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29 maggio 2011 - 25 Iyar 5771
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l'Unione informa
ucei 
moked è il portale dell'ebraismo italiano
 
alef/tav
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Benedetto Carucci Viterbi Benedetto
Carucci
Viterbi,
rabbino

Ogni tribù di Israele - nell'accampamento che si sviluppava intorno al tabernacolo - aveva una collocazione precisa, segnalata tra l'altro da uno stendardo con un colore distintivo. Diversi colori e diverse posizioni non impedivano la profonda unità del popolo, pur caratterizzato da sostanziali differenze. Che la fratellanza dipenda dal riconoscimento della centralità della Torah e dalla percezione della presenza di Dio? 

David
Bidussa,
storico sociale delle idee


David Bidussa
La cattura di Ratko Mladic, lo sterminatore dei musulmani a Srebrebnica nel luglio 1995, ha fatto tornare al centro dell’attenzione quell’episodio dimenticato. E’ stato detto che Srebrenica ci aiutato a capire che cosa sia accaduto ad Auschwitz (selezione, violenza, annichilimento dei civili). Non credo. Noi non avevamo bisogno di vedere ciò che stava accadendo a Srebrenica, per capire Auschwitz. La novità di ciò che è accaduto a Srerbrenica riguarda noi e non le vittime, né i carnefici (per loro si ripeteva un film già visto). Lo sterminio di Srebrenica è avvenuto allo scoperto, è stato dichiarato prima, è stato persino filmato mentre avveniva e le immagini distribuite in diretta. Il fatto che noi sapessimo in tempo reale cosa stava accadendo non ha impedito che avvenisse. Noi - europei, democratici, cultori della memoria, …-  vedevamo e non lo abbiamo impedito. Non solo. Noi dopo, siamo stati in grado di vivere senza provare vergogna. A Srebrenica, in breve, noi abbiamo scoperto, ma non siamo disposti ancora a riconoscere, che non è vero che lo sterminio avviene perché nessuno lo sa e il carnefice fa di tutto perché non si sappia, altrimenti non lo può fare. Abbiamo scoperto che lo sterminio avviene, lo vediamo in diretta e continuiamo a pensare che sono “fatti loro”. Comunque che non ci riguarda. Con buona pace dei morti e, soprattutto, nostra, ovviamente.

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davar
Pagine Ebraiche: "Un giornale che rompe stereotipi
spesso dannosi, sempre banali"
Matilde PassaVignettaNon ho mai apprezzato l’idea che l’informazione debba essere gratuita, come se chi scrive, chi passa le sue ore a darti le notizie, a fornirti materiali per aggirarti in modo meno ottuso nel mondo, debba vivere d’aria o peggio di finanziamenti poco chiari. Per questo l’abbonamento a “Pagine Ebraiche” lo considero un dovere, oltre che un piacere. Perché è un giornale che colma un grande vuoto nel panorama della stampa italiana, perché permette a noi non ebrei di entrare in un mondo che conosciamo pochissimo, che interpretiamo e giudichiamo attraverso stereotipi, spesso dannosi, sempre banali. Per me è un appuntamento quotidiano e mensile al quale non potrei rinunciare. Grazie a tutti voi e auguri alle new entry del giornalismo italiano!
Matilde Passa, giornalista


