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24 aprile 2011 - 20 Iyar 5771
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Roberto Della Rocca Roberto
Della Rocca,
rabbino

In questi giorni continua a Meròn, nell'alta Galilea, il pellegrinaggio di migliaia di persone che si recano a pregare sulla tomba di Rabbi Shimon ben Jochai la cui dipartita sarebbe avvenuta nel giorno di Lag Ba Omer. Molti dei fedeli accendono fuochi nei campi, leggono Salmi e cantano il suo nome fino all'estasi. Nel racconto del Talmùd Rabbì Shimòn non si preoccupa di nascondere la sua ferma opposizione all'arroganza del potere di Roma tanto che, minacciato di morte dall'imperatore Adriano, sarà costretto a nascondersi con suo figlio in una grotta dove resterà per dodici anni, durante i quali, secondo la Tradizione, scriverà lo Zohar, il libro basilare della Kabalà. Quando assieme a suo figlio lascia la grotta è la vigilia di Shabbat, incontra un vecchio che ha due mazzetti di mirto in mano per fare onore allo Shabbat. Il Maestro domanda al vecchio il perché proprio due mazzetti e questo risponde che sono in corrispondenza del duplice comandamento relativo allo Shabbat: shamòr, osserva e zakhòr, ricorda. Solo grazie a questo suggestivo incontro padre e figlio si riconciliano con un mondo con il quale non si trovavano più in sintonia. L'esperienza mistica li aveva tratti altrove, non riuscivano più a comprendere le esigenze materiali della vita quotidiana. A volte bastano dei piccoli e semplici gesti per ridarci fiducia nell'umanità.
Dario
 Calimani,
 anglista


Dario Calimani

La cultura dell’antisemitismo, specie quello più bieco, non la si combatte con leggi e ostracismi, ma con una presenza trasparente e con una cultura forte che vi si oppongano mettendo a nudo le falsità e le demagogie del pregiudizio.
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davar
Gattegna: “Abbassiamo i toni e innalziamo i contenuti.
La libertà d'opinione valore ebraico irrinunciabile” 
Presidente GattegnaRiferendosi alle polemiche e agli episodi avvenuti in questi ultimi giorni nell'ambito della comunità di Roma, il Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Renzo Gattegna, ha dichiarato:
"L'emotività è forte, comprensibilmente forte, perché viviamo in un'epoca nella quale avvengono ancora fatti che, come la strage di Itamar, generano orrore per la loro natura e per l'efferatezza di cui rimangono vittime adulti e bambini. Ma è necessario uscire dall'equivoco. Non è sulla condanna di quel tragico evento che è emerso il dissenso e commetterebbe un grave errore e si assumerebbe una pesante responsabilità chi volesse creare confusione tra la tragedia che ha colpito la famiglia Fogel e il dibattito, anche aspro, che è attualmente in corso in Israele, nelle comunità ebraiche e in vari consessi internazionali sulla sicurezza e sui confini futuri dello Stato di Israele. Su questo argomento il confronto è aperto e non saranno singoli episodi, per quanto gravi, che potranno impedirne lo svolgimento nella maniera più aperta e democratica. 
Sarebbe inaccettabile se non si potesse discutere in piena libertà di uno dei problemi più importanti per la sicurezza di Israele. Questo infatti è l'argomento principale. Non se ci si deve impegnare per la sicurezza di Israele, ma quale sia il modo migliore per garantirla. 
Sfido chiunque a dire di poter esprimere certezze e verità assolute mentre tra gli stessi israeliani esiste una grande varietà di opinioni. 
Ma prima di parlare dei contenuti richiamo l'attenzione su quanto importante sia imporre a noi stessi il rispetto di alcune basilari regole di metodo, la cui inosservanza ci espone al rischio di far regredire qualsiasi dibattito a rissa verbale, turpiloquio, o peggio. 
L'uso di frasi provocatorie, di termini ingiuriosi o diffamatori, di minacce non è segno di maturità e di forza, al contrario è il sintomo che esistono ancora gravi problemi di corretta comunicazione e che, anche su temi di vitale importanza, a volte non siamo in grado di contribuire alla ricerca delle soluzioni migliori che possono scaturire solo da civili e vivaci confronti di idee. 
Sento il bisogno di esprimere la mia solidarietà al preside della scuola ebraica di Roma rav Benedetto Carucci, responsabile di un istituto che deve restare il punto di aggregazione, di cultura e di confronto nella Roma ebraica e di una scuola i cui muri sono stati offesi e imbrattati da scritte inaccettabili e diseducative. 
Sul rispetto delle regole democratiche e sulla difesa del diritto di tutti ad esprimere civilmente le proprie idee l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane si è sempre impegnata a fondo e continuerà a farlo non in maniera teorica o astratta, ma con interventi forti e puntuali nella millenaria tradizione di libertà d'opinione che ci è stata tramandata come valore irrinunciabile".

