polemica: non vi sono in Europa oggi né campi di sterminio e piani di "soluzioni finali" e neppure linciaggi di massa né pogrom, né ghetti, inquisizioni, segni vestimentari di discriminazione, cerimonie di umiliazione statuti civili differenziati per origine etnica o religione e tutto quel che ha subito il popolo ebraico.  E' chiaro che vi sono stati degli abusi criminali e degli episodi di autentico razzismo, ma fra questi e la persecuzione c'è un abisso.
Ma il tema del convegno non è questo paragone estremo, bensì il tentativo di una qualche equiparazione fra antisemitismo e islamofobia. Ma ha  senso il paragone? Già le parole indicano differenze profonde: "antisemitismo" è un vocabolo di invenzione ottocentesca, attribuito a un certo Marr e diffusosi rapidamente in tutta Europa. Fino al trauma della Seconda Guerra Mondiale, per oltre un secolo, partiti politici, leader popolari come Maurras o Karl Lueger, intellettuali prestigiosi, non ultima la Chiesa cattolica si vantavano apertamente e letteralmente del loro antisemitismo, lo rivendicavano e  lo propagandavano. Del resto prendevano spunto e giustificazione da una tradizione millenaria di antigiudaismo religioso, che parte almeno dai tempi di Sant'Agostino. Antisemitismo ha sempre voluto dire odio per gli ebrei e non altro, semita è un aggettivo riferito a una famiglia linguistica ed è usato qui per eufemismo. L'antisemitismo come sentimento è opposizione, odio, volontà di eliminazione fisica o almeno culturale e religiosa e come contenuto ha un popolo e la sua identità. Si poteva sognare di eliminare gli ebrei perché erano e sono un piccolo popolo, isolato e minoritario dappertutto.
L'islamofobia è un'altra cosa. La parola è di uso recentissimo, coniata sul modello di xenofobia. Indica nella modalità una paura, un timore, un'insofferenza - non una volontà di eliminazione, dato che l'oggetto di questo sentimento, gli stranieri in genere o specificamente il mondo islamico è troppo vasto per poter far sognare anche al più pazzo fanatico la sua scomparsa. Nell'oggetto l'Islam è una religione, un gruppo di culture che condividono usi e valori, e anche una grande solidarietà politica internazionale, che copre oggi diverse decine di stati, spesso potenti e aggressivi, coordinati da un ente poco noto ma molto influente, l'Organizzazione della Conferenza Islamica. Per l'Europa, l'Islam è anche un avversario tradizionale che l'ha spesso aggredita militarmente e che ne è stato colonizzato un paio di secoli fa, salvo ribellarsi e espellere gli europei alcuni decenni or sono. Oggi è rappresentato da masse crescenti di immigranti che, per dirla in maniera molto neutra, stentano o sono restii a integrarsi nelle società europee e ad accettarne i principi fondamentali come la libertà individuale e la parità dei generi.
Il risultato è che settori crescenti della popolazione europea mostrano timore e fastidio per l'Islam, come si vede dalle vittorie di partiti che vogliono limitare l'immigrazione islamica e dalla popolarità del rifiuto dei simboli della loro affermazione (così per esempio le reazioni al referendum sui minareti in Svizzera, o quelli sulle preghiere di massa in piazza). Non voglio dire qui che questa paura sia necessariamente giustificata, ma solo che ha un senso ben diverso rispetto al pregiudizio razziale antiebraico. La razza non c'entra, il sentimento non è evidentemente di oppressione e di superiorità com'è accaduto contro gli ebrei, ma di resistenza e di timore.
Voglio aggiungere un'ultima cosa a queste riflessioni. Spesso i movimenti politici che esprimono questo sentimento di preoccupazione popolare per l'espansione islamica in Europa sono accostati agli antisemiti anche sul piano politico-ideologico. Nulla di più sbagliato: Geert Wilders è un islamofobo, se vogliamo usare questa categoria, ma certo è amico degli ebrei e di Israele, come lo era Oriana Fallaci. Confondere i liberali filoisraeliani con i neonazisti è un errore commesso spesso da giornali e politici. Al contrario, si trascura spesso la dimensione francamente antisemita dei movimenti islamisti e di coloro che li appoggiano per lo più a sinistra. Non si riconosce la simmetria fra i tentativi di boicottaggio delle merci e della cultura israelina con il boicottaggio degli autori e dei negozi ebrei messi in opera dai nazifascisti. Si ignora che nella polemica araba la parola odiata è ebreo (yahud), ancor più che israeliano. Si tacciono i complessi legami storici intrecciati fra nazismo, islamismo, estremismo di sinistra; non si parla dei rapporti intensissimi fra terrorismo rosso e terrorismo islamico, fra caudillismo di sinistra (Castro, Chavez ecc.) e islamismo antrisraeliano e antisemita.
Mi auguro che gli interventi al convegno di Roma, invece di limitarsi al solito buonismo delle intenzioni, abbiano il coraggio di affrontare le questioni vere: il differente carattere religioso e culturale dell'Islam e dell'ebraismo, le diverse forme e l'opposizione etica che corre fra antisemitismo e islamofobia.

Ugo Volli


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Napolitano, in visita in Israele,
ritira il premio Dan David
Gerusalemme, 15 maggio
 
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Primo giorno di visita del Presidente Giorgio Napolitano in Israele, accompagnato fra gli altri dal Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Renzo Gattegna. Per primo Napolitano incontrerà il suo omologo israeliano Shimon Peres. Nel pomeriggio invece si recherà all'ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. In serata, il Presidente della Repubblica ritirerà all'università di Tel Aviv il premio Dan David. Napolitano è stato scelto per "la sua dedizione alla causa della democrazia parlamentare e il suo contributo al ravvicinamento tra la sinistra italiana e il socialismo europeo". Nella motivazione del premio si legge, a conclusione, che "nell'attuale clima politico italiano a tratti caotico, egli è un faro di ragionevolezza, moderazione, valori democratici e tolleranza, ammirato e rispettato dai membri di tutti i partiti e di tutte le convinzioni". La prima giornata di visita cade nel giorno della 'naqba', termine arabo che significa 'catastrofe' con il quale i palestinesi indicano la fondazione dello Stato di Israele. "L'esercito in allerta per la naqba spera di evitare incidenti violenti" è il titolo del quotidiano israeliano 'Haaretz'. Per il 'Jerusalem Post' sono attese "grandi manifestazioni a Gerusalemme Est". La visita di Napolitano proseguirà domani con l'inaugurazione della mostra 'Italia-Israele: gli ultimi 150 anni' e in serata della mostra 'Da Garibaldi a Herzl. Il risorgimento nazionale tra Italia e Israele'. Nel pomeriggio, incontrerà il presidente dell'Autonomia palestinese Abu Mazen in Cisgiordania, a Betlemme. Napolitano ripartirà da Israele per Roma martedì. 



 
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