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Tre nuovi giovani entrano nell'albo dei giornalisti
Messaggi di soddisfazione dalle Comunità e dai lettori
Redazione mokedMessaggi di simpatia e congratulazioni continuano a pervenire in redazione per felicitarsi del superamento dell'esame di abilitazione professionale che la scorsa settimana ha consentito a tre praticanti della redazione del Portale dell'ebraismo italiano di divenire giornalisti professionisti. Per la prima volta tre giovani ebrei italiani (Rossella Tercatin di Milano, Manuel Disegni e Daniel Reichel di Torino, nell'immagine a Trieste all'apertura del corso Redazione aperta assieme ad altri colleghi della redazione e al Presidente dell'Ordine dei giornalisti Lorenzo Del Boca) ottengono l'iscrizione all'albo riservato ai giornalisti professionisti e tenuto dall'Ordine dei giornalisti dopo aver compiuto la propria formazione interamente in campo ebraico.
Dopo i messaggi di congratulazioni del Presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna e del Segretario della Federazione Nazionale della Stampa Italiana Franco Siddi, soddisfazione è stata espressa, fra gli altri, anche dai Presidenti delle rispettive Comunità ebraiche cui i giovani appartengono.
“Ti ringrazio per la bella notizia e per il risultato raggiunto anche grazie al tuo contributo”, scrive il Presidente della Comunità ebraica di Milano Roberto Jarach al direttore della redazione Guido Vitale.
“Sono certo - aggiunge - che le Comunità tutte potranno trarre vantaggio dall'incremento dei "nostri" giornalisti in un mondo in cui l'informazione qualificata scarseggia ma aumenta di importanza”.
“Sono molto soddisfatto - commenta il Presidente della Comunità ebraica di Torino Tullio Levi - del successo dei nostri giovani giornalisti e mi congratulo vivamente con loro. Quello del praticantato è stato un progetto importante e mi auguro che l'esperienza che questi giovani hanno acquisito possa essere messa opportunamente a frutto nell'interesse loro e dell'ebraismo italiano.
“Desidero esprimere - aggiunge Levi - un particolare apprezzamento per il lavoro svolto e che ha dato frutti davvero concreti e di tutto rilievo: abbiamo finalmente degli strumenti di informazione efficienti e abbiamo persone qualificate che possono permetterci di ambire a nuovi traguardi. E' stato un investimento intelligente sia da parte dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane che delle Comunità e, in particolare, di quella di Torino. Col a kavod a tutti voi”.

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pilpul
Davar acher - I fratelli e i razzisti
Ugo VolliDalla lettura di "l'Unione informa" e del Portale dell'ebraismo italiano moked.it ho imparato questa settimana molte cose interessanti. Per esempio che gli attuali "nemici"(fra virgolette) d'Israele non comprendono solo quelli che, in vari angoli della Terra, non accettano l'esistenza del nostro Stato. Il gruppo di questi nemici (questi sì, senza virgolette) comprende anche molti ebrei italiani, in Italia e anche in Israele, "incapaci di liberarsi da superate ideologie colonialistiche". (lo assicura Sandro Natan Di Castro) Ho poi appreso che "i coloni [...] non sono innocentemente e sentimentalmente i “nostri fratelli", che la solidarietà con loro "rivela una mancanza di sensibilità, di senso della misura e di onestà intellettuale che colpisce" e che questa - anche se dalle elezioni e dai sondaggi non sembrerebbe - è proprio l'"opinione che riflette quella di forse la metà o più degli israeliani" (così Giorgio Gomel, si sa gli economisti hanno fra gli strumenti di lavoro la palla di cristallo). Sono stato informato che "chiunque non sia obnubilato dal fanatismo riconosce l’apporto culturale d’eccellenza recato dall’opera di Moni Ovadia a tutti noi" (Gad Lerner).
In definitiva, anche cercando di non personalizzare il dibattito, avendo espresso l'opinione che le vittime di Itamar - cinque persone, fa cui tre bambini, uno di pochi mesi, sgozzate mentre dormivano pacificamente a casa loro, meritavano tutta la nostra solidarietà e che tutto il popolo di Israele porta le ferite che sono state loro inferte e che in fondo siamo resi tutti coloni (o esiliati) dal fondo della nostra condizione ebraica - capisco ora di essere un nemico di Israele senza virgolette, un individuo senza sensibilità senso della misura e coerenza intellettuale e infine anche un obnubilato del fanatismo. Che dire, mi accontento di questi gesti di fratellanza. Anche perché approvo pienamente i contenuti del famoso striscione "atto intimidatorio e fascista" secondo Moni Ovadia, quello che diceva "Tutti gli ebrei sono nostri fratelli, Ovadia e Gomel no". Il ragionamento è semplice: chi non dice di non essere "sentimentalmente fratello" dei "coloni di Itamar" di quelli assassinati e anche di quelli vivi: perché potrebbe rivendicare un posto nella fratellanza del popolo ebraico? La rifiuta da solo, dire che non è un fratello degli ebrei non è insultarlo ma ribadire la sua scelta.
E' curioso che affermazioni del genere che ho riportato siano difese nel nome della libertà di espressione: davvero Gomel e Ovadia hanno diritto di dire agli altri (a me, lo ripeto, senza personalizzare) che siamo fascisti, nemici di Israele, obnubilati, disonesti intellettualmente, e quant'altro - senza che noi obnubilati fascisti possiamo neanche ribadire che non li sentiamo come nostri fratelli?
Ma c'è un problema più grave e difficile da porre, che è la mia riflessione di questa settimana: la differenza fra antisionismo e antisemitismo, che è sempre incerta, dove si pone in questo caso? Un tale che deplora senza pudore che "i coloni",  "edificando case e strutture, costringono l’esercito israeliano a una onerosa opera di protezione" cioè che dà la colpa del terrorismo alle sue vittime, dato che non sono i terroristi, nella sua visione, a produrre la necessità di protezione, è tanto lucido nei confronti del popolo ebraico quanto sono amici delle donne quelli che sostengono che la colpa degli stupri e delle stuprate, che sono troppo sfacciate o spudorate. A me questo atteggiamento sembra proprio non antisionista, ma antisemita. C'è chi uccide e chi sta in divieto di sosta. Ma dato che la vittima è in contravvenzione (secondo il punto di vista di chi parla) e l'assassino è un bravo palestinese che "lotta" per i suoi "diritti", non deve avere solidarietà e se chiede un po' di protezione, questa è un'aggravante... Potrò dirlo senza che qualcuno mi soffochi la parola in bocca, naturalmente in nome della libertà di parola? Per essere un fascista obnubilato senza senso critico, a me un ragionamento del genere appare proprio razzista, anche se viene da un ebreo. Anzi, a maggior ragione perché viene da un ebreo.