Qui Roma - Religioni e democrazia alla grande Moschea
RelatoriReligioni e democrazia, quale ruolo, quali sfide e quali responsabilità. A parlarne, nel suggestivo scenario della grande Moschea di Roma molti autorevoli ospiti tra cui l’ex primo ministro Giuliano Amato, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il rabbino capo Riccardo Di Segni, l’ex ambasciatore Mario Scialoja, il vescovo di Mazara del Vallo Domenico Mogavaro, il professor Domenico Di Leo della comunità di Sant’Egidio e il ministro per gli Affari Religiosi di Tunisia. A fare gli onori di casa il fondatore della Coreis Adb al-Wahid Pallavicini.
L’occasione è quella della settimana della cultura islamica organizzata da Roma Capitale in sinergia con il Centro Islamico Culturale d’Italia. Una settimana tra arte, musica, cinema, letteratura e fotografia che per la prima volta spalanca in Italia una finestra di tale ampiezza sul mondo islamico. Alla presenza tra gli altri del consigliere UCEI Victor Magiar, rav Di Segni ha ricordato la sua prima storica visita alla Moschea nel 2006 e citato un paradigmatico e pacifico scambio di esperienze tra ebrei e musulmani: il pellegrinaggio che ad ogni Lag Ba Omer porta migliaia di ebrei da tutto il mondo alla sinagoga di Djerba in Tunisia. Tra i vari punti toccati nel suo intervento, dal ruolo delle religioni nelle società democratiche alla necessità imprescindibile del dialogo interreligioso, rav Di Segni ha poi auspicato una maggiore apertura della Moschea romana alla cittadinanza anche attraverso occasioni all’insegna della convivialità.
“Chi ha un’identità forte non teme le altre identità. Chi ha un’identità forte è aperto al dialogo” gli ha fatto seguito il sindaco Alemanno ribadendo inoltre l’importanza simbolica di una manifestazione come quella che Roma dedica questi giorni all’Islam. Parallelamente all’incontro nella Moschea capitolina si è svolto questa mattina alla Casa dell’Architettura un dibattito sul ruolo della donna nelle religioni monoteiste. Un dialogo tra teologia e laicità a cui hanno partecipato Yahya Pallavicini, Samir Khalil Samir, rav Benedetto Caruccci Viterbi, Biancamaria Scarcia Amoretti, Anna Foa e Souad Sbai.

Qui Roma - L'omaggio a Herzl, politico della speranza
Shabbat a San Nicandroll sognatore che fu artefice del miracolo ebraico, l’uomo la cui fondamentale intuizione avrebbe portato di lì a breve alla nascita dello Stato di Israele. Roma torna a celebrare la vicenda straordinaria di Theodor Herzl, padre del moderno sionismo, attraverso la presentazione di un libro, Theodor Herzl - Il Mazzini di Israele, che già nel titolo accosta un suggestivo parallelismo tra due grandi “politici dell’irrealtà” protagonisti delle rispettive epopee nazionali. In una biblioteca Giovanni Spadolini gremitissima dibattito a più voci: oltre all’autore, il senatore Luigi Compagna, erano chiamati a portare un contributo il senatore Marcello Pera, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, Annamaria Cossiga, Aldo Rizzo e Giuliana Limiti. Presenti tra il pubblico il presidente UCEI Renzo Gattegna e vari esponenti della classe politica nazionale tra cui i senatori Maurizio Gasparri e Fiamma Nirenstein.
Edito da Rubbettino, il volume ha la prefazione autorevole dell’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e apre varie finestre su radici e sviluppi del movimento sionista oltre che sull’avvincente biografia di Herzl. Numerosi gli spunti di riflessione emersi ieri nel corso del dibattito. Tra i vari interventi molto atteso quello del rav Di Segni, che è stato dedicato alla decodificazione della visione utopistica di Herzl e al suo differente approccio nei confronti della sfera religiosa rispetto a Mazzini. Nell’approfondire la geniale personalità del giornalista ungherese, rav Di Segni ha parlato di irrealtà come di “condizione esistenziale dell’ebraismo” e citando il pensiero di un noto politico israeliano secondo cui chi in Israele non crede ai miracoli non è realista, ha sintetizzato questo singolare approccio ebraico con una battuta: “Noi ebrei siamo diversamente reali”. Applausi anche per Annamaria Cossiga, figlia del presidente Francesco Cossiga, che ha ricordato un significativo episodio familiare legato alla Guerra dei Sei Giorni e alla vicinanza di suo padre verso Israele. “Era il 1967, avevo appena 5 anni ma ricordo benissimo come mio padre auspicasse la vittoria degli israeliani. Il mio affetto per Israele e per il sionismo è nato allora”.