Ugo Volli


Dibattito aperto
A proposito delle polemiche e degli episodi avvenuti nell’ambito della Comunità ebraica di Roma, sono molti i contributi pervenuti in redazione. Esponenti ebraici italiani, opinion leader o semplici lettori di cui vi proproniamo una rassegna ampia nella sezione dossier del Portale dell’ebraismo italiano, che ospita tra gli altri gli interventi di Giorgio Gomel, Gheula Canarutto Nemni, Tobia Zevi, Francesco Lucrezi, Il Tizio della Sera, Donatella Di Cesare, Ugo Volli, Sergio Della Pergola, Anna Foa, Renzo Gattegna, Mino Di Porto, Gad Lerner, Victor Magiar, Fiamma Nirenstein, Riccardo Pacifici, Paolo Brogi, Francesca Nurnberg, Daniel Funaro, Sandro Natan Di Castro, I ragazzi di Havi’u et Hayom, Moni Ovadia, Giorgio Israel, Sharon Nizza, Gadi Luzzatto Voghera, Roberto Jarach e Fabio Della Pergola.

clicca qui per leggere il dossier sul Portale dell'ebraismo italiano www.moked.it

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Israele, la raccolta di sangue
si fa anche su Facebook
  Leggi la rassegna

Urgenza sangue, il Natal Trauma Center, gruppo di ospedali israeliani, sfrutta le potenzialità di Facebook e della Rete per trovare donatori. Spesso, in caso di incidenti, catastrofi e attentati il sangue è la risorsa più importante, ma anche la più scarsa, capace di salvare vite umane. Una delle maggiori difficoltà è quella di trovare donatori e, sopratutto, avere a disposizione sangue compatibile per permettere le trasfusioni. Il Natal Trauma Center ha creato, proprio con questo obiettivo, 8 gruppi su Facebook, Facebook Blood Groups, corrispondenti ai rispettivi gruppi sanguigni. Ogni utente può iscriversi al gruppo del proprio RH, magari segnalando la propria disponibilità a donare sangue recandosi nell’ospedale e, inoltre, con lo stesso metodo, le strutture sanitarie possono inoltrare le richieste sfruttando il “passaparola” generato dagli utenti e la velocità del social network, un sistema che si rivela utile sopratutto nel ricercare gruppi sanguigni poco diffusi.



 
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