 

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pilpul
Perché opporsi agli atti di arroganza
Tobia ZeviDa ciò che è accaduto nel Ghetto di Roma mi pare che possiamo trarre alcune riflessioni: si può essere in disaccordo, ovviamente, con la lettera di Giorgio Gomel pubblicata su «Shalom», purché il dissenso si manifesti in modo civile. Non è tollerabile che la discussione, di per sé utile, si sposti sulle mura della scuola ebraica, assuma la volgarità come stile, sia tecnicamente illegale.
È quantomeno singolare che ci siano voluti vari giorni per cancellare scritte che solitamente vengono nascoste in un paio d’ore. Queste scritte sono rivelatrici di un senso comune. Una paura («tutti sono contro Israele», «tutti ci vogliono male») che si traduce in atti di arroganza.  È un bene o un male se i dissidi interni alla Comunità divengono di dominio pubblico? Io ritengo che spiegare che gli ebrei non sono un monolite possa essere utile e positivo. Discutiamone. Ho però la strana impressione che gli autori anonimi siano gli stessi che sovente criticano le interviste degli altri. Credono forse che le scritte siano meno visibili dei giornali? Quanta differenza con i ragazzi che hanno cancellato le scritte (il movimento Haviu et Ha-Yom)! Da questi ultimi nessun insulto, foto di gruppo e rivendicazione pubblica del gesto. Un atto politicamente fondativo: si compie un’impresa comune, ci si fa conoscere, si cementa la comunione di animi e obiettivi. La risposta, sempre anonima e vigliacca: «Fatte li cazzi tua». La retorica degli «ebrei buoni» e degli «ebrei cattivi» è veramente oscena, e ricalca quella, altrettanto oscena, contro il «buonismo» e il politically correct. Ammesso che questa questione abbia un senso, non c’è nulla di male a essere buoni. O a esserlo almeno un po’. O a provarci. In tutta la discussione si è scelto di calpestare una parola nobile ed evocativa: «Fratelli». Sarebbe interessante promuovere un dibattito su questo tema, chiedendo lumi ai nostri Maestri. Sarebbe bello se partecipassero anche i protagonisti della polemica. Sempre che tutti abbiano un nome e qualcosa da dire.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas 


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notizie flash   rassegna stampa
Netanyahu al Congresso di Washington
Grande attesa in Israele per il suo discorso
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Grande attesa in vista dell'intervento di Benyamin Netanyahu oggi al Congresso di Washington a seguito anche delle profonde divergenze di opinione emerse nel suo recente colloquio con il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. “Sarà il discorso della sua vita” afferma il quotidiano israeliano Maariv. “Il primo ministro svelerà posizioni che desteranno attenzione in tutto il mondo” scrive dal canto suo il giornale Haaretz. Il filo-governativo Israel ha-Yom, dal canto suo, anticipa che Netanyahu ribadirà le linee politiche già note del suo governo, ma potrebbe lanciare da Washington un appello pubblico al presidente dell'Anp Abu Mazen.
 

Non vi sono notizie particolarmente significative oggi sulla nostra rassegna, solo un paio di commenti da sottolineare. In positivo, è interessante e acuta l’analisi dell’ex ambasciatore americano all’Onu Richard Bolton su Liberal, la cui tesi è che Obama ha sbagliato a pensare che la chiave della pece in Medio Oriente sia il conflitto israelo-palestinese, e che essa vada cercata invece nell’Iran...»

Ugo Volli











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